L’articolo 1227, comma 1, c.c., disciplina la causalità tra condotta e danno, «fissando un limite al principio della condicio sine qua non , per cui al danneggiante non può far carico quella parte di danno che non è a lui causalmente imputabile».
La norma in questione ha, quindi, l'obiettivo di regolare, ai fini della causalità di fatto, l'efficienza causale del fatto colposo del soggetto leso, con conseguenze sulla determinazione dell'entità del risarcimento. E trova il suo inquadramento nel principio secondo cui «se tutto l' evento lesivo è conseguenza del comportamento colposo del danneggiato , il nesso di causalità risulta interrotto con le possibili cause precedenti, mentre se egli ha in parte dato causa al verificarsi dell'evento dannoso, la responsabilità dell'autore materiale va ridotta in proporzione». La VI sezione del Consiglio di Stato ricorda che «il comportamento omissivo del danneggiato va valutato al fine di appurare se risulti idoneo a costituire causa esclusiva o si ponga quale mera concausa dell'evento lesivo. Si tratta di un'indagine da affrontare caso per caso. Se è vero, infatti, che non ogni comportamento genericamente imprudente può essere fonte di responsabilità per il danneggiato, non può escludersi la rilevanza dello stesso come fattore concausale del danno, ogni qual volta il soggetto assuma un rischio che si pone ingiustificatamente sopra la soglia della normalità, e si caratterizza per essere un rischio anormale o anomalo». Inoltre, l'obbligazione di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale costituisce un debito di valore . Ne consegue che il cumulo della rivalutazione monetaria andrà riconosciuto «secondo gli indici ISTAT e degli interessi compensativi, questi ultimi da liquidare applicando al capitale rivalutato anno per anno un saggio individuato in via equitativa, in quello di riferimento per gli interessi legali con decorrenza dal momento dell'insorgenza del rapporto e fino all'adempimento» Cass. civ. numero 1627/2022 .
Presidente Montedoro - Estensore Tarantino Fatto e diritto 1. Il presente contenzioso si sviluppa a valle di un precedente giudizio intercorso tra le parti avente ad oggetto la denegata concessione di impianti e frequenze richiesti da al fine dell'esercizio dell'attività di radiodiffusione televisiva, cui la stessa era stata autorizzata con decreto di concessione del 28 luglio 1999. Nel giudizio a monte del presente il Consiglio di Stato imponeva all'Amministrazione di «rideterminarsi sull'istanza di s.r.l. sulla base dei principi … affermati e con piena applicazione della sentenza della Corte di Giustizia del 31 gennaio 2008» Cons. Stato, III Sez., numero 2624/2008 . Pertanto, con provvedimento dell'11 dicembre 2008, il Ministero disponeva che «in esecuzione della sentenza del TAR Lazio numero 9325/04 , confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato numero 2624/08 … , è consentito alla società s.r.l. l'esercizio del canale 8 VHF per l'attività di radiodiffusione televisiva in ambito nazionale di cui al decreto ministeriale 28 luglio 1999, da utilizzare in tecnica analogica e/o digitale, secondo la tecnica della SFN Single Frequency Network e nel rispetto di quanto previsto dai successivi articoli». Anche in ragione dell'impugnazione del detto provvedimento ed quest'ultima, nella qualità di operatore di rete di concludevano un accordo integrativo ex articolo 11 l. numero 241/1990 con l'amministrazione. In detto accordo si stabiliva che «il Ministero, ad integrazione della rete SFN operante sul canale 8 VHF, già assegnato con provvedimento dell'11 dicembre 2008, assegnerà a s.r.l., con successivi appositi provvedimenti conformi al presente accordo, per l'utilizzo in tecnica digitale, sin da subito, le risorse frequenziali indicate negli Allegati Tecnici “A” e “B” che sottoscritti dalle parti vengono acclusi al presente accordo per formarne parte integrante , ubicate nelle aree territoriali in cui è già avvenuto lo switch-off e si impegna ad assegnare le altre risorse frequenziali ubicate nelle rimanenti aree territoriali a decorrere dalle singole date di switch-off, previste dal decreto ministeriale 10 settembre 2008» articolo 1 . Si prevedevano, altresì - la necessità che le frequenze di cui agli allegati “A” e “B” consentissero alla concessionaria «… di illuminare senza interferenze tutte le aree di copertura relative ai siti da cui la Rai trasmette in banda VHF-I e VHF-II, anche atteso che utilizzerà gli stessi sistemi radianti della Rai…» - la tutela interferenziale per gli impianti di cui all'allegato “A” e per le aree in cui l'utenza non è dotata in prevalenza di antenne riceventi in banda VHF-III correttamente orientate – in particolare, per il territorio della Regione Lombardia, l'assegnazione alla concessionaria d'una frequenza ulteriore sul CH 69 UHF, con uso degli impianti di Monte Penice e ferma la facoltà della P.A. di comunicare, con congruo preavviso, un diverso canale UHF sostitutivo con le medesime caratteristiche tecniche e di ubicazione. Nell'ambito dell'accordo così raggiunto, l'Amministrazione si impegnava espressamente «a dare integrale esecuzione all'assegnazione delle frequenze integrative nonché all'accordo ed al provvedimento dell'11 dicembre 2008» articolo 6 . In data 1° agosto 2011 il Ministero veniva diffidato ad adempiere a tutti gli obblighi discendenti dall'accordo del 9 febbraio 2010 e agli obblighi derivanti dal provvedimento dell'11 dicembre 2008. L'Amministrazione adottava una determina direttoriale in data 18 gennaio 2012, con la quale assegnava ad il diritto di uso temporaneo della frequenza CH 8 VHF da utilizzare via etere terrestre in tecnica digitale nelle aree tecniche delle regioni Valle d'Aosta, Piemonte orientale, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Toscana, Umbria, Marche e provincia di Viterbo in modalità Single Frequency Network SFN , con contestuale autorizzazione all'attivazione degli impianti di cui all'allegato A al medesimo provvedimento. Il TAR con sentenza con sentenza non definitiva numero 3516/2013, tra l'altro a dichiarava l'inadempimento del Ministero dello Sviluppo economico agli obblighi di cui all'Accordo integrativo del 9 febbraio 2010 e agli obblighi di cui al provvedimento dell'11 dicembre 2008 b condannava il Ministero all'adempimento in forma specifica degli obblighi in questione c annullava la determina della DGSCER del 28 giugno 2012 d disponeva una consulenza tecnica d'ufficio, ai fini della definizione nel quantum della domanda di risarcimento del danno avanzata dalle società. La detta sentenza veniva impugnata e riformata in parte dalla sentenza numero 2693/2014 di questo Consiglio. Il primo giudice prendeva atto di quanto stabilito nella pronuncia da ultimo citata, ossia che “al più, si può imputare alla P.A. appellante un ritardo nell'adempiere agli obblighi posti da tal accordo, solo per l'impianto di Monte Penice e, comunque, fino all'emanazione della determina del 28 giugno 2012 anche per il CH 69 UHF da Monte Penice e all'approvazione del progetto attoreo radioelettrico per il CH 28 UHF. Non si può invece predicare una piena responsabilità del Ministero appellante, in via diretta, per il lungo processo di ricanalizzazione, né per l'immediata attribuzione delle risorse secondarie”. Donde, da un lato, la piena conformità della determina del 28 giugno 2012, più che alla decisione cautelare del TAR, al diritto sostanziale scaturente dall'accordo del 2010, potendo questa esser reputata a tutto concedere tardiva rispetto all'ordinanza numero 1220/2012, non certo poco o punto satisfattiva”. Pertanto, il Consiglio accertava “la sola responsabilità della P.A. per quei ritardi non immediatamente giustificati in sede di doverosa interlocuzione con le appellate ed in questi unici sensi, anche per quanto attiene agli eventuali limiti di uso dell'impianto di L'astratta utilizzabilità di esso era stata prevista già in tale accordo ed è stata attualizzata, non costituita, dalla determina del 28 giugno 2012”. Infine, la sentenza del Consiglio di Stato affermava a la necessità d'individuare realmente gli utenti non raggiungibili senza la frequenza integrativa su Monte Penice b l'inattendibilità delle “CTP, già depositate in primo grado e ribadite nel presente giudizio … nella misura in cui diano per scontata la preclusione delle appellate ad arrivare a bacini d'utenza solo potenziali ed astratti, piuttosto che solo a quelli non già raggiunti dal CH 8 VHF ab origine pure nell'area tecnica della Lombardia, ossia a quelli diversi dagli utenti NON ricadenti nei casi di cui al § 2 dell'accordo del 2010” c l'inattendibilità dell'assunto per cui senza l'impianto di Monte Penice e la mancata copertura degli undici milioni di potenziali non sarebbe stata raggiunta l'aliquota del 70 % di copertura, cui le appellanti hanno subordinato l'avvio dell'attività economica, per l'evidente ragione che tal impianto è stato attribuito non come sostitutivo o aggiuntivo al CH 8 VHF, né sul presupposto d'una copertura infima, ma solo per ovviare, peraltro esclusivamente nell'area tecnica della Lombardia e nei relativi limiti, risorse integrative finalizzate ad ovviare, ove presenti, alle questioni dedotte nel medesimo § 2 d la natura di mere stime delle predette CTP di tal che, “pur quando richiamano contratti peraltro soggetti a condizione , non svolgono accertamenti su fatti, nei cui riguardi dunque e sulla relativa attendibilità il Giudice di prime cure deve vagliarne la serietà e la fondatezza, tant'è che ha disposto un'articolata CTU, la quale, a sua volta, dovrà attenersi pure alle modifiche apportate alla pretesa risarcitoria dalla presente sentenza” par. 7 . Concludeva, dunque, il giudice d'appello, rimettendo alla CTU pure il compito di “verificare, in applicazione della buona fede nell'esecuzione del citato accordo, anche ogni esenzione dall'eventuale risarcimento per quei danni che le appellate ben avrebbero potuto evitare con l'ordinaria diligenza nello svolgimento dell'attività concessa.” Sulla base di ciò il TAR con la sentenza numero 6193/2017 , riteneva, quindi, che a il danno risarcibile andasse, innanzitutto, temporalmente circoscritto e limitato al periodo compreso tra il 1° gennaio 2011 e il 28 giugno 2012 - data di assunzione della determina che dava attuazione agli obblighi rivenienti al Ministero dall'accordo in parola b il pregiudizio lamentato dalle ricorrenti risultasse provato nella sua esistenza c fosse necessario disporre un quesito integrativo al CTU del seguente tenore “Rideterminare il “lucro cessante” con riferimento alla società , e il “lucro cessante” e il “danno emergente” con riferimento alla società , per il solo periodo 1° gennaio 2011 – 28 giugno 2012, eliminando le voci di danno che le società avrebbero potuto evitare con l'ordinaria diligenza nello svolgimento dell'attività concessa”. 2. Con sentenza numero 6856/2018, il TAR all'esito dell'ulteriore istruttoria svolta condannava l'amministrazione alla corresponsione in favore delle ricorrenti delle seguenti somme - in favore di s.r.l. € 7,197 milioni - in favore di s.r.l. € 2,113 milioni + € 0,602 milioni. 3. Con ordinanza numero 9871/2018 lo stesso TAR correggeva un errore materiale contenuto nella sentenza numero 6856/2018, nel senso di liquidare a titolo di lucro cessante per s.r.l. esattamente lo stesso importo indicato nella CTU integrativa e nell'allegata Tabella per € 0,862 milioni e non € 0,602 milioni e di liquidare in favore di € 2,975 milioni invece che € 2,715 milioni. 