La Cassazione afferma la possibilità di utilizzare tabelle diverse da quelle meneghine, «purché non si arrivi a risultanze che si pongano in contrasto con quelle che sarebbero derivate in caso di applicazione delle tabelle milanesi».
Con l'ordinanza in esame, la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi domanda di risarcimento del danno avanzata dalla vittima di un incidente stradale. Nello specifico, il ricorrente lamenta che il danno riportato, correlato ad una invalidità permanente del 33%, gli sia stato liquidato in misura troppo esigua e non rispettosa del pregiudizio subito, applicando le tabelle romane anziché quelle milanesi e senza personalizzarlo in maniera adeguata. Per contestare la tesi del ricorrente, la Suprema Corte richiama la giurisprudenza di legittimità, che da tempo ha effettivamente indicato come scelta preferibile per la liquidazione equitativa del danno biologico le tabelle adottate dal Tribunale di Milano, per uniformità di adozione su base nazionale, al fine di garantire la parità di trattamento dei danneggiati Cass. civ., numero 12408/2011 tuttavia, ha anche chiarito che «l'applicazione di una tabella diversa da quella milanese non è sufficiente ex se ad inficiare il corretto utilizzo, da parte del giudice, del criterio di liquidazione equitativa, dovendo la correlata denuncia essere accompagnata dall'esposizione delle ragioni che, in concreto, hanno determinato l'incongruo ricorso al criterio in parola» Cass. civ., numero 8884/2020 . Pertanto, l'utilizzo di tabelle diverse da quelle milanesi non è in sé precluso , «purché non si arrivi a risultanze che si pongano in contrasto con quelle che sarebbero derivate in caso di applicazione delle tabelle milanesi, ovvero qualora al danneggiato sia riconosciuto senza una idonea giustificazione un importo non compreso nel range previsto dalle tabelle milanesi in uso all'epoca della decisione».
Presidente Travaglino – Relatore Rubino Fatti di causa 1. F.L. propone ricorso per cassazione, composto da un unico motivo illustrato da memoria, notificato il 25 luglio 2019, nei confronti di […] S.P.A. e di C.E. per la cassazione della sentenza numero 3864 del 2019, emessa dalla Corte d'appello di Roma, depositata il 10 giugno 2019 e notificata a mezzo PEC il 12 giugno 2019. 2. Resiste […] con controricorso. 3. Questa la vicenda giudiziaria - nel 2008 il F. conveniva in giudizio il C. e la […] per sentire accertare la responsabilità dei convenuti, quali proprietario-conducente e società assicuratrice per la r.c.a. del veicolo del C., in relazione al sinistro stradale verificatosi nel 2008 in località omissis dal quale il F. riportava gravi danni permanenti alla persona - con sentenza del 2013 il Tribunale di Roma affermava la responsabilità esclusiva del C. nella causazione del sinistro e condannava i convenuti in solido a pagare all'attore una somma integrativa circa 21.000,00 Euro rispetto a quella già erogata dalla assicurazione 225.000,00 , ad integrale liquidazione del danno - il F. proponeva appello, ritenendo che il danno fosse stato liquidato in maniera inadeguata, non correlata a quanto previsto dalle tabelle adottate dal Tribunale di Milano e senza tener conto, nella personalizzazione del danno, che egli fosse all'epoca del sinistro trentasettenne e che avesse riportato la pressoché abolita possibilità di articolare i movimenti attivi e passivi della caviglia sinistra nonché la perdita della flessione dorsale e piantare, oltre ad esiti cicatriziali chirurgici multipli e alla infezione contratta, con ricorrenti episodi di artralgia della caviglia, nonché facile stancabilità nella prolungata stazione eretta e difficoltà nella deambulazione, esiti permanenti che di fatto gli impedivano di continuare a praticare gli sport come era sua abitudine prima del sinistro. Lamentava che nella liquidazione onnicomprensiva fosse stato ricompreso sia il danno da perdita della capacità lavorativa specifica sia il danno da cenestesi lavorativa e che non fossero stati tenuti nel giusto conto il danno alla vita di relazione nè l'incidenza delle notevoli spese mediche sostenute. 4. Riferisce il ricorrente che la corte d'appello riformava la sentenza di primo grado con esclusivo riguardo alla liquidazione delle spese, ponendo le spese del primo grado a carico dei convenuti in solido. Null'altro riporta, all'interno del ricorso, del percorso motivazionale del provvedimento impugnato. 5. La Corte d'appello, con la sentenza numero 3864 del 2019 qui impugnata, confermava l'esito del giudizio di primo grado, ritenendo che, quanto al danno biologico, le tabelle milanesi non fossero vincolanti, e che comunque le tabelle di Roma fossero state applicate provvedendo ad una adeguata personalizzazione del danno, comprensiva del danno morale e del danno da cenestesi lavorativa. Rigettava il motivo di appello col quale si chiedeva una autonoma valorizzazione del danno esistenziale, affermando che fosse stato correttamente liquidato anch'esso come componente del danno non patrimoniale. Quanto al danno da perdita di capacità lavorativa specifica, rigettava l'appello sul punto ritenendo che il F. , che svolgeva attività di impiegato al momento del sinistro, non avesse documentato una contrazione delle proprie entrate. Riformava effettivamente la sentenza di primo grado solo quanto alle spese