“A volte ritornano”: i danni da emotrasfusione del 1963. Termine di prescrizione e obblighi di vigilanza

Il problema dei danni da infezione da emotrasfusione si propone di frequente nella pratica e pone almeno due questioni il termine di prescrizione dato lo iato tra trasfusione e scoperta dell’infezione e l’individuazione di specifici obblighi di controllo e protezione in capo al Ministero della Salute all’epoca dei fatti. La particolarità del caso risiede nel fatto che la trasfusione avvenne nel 1963.

La Suprema Corte si pronunzia, in realtà, solo sulla questione, che risulterà assorbente la prima. Solo dal 1° gennaio 1968 con l'entrata in vigore della l. numero 592/1967 e considerati i tempi di adeguamento si possono individuare obblighi di cautela, la cui violazione integra un'omissione colposa nella vigilanza e nel controllo da parte del Ministero. Tizia evoca in giudizio il Ministero della Salute e l'Azienda Ospedaliera di Napoli per ottenere il risarcimento dei danni iure proprio e iure successionis conseguenti all'infezione da HCV che aveva colpito il marito a causa di un'emotrasfusione risalente al 1963. Deduceva che l'epatite cronica correlata ad HCV era stata diagnostica nel 1996, confermata nel 2001. Il marito era deceduto nel 2008 e l'INPS gli riconosceva l'invalidità civile. Tizia assumeva che proprio in occasione di questa procedura di accertamento dell'invalidità civile aveva avuto conoscenza che il coniuge aveva contratto l'infezione in occasione della trasfusione del 1963. Il Tribunale riconosce la responsabilità del Ministero, rigetta l'eccezione di prescrizione della domanda e condanna al risarcimento del danno. La Corte d'Appello in riforma della sentenza riconosce la prescrizione quinquennale dell'azione iure hereditatis, in quanto, proprio in forza degli esami diagnostici condotti nel 1996, doveva ritenersi la conoscenza e la consapevolezza della epatopatia contratta data anche l'ormai acquisita conoscenza a partire dagli anni '90 che le trasfusioni di sangue negli anni '60, '70 e '80 erano facile via di infezione . Quanto al risarcimento del danno iure proprio, il termine di prescrizione decennale non era spirato, poiché decorreva dal decesso del coniuge nel 2008. Tuttavia, all'epoca di fatti 1963 non vi erano test diagnostici idonei a rilevare il virus dell'epatite C. Dunque, non era ipotizzabile una condotta doverosa, omessa la quale, si potesse configurare una responsabile omissiva idonea ad evitare il danno. Consegue che nel 1963, fermo il nesso eziologico tra la trasfusione e l'infezione , non era individuabile l'elemento soggettivo della colpa, necessario per affermare la responsabilità civile. La Cassazione è chiamata a pronunciarsi su due motivi di ricorso il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno di chi assume di aver contratto l'infezione a seguito di emotrasfusione tra conoscenza e conoscibilità del fatto. In particolare, occorre domandarsi se sia richiesta la conoscenza non della semplice malattia contratta, ma del nesso di causa ossia della conoscenza del legame tra la malattia e l'emotrasfusione. l'individuazione dell'obbligo normativo di vigilanza e protezione per l'emotrasfusione avvenuta nel 1963. È necessario individuare la fonte normativa che imponeva l'obbligo di porre in essere condotte volte ad evitare la trasmissione di malattie tramite la emotrasfusione. Tale obbligo poteva rinvenirsi in leggi speciali come avvenuto successivamente o anche nel principio generale di diligenza e di solidarietà sociale? La Suprema Corte, invero, non si pronuncia sul primo motivo, molto interessante, ritenendo assorbente il secondo. In effetti, se si esclude un elemento costitutivo della responsabilità aquiliana la colpevolezza nel caso di specie è chiaro che diviene superfluo interrogarsi sul termine di prescrizione. Tuttavia, sul termine di prescrizione è noto il dibattito e la delicatezza della prova e non ci si può esimere da un rapido accenno. Ricordiamo, ad esempio, che «la responsabilità del Ministero della salute per i danni conseguenti ad infezioni da virus HBV, HIV e HCV contratte da soggetti emotrasfusi è di natura extracontrattuale, né sono ipotizzabili, al