I Giudici chiariscono che va applicata la prescrizione quinquennale. Inutile quindi l’azione proposta da una donna che ha posto sotto accusa la casa di cura in cui era stata operata la madre.
Cinque anni di tempo a disposizione per agire in giudizio contro la struttura sanitaria e chiedere un ristoro economico per il disagio subito a causa dei problemi di salute riportati dalla familiare. Questo il principio che, applicato dai Giudici, ha sancito la sconfitta di una donna che aveva posto sotto accusa la casa di cura in cui era stata operata la madre, spiegando che quest'ultima aveva subito un peggioramento della propria condizione di invalidità e lei aveva dovuto prestarle assistenza nelle fasce orarie non coperte dalla badante. All'origine della vicenda c'è la disavventura subita da una anziana signora quest'ultima cade e si rompe il femore. Per ridurre la frattura viene eseguita un'operazione in una casa di cura privata, ma gli esiti non sono quelli sperati la donna si ritrova con una situazione di invalidità peggiorata. A quel punto scatta la richiesta di risarcimento nei confronti della struttura sanitaria, e la signora si vede dare ragione sia in primo che in secondo grado, con tanto di sentenza d'Appello del 2011 che passa in giudicato, non essendo impugnata in Cassazione. Due anni dopo, invece, ad agire è la figlia della signora. Nello specifico, la donna promuove un giudizio contro la medesima casa di cura e chiede «il risarcimento dei danni da lei patiti per aver dovuto prestare assistenza alla madre nelle ore non coperte dalla badante» e ciò, spiega, «a causa dell'aggravamento della invalidità della madre». Tutto ciò a partire dal mese di settembre del 2006, precisa la donna. Sia in primo che in secondo grado, però, la richiesta di risarcimento presentata dalla figlia dell'anziana donna operata viene respinta. In particolare, in Appello, viene chiarito che «il diritto dei congiunti ad essere risarciti in via riflessa dalla struttura sanitaria, e ciò a causa dell'esito infausto di un'operazione chirurgica subita dalla persona danneggiata principale, è soggetto al termine di prescrizione quinquennale, in quanto i congiunti non possono giovarsi del termine più lungo derivante dall'inquadramento contrattuale della responsabilità sanitaria». I giudici di secondo grado precisano ulteriormente che «anche a voler far decorrere il termine prescrizionale dall'anno 2006, sarebbe comunque maturata la prescrizione quinquennale in quanto l'atto di citazione di primo grado – primo atto interruttivo – è stato introdotto solo nel 2013». Col ricorso in Cassazione l'avvocato che rappresenta la donna prova a mettere in discussione l'applicazione della prescrizione così come tracciata in Appello. Più precisamente, il legale sostiene che «l'exordium praescriptionis dell'azione risarcitoria è da collocare nel luglio 2011 – data di pubblicazione della sentenza di appello nel giudizio promosso dalla anziana paziente nei confronti della casa di cura – e, anzi, nella data di passaggio in giudicato di tale sentenza da far risalire all'ottobre 2012 , giacché prima di tale momento la figlia non avrebbe potuto agire nei confronti della struttura perché non era ancora stata accertata in via definitiva la responsabilità dell'ospedale». In aggiunta, poi, il legale lamenta il «mancato riconoscimento dell'azione contrattuale nei confronti dell'ospedale da parte del familiare tenuto all'assistenza nei confronti del paziente leso». A questo proposito egli sostiene che «il contratto di spedalità ha effetti protettivi anche nei confronti di terzi e, quindi, anche nei confronti dei familiari del paziente che siano tenuti all'assistenza». Queste obiezioni non convincono però i Giudici di Cassazione, i quali evidenziano, invece, che «a fronte di una pretesa risarcitoria fondata sull'aggravamento dell'invalidità della madre – aggravamento collocato nel settembre del 2006 – che viene indicata come conseguente ai postumi residuati dall'intervento chirurgico risalente a data anteriore al 2001 , la figlia aveva la possibilità di far valere la sua pretesa risarcitoria anche prima del passaggio in giudicato della sentenza di appello pronunciata fra la madre e la struttura ospedaliera». In sostanza, «l'accoglimento della pretesa» dalla figlia «non era condizionato alla preventiva affermazione definitiva della responsabilità della struttura sanitaria», e comunque, annotano i Giudici, «già dal settembre del 2006 la figlia disponeva di tutti gli elementi necessari per esercitare il proprio diritto al risarcimento, essendosi determinata la situazione irreversibile di pregiudizio che si assumeva conseguente ai postumi residuati alla madre dall'intervento». Erroneo, inoltre, «l'assunto che i congiunti del paziente danneggiato in ambito sanitario possano fruire del termine prescrizionale decennale correlato alla responsabilità contrattuale medica». Ciò perché «è pacifico che la responsabilità della struttura sanitaria per i danni invocati iure proprio dai congiunti di un paziente danneggiato o deceduto è qualificabile come extracontrattuale, dal momento che, da un lato, il rapporto contrattuale intercorre unicamente col paziente, e dall'altro i parenti non rientrano nella categoria dei terzi protetti dal contratto, potendo postularsi l'efficacia protettiva verso terzi del contratto concluso tra il nosocomio ed il paziente esclusivamente ove l'interesse, del quale tali terzi siano portatori, risulti anch'esso strettamente connesso a quello già regolato sul piano della programmazione negoziale», come avviene, ad esempio, «nel contratto concluso dalla gestante con riferimento alle prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione».