legali, che poneva integralmente a carico dei convenuti secondo il principio della soccombenza, mentre compensava le spese del giudizio di appello. Motivi della decisione 6. Con l'unico motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione degli articolo 1223, 1226, 2056 e 2729 c.c. , nonché dell' articolo 3 Cost. , e degli articolo 138 e 139 del codice delle assicurazioni lamenta che il danno riportato, correlato ad una invalidità permanente del 33 % residuata a suo danno dal sinistro stradale provocato dal C. , gli sia stato liquidato in misura troppo esigua e non rispettosa dell'intero pregiudizio subito, applicando le tabelle romane anziché quelle milanesi e senza personalizzarlo in maniera adeguata. Precisa che dopo la riduzione chirurgica alla caviglia si è dovuto sottoporre ad un intervento di artrodesi alla caviglia sinistra, che ha comportato un auto trapianto di osso con prelievo dalla cresta iliaca dello stesso F. , che è ancora portatore di due placche e dodici viti, nonché di due cerchiaggi sulla tibia che gli impediscono ogni articolazione, con conseguente persistente dolore. Reputa che il danno alla capacità lavorativa specifica sia stato incluso arbitrariamente ed immotivatamente nel danno biologico e che quindi non sia stato preso in esame autonomamente, contrariamente ai principi enunciati da questa Corte, secondo i quali va liquidato autonomamente qualora la percentuale di invalidità permanente renda altamente probabile se non certa la riduzione della capacità lavorativa specifica. Aggiunge che al momento del fatto aveva 33 anni e svolgeva mansioni di impiegato amministrativo, ma che la sua condizione lavorativa al momento del sinistro non dovesse precludere una valutazione prognostica del danno alla sua capacità lavorativa specifica, da liquidarsi in via equitativa. Critica altresì che sia stato liquidato all'interno del danno biologico il danno da cenestesi lavorativa, definita di entità medio-grave dal consulente e afferma che è un danno che, per la sua peculiarità, deve essere valutato come una delle componenti di una valutazione complessa del danno alla salute, mediante un appesantimento del valore monetario di ciascun punto che può essere aumentato fino al 50%. Infine, lamenta che non si sia tenuto conto del danno alla vita di relazione riportato e della impossibilità, sulla base degli esiti permanenti dell'incidente, di continuare a praticare gli sport. 7. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché generico, in quanto si duole del risultato della valutazione del giudice d'appello, lamentando di aver ricevuto un risarcimento per equivalente troppo contenuto ed inidoneo a riparare adeguatamente le varie voci di danno, ma non si confronta con la motivazione della sentenza di appello nè estrapola dalla sentenza i criteri effettivamente seguiti per arrivare ad una determinata quantificazione del danno, sottoponendoli ad una critica che segnali in essi una violazione di legge. Si evince esclusivamente, dalla lettura del ricorso, che egli ritenga che la sua vicenda personale - senz'altro drammatica, avendo riportato una lesione permanente nella misura non indifferente del 33 % - non sia stata considerata dai giudici di merito in tutta la sua gravità, dando il giusto peso a tutte le ricadute di essa sulla vita del ricorrente. E tuttavia, la critica rimane così in superficie da non consentire di comprendere appieno nè che cosa sia effettivamente accaduto - il ricorrente non solo non richiama adeguatamente la motivazione della sentenza impugnata, neppure nei punti critici, ma non riferisce nulla neppure sulla dinamica dell'incidente - nè quali siano gli errori di diritto che addebita al provvedimento impugnato, non confrontandosi direttamente con i passi del provvedimento impugnato che assume essere errati. 8. Quanto alle censure mosse, prendendo in considerazione prima di tutto quella legata alla liquidazione del danno sulla base delle tabelle romane, va detto che questa Corte ha da tempo effettivamente indicato come scelta preferibile, per uniformità di adozione su base nazionale, al fine di garantire la parità di trattamento dei danneggiati, e fintanto che manchino criteri indicati dalla legge, che la liquidazione equitativa del danno biologico avvenga sulla base delle tabelle adottate dal Tribunale di Milano e periodicamente da esso aggiornate Cass. numero 12408 del 2011 . Tuttavia, ha anche chiarito, nel tempo, che in sede di legittimità, l'allegazione di avvenuta applicazione di una tabella diversa da quella milanese non è sufficiente ex se ad inficiare il corretto utilizzo, da parte del giudice, del criterio di liquidazione equitativa, dovendo la correlata denuncia essere accompagnata dall'esposizione delle ragioni che, in concreto, hanno determinato l'incongruo ricorso al criterio in parola Cass. numero 8884 del 2020 . L'utilizzo di tabelle diverse da quelle milanesi cioè non è in sé precluso, purché non si arrivi a risultanze che si pongano in patente ed ingiustificato contrasto con quelli che sarebbero derivati in caso di applicazione delle tabelle milanesi, ovvero qualora al danneggiato sia riconosciuto senza una idonea giustificazione un importo non compreso nel range previsto dalle tabelle milanesi in uso all'epoca della decisione. La critica del ricorrente, sull'utilizzo di tabelle diverse da quelle milanesi, è rimasta, come detto, su un piano del tutto generico, quindi non consente di verificare se un pregiudizio, nei termini sopra indicati, si sia effettivamente verificato. 