riguardo, figure di reato tali da innalzare i termini di prescrizione epidemia colposa o lesioni colpose plurime ne consegue che il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto tali patologie per fatto doloso o colposo di un terzo è soggetto al termine di prescrizione quinquennale che decorre, a norma degli articolo 2935 e 2947, comma 1, c.c., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche a tal fine coincidente non con la comunicazione del responso della Commissione medica ospedaliera di cui all'articolo 4 l. numero 210/1992, bensì con la proposizione della relativa domanda amministrativa » Cass. numero 576/2008 . Più di recente sul danno cd. lungolatente, «in tema di risarcimento del danno alla salute causato da emotrasfusione con sangue infetto, ai fini dell'individuazione dell exordium praescriptionis , una volta dimostrata dalla vittima la data di presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell'indennizzo previsto dalla l. numero 210/1992, spetta alla controparte dimostrare che già prima di quella data il danneggiato conosceva o poteva conoscere, con l'ordinaria diligenza, l'esistenza della malattia e la sua riconducibilità causale alla trasfusione, anche per mezzo di presunzioni semplici, sempre che il fatto noto dal quale risalire a quello ignoto sia circostanza obiettivamente certa e non mera ipotesi o congettura, pena la violazione del divieto del ricorso alle praesumptiones de praesumpto . Nella specie la S.C. ha cassato la decisione di merito, che aveva desunto la prova della pregressa conoscenza o conoscibilità della causa della malattia dalle seguenti circostanze la scoperta della malattia, la mancata allegazione di altri fattori di rischio diversi dalla trasfusione, la lettera di dimissioni consegnata al paziente, la conoscenza della correlazione tra HVC e trasfusioni al momento della diagnosi della malattia » Cass. numero 10190/2022, numero 17421/2019 e numero 12182/2021. Come anticipato, tuttavia, la Suprema Corte ritiene assorbente il secondo motivo, che rigetta escludendosi l'individuazione di una violazione colposa all'epoca dei fatti 1963 , non è possibile affermare la responsabilità per danni. Indubbiamente, la particolarità della statuizione risiede nel caso concreto risalente nel tempo occorre distinguere l'elemento oggettivo dell'illecito dato dal nesso di causa , dall'elemento soggettivo della colpevolezza dato nella specie dall'omissione colposa . La Suprema Corte ricorda come per le emotrasfusioni anteriori al 1978 quando fu disponibile il test diagnostico contro il virus HBV la stessa Corte aveva riconosciuto la responsabilità del Ministero, poiché già dalla fine degli anni '60 era noto il rischio di infezione, rilevabile indirettamente con i test di funzionalità epatica mediante la determinazione delle transaminasi ALT ed il metodo dell'anti HbcAg. In effetti, il Ministero della Salute aveva attivi poteri derivanti dalla legislazione in allora vigente l. numero 592/1967 d.P.R. numero 1256/1971 l. numero 519/1973 l. numero 833/1973 in ordine a controlli volti ad impedire la trasmissione di malattie mediante il sangue infetto. «In caso di patologie conseguenti ad infezione da virus HBV, HIV e HCV, contratte a seguito di emotrasfusioni o di somministrazione di emoderivati, non sussistono eventi autonomi e diversi ma solo manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo, sicché anche prima dell'anno 1978, in cui il virus dell'epatite B fu definitivamente identificato in sede scientifica, con conseguente scoperta dei mezzi di prevedibilità delle relative infezioni, è configurabile la responsabilità del Ministero della salute per l'omissione dei controlli in materia di raccolta e distribuzione del sangue per uso terapeutico e sull'idoneità dello stesso ad essere oggetto di trasfusione, già consentiti dalle conoscenze mediche e dai dati scientifici del tempo Fattispecie relativa a trasfusioni eseguite nell'anno 1976 » Cass. numero 18520/2018, numero 2232/2016, con ampi riferimenti giurisprudenziali e normativi si veda Cass. numero 2790/2019 . Però nel caso di specie, risalente al 1963, si poneva la questione di individuare la precisa fonte normativa