Condannato l'amministratore della società che omette di versare le ritenute previdenziali per pagare prima i dipendenti

«L’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali è a dolo generico ed è integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario».

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso presentato da un amministratore unico di una società che era stato condannato dal Tribunale di Terni per aver omesso di versare all'INPS competente le ritenute assistenziali e previdenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti della stessa azienda. L'imputato, con il ricorso in Cassazione, deduce l'insussistenza degli elementi costitutivi del reato di omesso pagamento delle ritenute assistenziali e previdenziali. In particolare, l'amministratore sostiene che il giudice, per verificare la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, avrebbe dovuto analizzare non solo il dolo generico, ma anche la situazione in cui la suddetta impresa versava, considerando che era in gravi difficoltà economiche. La doglianza, però, è infondata. Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali è «a dolo generico ed è integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti e di pretermettere il versamento delle ritenute all'erario» Cass. numero 43811/2017 . Pertanto, la circostanza che il datore di lavoro, a causa della situazione economica dell'azienda, abbia scelto di pagare prima gli stipendi dei dipendenti finendo per non rispettare il termine per il versamento delle ritenute previdenziali come avvenuto nel caso di specie non costituisce una ragione di esclusione del dolo. Tale circostanza, infatti, può incidere solo sulla commisurazione della sanzione. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Presidente Liberati – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 6 novembre 2020, la Corte d'appello di Perugia ha confermato la sentenza del Tribunale di Terni emessa il 5 aprile 2019, con la quale l'imputato era stato condannato alla pena di giorni 20 di reclusione ed Euro 200,00 di multa, in relazione al reato di cui al D.L. numero 463 del 1983, articolo 2, comma 1-bis - convertito, con modificazioni, dalla L. numero 638 del 11 novembre 1983, - per avere, in qualità di amministratore unico di una società, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, omesso di versare all'INPS competente per territorio le ritenute assistenziali e previdenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, nei mesi di novembre e dicembre 2012, per un importo complessivo di Euro 16.104,54. 2. Avverso la sentenza l'imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con un unico motivo di doglianza, la violazione degli D.L. numero 463 del 1983, articolo 2, comma 1-bis, articolo 192,546,598 c.p.p., articolo 42 c.p., nonché il vizio di motivazione, non potendosi, ad avviso della difesa, ritenere sussistenti gli elementi costitutivi del reato in contestazione. In particolare, quanto all'asserita violazione di legge, si sostiene che, ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo della fattispecie delittuosa di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali sarebbe imprescindibile analizzare, oltre che il dolo generico, la situazione contingente dell'impresa. Ebbene, di tale ultimo aspetto i giudici di merito si sarebbero disinteressati, non avendo considerato le serie difficoltà finanziarie in cui versava la società sin dal 2011 e riconoscendo impropriamente l'intenzionalità dolosa nell'agire del ricorrente. Quanto, invece, all'impianto motivazionale, si individua una contraddittorietà duplice, ossia di tipo intratestuale, da un lato, laddove la Corte d'appello non avrebbe preso posizione sulla documentazione depositata dalla difesa atta a provare la crisi di liquidità che aveva cagionato il fallimento della società e dall'altro, di tipo extratestuale nella parte in cui i giudici del gravame avrebbero confermato la condanna in palese contrasto con una precedente statuizione del Tribunale di Terni passata in giudicato procedimento numero 11/2016 RG-4768/2014 RGNR , in cui lo stesso ricorrente era stato assolto per l'identica condotta - riferita, tuttavia, ai primi cinque mesi del 2012 - per insussistenza dell'elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie incriminatrice. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. L'unica censura devoluta in questa sede - con cui la difesa sostiene l'insussistenza dell'elemento soggettivo del reato - è inammissibile per manifesta infondatezza, trattandosi di una prospettazione che reitera analoga questione sollevata in sede di appello, e non si confronta compiutamente con gli atti di causa, con le argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato nè con i più recenti approdi di legittimità. Ed invero, nella motivazione resa dai giudici di merito si richiama il principio assolutamente consolidato - che va qui ribadito - in forza del quale il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali è a dolo generico ed è integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti e di pretermettere il versamento delle ritenute all'erario Sez. 3, numero 43811 del 10/04/2017, Rv. 271189 Sez. 3, numero 38269 del 25/09/2007, Rv. 237827 . In altri termini, la situazione di difficoltà economica o di crisi di liquidità non giustifica l'obbligato che non provveda al pagamento delle ritenute previdenziali essendo frutto della scelta del datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, di destinare le somme disponibili al pagamento delle retribuzioni, perché, nel conflitto tra il diritto del lavoratore a ricevere i versamenti previdenziali e quello alla retribuzione, va privilegiato il primo in quanto è il solo a ricevere - secondo una ragionevole scelta del legislatore - tutela penalistica per mezzo della previsione di una fattispecie incriminatrice Sez. F., numero 23939 del 11/08/2020, Rv. 279539 . Le difficoltà finanziarie e la necessità di reperire risorse per fare fronte ad esigenze primarie o per pagare debiti ritenuti più urgenti costituiscono il movente di molti comportamenti illeciti e possono rilevare al più in sede di commisurazione della sanzione, ma non costituiscono una ragione di esclusione del dolo, nè una causa di forza maggiore, la quale postula l'individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell'agente, e tale da rendere ineluttabile il verificarsi dell'evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo a un'azione od omissione cosciente e volontaria dell'autore. Tali principi si attagliano pienamente al caso di specie laddove, come ben argomentato dai giudici del gravame, l'inadempimento dell'obbligo tributario è stato determinato da una precisa decisione dell'imputato, che ha scelto di dare la precedenza ai pagamenti dei dipendenti e di non versare nei termini prescritti le ritenute previdenziali e assistenziali dovute. Nè può ritenersi dirimente la prospettazione difensiva secondo cui vi sarebbe una contraddittorietà della sentenza impugnata rispetto ad una precedente statuizione già passata in giudicato, giacché trattasi di debiti diversi, frutto di obbligazioni distinte, riferiti a mensilità differenti, tali da non portare a ravvisare alcuna incompatibilità con il precedente assolutorio. 2. Il ricorso, per tali motivi, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, numero 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00. P.Q.M Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.