Impossibile ipotizzare, checché ne dica la difesa, un consenso prestato dalla ragazzina. Decisivo il dato relativo alla sua età, che ella aveva comunicato chiaramente in chat all’uomo.
Abborda online una ragazzina di 13 anni, intrattiene con lei una sorta di relazione virtuale e riesce ad ottenere da lei foto che la ritraggono nuda e in posizioni scabrose. Sacrosanta la condanna per il predatore – un ragazzo che viaggia verso i 30 anni –, colpevole di pornografia minorile . Contesto virtuale della vicenda è Facebook. All’interno del noto social network, difatti, un uomo riesce a contattare una ragazzina di 13 anni e poi, attraverso molteplici chat, riesce a creare con lei un clima di complicità e a spingerla a inviargli foto che la ritraggono nuda e in posizioni scabrose. Il quadro probatorio è inequivocabile, secondo i giudici di merito. Consequenziale, quindi, sia in primo che in secondo grado, la condanna dell’uomo, colpevole di «pornografia minorile» per «aver indotto la ragazzina a scattarsi fotografie che la ritraevano in posizioni scabrose e ad inviargliele» in chat su Facebook e sanzionato con «sei mesi di reclusione e 2mila euro di multa». Col ricorso in Cassazione, però, l’uomo prova a fornire la propria versione della vicenda. Il suo legale contesta l’ipotesi di «una condotta volta all’utilizzazione della ragazzina» e sostiene non vi sia stata «attività di manipolazione psicologica o, comunque, diretta a trarre in inganno la ragazzina né a vincerne le resistenze per procurarsi le fotografie». Al contrario, secondo il legale «dagli atti processuali emerge che la ragazza era particolarmente disinibita e aveva già instaurato plurimi contatti via internet con svariati uomini ai quali di sua iniziativa inviava fotografie in pose erotiche chiedendone loro di analoghe». Sempre secondo la difesa, poi, «non è emersa alcuna condotta induttiva posta in essere dall’uomo al fine di costringere la ragazzina a fare ciò che non avrebbe voluto, essendo l’invio delle fotografie che la ritraevano in pose scabrose privo di alcun contributo causale da parte dell’uomo». Inoltre, «neppure si è verificata un’utilizzazione successiva delle immagini ricevute da parte dell’uomo», il quale «le ha tenute per sé, senza né immetterle in alcun circuito pedopornografico, né diffonderle sulla rete, né mostrarle a chicchessia», sottolinea il legale. Per chiudere il cerchio, infine, la difesa sottolinea anche «il consenso della ragazzina, che aveva liberamente instaurato una relazione amorosa virtuale con l’uomo con uno scambio reciproco di immagini, richieste ed inviate da entrambi, che li ritraevano in pose erotiche». Prima di esaminare da vicino la vicenda, i Giudici di terzo grado ribadiscono che col reato di pornografia minorile «si contempera la rilevanza della condotta tipica con la cosiddetta pornografia domestica, ossia la condotta di chi realizza materiale pornografico in cui sono coinvolti minori che abbiano raggiunto l’età del consenso sessuale nei casi in cui tale materiale è prodotto e posseduto con il consenso di tali minori e unicamente a uso privato delle persone coinvolte». In questo quadro si inserisce il principio secondo cui «il termine utilizzazione del minore impiegato dal legislatore deve intendersi come trasformazione del minore da soggetto, dotato di libertà e dignità sessuali, in strumento per il soddisfacimento di desideri sessuali di altri o per il conseguimento di utilità di vario genere, con conseguente invalidazione del consenso eventualmente prestato dal minore». Di conseguenza, «occorre focalizzarsi non già sul consenso del minore ma sulla configurabilità di una sua utilizzazione che ricorre, quanto al momento della produzione del materiale pornografico, o per la posizione di supremazia rivestita dal soggetto che agisce nei confronti del minore, o per le modalità con cui il materiale pornografico viene prodotto, modalità quali minaccia, violenza, induzione o inganno , o per l’età dei minori coinvolti, qualora questa sia inferiore a quella del consenso sessuale». Ciò comporta che «qualora le immagini o i video abbiano per oggetto la vita privata sessuale nell’ambito di un rapporto che, valutate le specifiche circostanze, non sia caratterizzato da condizionamenti ma siano frutto di una libera scelta da parte del minore che abbia raggiunto l’età del consenso sessuale e siano destinate ad un uso strettamente privato, così da costituire espressione di autonomia privata sessuale, deve essere esclusa la ricorrenza di quella utilizzazione che costituisce, nella sua accezione strettamente dispregiativa, il presupposto dei reati di pornografia minorile», precisano i Giudici. Ora è pacifico che nella vicenda che