introduttiva di specifici obblighi di vigilanza e controllo idonei a fondare un dovere di cautela la cui violazione fosse fonte di responsabilità civile per omissione colposa. Così, la Suprema Corte esclude che la l. numero 296/1958 istitutiva del Ministero della Salute fosse idonea allo scopo, in quanto si limitava a prevedere norme di carattere organizzativo dei servizi pubblici e non di controllo sulle trasfusioni. Solo la l. numero 592/1967 a prevedere specifiche attribuzioni al Ministero di raccolta, conservazione e distribuzione del sangue umano. Pertanto, secondo la Cassazione, solo a partire dalla pubblicazione della l. numero 592/1967 sono individuabili specifici obblighi di cautela la cui violazione è fonte di responsabilità extracontrattuale per omissione colposa da parte del Ministero della Salute. Aggiunge, singolarmente, la Suprema Corte che occorre considerare il lasso di tempo ragionevolmente richiesto per organizzarsi, per cui è possibile affermare la responsabilità del Ministero solo dal 1° gennaio 1968. Conclude la Suprema Corte per il rigetto del motivo di cassazione, in quanto la ricorrente non aveva dimostrato che all'epoca dei fatti vi fosse la possibilità di testare e prevenire le infezioni. Solo due brevi osservazioni colpisce la giurisprudenza “creativa” della posticipazione dell'obbligo di vigilanza all'1.1.1968. La l. numero 592/1967, infatti, è del 14.7.1967 pubblica in G.U. il 31 luglio , per cui non si vede la ragione per rinviarne gli effetti, in spregio alle regole positive di entrata in vigore di una legge, nonché del fatto che alla fine degli anni '60 è pacifico fosse noto il rischio di contagio, per cui l'obbligo di vigilanza doveva almeno essere coevo all'entrata in vigore della legge. la l. numero 296/1958, per quanto istitutiva ed organizzativa del Ministero della Salute, delinea i poteri e doveri di controllo per la salute pubblica. Per quanto genericamente già l'articolo di detta legge stabiliva che «è istituito il Ministero della sanità con il compito di provvedere alla tutela della salute pubblica. Per il conseguimento della finalità predetta spettano al Ministero della sanità le seguenti attribuzioni 1 provvedere ai servizi sanitari attribuiti dalle leggi alle Amministrazioni civili dello Stato, ferme restando le attribuzioni delle Amministrazioni con ordinamento autonomo e quelle esercitate dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale a mezzo dell'Ispettorato del lavoro 2 sovraintendere ai servizi sanitari svolti dalle Amministrazioni autonome dello Stato e dagli Enti pubblici, provvedendo anche al coordinamento, eventualmente necessario, per adeguare l'organizzazione e l'efficienza dei servizi stessi alle esigenze della salute pubblica 3 emanare, per la tutela della salute pubblica, istruzioni obbligatorie per tutte le Amministrazioni pubbliche che provvedono a servizi sanitari 4 provvedere alla vigilanza tecnica sulle organizzazioni, enti e istituti che svolgano attività sanitaria e non rientrino tra quelli previsti dalle disposizioni precedenti. Qualora la legge non disponga diversamente, i provvedimenti in materia di sanità rientrano nella competenza del Ministero della sanità». Evidentemente non ci sono previsioni specifiche in materia di emotrasfusione, tuttavia, l'affermazione tranciante di assenza di un obbligo normativo di vigilanza e controllo lascia perplessi anche per casi più risalenti nel tempo, ossia al 1963. Sarebbe stato più opportuno lasciare la verifica caso per caso se era già nota la problematica e le cautele che dovevano essere poste in essere. In presenza di un'attività pericolosa di emotrasfusione in generale sul profilo eziologico, Cass. numero 29766/2020, numero 5961/2016 e numero 582/2008 si potrebbe indagare e richiedere un grado di diligenza particolarmente rafforzato nella tutela della salute pubblica. D'altra parte la ricorrente, riporta la sentenza annotata, parlava di conoscenze e di divieti a donare sangue a chi avesse valori alterati della funzionalità epatica della metà degli anni '60, dunque posteriori al 1963. Pertanto, l'individuazione della data del 1.1.1968 risulta ancora più dubbia e si auspica possa essere rivista.