4. Avverso la sentenza numero 6193/2017, propone appello l'amministrazione, lamentandone l'erroneità per le seguenti ragioni a la sentenza numero 2693/2014 codesto Ecc.mo Consiglio di Stato avrebbe rappresentato che la responsabilità dell'Amministrazione si sarebbe potuta configurare solo in via eventuale e di mera ipotesi, affermando che “al più si può imputare alla P.A. appellante un ritardo nell'adempiere agli obblighi posti da tal accordo, solo per l'impianto di Monte Penice e, comunque, fino all'emanazione della determina del 28 giugno 2012”, ed evidenziando, altresì, che la determinazione dell'eventuale inadempimento da ritardo dovesse essere verificato in base ai principi di correttezza e di buona fede che devono governare il rapporto tra le parti. Di queste statuizioni il TAR non avrebbe tenuto conto, rimanendo ancorato per il periodo precedente al 28 giugno 2012 al suo precedente giudizio di piena responsabilità del Ministero sin dal momento iniziale del periodo di mora indicato dalle società ricorrenti, che si fondava sul presupposto che il CH 8 VHF non avesse i requisiti prescritti dalla legge e che l'obbligo di attribuire una frequenza aggiuntiva dovesse ritenersi “certo, preciso ed attuale” e dovesse essere adempiuto secondo le regole del diritto civile. Il primo giudice, però, non si sarebbe avveduto del fatto che il Consiglio di Stato, lungi dal riconoscere un obbligo incondizionato dell'Amministrazione di procedere senza indugio all'assegnazione delle frequenze aggiuntive, avrebbe chiaramente affermato che tale obbligo dovesse essere inteso in stretta correlazione con la specifica funzione, che l'assegnazione di frequenze aggiuntive avrebbe dovuto soddisfare secondo l'accordo procedimentale del 9 febbraio 2010 e poiché tale accordo avrebbe avuto lo stretto e limitato fine di integrare le disponibilità frequenziali già regolarmente concesse mediante l'assegnazione del CH 8 VHF nelle sole aree in cui si verificassero problemi di ricezione del segnale da parte degli utenti, sarebbe stato necessario individuare preventivamente, mediante un adeguato progetto radioelettrico che avrebbe dovuto essere presentato da parte delle società interessate, le aree che richiedessero effettivamente tale intervento integrativo. Quanto poi ai problemi concernenti la piena liberazione della frequenza assegnata sul CH 8 VHF per effetto della necessaria attività di ricanalizzazione di competenza della Rai, il Consiglio di Stato avrebbe statuito che occorreva armonizzare i tempi della onerosa operazione da parte della concessionaria del servizio pubblico con le effettive esigenze operative delle odierne appellate, in guisa che la configurabilità di un ritardo colpevole dovesse essere verificata non in assoluto, ma in rapporto all'effettivo sviluppo dell'attività di realizzazione della rete del nuovo assegnatario. Pertanto, il primo giudice non avrebbe potuto semplicemente affermare l'incondizionato obbligo dell'Amministrazione di assegnare senza indugio alle ricorrenti la frequenza aggiuntiva, ma avrebbe dovuto verificare i se le società ricorrenti avessero adempiuto al proprio onere di presentare un adeguato progetto radioelettrico delle aree effettivamente bisognose di copertura, onde limitare l'assegnazione delle frequenze integrative a quelle strettamente necessarie ii se stessero regolarmente realizzando la propria rete sul territorio nazionale al fine di poter giustamente rivendicare il più sollecito completamento delle operazioni di ricanalizzazione a carico della Rai. Espletati questi incombenti, il TAR avrebbe finito per accertare che nessun inadempimento sarebbe imputabile all'amministrazione, in quanto i nonostante le numerose sollecitazioni, le società ricorrenti non hanno mai presentato il prescritto progetto radioelettrico che consentisse di verificare le circostanze che impedivano l'uso efficiente della frequenza regolarmente assegnata sul CH 8 VHF e che rendevano quindi necessario l'impiego di frequenze “patch” aggiuntive, evitando pregiudizievoli sprechi di risorse ii per quanto riguarda poi il preteso ritardo della Rai a liberare il CH 8 VHF da essa precedentemente occupato, il Tar non avrebbe considerato, sulla base dei principi direttivi contenuti nella citata sentenza di codesto Consiglio di Stato, che non vi era nessuna effettiva urgenza a provvedere perché le controparti non avrebbero contestualmente adempiuto agli obblighi di realizzazione della propria rete nella misura e nei tempi stabiliti dalla normativa vigente e dai provvedimenti concessori adottati dall'Amministrazione a loro favore b il TAR non avrebbe in alcuno modo accertato la colpa dell'amministrazione. Al contrario, avrebbe trascurato che il ritardo nell'assegnazione delle frequenze sarebbe imputabile a circostanze obiettive e non superabili, che rendevano impossibile l'immediata ed integrale soddisfazione della avversa pretesa di ottenere l'assegnazione di una frequenza aggiuntiva, libera e disponibile, idonea a coprire l'intera area di servizio dell'impianto di In particolare, la vicenda relativa all'esecuzione dell'ordinanza numero 1989/2012, dimostrerebbe che la tesi del Tar, secondo cui vi fossero frequenze libere e disponibili suscettibili di assegnazione per l'area della Lombardia, sarebbe inequivocabilmente errata e conferma, al contrario, che era giuridicamente impossibile procedere all'esecuzione dell'accordo procedimentale nelle forme e nei termini pretese dalle controparti. Pertanto, ove mai si ritenesse che tale accordo dovesse essere eseguito nelle suddette forme e termini, occorrerebbe escludere la responsabilità dell'Amministrazione per mancanza di colpa e per impossibilità della prestazione c il TAR avrebbe confermato il convincimento espresso nella precedente sentenza non definitiva numero 3516/13, secondo cui la mancata assegnazione della prevista frequenza aggiuntiva dall'impianto di Monte Penice avrebbe costituito la causa decisiva ed efficiente del mancato avvio dell'attività di trasmissione radio-televisiva da parte delle ricorrenti, così da costituire fonte di danno risarcibile. Una simile conclusione non sarebbe corretta in quanto i non sarebbe affatto dimostrato che la mancata assegnazione della frequenza aggiuntiva da Monte Penice costituisce la causa efficiente del mancato avvio delle trasmissioni ii neppure sarebbe dimostrato che la mancata assegnazione della frequenza aggiuntiva da Monte Penice abbia determinato la verificazione della condizione risolutiva inserita nei contratti stipulati dalle parti. Quanto al primo profilo, in particolare, il Tar avrebbe implicitamente ritenuto che i contratti invocati dalle ricorrenti fossero idonei a fornire piena prova dei pregiudizi subiti, senza considerare che - si tratterebbe di contratti stipulati da società tra loro collegate ovvero interamente controllate l'una dall'altra, che non esprimono un effettivo contrasto di interessi - si tratterebbe di contratti privi di data certa, prodotti in giudizio solo in data 8 novembre 2012 - ove fosse vero che la mancata assegnazione di una frequenza aggiuntiva da Monte Penice fosse indispensabile per realizzare la copertura del 70% della popolazione, la condizione apposta ai contratti sarebbe stata quasi impossibile, non essendo ipotizzabile che la dedotta criticità potesse trovare soluzione nel breve tempo tra la stipula ed il previsto termine di inizio dell'attività - le condizioni economiche del contratto tra e non sarebbero coerenti con le regole di mercato. Quanto al secondo profilo, invece, l'argomento fondato sull'intervenuta stipula di un contratto con alcuni fornitori di contenuti, subordinato alla condizione della copertura del 70% della popolazione, si baserebbe sull'implicito presupposto che le società disponessero di ogni altro mezzo tecnico ed economico per intraprendere l'attività e che l'unico elemento ostativo fosse rappresentato dalla mancata assegnazione della frequenza aggiuntiva per l'impianto di Ma questo è un presupposto che sarebbe indimostrato, in quanto sarebbe stato sarebbe stato necessario dimostrare la capacità di dare esecuzione a tale contratto per la sussistenza di tutte le condizioni di carattere tecnico ed operativo all'uopo richieste. Il solo possesso della qualifica di operatore di rete o di emittente radio-televisiva non potrebbe ritenersi idoneo, perché l'attribuzione di tale qualifica non è subordinata alla effettiva esistenza di tutti i requisiti effettivamente richiesti per l'esercizio dell'impresa d erroneo sarebbe il giudizio del Tar sul rapporto tra la mancata attribuzione della frequenza di cui trattasi e la mancata verificazione della condizione della copertura del 70% della popolazione, a cui i contratti stipulati con alcuni fornitori di contenuti subordinava il concreto avvio delle trasmissioni. Ciò in quanto sarebbe del pari erronea la perizia utilizzata dal primo giudice, in quanto anche se si esclude l'impianto di Monte Penice, le odierne appellate sarebbero state in grado di raggiungere il 73,30% di copertura della popolazione mediante il canale 8 VHF in concessione. A ciò si aggiungerebbe la disponibilità delle ulteriori risorse frequenziali concesse dall'Amministrazione integrativamente assegnati in esecuzione dell'accordo procedimentale. Se per un verso il calcolo degli utenti non serviti risulterebbe dunque privo di sostegno probatorio e contrario agli elementi logici e documentali desumibili dagli atti, per altro verso il calcolo degli utenti serviti dal segnale sarebbe totalmente assente. Mancherebbe dunque il secondo termine del rapporto, dal quale si possa desumere il mancato raggiungimento della soglia di copertura del 70% previsto dal contratto invocato dalle ricorrenti e in relazione al quantum, il TAR avrebbe condiviso la scelta del C.T.U. di procedere alla ricostruzione del “lucro cessante” della soc. s.r.l. negli anni 2011-2012 mediante la stima dei ricavi e dei benefici economici differenziali che essa avrebbe potuto conseguire nel caso di regolare assegnazione della frequenza integrativa da Per quanto riguarda la soc. s.r.l., il Tar avrebbe condiviso per analoghe ragioni la determinazione del “lucro cessante” effettuata dal C.T.U. e avrebbe sostenuto che il “danno emergente” sia stato correttamente stimato mediante l'analisi dei costi che avrebbe potuto evitare senza l'aspettativa creata dalla stipula dell'accordo con il Ministero. Queste affermazioni sarebbero affette da un manifesto vizio di motivazione e di violazione delle regole probatorie. il C.T.U., in definitiva, avrebbe dato per scontata la fattibilità del piano industriale della società , consistente nella diffusione di programmi a pagamento mediante una tecnologia evoluta di digitale terrestre DVB-T2 , salvo a ridurre il numero dei decoder e delle schede vendute e quello degli abbonati. La perizia si baserebbe, dunque, su una realtà puramente virtuale ed illusoria, priva di qualunque concreto riferimento alla realtà operativa, in grado di accertare l'effettiva redditività dell'iniziativa imprenditoriale f con la citata sentenza numero 2693/14 il Consiglio di Stato avrebbe statuito che non sono risarcibili i danni che le ricorrenti avrebbero potuto evitare con l'uso della normale diligenza, giusta il disposto dell' articolo 1227 c.c. Anche questa conclusione sarebbe stata disattesa dal Tar, in violazione dell' articolo 2909 c.c. Infatti, la sentenza impugnata recepirebbe incondizionatamente il metodo e le conclusioni della C.T.U., senza considerare che essa si pone in netto contrasto con il disposto dell' articolo 1227 c.c. , che codesto Consiglio di Stato aveva raccomandato di applicare secondo i fondamentali principi di collaborazione e di buona fede. Infatti, le ricorrenti avrebbero potuto alternativamente i includere nella propria offerta commerciale in aggiunta alla fornitura di un decoder di nuova generazione, non ancora diffuso sul mercato, non conforme agli standard internazionali e non utilizzabile per la ricezione di altri programmi la dotazione di un'antenna correttamente orientata, in analogia a quanto praticato dall'operatore satellitare ii acquistare sul mercato la capacità trasmissiva occorrente per coprire le aree non utilmente raggiungibili sul CH 8 VHF regolarmente assegnato, considerando che sul mercato si riscontrava una grande eccedenza dell'offerta rispetto alla domanda a costi assai convenienti e certamente inferiori a quelli praticati dalla soc. s.r.l. alla consociata s.r.l. 5. Quest'ultime si costituiscono in giudizio e, contestualmente, propongono appello incidentale, evidenziando, da un lato, l'inammissibilità dell'appello dell'amministrazione nella misura in cui è finalizzato a rimettere in discussione l'accertamento sull'an debeatur da parte dell'appellante principale nonostante il tema sarebbe ormai coperto dal giudicato rappresentato dalla sentenza di questo Consiglio numero 2693/2014, che avrebbe accertato in via definitiva l'inadempimento dell'amministrazione. Del pari, inammissibile sarebbe la produzione documentale dell'appellante principale rappresentata dalla simulazione redatta dal Ministero nel settembre 2017 in base alla quale «con l'attivazione di tutti gli impianti autorizzati a favore della soc. sul canale 8 VHF, la rete raggiunge una copertura nazionale della popolazione del 74,18% … e che tale percentuale scende al 73,30 se si esclude l'impianto di Monte Penice … ». Inammissibili e infondati sarebbero i residui motivi dell'appello principale sia per ciò che concerne le critiche portate alle conclusioni del CTU prof. Tiziano Onesti, sia per ciò che riguarda la mancata applicazione da parte del TAR, secondo quanto precedentemente indicato dalla sentenza di questo Consiglio numero 2693/2014, dell' articolo 1227 c.c. Quest'ultima doglianza sarebbe in ogni caso improponibile dal momento che nella sentenza numero 6193/17 il Tar avrebbe incaricato il CTU di «Rideterminare il “lucro cessante” con riferimento alla società e il “lucro cessante” e il “danno emergente” con riferimento alla società , per il solo periodo 1° gennaio 2011 – 28 giugno 2012, eliminando le voci di danno che le società avrebbero potuto evitare con l'ordinaria diligenza nello svolgimento dell'attività concessa». Pertanto, l'attività giurisdizionale di primo grado sul tema in questione non si sarebbe ancora compiuta. 