ha coinvolto la ragazzina di 13 anni «le immagini erano destinate ad uso soltanto privato». Tuttavia, è altresì certo che «la ragazzina non aveva ancora raggiunto, al momento del fatto, i 14 anni» e di tale dato «l’uomo era pienamente consapevole, avendo la minore spontaneamente dichiarato, nel corso delle conversazioni intrattenute via Facebook, di avere 13 anni». E questa condizione «esclude la necessità di ogni indagine sull’attività manipolatoria o induttiva dell’uomo», chiariscono i Giudici, «essendo sufficiente ad integrare il perfezionamento della fattispecie criminosa l’ età della ragazzina, inferiore a quella prevista per il consesso sessuale e fissata al compimento dei 14 anni». A fronte di tali elementi è irrilevante il mancato approfondimento sulla manipolazione messa in atto dall’uomo ai danni della ragazzina, poiché è acclarato che «egli l’ha abbordata sul social network e le ha chiesto esplicitamente di inviargli fotografie che la ritraessero nelle pose espressamente richiestele ovvero che riproducessero i suoi organi sessuali». Logico, quindi, spiegano i Giudici, catalogare la condotta tenuta dall’uomo come «attività di utilizzazione della minorenne». Per ulteriore chiarezza, infine, i magistrati chiariscono che è impossibile ipotizzare «un valido consenso » da parte della ragazzina, vista «la sua condizione di tredicenne», e «nessuna rilevanza riveste che il materiale procuratosi dall’uomo nell’ambito della cosiddetta pornografia domestica – materiale che attraverso la sua stessa richiesta ha causalmente contribuito a realizzare – sia rimasto nella disponibilità esclusiva delle parti coinvolte nel rapporto intrattenuto via Facebook senza essere stato essere messo in circolazione».
Presidente Sarno – Relatore Galtero Ritenuto in fatto 1.Con sentenza in data 16.6.2021 la Corte di Appello di Palermo ha integralmente confermato la pronuncia resa all'esito del primo grado di giudizio svoltosi con rito abbreviato dal Tribunale di Termini Imerese che ha condannato G.Y.S. alla pena di sei mesi di reclusione ed Euro 2.000 di multa in quanto responsabile del reato di cui all'articolo 600 quater c.p. per aver indotto una ragazza dell'età di tredici anni a scattarsi fotografie che la ritraevano in posizioni scabrose e ad inviargliele sul proprio profilo Facebook. 2. Avverso il suddetto provvedimento l'imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando un unico motivo con il quale contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli articolo 600 quater c.p., 192, 442, 530 e 533 c.p.p. e al vizio motivazionale, la configurabilità di una condotta volta all'utilizzazione della minore in assenza di qualsivoglia attività di manipolazione psicologica o comunque diretta a trarre in inganno la vittima nè a vincerne le resistenze per procurarsi le fotografie in contestazione, risultando al contrario dagli atti processuali che la ragazza, particolarmente disinibita, avesse instaurato plurimi contatti via internet con svariati uomini ai quali di sua iniziativa inviava fotografie in pose erotiche chiedendone di analoghe ai propri interlocutori. Non solo secondo la difesa non era emersa alcuna condotta induttiva posta in essere dall'imputato al fine di costringerla a fare ciò che non avrebbe voluto essendo l'invio delle fotografie che la ritraevano in pose scabrose privo di alcun contributo causale da parte di costui, ma neppure si era verificata un'utilizzazione successiva delle immagini ricevute da parte del prevenuto che le aveva tenute per sé senza nè immetterle in alcun circuito pedopornografico, nè averle diffuse sulla rete, nè mostrate a chicchessia. Rileva che i precedenti giurisprudenziali citati dalla Corte di appello siano inconferenti rispetto alla specifica vicenda delittuosa non affrontando il tema del consenso della minore che aveva liberamente instaurato una relazione amorosa virtuale con il prevenuto con uno scambio reciproco di immagini, richieste ed inviate da entrambi, che li ritraevano in pose erotiche. Lamenta altresì sotto altro profilo la manifesta illogicità della motivazione resa in ordine alla valutazione del compendio istruttorio, essendo stata omessa la disamina della denuncia querela sporta dalla madre della minore dalla quale emerge compiutamente l'assenza di condotte induttive o manipolatorie da parte dell'imputato e che perciò rivestiva valenza decisiva ai fini della pronuncia secondo quanto già eccepito con l'atto di appello, rimasto sul punto senza risposta, con conseguente travisamento della prova Considerato in diritto Alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale sviluppatasi in riferimento al reato di pornografia minorile, volta a contemperare la