Protezione umanitaria per lo straniero che proviene da un Paese poverissimo e in Italia ha ottenuto un lavoro

Palese, secondo i Giudici, la situazione di vulnerabilità di un uomo originario del Bangladesh. Ciò alla luce della integrazione lavorativa da lui raggiunta in Italia, a fronte delle scarse possibilità di poter condurre condizioni di vita dignitose nel Bangladesh, Paese tra i più poveri al mondo ed afflitto, anche a causa di eventi naturali catastrofici, da gravissimi problemi economici.

Protezione umanitaria per il cittadino extracomunitario che in Italia ha ottenuto un lavoro,a fronte, invece, delle scarse possibilità di condurre condizioni di vita dignitose nel Paese di origine, che è considerato tra i più poveri al mondo e afflitto, anche a causa di eventi naturali catastrofici, da gravissimi problemi economici. A essere presa in esame è la posizione di un uomo, originario del Bangladesh, che, una volta approdato in Italia, chiede il riconoscimento della protezione internazionale. I membri della Commissione territoriale respingono in toto la domanda presentata dallo straniero, che, però, ottiene una importante vittoria in Tribunale. I giudici di primo grado gli riconoscono, difatti, la protezione umanitaria. E questa decisione viene confermata anche in appello, poiché, osservano i giudici, «la protezione umanitaria va riconosciuta sulla scorta della comparazione tra la condizione lavorativa dello straniero in Italia e la situazione economica estremamente precaria del Paese di origine», situazione che «non gli consentiva di condurre una vita dignitosa». Col ricorso in Cassazione, però, il Ministero dell'Interno contesta il riconoscimento allo straniero della protezione umanitaria . Secondo l'Avvocatura dello Stato, difatti, «erroneamente» in appello si è «fondato il giudizio di vulnerabilità correlandolo non già con l'esistenza di un rischio individuale» per lo straniero, bensì «con la disagiata situazione economica del suo Paese di provenienza». Prima di esaminare la vicenda, i Giudici di terzo grado tengono a ribadire che «il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari costituisce una misura atipica e residuale , volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica – cioè status di rifugiato o protezione sussidiaria –, non può disporsi l'espulsione e deve provvedersi all'accoglienza dello straniero che si trovi in condizioni di vulnerabilità». E in questa ottica «il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma, caso per caso, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario considerare la specificità della condizione personale di particolare vulnerabilità dello straniero, da valutarsi anche in relazione alla sua situazione psico-fisica attuale ed al contesto culturale e sociale di riferimento». E proprio quest'ultimo passaggio è decisivo per confermare, anche in Cassazione, il riconoscimento della protezione umanitaria per l'uomo originario del Bangladesh. I Giudici di terzo grado sottolineano che correttamente «è stata riconosciuta la sussistenza di una situazione di vulnerabilità sulla base della integrazione lavorativa dello straniero in Italia e delle scarse possibilità di poter condurre condizioni di vita dignitose nel Bangladesh, Paese, secondo quanto risulta dalle accreditate fonti consultate, tra i più poveri al mondo ed afflitto, anche a causa di eventi naturali catastrofici, da gravissimi problemi economici». Pienamente valida, quindi, «la valutazione comparativa» compiuta in appello «della situazione soggettiva ed oggettiva dello straniero con riferimento al Paese d'origine, in raffronto alla situazione d'integrazione raggiunta in Italia». E in questo quadro «non rileva affatto», precisano i Giudici, «la circostanza che la privazione della titolarità e dell'esercizio di diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale sia dipesa da fattori e dinamiche economiche accompagnate da eventi naturali». Confermata, quindi, in via definitiva, la protezione umanitaria per l'uomo proveniente dal Bangladesh. E ciò alla luce del principio secondo cui «ai fini dell'accertamento della condizione di vulnerabilità dello straniero, all'esito del raffronto tra le condizioni di vita alle quali lo straniero sarebbe esposto ove rimpatriato ed il raggiunto grado di integrazione sociale nel nostro Paese, la condizione di povertà del Paese di provenienza può assumere rilievo, ove considerata unitamente alla condizione di insuperabile indigenza alla quale, per ragioni individuali, lo straniero sarebbe esposto ove rimpatriato, nel caso in cui la combinazione di tali elementi crei il pericolo di esporlo a condizioni incompatibili con il rispetto dei diritti umani fondamentali». In ultima battuta, poi, i magistrati ribadiscono che «è idonea a giustificare la concessione della protezione umanitaria la generale condizione di povertà che» nel Paese di origine dello straniero «raggiunga la soglia della carestia».