5.1. Tanto premesso, s.r.l. spiega, altresì, appello incidentale a con finalità prudenziali, nel senso che sebbene dalla lettura della sentenza gravata emergerebbe che il TAR abbia ritenuto positivamente fondato l'an debeatur in forza di quanto disposto dalla sentenza numero 2693/2014 di questo Consiglio, la pronuncia di prime cure dovrebbe ritenersi erronea, qualora dovesse essere interpretata nel senso di aver voluto invece “riaprire”, con una rinnovata valutazione sull'inadempimento dell'Amministrazione, il giudizio sull'an debeatur, che sarebbe invece ormai coperto da giudicato b contestando la data del 28 giugno 2012 quale termine di cessazione dell'illecito, considerato che la presentazione del progetto relativa al canale 28 UHF sarebbe intervenuta il 23 maggio 2013, sicché la liquidazione dei danni dovrebbe abbracciare anche il periodo fino a quest'ultima data c evidenziando che il primo giudice non si sarebbe pronunciato sugli ulteriori danni sofferti nel corso del giudizio dall'appellante incidentale. Inoltre, il TAR non avrebbe svolto adeguate motivazione in ordine al mancato utilizzo per la liquidazione dei danni del metodo alternativo, rispetto a quello seguito dal CTU, illustrato dal dott. Buccarelli, infine, avrebbe acriticamente fatto proprie le conclusioni raggiunte dal CTU in relazione alla quantificazione dei danni senza superare motivatamente le critiche mosse al riguardo dai CTP, giungendo ad una liquidazione degli stessi erronea per difetto. 6. Costituitasi in giudizio s.p.a. invoca l'accoglimento dell'appello principale e il rigetto di quello incidentale. 7. Avverso la sentenza definitiva numero 6856/2018 propone appello il Ministero dello Sviluppo economico, lamentandone l'erroneità per le seguenti ragioni a la pronuncia gravata sarebbe nulla per sostanziale mancanza di motivazione, dal momento che il TAR si sarebbe limitato ad affermare che le conclusioni del CTU non potessero essere smentite dalle ulteriori deduzioni di cui alle ultime memorie dell'Amministrazione costituita, non consentendo in questo modo di comprendere con il necessario rigore quali sarebbero le censure che il Tar avrebbe inteso disattendere e quali sarebbero di conseguenza i rimedi processuali che potrebbero essere attivati b la questione che il Tar avrebbe ritenuto inammissibile, perché inerente all'an e già risolta dalla precedente sentenza di codesto Consiglio di Stato numero 2693/2014 e dalla sentenza non definitiva dello stesso Tar numero 6193/2017 , sarebbe da identificarsi con quella prospettata nei primi due paragrafi della memoria difensiva in data 17 aprile 2018 depositata dall'amministrazione per l'udienza del 23 maggio 2018. In tali paragrafi l'appellante avrebbe contestato la presunzione posta a base della quantificazione dei danni operata dal CTU, secondo cui le società appellate avrebbero attivato le trasmissioni televisive in ambito nazionale in virtù dei contratti stipulati con alcuni fornitori di contenuti, qualora avessero avuto la disponibilità dell'impianto di Simili deduzioni, però, non atterrebbero minimamente all'an debeatur, ma riguarderebbero esclusivamente la configurabilità e l'ammontare del danno che sarebbe derivato dal preteso inadempimento. Neppure avrebbe pregio l'affermazione del Tar secondo cui la fondatezza della domanda nell'an sarebbe stata riconosciuta dalla precedente sentenza di codesto Consiglio di Stato numero 2693/2014 , a cui la sentenza non definitiva dello stesso Tar numero 6193/2017 si sarebbe uniformata c il TAR avrebbe completamente omesso di esaminare le eccezioni e le difese formulate dall'Amministrazione in merito all'insussistenza di un danno risarcibile nell'erroneo presupposto che si trattasse di questioni attinenti all'an debeatur già definitivamente risolte con precedenti pronunce. La quantificazione dei danni operata dal Tar si baserebbe esclusivamente sulla presunzione che le società s.r.l. e s.r.l. avrebbero senz'altro attivato l'attività di trasmissione televisiva sulla base dei contratti stipulati con alcune società fornitrici di servizi, nel caso in cui avessero ottenuto entro la data prefissata la pretesa assegnazione del canale aggiuntivo per l'impianto di Monte Penice al contrario la mancata assegnazione di tale canale avrebbe costituito la ragione unica e determinante del mancato avvio delle trasmissioni, a causa dell'impossibilità di raggiungere il 70% della popolazione, così come argomentato nelle perizie di parte delle ricorrenti, in considerazione di quanto previsto dagli accordi stipulati con le società fornitrici dei contenuti. Queste conclusioni, però, non sarebbero corrette, in quanto i le controparti non avrebbero mai intrapreso nessuna attività di impresa televisiva a livello nazionale neppure dopo avere ottenuto in sovrabbondanza le risorse frequenziali pretese ii il giudice di prime cure non avrebbe considerato che i contratti da cui da cui sarebbe dipeso l'avvio dell'attività trasmissiva non fornivano nessuna garanzia di affidabilità, come si evincerebbe dall'analisi della capacità operativa delle fornitrici, identificabili nelle società e iii i contratti di cui trattasi avrebbero previsto un modello di business assolutamente inverosimile, fondato sul ricorso ad una tecnologia DT2 non ancora introdotta sul mercato con impiego di strumentazioni decoder non conformi agli standard adottati sul piano internazionale iv il Ctu e il Tar avrebbero, inoltre, totalmente ignorato le argomentate deduzioni del consulente tecnico di parte dell'amministrazione, ing. Frullone, che con note del 24/11/2017 e del 17/03/2018, avrebbe evidenziato l'infondatezza della tesi su cui si è fondata la domanda risarcitoria, secondo cui l'indisponibilità dell'impianto di Monte Penice avrebbe impedito di coprire una popolazione di circa 11.400.000 abitanti e di raggiungere quindi la quota del 70% della popolazione nazionale, che costituiva il livello minimo per l'esecuzione dei contratti stipulati con i fornitori di servizi v la stima dei pretesi danni sarebbe manifestamente incongrua e sproporzionata d la sentenza impugnata sarebbe, altresì, illegittima, perché nella quantificazione dei pretesi danni non terrebbe in nessun conto dei danni che le odierne appellate avrebbero potuto evitare con l'uso dell'ordinaria diligenza, ai sensi dell' articolo 1227 c.c. , così come prescritto dalla sentenza di codesto di Consiglio di Stato numero 2693/2014 . 7.1. Le società appellate argomentano in ordine all'infondatezza delle doglianze descritte supra sub 6 e propongono a loro volta appello incidentale, esponendo le seguenti censure a secondo quanto affermato dal CTU con la relazione del 29 marzo 2018, questi avrebbe posto a fondamento delle proprie conclusioni, fedelmente recepite dal primo giudice, i risultati della precedente perizia del 7 febbraio 2014, in questo modo, però, mutuandone gli stessi vizi. In ragione di ciò le appellanti incidentali, da un lato, ripropongono i motivi già esposti avverso la sentenza non definitiva del TAR dall'altro criticano con argomenti puntuali la ricostruzione operata dal CTU, evidenziandone presunte erroneità in merito alla quantificazione dei danni sofferti sia in relazione al danno emergente che in relazione al lucro cessante. Ancora, lamentano che il Tar, anche in relazione alle voci di danno liquidate, avrebbe comunque omesso di riconoscere la rivalutazione monetaria e gli interessi sulle somme rivalutate. Infine, contestano la statuizione sulle spese nella misura in cui dispone la compensazione delle stesse tra le parti del giudizio e denunciano un errore sulla quantificazione del lucro cessante di s.r.l., a cui spetterebbe la somma di 0,862 milioni di euro in luogo di quella di 0,602 milioni di euro effettivamente liquidata. 8. Costituitasi anche in questo giudizio s.p.a. chiede l'accoglimento dell'appello principale e il rigetto di quello incidentale. 9. Il terzo appello viene proposto dal Ministero dello Sviluppo Economico avverso l'ordinanza indicata in epigrafe, con la quale il primo giudice ha disposto la correzione di errore materiale nel senso di liquidare a titolo di lucro cessante per s.r.l. esattamente lo stesso importo indicato nella CTU integrativa e nell'allegata Tabella per € 0,862 milioni e non € 0,602 milioni e di liquidare in favore di € 2,975 milioni invece che € 2,715 milioni. A giudizio dell'amministrazione il procedimento di correzione di errore materiale non sarebbe utilizzabile per conseguire una diversa statuizione della sentenza, non sussistendone i presupposti. 10. Costituitasi in giudizio s.p.a. invoca l'accoglimento dell'appello principale. 11. Le società appellate propongono ulteriore appello incidentale. Innanzitutto, eccepiscono l'inammissibilità dell'appello del Ministero, sostenendo che il gravame non censurerebbe affatto, nel merito, le parti dell'impugnata sentenza che sono state oggetto di correzione materiale da parte del Tar, bensì contesterebbe, nel rito, il procedimento che, a monte, ne ha determinato l'emenda. Ma ciò non sarebbe consentito, in quanto il rimedio dell'impugnazione delle sentenze relativamente alle parti corrette, previsto dal combinato disposto degli articolo 39 c.p.a . e 288, co. 4, c.p.c., non potrebbe essere esperito per censurare vizi che non attengono alle parti corrette di una sentenza, ma all'ordinanza di correzione. In ogni caso lo stesso sarebbe infondato, risultando evidente che la sentenza numero 6856/2018 fosse affetta da un errore materiale e/o di calcolo. 12. Con ordinanza cautelare numero 4815/2019 la Sezione, al fine di assicurare la res adhuc integra, sospende l'esecutività della sentenza numero 6856/2018 al fine di consentire una trattazione congiunta degli odierni appelli. 13. Con memorie, rispettivamente, del 20 luglio 2020 e del 23 luglio 2020, l'appellante e le appellanti incidentali argomentano ulteriormente in ordine alle proprie conclusioni. 14. Con memoria depositata in data 2 settembre 2020 le appellanti incidentali precisano tra l'altro che l'inammissibilità dell'appello proposto avverso l'ordinanza di correzione dell'errore materiale comporterebbe l'inammissibilità dell'appello proposto verso la sentenza definitiva, in quanto avente ad oggetto la pronuncia non corretta. 