Presidente Travaglino Relatore Sestini   Rilevato in fatto che C.C. convenne in giudizio il Ministero della Salute e l'Azienda Ospedaliera omissis per ottenere il risarcimento dei danni conseguiti all'infezione da HCV che aveva colpito il marito M.P., che assumeva causata da emotrasfusioni cui lo stesso era stato sottoposto, presso l'ospedale omissis , nel 1963 dedusse che nel 1996 era stata diagnosticata al coniuge un'epatite cronica attiva con immagini di cirrosi correlata ad HCV e che tale diagnosi era stata confermata nel luglio 2001 aggiunse che il marito era deceduto nel luglio 2008 e che, nel successivo mese di dicembre, era pervenuta comunicazione dell'INPS concernente l'avvenuto riconoscimento dell'invalidità civile al M. precisò che, proprio nel corso della procedura di accertamento di tale invalidità, l'attrice aveva scoperto che il coniuge aveva contratto il virus HCV in occasione delle emotrasfusioni effettuate nell'anno 1963 tanto premesso, richiese, nei confronti di entrambi i convenuti, il risarcimento iure hereditatis dei danni non patrimoniali subiti dal i M. e iure proprio di quelli non patrimoniali e patrimoniali da lei sofferti in conseguenza del decesso del coniuge il Ministero e l'Azienda ospedaliera resistettero alla domanda, il primo eccependo anche l'intervenuta prescrizione del diritto il Tribunale rigettò l'eccezione di prescrizione e accolse nei confronti del solo Ministero la domanda della C., liquidando alla stessa l'importo di 250.00,00 Euro per danno biologico spettante iure hereditatis, 260.000,00 Euro per danno da perdita parentale, 38.400,00 Euro per lucro cessante e 1.500,00 Euro per danno emergente, il tutto previa decurtazione dell'importo eventualmente già percepito a titolo di indennizzo ex L. numero 210 del 1992 pronunciando sul gravame del Ministero, la Corte di Appello di Napoli ha rilevato, preliminarmente, che la sentenza di primo grado non era stata impugnata nella parte in cui aveva affermato il difetto di legittimazione passiva dell'Azienda ospedaliera, sicché la decisione sul punto era divenuta irretrattabile quanto alla posizione del Ministero, ha riformato la sentenza, rigettando la domanda della C. e condannandola al pagamento delle spese del doppio grado in favore dell'appellante la Corte ha ritenuto fondata l'eccezione di prescrizione in relazione al danno richiesto iure hereditatis, soggetto a prescrizione quinquennale, rilevando che il diritto azionato dall'attrice era abbondantemente prescritto alla data della notifica dell'atto di citazione 3-5 gennaio 2012 in quanto doveva assumersi come dies a quo, non già la data del 23.10.2008, in cui era stato comunicato il responso della Commissione medica per il riconoscimento dell'invalidità civile, ma una data ad essa sicuramente precedente, giacché era ampiamente verosimile che la C., avendo il di lei marito già effettuato, a partire dal febbraio 1996, esami laboratoristici di funzionalità epatica che documentavano una epatopatia cronica attiva con immagini di cirrosi HCV correlata , poi confermata nel mese di luglio 2001 , da tale epoca febbraio 1996 o comunque luglio 2001 avesse già acquisito piena consapevolezza sia della epatopatia contratta, che della sua riferibilità causale alle trasfusioni praticate gli nel 1963 , e quindi la percezione della malattia come danno ingiusto conseguente al comportamento del convenuto Ministero e ciò tenuto conto non solo delle informazioni di cui il danneggiato e la moglie che verosimilmente lo assisteva erano in possesso o alle quali essi erano in condizione di poter accedere o di procurarsi o che dovevano attivamente procurarsi in relazione alla misura di diligenza in concreto da essi esigibile , ma soprattutto di quelle che entrambi, molto probabilmente, hanno acquisito in quell'occasione dai sanitari che avevano in cura il M., circa la derivazione causale della malattia posto che a quel tempo anni 1996-2001 era ampiamente noto, nel mondo medico-ospedaliero con il quale M.P. e la moglie erano entrati in contatto, che le trasfusioni di sangue, in specie quelle effettuate negli anni ‘60, ‘70 e ‘80 del secolo scorso, erano facile via di trasmissione dell'infezione . Diversamente ha aggiunto la Corte quando fu introdotto il presente giudizio, non era affatto maturato il diverso termine decennale di prescrizione del diritto al risarcimento dei danni richiesti iure proprio , decorrente dal decesso del M. avvenuto nel 2008 ha ritenuto, tuttavia, che la pretesa non