Presidente Acierno – Relatore Crolla Ritenuto in fatto 1. Con ricorso, D.Lgs. numero 25 del 2008, ex articolo 35, M.A., cittadino dello stato del Bangladesh, adì il Tribunale di Catanzaro, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria. 2. Il Tribunale accolse il ricorso, limitatamente alla richiesta di protezione umanitaria la Corte di Appello con sentenza nr 391/2020 dell'11/3/2020 , ha respinto l'appello rilevando che la protezione umanitaria andava riconosciuta sulla scorta della comparazione tra la condizione lavorativa dello straniero nel territorio del paese ospitante e la situazione economica estremamente precaria dello stato di origine che non consentiva allo straniero di condurre una vita dignitosa. 3. Il Ministero ricorre per Cassazione affidandosi ad un unico motivo. M.A. ha spiegato attività difensiva con controricorso. Considerato in diritto 1. Con il mezzo di impugnazione l'Amministrazione dell'Interno lamenta la violazione del D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 5, comma 6, in relazione all' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 3, per avere la Corte di Appello erroneamente fondato il giudizio di vulnerabilità correlandola non già con l'esistenza di un rischio individuale di M.A. bensì con la disagiata situazione economica dello stato di provenienza dello straniero. 2. Il motivo è infondato. 2.1 Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, nella disciplina di cui al D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 5, comma 6, costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica status di rifugiato o protezione sussidiaria , non può disporsi l'espulsione e deve provvedersi all'accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso Cass. 13096/2019 23604/2017 . Ha precisato questa Corte che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma caso per caso, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario considerare la specificità della condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente, da valutarsi anche in relazione alla sua situazione psico-fisica attuale ed al contesto culturale e sociale di riferimento Cass. 13088/2019 . 2.2 Al riguardo va segnalata la pronuncia delle Sezioni Unite numero 29459/2019 che, oltre ad aver affermato che la normativa introdotta con il D.L. numero 113 del 2018 , convertito in L. numero 132 del 2018 , nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui al D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 5, comma 6, e disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell'entrata in vigore 5 ottobre 2018 della nuova legge ha enunciato l'importante principio secondo il quale in tema di protezione umanitaria, l'orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d'integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l'esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato. 2.3 L'istituto della protezione umanitaria è stato interessato da un ulteriore arresto delle sezioni unite che hanno affermato che ai fini del riconoscimento del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve instaurarsi una relazione di proporzionalità inversa tra fatti giuridicamente rilevanti, che impone un peculiare bilanciamento tra la condizione soggettiva del richiedente asilo e la situazione oggettiva del Paese di eventuale rimpatrio il principio va ricondotto in termini generali al paradigma del modello di comparazione, c.d. attenuata resta fermo, che l'accertamento del diritto alla protezione umanitaria postula sempre, proprio per l'atipicità dei relativi fatti costitutivi, l'esigenza di procedere a valutazioni soggettive ed individuali, da svolgere caso per caso resta fermo altresì il principio che occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d'integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l'esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato tuttavia tale valutazione comparativa deve essere compiuta attribuendo alle condizioni soggettive e oggettive del richiedente nel Paese di origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano in presenza di situazioni di deprivazione dei diritti fondamentali nel Paese di origine quali la mancanza delle condizioni minime per poter soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili della vita personale, ossia quelli strettamente connessi al sostentamento ed al raggiungimento dei livelli minimi per un'esistenza dignitosa il grado di integrazione del richiedente in Italia assume una rilevanza proporzionalmente minore in situazioni di particolare gravità quali la seria esposizione alla lesione dei diritti fondamentali alla vita o alla salute, conseguente, ad esempio, a eventi calamitosi o a crisi geopolitiche che abbiano generato situazioni di radicale mancanza di generi di prima necessità può anche non assumere alcuna rilevanza l'integrazione sociale non costituisce una condicio