15. Con ordinanza numero 6885/2020 la Sezione, ritenendo necessario un approfondimento istruttorio relativo alla metodologia di computo degli effetti economico-finanziari eziologicamente riconducibili alla mancata assegnazione della postazione di trasmissione di Monte Penice e relative frequenze, dispone consulenza tecnica d'ufficio, formulando i seguenti quesiti “Ad integrazione e ‒ ove occorra ‒ correzione delle risultanze peritali depositate nel giudizio di primo grado, ricostruisca il CTU, in termini di alta probabilità logico-scientifica, il nesso di causalità tra l'inadempimento imputato all'Amministrazione mancata assegnazione della postazione di trasmissione di Monte Penice e i danni asseritamente subiti dalle società appellate, tenendo conto dei seguenti indici contestualizzati all'epoca dei fatti, e segnatamente i l'effettiva capacità trasmissiva di s.r.l. in liquidazione ed s.r.l. ii la sostenibilità del programma aziendale che le predette società avevano inteso realizzare obbligandosi alla copertura del 70% della popolazione con i contratti di fornitura infragruppo allegati in atti, avuto riguardo alla tecnologia a disposizione delle società fornitrici s.r.l. e s.r.l. e della capacità operativa di queste ultime sul versante nazionale e locale iii l'effettiva posizione di mercato delle società appellate, quanto a prezzi praticabili e utili conseguibili Con riguardo invece alla corretta delimitazione dell'area e della popolazione che non sarebbe stata coperta in virtù dell'inadempimento dell'Amministrazione, dica altresì il CTU, se la mancata assegnazione del predetto canale avrebbe costituito la ragione unica e determinante del mancato avvio delle trasmissioni, a causa dell'impossibilità di raggiungere il 70% della popolazione ‒ così come sostenuto dalle società appellate ‒, ovvero se la gran parte di tale popolazione avrebbe potuto essere raggiunta con le frequenze disponibili, anche mediante l'utilizzazione di altri impianti dei quali le società ricorrenti avevano la disponibilità, ovvero facendo ricorso all'affitto di impianti di altri operatori avvalendosi delle speciali disposizioni di legge e di regolamento che prevedono l'obbligo di consentire ad altre emittenti la capacità trasmissiva posseduta in eccedenza , cosicché il preteso inadempimento dell'Amministrazione avrebbe impedito alle ricorrenti di raggiungere soltanto 1.487.450 abitanti, e perciò una quota non influente sul raggiungimento del limite del 70% della popolazione nazionale, come sostenuto dall'Amministrazione”. 16. Concessa una proroga per l'espletamento sopra indicato con ordinanza numero 1722/2021, il CTU deposita la relazione in data 20 luglio 2021, nella quale il CTU risponde al quesito sottopostole, sulla scorta di una analisi qualitativo-descrittiva e ad elaborazioni di tipo quantitativo-numerico e di una sotto ripartizione in cinque distinte articolazioni. 16.1. La prima porzione del quesito è rappresentata dall'individuazione del nesso di causalità tra l'asserito inadempimento del Ministero, legato alla mancata assegnazione della postazione di trasmissione di Monte Penice, e gli eventuali danni arrecati alle società e . In relazione a ciò viene in evidenza il provvedimento adottato dal Ministero in data 11 dicembre 2008, che consentiva alla società l'esercizio del Canale 8 VHF per l'attività di radiodiffusione televisiva in ambito nazionale, di cui al decreto ministeriale 28 luglio 1999, da utilizzare in tecnica analogica e/o digitale e il successivo accordo ex articolo 11, l. numero 241/1990 , tra le stesse parti con il quale si conveniva che «il Ministero, ad integrazione della rete SFN operante sul canale 8 VHF, già assegnato con provvedimento dell'11 dicembre 2008, assegnerà a s.r.l., con successivi appositi provvedimenti conformi al presente accordo, per l'utilizzo in tecnica digitale, sin da subito, le risorse frequenziali indicate negli Allegati Tecnici “A” e “B” … , ubicate nelle aree territoriali in cui è già avvenuto lo switch-off e si impegna ad assegnare le altre risorse frequenziali ubicate nelle rimanenti aree territoriali a decorrere dalle singole date di switch-off, previste dal decreto ministeriale 10 settembre 2008» inoltre «le frequenze indicate negli Allegati Tecnici “A” e “B” … devono consentire a di illuminare senza interferenze tutte le aree di copertura relative ai siti da cui la Rai trasmette in banda VHF-I o VHF-II, anche atteso che utilizzerà gli stessi sistemi radianti della Rai…». Tra gli impianti citati vi era quello di Monte Penice e successivamente venivano assegnate ulteriori risorse frequenziali in Piemonte Occidentale, Trentino Alto Adige, Lazio e Campania. In definitiva, trasmettendo sul canale 8 VHF solo in tecnica digitale non avrebbe potuto realizzare una rete effettivamente fruibile a livello nazionale. Stante, peraltro, la differenza tra “copertura” ed “effettiva ricevibilità del servizio”, quest'ultima potesse essere realizzata solo mediante assegnazione a favore di di altre frequenze integrative c.d.“cerotto” in Banda UHF in tutte le aree di servizio degli impianti individuati negli allegati A e B all'Accordo del 2010. Ma dopo le prime assegnazioni delle frequenze integrative per le aree del Piemonte Occidentale, del Trentino Alto Adige, del Lazio e della Campania, il Ministero non aveva più provveduto ad attribuire ad tali frequenze, previste nell'Accordo del 2010, e sempre il Ministero non provvedeva ad adempiere correttamente a quanto statuito in sede di accordo, omettendo di assegnare la frequenza integrativa su 16.1.1. Da qui la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta del Ministero e il fatto causativo dei danni a carico delle appellanti incidentali, che consente al CTU di passare alla quantificazione del danno sub specie lucro cessante di per gli anni 2011 e 2012. Al riguardo il consulente concorda con la scelta del CTU di primo grado di prendere in considerazione i valori medi delle società assimilabili sia perché non ha mai effettivamente operato sul mercato sia perché risulta poco aderente alla realtà pensare che una società possa avere un pre-tax profit margin pari al 99% dei ricavi conseguiti. Rispetto al valore utilizzato dal CTU di primo grado, però, ritiene di individuare quale parametro l'Ebit, che rappresenta il valore del margine operativo lordo al netto di componenti negative di reddito della gestione non caratteristica e di considerare l'intero campione di imprese considerate comparables e non solo quelle con un risultato d'esercizio positivo al fine di avere una migliore armonizzazione dei risultati ed un insieme di aziende più numeroso e più rappresentativo del settore e della tipologia di business. Pertanto, il CTU ritiene che la stima del lucro cessante possa essere individuata prendendo in considerazione il suddetto valore di bilancio per gli esercizi 2011 e 2012 in linea con i valori medi dei comparables, nello specifico pari all'11% nel 2012 e del 5% nel 2011. Pertanto, secondo il CTU il maggior Ebit che avrebbe potuto ottenere nel 2011 risulta pari ad €. 2.687.592,00 mentre per il 2012 ad €. 6.323.977,00 per un totale danno da lucro cessante nei confronti di generato dall'inadempimento da parte del Ministero per il 2011 ed il 2012 pari ad €. 9.011.569,00. 16.1.2. In relazione, invece, alla quantificazione del lucro cessante di il consulente conferma la bontà della metodologia utilizzata dal CTU di primo grado, ricavando il lucro cessante attraverso la somma, per gli esercizi 2011 e 2012, dei maggiori ricavi e dei maggiori costi stimati e giungendo ad una stima nulla per l'esercizio 2011 anno in cui, secondo le stime condotte, la Società avrebbe conseguito una perdita economica e pari a €. 8.588.419,17 per l'intero esercizio 2012. 16.1.3. In relazione alla quantificazione del danno emergente di il consulente concorda con quanto stabilito dal CTU di primo grado, giungendo alla stessa stima ossia a complessivi €. 2.736.000,00 circa, di cui €. 1.511.000,00 riferibili al 2011 ed €. 1.225.000,00 riferibili al 2012. 16.2. Una seconda parte del quesito viene individuata dal consulente nella valutazione della capacità trasmissiva di ed . Al riguardo, il consulente evidenzia che nella prima C.T.U. questa capacità trasmissiva risulta concordata tra le parti pari a 40,2 megabit/s su tutto il territorio nazionale ed è suffragata dall'attestazione rilasciata dalla Broadcast Solution s.r.l., sicché non vi sono ragioni perché venga rimessa in discussione. 16.3. Una terza parte del quesito consiste nell'individuazione della sostenibilità del programma aziendale che le predette società avevano inteso realizzare obbligandosi alla copertura del 70% della popolazione con i contratti di fornitura infragruppo allegati in atti, avuto riguardo alla tecnologia a disposizione delle società fornitrici s.r.l. e s.r.l. e della capacità operativa di queste ultime sul versante nazionale e locale. Il consulente rammentata la distinzione tra “copertura” ed “effettiva ricevibilità da parte degli utenti”. Chiarisce che per “potenzialità di business di una pay tv” debba intendersi la capacità di una azienda, operante nel settore delle trasmissioni televisive, di creare un modello di business valido sostenuto da una adeguata campagna pubblicitaria al fine di attrarre il maggior numero di utenti tra quelli in grado di usufruire del servizio di antenna. Pertanto, una cosa è garantire ad una azienda cliente come o di poter raggiungere il 70% della popolazione, fattispecie possibile solo con gli adeguati strumenti di trasmissione forniti dal Ministero, altro è far sì che gli utenti, certamente coperti dalla rete, possano abbonarsi ad una utenza televisiva a pagamento di nuova costituzione e raggiungere un risultato aziendale congruo che sicuramente sarà ben lontano dal 70% della popolazione. Pertanto, secondo il consulente, la mancata assegnazione della postazione di Monte Penice ha impedito a e di poter raggiungere il 70% delle utenze della popolazione italiana. Allo stesso tempo, tuttavia, considerando il modello di business impostato e seguito dalle odierne appellate la pay tv il raggiungimento del 70% delle utenze della popolazione italiana, secondo il parere del consulente, non può essere il parametro adeguato per fornire indicazioni sulla sostenibilità del programma aziendale. Al fine di individuare la sostenibilità del programma aziendale delle odierne appellate sarebbe più opportuno valutare il numero di apparecchi venduti e l'ammontare degli investimenti in tecnologia e pubblicità. Ne consegue che le stime di danno effettuate non debbano essere ulteriormente modificate. 16.4. Una quarta parte del quesito è data dall'individuazione dell'effettiva posizione di mercato delle società appellate, quanto a prezzi praticabili e utili conseguibili, della quale, però, il consulente dichiara di aver tenuto conto in sede di commisurazione delle voci di danno, la cui stima non merita, quindi, di essere ulteriormente modificata. 16.5. L'ultima parte del quesito concerne la corretta delimitazione dell'area e della popolazione che non sarebbe stata coperta in virtù dell'inadempimento dell'Amministrazione, e in particolare, se la mancata assegnazione del predetto canale avrebbe costituito la ragione unica e determinante del mancato avvio delle trasmissioni, a causa dell'impossibilità di raggiungere il 70% della popolazione ‒ così come sostenuto dalle società appellate ‒, ovvero se la gran parte di tale popolazione avrebbe potuto essere raggiunta con le frequenze disponibili, anche mediante l'utilizzazione di altri impianti dei quali le società ricorrenti avevano la disponibilità, ovvero facendo ricorso all'affitto di impianti di altri operatori avvalendosi delle speciali disposizioni di legge e di regolamento che prevedono l'obbligo di consentire ad altre emittenti la capacità trasmissiva posseduta in eccedenza , cosicché il preteso inadempimento dell'Amministrazione avrebbe impedito alle ricorrenti di raggiungere soltanto 1.487.450 abitanti, e perciò una quota non influente sul raggiungimento del limite del 70% della popolazione nazionale, come sostenuto dall'Amministrazione. Sul tema il consulente giunge alla conclusione che se il ministero avesse adempiuto a quanto pattuito nell'accordo del 2010 ed esattamente l'assegnazione delle risorse frequenziali indicate negli Allegati Tecnici A e B ubicate nelle diverse aree territoriali le odierne appellate avrebbero potuto raggiungere il 70% della popolazione. Altro discorso va però fatto rispetto al modello di business, perché tramite la pay tv , pur raggiungendo il 70 % della popolazione non avrebbe comunque potuto permettere a tutti gli utenti di fruire dei propri contenuti in quanto gli stessi sono a pagamento e necessitano di decoder e scheda per poter essere accessibili. Pertanto, il consulente ritiene di non dover ulteriormente modificare la quantificazione del danno già operata. 16.6. Acquisite le osservazioni dei ctp di parte, il consulente conferma le proprie conclusioni, individuando le seguenti voci di danno a s.r.l. lucro cessante dall'1 gennaio 2011 al 28 giugno 2012 pari ad euro 5.788.940,03 b s.r.l. lucro cessante dall'1 gennaio 2011 al 28 giugno 2012 pari ad euro 4.211.854,88 s.r.l. danno emergente dall'1 gennaio 2011 al 28 giugno 2012 pari ad euro 2.111.380,36. 