potesse essere accolta poiché, alla data del presunto contagio nell'anno 1963 il test diagnostico per enucleare il virus dell'epatite C ma nemmeno quelli relativi all'epatite di tipo B non esisteva e l'evento di contagio non era dunque prevenibile e prevedibile , sicché non era ipotizzabile, vertendosi in tema di responsabilità omissiva, alcuna condotta doverosa che, omessa in tesi, avrebbe invece potuto evitare il danno prodottosi ha concluso, pertanto, che, fermo restando il nesso di causalità materiale tra la somministrazione di sangue infetto in ambiente sanitario e la epatopatia contratta dall'emotrasfuso, alcuna condotta, omissiva né commissiva, a titolo di colpa era imputabile giuridicamente al Ministero della Salute ha proposto ricorso per cassazione la C., affidandosi a due motivi hanno resistito, con distinti controricorsi, il Ministero della Salute e l'Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale omissis , che hanno chiesto la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso la seconda ha, peraltro, rilevato che la dichiarazione di difetto di legittimazione passiva dell'Azienda, effettuata dal primo giudice, non era stata oggetto di gravame la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell'articolo 380 bis.1. c.p.c Considerato in diritto che col primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli articolo 2935 e 2947 c.c. richiamata Cass. numero 13745/2018 il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto per contagio da emotrasfusioni una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo decorre dal giorno in cui tale malattia venga percepita o possa essere percepita usando l'ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo. Incorre, pertanto, in un errore di sussunzione e, dunque, nella falsa applicazione dell'articolo 2935 c.c., il giudice di merito che, ai fini della determinazione della decorrenza del termine di prescrizione, ritenga tale conoscenza conseguita o, comunque, conseguibile, da parte del paziente, pur in difetto di informazioni idonee a consentirgli di collegare causalmente la propria patologia alla trasfusione , la ricorrente evidenzia che il fatto ricostruito dalla Corte e' inidoneo a giustificare l'individuazione della percezione ed anche solo della percepibilità da parte del de cuius -in occasione della documentazione medica relativa al ricovero del 1996-della riconducibilità sul piano causale della malattia diagnosticatagli alla trasfusione e, dunque, di un evento che poteva consentirgli di individuare come responsabile il Ministero aggiunge che ha errato in iure la Corte territoriale a desumere dal dato dell'anamnesi quale che ne fosse stata la genesi, rimasta incognita l'acquisizione da parte del de cuius della consapevolezza , non essendo neppure emerso che il M. avesse un livello di conoscenze mediche tale da porlo in condizione di ricollegare la malattia diagnosticatagli alla trasfusione ribadisce che, come emergeva inconfutabilmente dall'istruttoria espletata, il primo evento per il quale si è potuta avere consapevolezza, perché debitamente informati dai sanitari, della sussistenza di un nesso di causalità tra la trasfusione da plasma infetto e l'insorgenza della patologia diagnostica ta è circostanziabile al 23/10/2008, in occasione dell'incontro con la commissione medica di verifica INPS di Caserta per la discussione della domanda di invalidità civile, grazie alle informazioni rese dagli stessi medici esaminatori il secondo motivo deduce la violazione degli articolo 1225,2043 e 2056 c.c., dell'articolo 41 c.p.c., della L. numero 592 del 1967, articolo 1, e della L. numero 296 del 1958, articolo 1 la ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha affermato che, alla data del presunto contagio nell'anno 1963 , lo stesso non era prevedibile e prevenibile, non essendo pertanto ipotizzabile alcuna condotta doverosa la cui omissione potesse integrare una responsabilità a carico del Ministero premesso che il Ministero è tenuto ad esercitare un'attività di controllo e di vigilanza in ordine anche alla pratica terapeutica della trasfusione del sangue e dell'uso di emoderivati, la ricorrente elenca una pluralità di fonti normative che, a partire dalla L. numero 296 del 1958, pongono a carico del Ministero obblighi di prevenzione, programmazione, vigilanza e controllo evidenzia che sin dalla metà degli anni ‘60 erano esclusi dalla possibilità di donare il sangue coloro i cui valori delle transaminasi e degli