Presidente Travaglino – Relatore Sestini Rilevato in fatto che premesso che la madre Sc.Br. aveva agito nei confronti del Policlinico S. M. di omissis per i danni subiti a seguito di un intervento di riduzione di frattura del femore, ottenendo il risarcimento con sentenze del 2001 di primo grado e del 2011 di secondo grado, passata in giudicato , M.C. , con atto notificato nell'aprile 2013, promosse un giudizio contro il medesimo Policlinico al fine di ottenere il risarcimento dei danni da lei patiti per aver dovuto prestare assistenza alla madre per le ore non coperte dalla badante , a causa dell'aggravamento della invalidità della stessa, precisando che ciò era avvenuto a partire dal mese di settembre 2006 il Tribunale di Venezia rigettò la domanda, con sentenza che è stata confermata in sede di gravame la Corte di Appello ha ritenuto che il diritto dei congiunti ad essere risarciti in via riflessa dalla struttura sanitaria e ciò a causa dell'esito infausto di un'operazione chirurgica subita dalla danneggiata principale, si colloca nell'ambito della responsabilità aquiliana ed è soggetto al termine di prescrizione quinquennale ex articolo 2947 c.c. , in quanto i congiunti non possono giovarsi del termine più lungo derivante dall'inquadramento contrattuale della responsabilità sanitaria ha aggiunto che, anche a voler far decorrere il termine prescrizionale dall'anno 2006, sarebbe comunque maturata la prescrizione quinquennale in quanto l'atto di citazione di primo grado primo atto interruttivo è stato introdotto solo nel 2013 ha proposto ricorso per cassazione la M. , affidandosi a tre motivi ha resistito il Policlinico con controricorso la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell'articolo 380 bis.1. c.p.c. entrambe le parti hanno depositato memoria. Considerato in diritto che col primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell'articolo 2935 c.c., assumendo che l'exordium praescriptionis dell'azione risarcitoria è da collocare nel luglio 2011 -data di pubblicazione della sentenza di appello nel giudizio promosso dalla Sc. nei confronti del Policlinico e, anzi, nella data di passaggio in giudicato di tale sentenza da far risalire all'ottobre 2012 , giacché prima di tale momento la M. non avrebbe potuto agire nei confronti del Policlinico perché non era ancora stata accertata in via definitiva la responsabilità dell'ospedale col secondo motivo, viene dedotta la violazione dell'articolo 1218 c.c., per mancato riconoscimento dell'azione contrattuale nei confronti dell'Ospedale da parte del familiare tenuto all'assistenza nei confronti del soggetto primario leso si assume che il contratto di spedalità ha effetti protettivi anche nei confronti di terzi e, quindi, anche nei confronti dei familiari del paziente che siano tenuti all'assistenza il terzo motivo denuncia, in subordine, la violazione dell'articolo 2948 c.c., sul rilievo che il danno non è tanto permanente, quanto costante , di talché, se la prescrizione dovesse essere quinquennale, tale danno può essere risarcito solo a partire dal quinquennio antecedente all'atto interruttivo della prescrizione , con la conseguenza che la parte precedente è prescritta, ma la parte del danno verificatosi entro il quinquennio a partire dalla citazione non è prescritto affatto tutti i motivi vanno disattesi, in quanto a fronte di una pretesa risarcitoria fondata sull'aggravamento dell'invalidità della madre collocato nel settembre 2006 , che la M. indica come conseguente ai postumi residuati alla Sc. dall'intervento chirurgico risalente a data anteriore al 2001 , la ricorrente aveva la possibilità di far valere la sua pretesa risarcitoria anche prima del passaggio in giudicato della sentenza di appello pronunciata fra la madre e la struttura ospedaliera invero, l'accoglimento della sua pretesa non era condizionato alla preventiva affermazione definitiva della responsabilità del Policlinico che avrebbe ben potuto costituire oggetto di accertamento incidentale all'interno dello stesso giudizio promosso dalla M. e già dal settembre 2006 l'attrice disponeva di tutti gli elementi necessari per esercitare il proprio diritto al risarcimento, essendosi determinata la situazione irreversibile di pregiudizio che si assumeva conseguente ai postumi residuati alla madre dall'intervento è erroneo l'assunto che i congiunti del paziente danneggiato in ambito sanitario possano fruire del termine prescrizionale decennale correlato alla responsabilità contrattuale medica è pacifico, infatti, che la responsabilità della struttura sanitaria per i danni invocati iure proprio dai congiunti di un paziente danneggiato o deceduto è qualificabile come extracontrattuale, dal momento che, da un lato, il rapporto contrattuale intercorre unicamente col paziente, e dall'altro i parenti non rientrano nella categoria dei terzi protetti dal contratto , potendo postularsi l'efficacia protettiva verso terzi del contratto concluso tra il nosocomio ed il paziente esclusivamente ove l'interesse, del quale tali terzi siano portatori, risulti anch'esso strettamente connesso a quello già regolato sul piano della programmazione negoziale Cass. numero 21404/2021 , come avviene specificamente nel contratto concluso dalla gestante con riferimento alle prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione cfr., in senso conforme, Cass. numero 14615/2020, Cass. numero 14258/2020 e Cass. numero 5590/2015, non massimata la censura svolta col terzo profilo è inammissibile, in quanto presenta evidenti profili di novità ponendo un tema che non risulta trattato dalla sentenza impugnata e rispetto al quale la ricorrente non indica se, quando e come l'abbia dedotto nei gradi di merito ed è, altresì, formulata in modo generico, senza precisare in quali termini e in relazione a quale delle ipotesi previste dall'articolo 2948 c.c. la Corte di merito sarebbe incorsa in errore di diritto il ricorso va pertanto, nel complesso, rigettato le spese di lite seguono la soccombenza sussistono le condizioni per l'applicazione del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarìe nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.