17. In vista dell'odierna udienza l'amministrazione appellante deposta memoria nella quale argomenta in ordine all'infondatezza dell'eccezione di inammissibilità degli appelli fondata sul presupposto che l'appello avverso la sentenza corretta con l'ordinanza del Tar numero 9871/2018, anziché sottoporre a censura - nel merito – la sentenza corretta, si rivolge contro l'ordinanza di correzione, ritenendo che erroneamente il Tar avrebbe erroneamente adottato un'ordinanza di correzione dell'errore materiale. Al riguardo, l'appellante evidenzia che la decisione sulla correzione non costituirebbe una decisione sostitutiva di quella già contenuta nella sentenza. Del resto, l' articolo 288 c.p.c. comma 4, prevedrebbe che “le sentenze possono essere impugnate relativamente alle parti corrette nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l'ordinanza di correzione”. Ancora la sentenza corretta sarebbe stata censurata non già per vizi meramente processuali, bensì per insussistenza, nel merito, dei presupposti dell'invocato errore, con la conseguenza che illegittimamente il Tar avrebbe ritenuto di modificare il risultato numerico della quantificazione del danno. Quanto, invece, alle conclusioni raggiunte dal CTU l'appellante lamenta che la relazione tecnica non conterrebbe alcun elemento nuovo e diverso che possa integrare e supportare le conclusioni delle precedenti, sicché resterebbero sostanzialmente insoddisfatte le ragioni che avevano indotto a disporre una terza perizia. Sarebbe, infatti, mancato un accertamento del nesso di causalità in termini di alta probabilità logico-scientifica tra la mancata assegnazione della postazione di trasmissione di Monte Penice ed i pretesi danni delle società appellate. Le criticità della relazione tecnica si appunterebbero a sulla individuazione della posizione di mercato delle società appellate. Il consulente d'ufficio, infatti, avrebbe confermato gli elaborati calcoli del precedente c.t.u. sul lucro cessante delle società appellate, sulla base di elementi quali il pre-tax profit margin, l'Ebitda margin, l' Ebit margin ed il Net profit marginumero Sebbene non vi siano ragioni per contestare la correttezza dei calcoli eseguiti, non sarebbe corretto il fondamento della determinazione di assumere come dati di riferimento i bilanci di società con elevato potere di mercato come quelle del gruppo RAI, Mediaset, TIMB e SKY, risultando difficile ritenere che una società nuova entrante, che avrebbe elaborato un progetto di pay-tv e si sarebbe proposta di trasmettere pochi programmi su materie specialistiche, possa essere comparata ad operatori di elevata potenza economica che trasmettono programmi generalisti in chiaro. Parimenti apodittico sarebbe il fondamento dei calcoli relativi ai prevedibili profitti derivanti dalla vendita di 200.000 decoder b quanto alla capacità trasmissiva, individuata in tecnica DVB-T2, esattamente in 40,2 Mbps Megabit per secondo , il consulente avrebbe rappresentato di non essere in grado di replicare alle osservazioni del consulente di parte dell'amministrazione, perché la questione esula dalle sue competenze specialistiche c quanto alla sostenibilità del programma aziendale e alla responsabilità dell'Amministrazione, il consulente avrebbe condiviso le conclusioni dei precedenti consulenti d'ufficio, che avevano aderito alle prospettazioni delle società ricorrenti, secondo cui il programma di realizzare una pay tv low cost di alta qualità, grazie all'utilizzo dell'avveniristico standard di trasmissione DVBT-2, fosse senz'altro realizzabile e sia stato impedito solo dalla mancata assegnazione di frequenze aggiuntive dall'impianto di Monte Penice, che avrebbe consentito di realizzare la condizione contrattuale di raggiungere il 70% della popolazione. Nella relazione difetterebbe una valutazione in ordine alla effettiva sostenibilità del programma aziendale delle società appellate. Inoltre, la difficoltà legata al fatto che i programmi televisivi programmati non potessero essere immediatamente ricevuti da una parte degli utenti per un problema di orientamento delle antenne, si sarebbe potuta superare attraverso la presentazione del previsto piano radioelettrico al Ministero, l'acquisto di frequenze aggiuntive sul canale UHF facilmente reperibili sul mercato, o – ancor più semplicemente – offrendo un adeguato servizio di supporto tecnico agli utenti che avessero inteso sottoscrivere abbonamenti, con acquisto di decoder e relative schede. 18. Con memoria depositata in vista dell'odierna udienza le appellanti incidentali insistono nelle proprie conclusioni, riportando i motivi di critica alle statuizioni espresse dal giudice di prime cure e alle valutazioni sfavorevoli contenute nella relazione del CTU in ordine alla meno favorevole determinazione dell'ammontare del danno da loro formulata a in relazione alle singole voci b in relazione al periodo di riferimento che le appellanti incidentali ritengono dovrebbe essere esteso sino al 23 maggio 2013 c in relazione all'omesso riconoscimento della rivalutazione monetaria e degli interessi sulle somme rivalutate. Con memoria di replica, infine, le appellanti incidentali contestano i rilievi critici operati dall'amministrazione appellante in ordine a all'individuazione della propria posizione di mercato b alla propria capacità trasmissiva c alla sostenibilità del proprio programma aziendale e alla responsabilità dell'Amministrazione. 19. Preliminarmente, deve essere disposta la riunione degli appelli in esame, trattandosi di mezzi di impugnazione aventi ad oggetto distinte pronunce, che hanno definito, però, lo stesso contenzioso tra le stesse parti del giudizio, da qui l'evidente sussistenza di una connessione soggettiva e oggettiva, che ne impone la trattazione congiunta, così come, peraltro, richiesto dalle stesse parti. 20. Tanto premesso è necessario esaminare l'eccezione spiegata dalle appellanti incidentali che evidenziano l'inammissibilità degli appelli principali in ragione del fatto che l'appello avverso la sentenza corretta con l'ordinanza del Tar numero 9871/2018, anziché sottoporre a censura - nel merito – la sentenza corretta, si rivolge contro l'ordinanza di correzione, censurando nel rito, il procedimento che, a monte, ne ha determinato l'emenda. L'eccezione è infondata e non merita di essere accolta. Il c.p.a . disciplina la correzione dell'errore materiale all'articolo 86. Detta norma si limita a regolare il contenuto della domanda per la correzione, la competenza del decidere, le forme e la modalità della decisione, non contemplando alcuna regola che riguardi l'impugnazione della decisione. Pertanto, ai sensi dell' articolo 39, comma 1, c.p.a . vale il rinvio esterno alle disposizioni del c.p.c. e nella fattispecie al comma 4 dell' articolo 288 c.p.c. secondo il quale “Le sentenze possono essere impugnate relativamente alle parti corrette nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l'ordinanza di correzione”. La disposizione citata si inserisce armonicamente nel corpo delle regole dell'appello nel giudizio amministrativo, rispettandone il principio devolutivo secondo il thema decidendi contenuto all'interno dell'appello e il principio di economicità dei mezzi processuali, teso ad evitare inutili ripetizione dei mezzi di gravame già esperiti. Ne deriva che qualora una parte abbia proposto appello avverso una sentenza e la stessa successivamente alla proposizione del gravame risulti oggetto di correzione per errore materiale da parte del primo giudice è sufficiente impugnare nel termine ordinario dell'appello la sola correzione, risultando del tutto superfluo proporre un'impugnazione che reiteri le doglianze portate avverso i capi della sentenza diversi da quello oggetto della correzione. Oltre a ciò deve rilevarsi che l'eccezione non risulta fondata nemmeno nella parte in cui sostiene che il vizio denunciato sarebbe di mero rito. Una piana lettura del gravame, infatti, consente di apprezzare una doglianza con la quale si contesta che vi fossero i presupposti per la correzione dell'errore materiale. La doglianza in questione, però, non è meritevole di accoglimento. Com'è noto, infatti, secondo la costante giurisprudenza di questo Consiglio cfr. ex plurimis, Cons. St., Sez. IV, 20 febbraio 2020, numero 1270 l'errore materiale di sentenza, come tale suscettibile di correzione, è quello che riguarda la manifestazione del pensiero all'atto della formazione del provvedimento e che si risolve in una fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza e, come tale, percepibile e rilevabile ictu oculi è quindi da ritenere inammissibile la richiesta di correzione dell'errore materiale che abbia in maniera preponderante il contenuto concreto di una ulteriore e non consentita impugnazione ordinaria. Nella fattispecie il giudice di prime cure si è limitato a correggere una chiara svista nella redazione della sentenza, evidenziando come in parte motiva dichiarava di volersi attenere alle risultanze della CTU integrativa disposta quanto alla determinazione dei danni, ma errava nel trascrivere le somme contenute nella tabella redatta dal CTU. È indubbio che la fattispecie in questione riguardi una mera svista, che va corretta nelle forme previste dal citato articolo 86 c.p.a ., non essendovi necessità di interporre appello. Per le stesse ragioni non può, invece, condividersi quanto sostenuto in sede d'appello da parte dell'amministrazione avverso la pronuncia di correzione del TAR. Pertanto, il correlato appello deve ritenersi infondato nella parte in cui sostiene l'erroneo utilizzo dello strumento della correzione di errore materiale. Mentre, deve dichiararsi improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse l'appello incidentale proposto dalle appellate. In ogni caso il thema decidendi relativo alla corretta liquidazione del danno sofferto dalle appellate deve essere deciso unitamente alla disamina dell'appello principale e di quello incidentale spiegati avverso la sentenza definitiva del primo giudice. 21. Deve a questo punto passarsi ad esaminare l'appello proposto dal Ministero avverso la sentenza non definitiva numero 6193/2017, principiando, però, dalle eccezioni di inammissibilità proposte dalle appellate. Quest'ultime, infatti, evidenziano, da un lato, che l'appello dell'amministrazione nella misura in cui è finalizzato a rimettere in discussione l'accertamento sull'an debeatur è inammissibile, risultando ormai il tema coperto dal giudicato contenuto nella sentenza di questo Consiglio numero 2693/2014, che avrebbe accertato in via definitiva la mancata esecuzione dell'accordo. Dall'altro, pongono in luce l'inammissibilità dei residui motivi dell'appello principale sia per ciò che concerne le critiche portate alle conclusioni del CTU prof. Tiziano Onesti, sia per ciò che riguarda la mancata applicazione da parte del TAR, secondo quanto precedentemente indicato dalla sentenza di questo Consiglio numero 2693/2014, dell' articolo 1227 c.c. , trattandosi di determinazioni ancora non oggetto di decisione da parte del primo giudice, che proprio con la sentenza numero 6193/2017, aveva individuato un CTU per deliberare in materia. La soluzione della prima eccezione di inammissibilità passa inevitabilmente per la delimitazione delle statuizioni contenute nella sentenza di questo Consiglio numero 2693/2014. Il cuore della pronuncia, che riepiloga la complessa fattispecie alla base del presente contenzioso, va individuato nel riconoscimento della responsabilità dell'amministrazione per il ritardo nell'adempiere agli obblighi imposti dall'accordo transattivo concluso tra le parti solo per l'impianto di Monte Penice e comunque fino all'emanazione della determina del 28 giugno 2012 e all'approvazione del progetto radioelettrico delle appellate per il CH 28 UHF. “Non si può invece predicare una piena responsabilità del Ministero appellante, in via diretta, per il lungo processo di ricanalizzazione, né per l'immediata attribuzione delle risorse secondarie. Infatti, l'uno non era logicamente possibile uno actu e, certo, non man mano che le appellate redigessero i progetti d'uso degli impianti e dimostrassero la progressiva copertura di rete anche oltre il minimo indicato nella determina del 2008 e l'altra presupponeva appunto la dimostrazione dello stato d'avanzamento della piena illuminazione senza interferenze”. Da ciò deriva la fondatezza delle eccezioni di inammissibilità, non potendosi in questa sede rimettere in discussione l'accertamento operato dalla sentenza di questo Consiglio numero 2693/2014, circa la mancata esecuzione dell'accordo in questione nei limiti sopra ricordati, non potendosi, invece, contestare né la mancata applicazione dell' articolo 1227 c.c. , né la quantificazione dell'ammontare dei danni asseritamente subiti dalle appellate, perché solo con la sentenza definitiva del primo giudice i temi in questione hanno trovato compiuta definizione. 