indicatori della funzionalità epatica fossero alterati conclude che la P.A. era comunque tenuta a tenere condotte volte a prevenire e ad impedire la trasmissione di malattie tramite il sangue infetto già in base all'obbligo di buona fede o correttezza, generale principio di solidarietà sociale che trova applicazione anche in tema di responsabilità extracontrattuale il secondo motivo che si esamina con precedenza per ragioni di priorità logica va disatteso deve infatti considerarsi che in tema di infezioni riferibili a emotrasfusioni effettuate in epoca antecedente al 1978 anno in cui fu disponibile il test per l'identificazione del virus HBV , la giurisprudenza di questa Corte si è consolidata nell'affermazione che, in caso di patologie conseguenti ad infezione da virus HBV, HIV e HCV, contratte a seguito di emotrasfusioni o di somministrazione di emoderivati, sussiste la responsabilità del Ministero della Salute anche per le trasfusioni eseguite in epoca anteriore alla conoscenza scientifica di tali virus e all'apprestamento dei relativi test identificativi risalenti, rispettivamente, agli anni 1978, 1985, 1988 , atteso che già dalla fine degli anni ‘60 era noto il rischio di trasmissione di epatite virale ed era possibile la rilevazione indiretta dei virus, che della stessa costituiscono evoluzione o mutazione, mediante gli indicatori della funzionalità epatica la medesima giurisprudenza individua la fonte della responsabilità del Ministero in una pluralità di fonti normative speciali per un elenco esaustivo delle quali si rimanda a Cass. numero 18520 e a Cass. numero 8495/2020 che, a partire dall'anno 1958, lo onerano della vigilanza e dei controlli sul sangue utilizzato per le trasfusioni e per la produzione di emoderivati a fronte di tali principi, questa Corte ha ritenuto potersi configurare la responsabilità del Ministero per infezioni conseguenti a trasfusioni effettuate a partire dalla metà degli anni Sessanta cfr., tra le altre, Cass. numero 21145/2021, concernente emotrasfusioni risalenti al 1965 Cass. numero 8495/2020, non massimata, relativa a fatti del 1968 Cass. numero 1566/2019, relativa a trasfusioni risalenti al 1970 in questa sede a fronte di una trasfusione risalente all'anno 1963 , si pone la necessità di individuare la fonte normativa che ha introdotto, nella materia, obblighi di vigilanza e/o controllo sufficientemente specifici, tali da integrare la norma di cautela la cui violazione consenta di configurare una condotta colposa omissiva del Ministero rilevante ai fini dell'affermazione della sua responsabilità extracontrattuale si tratta, in altri termini, di individuare il momento a partire dal quale risulta predicabile la responsabilità del Ministero della Salute per danni conseguenti a patologie correlate all'utilizzo di sangue infetto deve escludersi che tale momento possa farsi risalire all'anno 1958, allorquando venne pubblicata la L. 13 marzo 1958, numero 296, istitutiva del Ministero della Sanità tale legge si limitava, infatti, a prevedere all'articolo 1 che il Ministero avesse il compito di provvedere alla tutela della salute pubblica , con attribuzioni consistenti nel provvedere ai servizi sanitari attribuiti dalle leggi alle Amministrazioni civili dello Stato , nel sovraintendere ai servizi sanitari svolti dalle Amministrazioni autonome dello Stato e dagli Enti pubblici, provvedendo anche al coordinamento, eventualmente necessario per adeguare l'organizzazione e l'efficienza dei servizi stessi alle esigenze ella salute pubblica , nell' emanare, per la tutela della salute pubblica, istruzioni obbligatorie per tutte le Amministrazioni pubbliche che provvedono a servizi sanitari e nel nel provvedere alla vigilanza tecnica sulle organizzazioni, enti e istituti che svolgano attività sanitaria e non rientrino tra quelli previsti dalle disposizioni precedenti si trattava, all'evidenza, di norme di carattere organizzativo che nulla disponevano circa attività attribuite al Ministero nella materia dell'utilizzo del sangue soltanto con la L. 14 luglio 1967, numero 592, pubblicata nella G.U. del successivo 31 luglio furono previste specifiche attribuzioni del Ministero in materia di raccolta, conservazione e distribuzione del sangue umano in particolare l'articolo 1 attribuiva al Ministero le direttive tecniche per l'organizzazione, il funzionamento ed il coordinamento dei servizi inerenti alla raccolta, la preparazione, la conservazione, la distribuzione del sangue umano