9. Per il resto, il ricorrente lamenta non gli sia stato riconosciuto il danno da perdita della capacità lavorativa specifica, ma lo inquadra erroneamente all'interno della categoria del danno non patrimoniale, anziché, come pacificamente affermato da questa Corte di legittimità v. Cass. numero 17411 del 2019 , Cass. numero 16913 del 2019 , Cass. numero 10499 del 2017 , come una componente del danno patrimoniale, soggetto ai relativi oneri di allegazione e prova, e neppure segnala di aver indicato specifici elementi atti a dimostrare una compromissione della propria specifica capacità lavorativa che siano stati trascurati. Va detto la valutazione sulla perdita della capacità lavorativa specifica non si appiattisce necessariamente sulla condizione lavorativa della vittima all'epoca del sinistro nel caso di specie di impiegato, non intaccata, quanto alla capacità lavorativa, dall'invalidità permanente conseguente all'incidente . È ben possibile che la vittima alleghi una propria aspirazione lavorativa, non ancora raggiunta ma che si pone come probabile traguardo di un percorso intrapreso, rispetto alla quale dovrà essere considerata l'incidenza preclusiva della sopravvenuta invalidità permanente. Tuttavia, per giungere al riconoscimento della perdita della propria capacità lavorativa specifica sotto il profilo della perdita della capacità di guadagno, il danneggiato avrebbe dovuto quanto meno allegare quali erano, all'epoca, le proprie diverse aspirazioni, indicarne i fondamenti, ovvero il proprio percorso formativo o le pregresse esperienze che avrebbero potuto portarlo a deviare dalla avviata attività impiegatizia per poter trovare un lavoro di maggior soddisfazione e remunerazione. Nulla di tutto questo ha fatto il ricorrente, e la sua domanda volta al risarcimento del danno alla capacità lavorativa specifica è stata rigettata non perché appiattita, dalla corte d'appello, sul danno biologico, ma perché la voce di danno, correttamente ricondotta al danno patrimoniale, è stata ritenuta priva di prova, nè il F. segnala in questa sede di aver allegato elementi determinanti che non siano stato oggetto di considerazione. Al contrario, riconducendo a sua volta questa categoria di danno nell'ambito del danno non patrimoniale, ritiene - erroneamente - di non dover soggiacere ad alcun onere di allegazione e prova specifico. Come più volte affermato da questa Corte, in tema di danno alla persona, la presenza di postumi macropermanenti non consente di desumere automaticamente, in via presuntiva, la diminuzione della capacità di produrre reddito della vittima, potendo per altro verso integrare un danno da lesione della capacità lavorativa generica il quale, risolvendosi in una menomazione dell'integrità psico-fisica dell'individuo, è risarcibile in seno alla complessiva liquidazione del danno biologico Cass. numero 17931 del 2019 . 10. Il ricorrente lamenta altresì che il danno da cenestesi lavorativa e il danno alla vita di relazione non sarebbero stati liquidati, in quanto ricompresi nell'unitaria liquidazione del danno biologico. Al di là della già indicata genericità delle censure, che travolge il ricorso sotto il profilo della complessiva inammissibilità, va puntualizzato che il danno da cenestesi lavorativa consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell'attività lavorativa, e come tale esso non incide sotto il profilo delle opportunità sul reddito della persona offesa ed è correttamente inquadrato e liquidato all'interno del danno biologico perché conseguenza della lesione all'integrità fisica della persona Cass. numero 12572 del 2018 . Anche il danno alla vita di relazione, o danno dinamico-relazionale , è correttamente considerato e liquidato all'interno del danno biologico, atteso che con quest'ultimo si individuano pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale , diversamente da pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado di percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla pura sofferenza interiore, i quali, ove ne sia dedotta e provata l'esistenza - e non è questo il caso - potranno e dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione Cass. numero 901 del 2018 Cass. numero 7513 del 2018 Cass. numero 23469 del 2018 Cass. numero 4848 del 2019 Cass. numero 9857 del 2022 . Il motivo, oltre che come detto generico, è infondato in quanto correttamente il giudice di merito ha evidenziato che le categorie di danno sopra menzionate costituiscono alcune delle varie componenti del danno non patrimoniale, delle quali si deve tener conto nella liquidazione di esso - come la corte d'appello, dopo aver predicato il principio, ha fatto - ma non costituiscono un'autonoma voce di danno risarcibile. Il ricorso va pertanto dichiarato complessivamente inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo. Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 bis, comma 1 quater. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Pone a carico della parte ricorrente le spese di giudizio sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 10.000,00 oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.