sine qua non della protezione umanitaria, bensì uno dei possibili fatti costitutivi del diritto a tale protezione, da valutare, quando sussista, in comparazione con la situazione oggettiva e soggettiva che il richiedente ritroverebbe tornando nel suo Paese di origine, anche - con riguardo alla situazione soggettiva - sotto il profilo della permanente sussistenza di una rete di relazioni affettive e sociali in presenza di un livello elevato d'integrazione effettiva nel nostro Paese - desumibile da indici socialmente rilevanti quali la titolarità di un rapporto di lavoro pur se a tempo determinato, costituendo tale forma di rapporto di lavoro quella più diffusa, in questo momento storico, di accesso al mercato del lavoro , la titolarità di un rapporto locatizio, la presenza di figli che frequentino asili o scuole, la partecipazione ad attività associative radicate nel territorio di insediamento le condizioni oggettive e soggettive nel Paese di origine assumono una rilevanza proporzionalmente minore in presenza di un apprezzabile livello di integrazione del richiedente in Italia, se il ritorno nel Paese d'origine rende probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall' articolo 8 della Convenzione EDU , sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell'articolo 5 T.U. cit., per riconoscere il permesso di soggiorno cfr. Cass., S.U. 24413/2021 . 2.4 Nel caso di specie la sentenza impugnata, con accertamento in fatto, ha riconosciuto la sussistenza di una situazione di vulnerabilità sulla base della integrazione lavorativa dello straniero nel paese ospitante e delle scarse possibilità di poter condurre condizioni di vita dignitose nel Bangladesh, paese, secondo quanto risulta dalle accreditate fonti consultate, tra i più poveri al mondo ed afflitto, anche a causa di eventi naturali catastrofici, da gravissimi problemi economici. 2.5 La Corte distrettuale ha, quindi, effettuato la valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d'origine, in raffronto alla situazione d'integrazione raggiunta in Italia mentre non rileva affatto la circostanza che la privazione della titolarità e dell'esercizio di diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale sia dipesa da fattori e dinamiche economiche accompagnate da eventi naturali. 2.6 Al riguardo questa Corte ha affermato che in tema di protezione umanitaria, nel regime vigente ratione temporis, ai fini dell'accertamento della condizione di vulnerabilità del richiedente, all'esito della valutazione comparativa tra le condizioni di vita alle quali lo straniero sarebbe esposto ove rimpatriato ed il raggiunto grado di integrazione sociale nel nostro paese, la condizione di povertà del paese di provenienza può assumere rilievo ove considerata unitamente alla condizione di insuperabile indigenza alla quale, per ragioni individuali, il ricorrente sarebbe esposto ove rimpatriato, nel caso in cui la combinazione di tali elementi crei il pericolo di esporlo a condizioni incompatibili con il rispetto dei diritti umani fondamentali. Nella specie, la S. C. ha rigettato il ricorso del Ministero dell'interno - che lamentava come la protezione umanitaria fosse stata riconosciuta sulla sola base della condizione di povertà esistente in omissis - sottolineando come, al contrario, la pronuncia impugnata avesse preso in considerazione anche la condizione individuale del richiedente, gravato da un grosso debito personale ed impossibilitato a restituirlo, tenendo anche conto del suo grado elementare di scolarizzazione cfr. Cass. numero 18443/2013 ed ancora si è precisato che se una generale situazione di povertà del Paese di origine non è sufficiente ad integrare una situazione di vulnerabilità , giustificativa del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari è idonea a giustificare la concessione della protezione umanitaria la generale condizione di povertà che raggiunga la soglia della carestia cfr. Cass. 20334/2020 . 3. Conclusivamente il ricorso va rigettato. 4. Va disposta l'integrale compensazione delle spese tra le parti, tenuto conto del recente indirizzo giurisprudenziale che è venuto a formare sulla questione oggetto del presente giudizio. 5. Poiché il ricorso è stato introdotto da un'Amministrazione dello Stato, che è istituzionalmente esonerata, per valutazione normativa della sua qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo unificato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza numero 5955 del 14/03/2014 , Rv. 630550 Cass. Sez.6-L, Ordinanza numero 1778 del 29/01/2016, Rv.638714 Cass. Sez. U, Sentenza numero 4315 del 20/02/2020 , Rv 657198 , non sussistono i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo stesso, pari a quello previsto per la proposizione dell'impugnazione, se dovuto. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso. Dispone compensarsi interamente tra le parti le spese di giudizio.