per uso trasfusionale, nonché la preparazione dei suoi derivati, e altresì per l'esercizio della relativa vigilanza l'articolo 20 attribuiva al Ministero il compito di proporre l'emanazione di norme relative all'organizzazione, al funzionamento dei servizi trasfusionali, alla raccolta, alla conservazione e all'impiego dei derivati, nonché alla determinazione dei requisiti e dei controlli cui debbono essere sottoposti l'articolo 21 attribuiva al Ministero il compito di autorizzare l'importazione e l'esportazione di sangue umano e dei suoi derivati per uso terapeutico, profilattico e diagnostico l'articolo 22 attribuiva al Ministero il potere di autorizzare l'autorità sanitaria a disporre la chiusura del centro, del laboratorio o dell'officina non autorizzati alla luce di tali attribuzioni e dello stato delle conoscenze scientifiche dell'epoca che già dalla metà degli anni Sessanta escludevano dalla possibilità di donare il sangue coloro che presentassero valori alterati della funzionalità epatica , può senz'altro ritenersi che, a seguito dell'entrata in vigore della L. numero 592 del 1967, il Ministero fosse tenuto a compiere controlli finalizzati ad evitare l'impiego di sangue infetto per le trasfusioni e per la produzione di emoderivati deve dunque affermarsi che soltanto a partire dalla pubblicazione della L. numero 592 del 1967, sono risultati integrati gli obblighi di cautela la cui violazione consente di considerare colposa l'omissione della vigilanza e del controllo da parte del Ministero della Salute peraltro, tenuto conto del lasso di tempo ragionevolmente occorrente per organizzare le attività di vigilanza e controllo, può individuarsi nel 1 gennaio 1968 la data oltre la quale è predicabile la responsabilità del Ministero in relazione a patologie correlate all'impiego di sangue infetto nel caso in esame, va pertanto esclusa la possibilità di configurare la responsabilità invocata dalla C. per le conseguenze della trasfusione cui il marito era stato sottoposto nell'anno 1963 al riguardo, deve rilevarsi che la ricorrente, pur censurando la Corte di merito laddove ha indicato nel 1978 l'anno a partire dal quale era possibile testare la presenza di virus e prevenire infezioni, non ha svolto argomenti specifici per sostenere che tale possibilità ricorresse già nell'anno 1963 invero, si è limitata a rilevare a pag. 19 come fosse già ben noto sin dalla fine degli anni ‘60 inizi anni ‘70 il rischio di trasmissione di epatite virale, la rilevazione indiretta del virus essendo possibile già mediante la determinazione delle transaminasi ALT ed il metodo dell'anti-HbcAg e ad osservare che sin dalla metà degli anni ‘60 erano esclusi dalla possibilità di donare il sangue coloro che avessero presentato valori alterati delle transaminasi e delle GPT indicatori della funzionalità epatica con ciò, tuttavia, la C. non ha dedotto alcun elemento idoneo a sostenere l'assunto che, all'epoca delle trasfusioni cui venne sottoposto il M., sussistessero sia cognizioni scientifiche che consentissero di rilevare il rischio infettivo e di prevenirlo sia obblighi di intervento da pare del Ministero, sì da poter configurare una condotta omissiva colposa a carico di quest'ultimo a fondamento della pretesa risarcitoria il motivo risulta pertanto infondato e va conseguentemente rigettato a ciò consegue l'assorbimento del primo motivo, atteso che l'esclusione della responsabilità del Ministero comporta il difetto di interesse ad esaminare la questione della decorrenza della prescrizione le ragioni di obiettiva dubbiezza circa l'epoca a partire dalla quale è configurabile la responsabilità del Ministero della Salute che si sono intese chiarire e superare nei termini sopra indicati giustificano l'integrale compensazione delle spese di lite fra la ricorrente e il Ministero nulla è dovuto per spese processuali in favore dell'Azienda Ospedaliera, in quanto la stessa non aveva alcun interesse a resistere al ricorso che non investiva la sua posizione, che -per quanto rilevato dalla stessa sentenza impugnata era stata già definita a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado che aveva dichiarato il difetto di legittimazione passiva sussistono le condizioni per l'applicazione del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese di lite fra la ricorrente e il Ministero della Salute dichiara che nulla è dovuto per spese processuali all'Azienda Ospedaliera omissis . Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.