La mancata risposta all’interrogatorio formale equivale a confessione?

Nel caso in cui la parte non si presenti all’interrogatorio atto a provare l’avvenuto pagamento tramite quietanza, il giudice può ritenere ammessi i fatti con libera valutazione.

Il caso. La vicenda da cui origina la questione sottoposta all'esame della Corte riguarda la condanna di X.L., rappresentante di una comunità cinese, al pagamento di una somma di denaro a titolo di saldo del corrispettivo dovuto per l'occupazione di alcune aule dell'istituto scolastico di proprietà di un Circolo. La Direzione didattica dell'istituto, a sostegno della sua richiesta, precisava di aver pattuito mediante contratto con il convenuto che i locali sarebbero stati utilizzati per un corso di lingua cinese. A sua volta, l'occupante rilevava che la somma concordata 8.000 euro era stata integralmente pagata, come da quietanza liberatoria annessa al contratto. Tuttavia, il Tribunale osservava che la quietanza conteneva un errore «di battitura», pertanto era stata ammessa anche la prova per interrogatorio dell'occupante, ma quest'ultimo non si era presentato a renderla. Per tale ragione, sul presupposto che la quietanza può essere superata dall'opposta confessione giudiziale, il Tribunale ha ritenuto che la mancata risposta all'interrogatorio formale equivalesse alla confessione, togliendo efficacia alla quietanza, con la conseguenza che il pagamento era stato ritenuto non avvenuto per la totalità della somma dovuta. Da qui, il ricorso in Cassazione dell'occupante, a detta del quale la mancata risposta all'interrogatorio formale non è equiparabile ad una dichiarazione, e non potrebbe, quindi, ritenersi una confessione. La decisione della Corte. Il ricorso è infondato. I Giudici, infatti, evidenziano che la quietanza assume valore di confessione stragiudiziale Cass. civ., numero 19888/2014 . Tuttavia, come correttamente rilevato dal Tribunale, la quietanza, come dichiarazione di scienza del creditore assimilabile alla confessione stragiudiziale del ricevuto pagamento, può essere superata dall'opposta confessione giudiziale del debitore, che ammetta, nell'interrogatorio formale, di non aver corrisposto la somma quietanzata ne consegue che, qualora la parte non si presenti all'interrogatorio finalizzato a provare l'avvenuto pagamento mediante quietanza, il giudice può ritenere ammessi i fatti con libera valutazione. La conclusione del Tribunale, dunque, è corretta, dovendo ritenersi che la mancata risposta possa avere una valenza eguale e contraria rispetto alla confessione stragiudiziale, di regola revocabile solo per errore di fatto o violenza nel caso in esame, infatti, il Tribunale ha stabilito che l'occupante aveva versato la somma di 4.000 euro pochi giorni dopo la stipulazione del contratto, con la conseguenza che, essendo la quietanza contenuta all'interno del contratto stesso, il pagamento successivo, da parte dell'occupante, di una somma che era stata già versata, costituisce prova indiscutibile dell'esistenza di un errore di fatto che inficia la portata confessoria della quietanza stessa. Per questi motivi, il ricorso non trova accoglimento e viene rigettato.