22. Del pari, non merita di essere accolto l'appello incidentale, in ragione della lettura del giudicato di questo Consiglio. Infatti, l'accertamento intervenuto non riguarda come chiarito l'an debeatur, tout court, da parte dell'amministrazione, ma la mancata esecuzione dell'accordo, tanto che resta impregiudicata la corretta applicazione del disposto dell' articolo 1227 c.c. Ancora non merita accoglimento la doglianza con la quale si sostiene che il primo giudice avrebbe dovuto valutare l'inadempimento dell'amministrazione sino alla data del 23 maggio 2013, dal momento che la mancata esecuzione dell'accordo transattivo tra le parti viene attestata da questo Consiglio sino all'emanazione della determina del 28 giugno 2012, sicché non residua alcuno spatium deliberandi per un'estensione dell'accertamento della responsabilità dell'amministrazione per un periodo temporale successivo a detta data. Non solo la portata del giudicato è tale nell'individuare un torno temporale chiaramente definito per il solo periodo 1° gennaio 2011 – 28 giugno 2012, da imporre un calcolo proporzionale nella stima dei danni, risultando sotto questo profilo corrette le conclusioni alle quali è giunto il giudice di prime cure. Allo stesso tempo non merita condivisione l'ultima doglianza con la quale si contestano i criteri di liquidazione del danno per le ragioni sopra indicate, ossia il fatto che la pronuncia non definitiva non contiene alcuna statuizione definitiva sul detto tema. 24. Pertanto, l'appello principale è da dichiararsi inammissibile, mentre l'appello incidentale deve essere respinto. 25. Può a questo punto passarsi all'esame degli appelli con i quali le parti aggrediscono la sentenza definitiva del giudice di prime cure. 25.1. Non vi è interesse alla decisione del primo motivo di appello, dal momento che la Sezione con ordinanza numero 6885/2020 ha ritenuto necessario disporre una nuova consulenza tecnica d'ufficio ad integrazione e correzione delle risultanze peritali depositate nel giudizio di primo grado, sicché il diritto di difesa dell'amministrazione risulta pienamente garantito dal supplemento istruttorio disposto e dalla possibilità di criticare ex novo le conclusioni raggiunte dal consulente del giudice. 25.2. Il secondo e il terzo motivo di appello non meritano di essere accolti in forza di quanto emerge dalla documentazione acquisita agli atti del presente giudizio e dalla relazione di CTU di seconde cure. In entrambi i motivi, in definitiva si contestano le conclusioni raggiunte dal CTU di primo grado, evidenziandosi, da un lato, che sarebbe erronea la presunzione posta a fondamento delle conclusioni della relazione del consulente secondo la quale le società appellate avrebbero attivato le trasmissioni televisive in ambito nazionale in virtù dei contratti stipulati con alcuni fornitori di contenuti, qualora avessero avuto la disponibilità dell'impianto di Dall'altro, che non sarebbe in alcun modo provato che il danno sarebbe derivato dalla mancata assegnazione del canale aggiuntivo per l'impianto di Monte Penice, che avrebbe comportato l'impossibilità di raggiungere il 70% della popolazione. Quanto al primo dei citati aspetti a fronte del chiaro inadempimento a quanto statuito in sede di accordo da parte dell'amministrazione, oramai accertato in via definitiva, le società appellate hanno fornito un elemento di prova per contribuire a determinare i danni sofferti, mercé il deposito di contratti di fornitura di servizi di trasmissione tra a e S.r.l. per “I like music” b tra e S.r.l. per “I like TV” c tra e d e S.p.A. per “Parliamo di caccia” e e S.p.A. per “Parliamo di pesca”, dimostrando in questo modo che erano in procinto di avviare la propria attività imprenditoriale. È evidente, che nella fattispecie si tratta di offrire una prova su un evento futuro, che in quanto tale va apprezzato in termini di probabilità e non in termini di certezza. In definitiva, il creditore danneggiato deve limitarsi a dimostrare la sussistenza di una situazione imprenditoriale idonea ad avviare l'attività ostacolata dall'inadempimento. In questo senso, non può che farsi ricorso ad una dimostrazione presuntiva della sussistenza delle condizioni per ritenere che il ritardo nell'adempimento da parte dell'amministrazione costituisca causa del danno a fronte del comportamento, sotto questo profilo, diligente da parte del creditore premuratosi di attivare quelle ulteriori relazioni negoziali necessarie per l'avvio effettivo della propria attività. Nella fattispecie i contratti di fornitura in questione non si atteggiano, quindi, a presunzioni ma ad elementi di prova concreta, che contribuiscono a dimostrare in via ipotetica che l'attività sarebbe iniziata se l'amministrazione avesse tempestivamente adempiuto a quanto dedotto in sede di accordo. Quanto, invece, al secondo profilo si contesta che il danno sarebbe derivato dalla mancata assegnazione della del canale aggiuntivo per l'impianto di Monte Penice, che avrebbe comportato l'impossibilità di raggiungere il 70% della popolazione, evidenziandosi come i le controparti non avrebbero mai intrapreso nessuna attività di impresa televisiva a livello nazionale neppure dopo avere ottenuto in sovrabbondanza le risorse frequenziali pretese ii il giudice di prime cure non avrebbe considerato che i contratti da cui da cui sarebbe dipeso l'avvio dell'attività trasmissiva non fornivano nessuna garanzia di affidabilità, come si evincerebbe dall'analisi della capacità operativa delle fornitrici, identificabili nelle società e iii i contratti di cui trattasi avrebbero previsto un modello di business assolutamente inverosimile, fondato sul ricorso ad una tecnologia DT2 non ancora introdotta sul mercato con impiego di strumentazioni decoder non conformi agli standard adottati sul piano internazionale iv il Ctu e il Tar avrebbero, inoltre, totalmente ignorato le argomentate deduzioni del consulente tecnico di parte dell'amministrazione, ing. Frullone, che con note del 24/11/2017 e del 17/03/2018, avrebbe evidenziato l'infondatezza della tesi su cui si è fondata la domanda risarcitoria, secondo cui l'indisponibilità dell'impianto di Monte Penice avrebbe impedito di coprire una popolazione di circa 11.400.000 abitanti e di raggiungere quindi la quota del 70% della popolazione nazionale, che costituiva il livello minimo per l'esecuzione dei contratti stipulati con i fornitori di servizi v la stima dei pretesi danni sarebbe manifestamente incongrua e sproporzionata. Ora in disparte il rilievo sulla congruità della stima dei danni, che verrà trattato in seguito nell'esaminare le risultanze della CTU, nessuno dei predetti rilievi meria di essere accolto. Non il primo, dal momento che in questa sede il thema decidendi concerne le conseguenze del ritardo nell'adempimento dell'accordo concluso dall'amministrazione nel periodo di tempo individuato nel giudicato di questo Consiglio a causa della mancata assegnazione delle frequenze ivi prevista, sicché la circostanza che in seguito le controparti non avrebbero mai intrapreso nessuna attività di impresa televisiva a livello nazionale non è causa scusante del comportamento serbato dall'amministrazione. Non il secondo dal momento che dall'esame dei contratti conclusi con i fornitori di servizi non si evince un difetto della capacità operativa di quest'ultimi, e, infatti, è emerso che - il contratto con S.r.l., società che controlla al 100% S.r.l., è stato stipulato in data 28 dicembre 2010 con durata fino al 31 dicembre 2013 e riguarda la messa a disposizione di 22 Mbit/s, senza soluzioni di continuità per sette giorni a settimana per ventiquattro ore al giorno il corrispettivo annuo è fissato in €. 1.250.000,00 per Mbit/s fino al 31 dicembre 2011 e in €. 1.400.000,00 per Mbit/s per il 2012. Il citato corrispettivo era condizionato al raggiungimento della ricevibilità del segnale da parte del 70% della popolazione e, comunque, di tutta la Lombardia tramite un impianto UHF da Monte Penice - i due contratti con S.r.l., stipulati in data 4 febbraio 2011 per i canali I like TV” e I like Music in relazione al periodo intercorrente tra il 1° marzo 2011 ed il 31 dicembre 2013, riguardano la messa a disposizione di complessivi 9 Mbit/s, senza soluzione di continuità per sette giorni a settimana per ventiquattro ore al giorno anche in questo caso, il corrispettivo - stabilito su base annua in €. 1.500.000,00 per Mbit/s – risulta essere subordinato al raggiungimento della ricevibilità del segnale da parte del 70% della popolazione e comunque in tutta la Lombardia tramite impianto UHF da Monte Penice - i due contratti con S.p.A., stipulati in data 27 dicembre 2010 per i canali Parliamo di caccia e Parliamo di pesca riferiti al periodo compreso tra il 1° marzo 2011 e il 31 dicembre 2013, riguardano la cessione di una porzione di capacità trasmissiva pari complessivamente a 9 Mbit/s il corrispettivo, stabilito su base annua, risulta fissato in €. 1.500.000,00 per Mbit/s, subordinato al raggiungimento della ricevibilità del segnale da parte del 70% della popolazione e comunque in tutta la Lombardia tramite impianto UHF da Inoltre, come correttamente rilevato dalle appellate sia che avrebbero immediatamente potuto trasmettere, anche in ambito nazionale, «mediante presentazione di una dichiarazione, ai sensi e con le modalità di cui all' articolo 25 del decreto legislativo 1° agosto 2003, numero 259 », così come previsto dall' articolo 31 del d.lgs. numero 177/2005 , ratione temporis vigente. Non il terzo, atteso che la sostenibilità del modello di business individuato dalle appellate risulta confermato dalle condivisibili conclusioni del consulente di primo e di secondo grado, che trae detto convincimento dal confronto con i potenziali concorrenti e , entrambi operatori di pay tv. Né un elemento di segno opposto può trarsi dalla scelta di utilizzare un decoder in grado di ricevere tanto il segnale DVB-T quanto il segnale DVB-T2. Del resto questa scelta, sebbene legata alla necessità di commercializzare insieme decoder e abbonamenti, da un lato non è certo nuova nel settore dei servizi di intrattenimento televisivo e, inoltre, si traduce in una differenziazione della propria offerta rispetto a quella dei potenziali concorrenti, che il mercato avrebbe potuto premiare, specie in ragione del fatto che il modello di business individuava un target più modesto rispetto a quello di altre concorrenti, come chiarito dal consulente e che trova un aggancio concreto nel numero di decoder e smart card prenotate. Non il quarto, dal momento che dall'esame dei documenti e dalle conformi conclusioni raggiunte nelle consulenze di primo e di secondo grado emerge che ove il Ministero non fosse risultato inadempiente all'assegnazione delle frequenze, tra cui quella da Monte Penice, senza la quale il segnale diveniva non ricevibile da circa 11 milioni di residenti, si sarebbe raggiunta una copertura di almeno il 70% della popolazione nazionale. All'epoca, infatti, non vi erano utenti in possesso di antenne riceventi in VHF - III orientate verso la postazione di Monte Penice, ma solo antenne di I banda VHF e di IV banda UHF, che non erano in grado di ricevere le trasmissioni in VHF – III fatta esclusione per circa 40 mila abitanti residenti in piccoli bacini di utenza della Lombardia, serviti utilizzando la banda VHF – III . Di qui, l'impossibilità, per le due società di avviare la propria attività imprenditoriale, per effetto della mancata assegnazione della frequenza integrativa su 25.3. Può, quindi, passarsi all'esame dei motivi dell'appello principale e degli appelli incidentali con i quali si contestano la stima dei danni stimati dal CTU di primo grado e delle argomentazioni utilizzate dalle parti per contrastare le risultanze della consulenza di secondo grado. L'amministrazione appellante sostiene che la stima dei pretesi danni sarebbe manifestamente incongrua e sproporzionata, in quanto non risulta che la s.r.l. abbia stipulato contratti con altri operatori di rete nazionali. Pertanto, sarebbe arduo pensare che dopo appena un anno e mezzo di esercizio ad accesso condizionato si potessero conseguire utili così alti come quelli ipotizzati dal CTU, assumendo a parametro di riferimento Società che, come Persidera, sono presenti sul mercato televisivo da molti più anni e che da ben