rilevanza della condotta tipica con la cd. pornografia domestica, ossia la condotta di chi realizza materiale pornografico in cui sono coinvolti minori che abbiano raggiunto l'età del consenso sessuale nei casi in cui tale materiale è prodotto e posseduto con il consenso di tali minori e unicamente a uso privato delle persone coinvolte, al fine di evitare ipercriminalizzazioni del tutto distoniche rispetto alla realtà fenomenica, deve ritenersi ormai assestato, grazie all'intervento chiarificatore delle Sezioni Unite nel 2018, il principio secondo il quale il termine utilizzazione del minore impiegato dal legislatore nella formulazione tanto dell' articolo 600 ter quanto dell'articolo 600 quater c.p. debba intendersi come trasformazione del minore, da soggetto dotato di libertà e dignità sessuali, in strumento per il soddisfacimento di desideri sessuali di altri o per il conseguimento di utilità di vario genere, con conseguente invalidazione del consenso da costui eventualmente prestato. Al fine di circoscrivere l'area della penale rilevanza del fatto da quanto da essa debordante, occorre perciò focalizzarsi non già sul consenso del minore ma sulla configurabilità di una sua utilizzazione che ricorre, quanto al momento della produzione del materiale pornografico, o per la posizione di supremazia rivestita dal soggetto agente nei confronti del minore, o per modalità con le quali il materiale pornografico viene prodotto quali, minaccia, violenza, induzione o inganno, o per l'età dei minori coinvolti, qualora questa sia inferiore a quella del consenso sessuale. Ne consegue che, qualora le immagini o i video abbiano per oggetto la vita privata sessuale nell'ambito di un rapporto che, valutate le circostanze del caso, non sia caratterizzato da condizionamenti derivanti dalla posizione dell'autore, ma siano frutto di una libera scelta da parte del minore che abbia raggiunto l'età del consenso sessuale e siano destinate ad un uso strettamente privato, così da costituire espressione dell'autonomia privata sessuale , dovrà essere esclusa la ricorrenza di quella utilizzazione che costituisce, nella sua accezione strettamente dispregiativa, il presupposto dei reati di pornografia minorile Sez. U, numero 51815 del 31/05/2018, Rv. 274087 - 02 . Ora, pacifico essendo nel caso di specie che le immagini fossero destinate ad uso soltanto privato, è tuttavia altresì incontroverso che la vittima non avesse ancora raggiunto al momento del fatto i quattordici anni e che di essa l'imputato fosse pienamente consapevole avendole la minore spontaneamente dichiarato, nel corso delle conversazioni intrattenute via Facebook, di avere tredici anni. Condizione questa che esclude la necessità di ogni indagine sull'attività manipolatoria o induttiva dell'imputato essendo sufficiente ad integrare il perfezionamento della fattispecie criminosa l'età della vittima, inferiore a quella prevista per il consesso sessuale, fissata al compimento dei quattordici anni, ovvero ai sedici nel caso di peculiari rapporti correnti tra la stessa e l'agente. A fronte di tale risultanza nessun pregio rivestono le disquisizioni svolte dalla difesa in ordine alla mancata esplicitazione ad opera della Corte territoriale sulle attività decettive o suggestive compiute dal prevenuto che ha comunque richiesto alla minore abbordata sui social network di inviargli fotografie che la ritraessero nelle pose espressamente richiestele ovvero riproducessero i suoi organi sessuali, condotta questa integrante a pieno titolo l'attività di utilizzazione del minore penalmente rilevante. In difetto di un valido consenso da parte della vittima viziato dalla sua condizione di tredicenne, nessuna rilevanza riveste pertanto che il materiale procuratosi dall'imputato nell'ambito della cd. pornografia domestica, materiale che attraverso la sua stessa richiesta ha causalmente contribuito a realizzare, sia rimasto nella disponibilità esclusiva delle parti coinvolte nel rapporto intrattenuto via Facebook senza essere stato essere messo in circolazione posto che, in assenza di una libera scelta da parte della ragazza, si verte pur sempre nell'orbita della penale rilevanza della condotta. Il ricorso deve pertanto, alla luce della genericità delle dispiegate censure che non si confrontano con il dirimente rilievo relativo alla condizione di infraquattordicenne della p.o., essere dichiarato inammissibile, seguendo a tale esito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma dell' articolo 616 c.p.p. , nonché, non sussistendo elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata come in dispositivo P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 5 2 in quanto imposto dalla legge.