Presidente Amendola – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. Con atto notificato il 25 febbraio 2013 la Direzione didattica statale del primo circolo di omissis convenne in giudizio, davanti al Giudice di pace di San Giorgio Jonico, X.L., in qualità di rappresentante della comunità cinese esistente in loco, chiedendo che fosse condannato al pagamento della somma di Euro 3.695,31 a titolo di saldo del corrispettivo dovuto per l'occupazione di alcune aule dell'istituto scolastico. A sostegno della domanda espose che con contratto dell'11 ottobre 2010 era stato pattuito che fino al 31 agosto 2011 i locali sarebbero stati utilizzati per un corso di lingua cinese. Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda e rilevando che la somma concordata, pari ad Euro 8.000, era stata integralmente pagata, come da quietanza liberatoria annessa al contratto. Il Giudice di pace rigettò la domanda e compensò le spese di lite. 2. Avverso questa sentenza ha proposto appello la Direzione didattica suindicata e il Tribunale di Lecce, dopo aver espletato le prove orali ammesse in appello, con sentenza del 26 settembre 2019, in accoglimento del gravame e in riforma della decisione del primo giudice, ha condannato X.L. al pagamento della somma di Euro 3.695,31, con gli interessi e con il carico delle spese dei due gradi di giudizio. Ha osservato il Tribunale che in atti vi era la quietanza liberatoria attestante l'avvenuto pagamento della somma di Euro 8.000. Poiché, però, l'appellante aveva sempre rilevato, già in primo grado, che la quietanza conteneva un errore di battitura , era stata ammessa anche la prova per interrogatorio e X.L. non si era presentato a renderla. Per tale ragione, richiamando l'articolo 2726 c.c., e sostenendo che la quietanza può essere superata dall'opposta confessione giudiziale, il Tribunale ha ritenuto che la mancata risposta all'interrogatorio formale equivalga alla confessione, togliendo efficacia alla quietanza. Da tale ricostruzione la sentenza è pervenuta all'accoglimento della domanda così come proposta, affermando che il pagamento non era avvenuto per la totalità della somma dovuta, contrariamente a quanto risultava dalla quietanza. 3. Contro la sentenza del Tribunale di Lecce propone ricorso X.L. con atto affidato a due motivi. Resiste la Direzione didattica statale del primo circolo di omissis con controricorso. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli articolo 375,376 e 380-bis c.p.c., e le parti hanno depositato memorie. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione dell'articolo 345 c.p.c., comma 3, e nullità della sentenza, per aver ammesso l'interrogatorio formale in appello. Sostiene il ricorrente che quel mezzo di prova non era stato richiesto in primo grado, ma solo in appello, per cui il Tribunale non avrebbe dovuto ammettere l'interrogatorio in appello. 1.1. Il motivo non è ammissibile. Rileva la Corte che, essendo stato introdotto il presente giudizio nel 2013, era da ritenere ormai applicabile, ratione temporis, la previsione dell'articolo 345 c.p.c., comma 3, nel testo attualmente vigente, secondo cui nel giudizio di appello non sono ammessi nuovi mezzi di prova, neppure qualora il Collegio li ritenga indispensabili in tal senso, quindi, non potrebbe applicarsi il principio, invocato nel controricorso, di cui alla sentenza 4 maggio 2017, numero 10790, delle Sezioni Unite di questa Corte . Nonostante ciò, la censura è inammissibile perché la parte non l'ha adeguatamente supportata. Risulta infatti dall'atto di citazione di primo grado che in quella sede non furono chieste prove e tuttavia è certo che nel giudizio di primo grado furono espletate delle prove orali è la stessa sentenza impugnata a dirlo e non vi sono contestazioni sul punto . La sentenza del Tribunale precisa, poi, che l'appellante aveva censurato l'errata valutazione compiuta dal Giudice di pace in ordine al rigetto delle prove orali per interrogatorio formale e per testi , il che viene a significare che la prova per interrogatorio era stata evidentemente richiesta. È quindi da osservare che il ricorrente avrebbe dovuto supportare la censura, in questa sede, in altro modo, dando conto dettagliatamente delle richieste di prove avvenute in primo grado, per cui il motivo è da ritenere inammissibile. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione degli articolo 2702,2730 e 2733 c.c., in riferimento agli articolo 311,167,228,230 e 232 c.p.c., con conseguente nullità della sentenza. Ad avviso del ricorrente, la quietanza è una dichiarazione unilaterale di riconoscimento dell'avvenuto pagamento ed integra una confessione stragiudiziale. Essa può essere contestata solo se sia frutto di un errore di fatto o perché rilasciata a seguito di violenza e può essere vinta dalla confessione del debitore che riconosca di non aver eseguito il pagamento. La mancata risposta all'interrogatorio formale, però, non è equiparabile ad una dichiarazione e non potrebbe, quindi, ritenersi come una confessione. 2.1. Il motivo non è fondato. La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che la quietanza assume valore di confessione stragiudiziale sentenza 21 febbraio 2014, numero 4196, e ordinanza 14 dicembre 2018, numero 32458 v. sul punto anche Sezioni Unite, sentenza 22 settembre 2014, numero 19888 . Come correttamente rilevato dal Tribunale, però, è stato anche affermato che la quietanza, come dichiarazione di scienza del creditore assimilabile alla confessione stragiudiziale del ricevuto pagamento, può essere superata dall'opposta confessione giudiziale del debitore, che ammetta, nell'interrogatorio formale, di non aver corrisposto la somma quietanzata invero, l'articolo 2726 c.c., limita, quanto al fatto del pagamento, la prova per testimoni e per presunzioni, non anche la prova per confessione sentenza 22 ottobre 2013, numero 23971 . Ne consegue che, potendo il giudice, con libera valutazione, ritenere ammessi i fatti di cui all'interrogatorio formale ove la parte chiamata a renderlo non si sia presentata articolo 232 c.p.c. , la conclusione del Tribunale è corretta, dovendosi ammettere che la mancata risposta possa avere una valenza eguale e contraria rispetto alla confessione stragiudiziale, di regola revocabile solo per errore di fatto o violenza articolo 2732 c.c. . Rileva infine il Collegio, ad ulteriore supporto delle considerazioni svolte, che nel caso in esame il Tribunale ha stabilito, con un accertamento di fatto non sindacabile in questa sede, che l'odierno ricorrente aveva versato la somma di eurc” 4.000 pochi giorni dopo la stipulazione del contratto. E poiché la quietanza era contenuta all'interno del contratto stesso, il pagamento successivo, da parte dell'occupante, di una somma che, in tesi, era stata già versata, costituisce prova indiscutibile dell'esistenza di un errore di fatto che inficia la portata confessoria della quietanza stessa. 3. Il ricorso, pertanto, è rigettato. A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, numero 55. Sussistono, inoltre, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, articolo 13, comma 1-quater, numero 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.000, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, articolo 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.