più anni nel contesto televisivo. Il parametro di riferimento sarebbe dovuto essere non , operante da circa trenta anni, come operatore satellitare, ma , che pur avendo un modello di business analogo a quello delle appellate sarebbe stata messa in liquidazione dai soci a causa dei risultati negativi della vendita degli abbonamenti. Con riferimento, invece, alle conclusioni raggiunte dal CTU di secondo grado, il Ministero a contesta la scelta di assumere come dati di riferimento i bilanci di società con elevato potere di mercato come quelle del gruppo RAI, Mediaset, TIMB e SKY b valuta come apodittico il fondamento dei calcoli relativi ai prevedibili profitti derivanti dalla vendita di 200.000 decoder. Le appellanti dal canto loro lamentano la non corretta determinazione del danno da parte del primo giudice, in quanto i non si sarebbe pronunciato sugli ulteriori danni subiti da nelle more del giudizio, pari a 1.335.779 euro così come per pari a 2.386.158 euro ii non avrebbe adeguatamente preso in considerazione la perizia del dott. Buccarelli e il metodo alternativo di computo dei danni ivi prospettato iii quanto al lucro cessante di non avrebbe accolto la richiesta di correggere al rialzo la quantificazione dei danni calcolandola «sulla base dei risultati economici evidenziati nella Perizia Spaziani o, in subordine, ma senza recesso dalla precedente richiesta, sulla base dell'EBITDA margin medio dei comparables o, in ulteriore subordine, sulla base dell'EBIT margin medio dei comparables». Nella CTU di secondo grado il consulente avrebbe mutato il punto relativo al criterio fondamentale key-driver , ritenendo che rispetto al pre-tax profit margin preso a parametro dal prof. Onesti fosse più appropriato tenere presente il c.d. Ebit Earning before interest and taxes , ma al contempo ha modificato pure i c.d. comparable, inserendo anche le imprese con risultato d'esercizio negativo con l'effetto di abbassare il valore dell'Ebit medio di riferimento . La CTU Paoloni, in particolare, da un lato, ha preso in considerazione l'Ebit anziché l'Ebitda, come richiesto dai CTP dall'altro lato, lo ha applicato non sui dati della perizia Spaziani come richiesto dai CTP bensì sui dati dei comparables infine, ha inserito tra i comparables anche operatori di rete con risultati negativi, che il CTU Onesti aveva invece escluso, in quanto ritenuti non comparabili con . Al contrario, il consulente avrebbe dovuto disporre la liquidazione del lucro cessante di sulla base dei dati della a perizia Spaziani o, in subordine, ferma restando la coerente ricostruzione dei maggiori ricavi effettuata sia dal CTU Onesti che dalla CTU Paoloni, b sulla base dell'Ebitda o, in ulteriore subordine, c sull'Ebit dei comparables tenuti presenti dal CTU Onesti. Il consulente di secondo grado ha, inoltre, ritenuto corretta la determinazione dei costi operata dal consulente di primo grado e nel far ciò avrebbe mutuato i vizi di quella determinazione iv quanto al lucro cessante di , la CTU di primo grado del prof. Onesti ha ridotto, rispetto alla perizia Spaziani, sia il numero dei decoder che avrebbe venduto portandolo da 200.000 a 150.000 , sia il canone di abbonamento all'offerta di abbattuto del 30% , così finendo con l'annullare del tutto gli utili di per il 2011 e con il decurtare drasticamente quelli per il 2012. Dal canto suo, la CTU Paoloni ha riportato il numero dei decoder a 200.000 di conseguenza aumentando l'importo del lucro cessante da risarcire , ma ha confermato la riduzione dell'importo dell'abbonamento. Quest'ultimo dato non sarebbe giustificato atteso che rispetto a Sky l'offerta sarebbe risultata superiore a fronte di un costo di abbonamento da parte di quest'ultima società nettamente superiore v quanto al danno emergente di , a fronte di un importo pari a 3.367.695 euro per il solo anno 2011, il CTU Onesti, nella relazione del 7.2.2014 rispetto alla cui liquidazione la successiva perizia, come si è detto, reca un mero “riproporzionamento” , ha riconosciuto in tutto appena 2,736 milioni, nonostante le deducenti abbiano contestato al riguardo che possano considerarsi estranee all'attuazione del «progetto imprenditoriale» di le seguenti spese “Consulenze tecniche e IT” e “canoni licenze e assistenza software” “consulenze commerciali” “pubblicità e promozione” “spese di logistica” cruciali per la puntuale consegna dei decoder agli utenti “assicurazioni” “diritti e programmi” “ammortamenti”, “oneri finanziari” e “oneri diversi di gestione” v si sarebbero dovuti liquidare a favore di i danni relativi al costo degli oltre 200 mila decoder acquistati nel 2010 ed indispensabili per svolgere, all'epoca dei fatti per cui è causa, l'attività di pay tv, divenuti successivamente incommerciabili. Nessuna delle critiche sopra esposte merita di essere condivisa. Occorre, al riguardo, premettere che la commisurazione dei danni oggetto dei quesiti sottoposti alle consulenze che si sono succedute nel presente giudizio ha natura convenzionale, ossia poggia su una ricostruzione ipotetica delle perdite subite dalle appellate per un'attività mai intrapresa, misurata facendo ricorso a parametri, che in termini di verosimiglianza illustrano i costi subiti e i mancati guadagni a causa delle conseguenze derivanti dalla mancata tempestiva assegnazione delle frequenze. Lo stesso succedersi delle consulenze ha messo in luce un processo di avvicinamento alla stima complessiva dei danni, che, da un lato, ha affinato – per un processo di progressiva approssimazione - gli strumenti di indagine dall'altro, ha progressivamente tenuto conto delle ragioni delle parti del giudizio. È evidente, però, che per la natura stessa della tipologia di attività e per la necessità di proporre una misurazione dei danni in termini eventuali non può ambirsi al raggiungimento di una liquidazione dei danni che si presenti in termini di assoluta certezza del risultato. Da qui il necessario ricorso per valutare le conclusioni raggiunte nella relazione del CTU nominato in seconde cure in termini di verifica di logicità e congruenza del complessivo impianto motivazionale adottato per ricavare le voci di danno emergente e lucro cessante spettanti alle appellate. In particolare, quanto alle critiche avanzate dall'amministrazione appellante circa la scelta da parte del consulente di secondo grado di assumere come dati di riferimento i bilanci di società con elevato potere di mercato come quelle del gruppo RAI, Mediaset, TIMB e SKY. Deve rammentarsi che il consulente di primo grado aveva svolto un'analisi comparativa, analizzando i bilanci di altri operatori di ssimilabili ad , inserendo nel campione di comparable, S.r.l., S.p.A. e S.p.A., escludendo, invece, alte società quali S.p.A., S.p.A., S.p.A. e S.r.l., per non essere in realtà totalmente paragonabili ad . Dal canto suo il consulente di secondo grado ha ritenuto più idoneo considerare il valore di bilancio per gli esercizi 2011 e 2012 dell'intero campione di imprese considerate comparables e non solo quelle con un risultato d'esercizio positivo al fine di avere una migliore armonizzazione dei risultati ed un insieme di aziende più numeroso e più rappresentativo del settore e della tipologia di business. Quest'ultima scelta risulta senz'altro più corretta, dal momento che trattandosi di un'attività mai iniziata non è possibile affermare il successo dell'iniziativa imprenditoriale e il posizionamento della stessa all'interno del mercato di riferimento. Ancora l'amministrazione appellante censura come apodittico il fondamento dei calcoli relativi ai prevedibili profitti derivanti dalla vendita di 200.000 decoder. La critica concerne gli elementi considerati dal consulente di secondo grado secondo il quale “per quanto concerne le vendite di decoder, partendo dal dato riportato nel bilancio della Società al 31.12.2011 che indica la rimanenza di circa 200.000 decoder acquistati tra il 2010 e il 2011 con le relative smart card e dalla stima del prezzo medio unitario fornita dal Dott. Spaziani €. 107,50 , si è ritenuto adeguato considerare la vendita di numero 200.000 decoder nel 2011, diversamente da quanto fatto dal Prof. Onesti che ne aveva computati numero 150.000 in luogo dei 200.000 decoder stimati dalla Società e di altri numero 100.000 apparecchi stessa stima della Società e del Prof. Onesti nel 2012. Alla luce di quanto ipotizzato - i ricavi derivanti dalla vendita dei decoder sono stati valutati in €. 21.500.000,00 per il 2011 e in €. 10.750.000,00 per il 2012 ” – la critica non coglie nel segno, perché aggredisce un elemento che deve prendersi quale presupposto, da un lato dotato di un certo tasso di arbitrarietà suscettibile di incidere caso mai sulla liquidazione del danno in termini equitativi , dall'altro, compatibile con una valutazione di capacità da parte dell'impresa di penetrazione del mercato secondo la situazione complessiva che illustra la sua strategia progettuale, per consentire la stima di un danno che diversamente non potrebbe essere calcolato. In definitiva, si tratta di una scelta di un parametro che risulta logica e non irrazionale e, pertanto, merita condivisione, così come ogni altra contenuta nella relazione del consulente di seconde cure che resiste, pertanto, ad ogni ulteriore critica da parte dell'amministrazione appellante. Venendo ora alle doglianze mosse dalle appellate in ordine alla stima dei danni, la relazione del consulente di secondo grado analizza tutti i danni subiti dalle appellate in rigido ossequio al periodo temporale indicato dalla sentenza numero 2693/2014 di questo Consiglio, secondo il mandato ricevuto, non constando l'attuale thema decidendi, di una valutazione per danni prodottisi all'indomani dell'adozione della Determina Dirigenziale del 28 giugno 2012, assegnava alle odierne appellate la frequenza integrativa sul CH 69 UHF da utilizzare dall'impianto di Quanto al metodo utilizzato per valutare il lucro cessante di è pienamente condivisibile l'affermazione del consulente di secondo grado che ritiene di non poter utilizzare il metodo suggerito dal consulente di parte ossia l'Ebitda medio delle comparables, rettificato con gli ammortamenti effettivi di , ovvero, in subordine, di depurare l'Ebit medio delle comparables dall'incidenza degli ammortamenti delle immobilizzazioni immateriali. Ciò in quanto, l'Ebit consente di individuare il valore del margine operativo lordo al netto di componenti negative di reddito della gestione non caratteristica. Né è opportuno dedurre gli ammortamenti, proprio perché si prende in considerazione un valore medio, al fine di mitigare gli effetti delle differenti politiche di investimento adottate dagli stessi comparables. Quanto, invece, al lucro cessante di , il consulente di secondo grado ha ribassato il valore della tariffa offerta dalla Società ulteriormente rispetto a quanto fatto dal Dott. Spaziani nella sua valutazione. Questa scelta non è irragionevole, e si giustifica con la fase di start up dell'impresa, ma giustifica anche la scelta del consulente di ritenere che l'impresa sarebbe stata in grado di vendere 200.000 decoder nel 2011 e 100.000 nel 2012, ipotesi che simul stabunt simul cadent. Quanto al danno emergente di , si contesta che il consulente di secondo grado non ha preso in considerazione le voci per spese per servizi, spese per godimento di beni di terzi, ammortamenti, oneri diversi di gestione, oneri finanziari. Questa soluzione, però, è corretta, dal momento che come spiegato dal consulente di secondo grado si tratta di voci di danno frutto di specifiche scelte imprenditoriali che non possono essere computate nel calcolo oggettivo del danno emergente. In definitiva, deve ritenersi corretta, scevra da vizi logici o matematici, e in grado di resistere ad ogni censura presente negli appelli in esame, la determinazione dei danni operata dal consulente di secondo grado, sicché si ritiene di dover riconoscere ad s.r.l. un danno da lucro cessante pari a € 5.788.940,03, a s.r.l. un danno emergente pari a € 2.111.380,36, a s.r.l. un danno da lucro cessante pari a € 4.211.854,88. 25.4. Tanto premesso deve procedersi all'esame del motivo dell'appello dell'amministrazione, che lamenta la mancata applicazione della disciplina dell' articolo 1227 c.c. Il motivo è fondato e merita di essere accolto. Dall'esame delle note prodotte dall'amministrazione nota ministeriale del 6/04/2018, prot. numero 25355 con i relativi allegati, nota del 24/3/2017, prot. numero 21016, e del 17/05/2017 prot. numero 32247 emerge, infatti, che le due società hanno presentato con gravissimo ritardo i progetti radioelettrici relativi alle frequenze aggiuntive e non hanno mai attivato i relativi impianti nonostante l'intervenuta autorizzazione. Inoltre, le appellate avrebbero potuto fare ricorso all'affitto di impianti di altri operatori, avvalendosi delle speciali disposizioni di legge e di regolamento che prevedono l'obbligo di consentire ad altre emittenti la capacità trasmissiva posseduta in eccedenza c.d. “must carry” . Si tratta di condotte che a giudizio del Collegio meritano di essere apprezzate ai sensi di quanto dispone l' articolo 1227, comma 1, c.c. secondo il quale “Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate”. È orientamento consolidato della Corte di Cassazione cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Unumero , 24406/2011 e condiviso dalla prevalente dottrina, che l' articolo 1227, comma 1, c.c. , novità introdotta dal codice del ‘42, sia una norma che disciplina la causalità tra condotta e danno, fissando un limite al principio della condicio sine qua nonumero Questa previsione legislativa affonda le proprie radici nell'opinione dottrinaria secondo cui il concorso di colpa della vittima esclude la risarcibilità sia dei danni patiti da questa direttamente oltre che dei danni patiti dai suoi congiunti in caso di decesso che vanta una tradizione secolare a partire dai Commentatori e dalla Giurisprudenza Colta del XVI sec. In tale contesto non si può non citare il noto passo di Sesto Pomponio “Quis ex culpa sua damnum sentit, non intelligitur damnum sentire” Dig., L, XVII, 203 , poi condiviso dal Cujacio Opera Omnia, VIII, 887, § CCIII e dal Grozio “Omnes ita teneri, si vere causa fuerint damni, id est momentum attulerint aut ad totum damnum, aut ad partem damni” De jure belli ac pacis, II, XVII, 10 . Tale principio restò fermo anche dopo l'età delle codificazioni. Sebbene non espressamente previsto dalla legge, era affermato già dalla giurisprudenza formatasi sul codice del 1865 tra gli altri, Cass. Torino 26 giugno 1874, in Raccolta, XXVI, I, 656 , la quale lo aveva mutuato dalla giurisprudenza d'Oltralpe formatasi sul Code Napolèon tra gli altri, App. Parigi, 19 gennaio 1867, in Dalloz, 1867, V, 370 App. Liegi, 17 dicembre 1864, in Pasícrisie, 1867, II, 371 . Abbandonata l'idea che l' articolo 1227 c.c. sia espressione del principio di autoresponsabilità, che imporrebbe ai potenziali danneggiati doveri di attenzione e diligenza allo scopo di prevenire eventuali danni. La giurisprudenza della Cassazione Cass., civ., Sez. III Ord., 7 maggio 2021, numero 12166 , condivisibilmente, ravvisa piuttosto nell' articolo 1227 c.c. un corollario del principio della causalità, per cui al danneggiante non può far carico quella parte di danno che non è a lui causalmente imputabile. L' articolo 1227, comma 1, c.c. , ha, dunque, la funzione di regolare, ai fini della causalità di fatto, l'efficienza causale del fatto colposo del soggetto leso, con conseguenze sulla determinazione dell'entità del risarcimento. Detta norma trova il suo inquadramento nel principio causalistico, secondo cui se tutto l'evento lesivo è conseguenza del comportamento colposo del danneggiato, il nesso di causalità risulta interrotto con le possibili cause precedenti, mentre se egli ha in parte dato causa al verificarsi dell'evento dannoso, la responsabilità dell'autore materiale va ridotta in proporzione. Il comportamento omissivo del danneggiato va dunque valutato al fine di appurare se risulti idoneo a costituire causa esclusiva o si ponga quale mera concausa dell'evento lesivo. Si tratta di un'indagine da affrontare caso per caso. Nella fattispecie in esame le condotte omissive riconducibili in capo alle appellate non hanno rilevanza tale da avere un'efficacia tale da elidere in nesso di casualità tra l'inadempimento dell'amministrazione e il danno alle stesse cagionato, ma di certo si atteggiano quali concause dello stesso. Le condotte omissive serbate dalle appellate risultano rilevanti, sia perché violano obblighi tipici ritardata presentazione dei progetti radioelettrici relativi alle frequenze aggiuntive e mancata attivazione dei relativi impianti nonostante l'intervenuta autorizzazione. , sia perché violano di regole di prudenza, imputabili in capo all'operatore di settore mancato ricorso all'affitto di impianti di altri operatori . Se è vero, infatti, che non ogni comportamento genericamente imprudente può essere fonte di responsabilità per il danneggiato, non può escludersi la rilevanza dello stesso come fattore concausale del danno, ogni qual volta il soggetto assuma un rischio che si pone ingiustificatamente sopra la soglia della normalità, e si caratterizza per essere un rischio anormale o anomalo. Ciò impone, in definitiva, una diminuzione delle somme spettanti alle appellate a titolo risarcitorio, che va commisurata in via equitativa in misura pari al 50% di quanto alle stesse dovute, tenuto conto degli obblighi di condotta violati, della gravità delle violazioni e della durata nel tempo delle omissioni alle stesse imputabili riduzione che ex 1227 può incidere anche sul danno emergente . Va poi considerata anche la natura indeterminata del danno lamentato in termini di lucro cessante e/o di perdita di chance . Come è noto i due tipi di danno per un certo orientamento giurisprudenziale, sono concettualmente alternativi il danno da perdita di chance è alternativo rispetto al danno da lucro cessante futuro da perdita del reddito in quanto o il danneggiato dimostra di avere perduto un reddito che verosimilmente avrebbe realizzato, ed allora gli spetterà il risarcimento del lucro cessante, ovvero il danneggiato non dà quella prova, ed allora gli può spettare il risarcimento del danno da perdita di chance Cass. Sez. III, 13.10.2016 numero 20630 . Il giudizio tuttavia in entrambi i casi è in termini di verosimiglianza o di probabilità e – per quanto qui interessa sia che la valutazione sia ricondotta al primo sia che sia ricondotta al secondo genus di danno - la liquidazione del danno può quindi essere equitativa, ossia può avvenire valutando, dopo aver effettuato la disamina analitica delle evidenze acquisite, sinteticamente il pregiudizio subito. Va in proposito ricordata la complessità e la variabilità e grandezza dei danni reclamati in questo giudizio che, per essere stimati, impongono la ricostruzione della redditività di un'ipotetica attività imprenditoriale di cui si erano apprestate le condizioni per lo svolgimento mai ricostruibile in termini di certezza. Sicché, pur a fronte di una condotta dell'amministrazione che, pur dopo un lungo contenzioso, non è stata puntuale nell'osservare l'accordo per cui è processo - è ben possibile – oltre all'applicazione doverosa dell' articolo 1227 cod. civ. per le ragioni sopra esposte - ricorrere sinteticamente alla valutazione equitativa arg. ex Cons. St., Sez. IV, numero 6287 del 2014 ove si dispone una riduzione del 50% per effetto dell'applicazione dell' articolo 1227 cod. civ. ex Cons. St., Sez. V, numero 4225 del 2018 ove il danno fosse qualificato come perdita di chance essendo necessaria anche in tal caso la valutazione percentuale della probabilità del conseguimento dei vantaggi economici perduti per effetto della perdita di chance Cons. St., Sez. V numero 3796 del 2002 per il ricorso all'equità ai fini della stima dei danni di incerto ammontare e tener conto – anche dopo la considerazione delle valutazioni consulenze economiche come sopra ricostruite su dati che permangono ipotetici – dei fattori di specifica rischiosità dell'attività imprenditoriale in esame in particolare osservando che essa notoriamente non sembra aver comportato un successo nazionale delle trasmissione dagli impianti dopo il venir meno dell'inadempimento dell'amministrazione , mitigando così doverosamente gli importi del risarcimento concedibile per la singolarità e per l'unicità di questa fattispecie con ciò per altro verso confermandosi la riduzione al 50% degli importi stimati dai consulenti . 25.5. Merita, invece, accoglimento la doglianza con la quale le appellanti incidentali evidenziano l'erroneità della sentenza di primo grado per aver omesso di riconoscere la rivalutazione monetaria e gli interessi sulle somme rivalutate. L'obbligazione di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale costituisce, infatti, un debito, non di valuta, ma di valore, sicché va riconosciuto il cumulo della rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT e degli interessi compensativi, questi ultimi da liquidare applicando al capitale rivalutato anno per anno un saggio individuato in via equitativa, in quello di riferimento per gli interessi legali da ultimo, Cass., civ. Sez. II Ord., 19 gennaio 2022, numero 1627 , con decorrenza dal momento dell'insorgenza del rapporto e fino all'adempimento. 25.6. Va dichiarato, invece, il difetto di interesse sul motivo avente ad oggetto la disciplina delle spese operata dal primo giudice, atteso che la parziale riforma dei provvedimenti impugnati, impone a questo Consiglio di prevedere una nuova disciplina delle spese anche per quelle di primo grado. 26. Tanto premesso il Collegio a respinge l'appello numero 8811/2018 e dichiara improcedibile il correlato appello incidentale b dichiara inammissibile l'appello numero 6811/2017 e respinge il correlato appello incidentale c accoglie in parte l'appello numero 7040/2018 e per il resto lo respinge, accoglie in parte il correlato appello incidentale nei sensi di cui in motivazione e per il resto in parte lo respinge e in parte lo dichiara improcedibile. E per l'effetto, in parziale riforma delle sentenze impugnate, accoglie nei sensi di cui in motivazione il ricorso di primo grado e condanna il Ministero dello Sviluppo economico al pagamento in favore di s.r.l. della somma di € 5.788.940,03 decurtata del 50%, e maggiorata di rivalutazione e interessi secondo quanto indicato in motivazione a titolo di lucro cessante, in favore di s.r.l. della somma di € 2.111.380,36, decurtata del 50%, e maggiorata di rivalutazione e interessi secondo quanto indicato in motivazione a titolo di danno emergente, in favore di s.r.l. della somma di € 4.211.854,88 decurtata del 50%, e maggiorata di rivalutazione e interessi secondo quanto indicato in motivazione, a titolo di lucro cessante. 27. Letta l'istanza di liquidazione dei compensi per l'attività svolta da parte della Prof.ssa Paola Paoloni, in veste di CTU, la accoglie e determina il compenso spettante in misura pari a € 12.256,32 oltre I.V.A. e oneri accessori, ponendolo in capo al Ministero dello Sviluppo Economico. Considerata la particolare complessità delle questioni trattate e la parziale reciproca soccombenza, compensa le spese legali del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta , definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti a riunisce gli appelli b respinge l'appello numero 8811/2018 e dichiara improcedibile il correlato appello incidentale dichiara inammissibile l'appello numero 6811/2017 e respinge il correlato appello incidentale accoglie in parte l'appello numero 7040/2018 e per il resto lo respinge, accoglie in parte il correlato appello incidentale nei sensi di cui in motivazione e per il resto in parte lo respinge e in parte lo dichiara improcedibile, e per l'effetto, in parziale riforma delle sentenze impugnate, accoglie nei sensi di cui in motivazione il ricorso di primo grado e condanna il Ministero dello Sviluppo economico al pagamento in favore di s.r.l. della somma di € 5.788.940,03 decurtata del 50%, e maggiorata di rivalutazione e interessi secondo quanto indicato in motivazione a titolo di lucro cessante, in favore di s.r.l. della somma di € 2.111.380,36, decurtata del 50%, e maggiorata di rivalutazione e interessi secondo quanto indicato in motivazione a titolo di danno emergente, in favore di s.r.l. della somma di € 4.211.854,88 decurtata del 50%, e maggiorata di rivalutazione e interessi secondo quanto indicato in motivazione, a titolo di lucro cessante. c compensa le spese legali del doppio grado di giudizio d liquida in favore della Prof.ssa Paola Paoloni il compenso spettante quale CTU in misura pari a € 12.256,32 oltre I.V.A. e oneri accessori, ponendolo in capo al Ministero dello Sviluppo Economico. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.