Il debitore esecutato rimasto inattivo non riporta, di regola, effetti negativi per l'irragionevole durata del processo esecutivo e, pertanto, «grava sullo stesso l'onere di allegare uno specifico interesse ad una celere espropriazione e di dimostrarne l'esistenza, nel rispetto degli ordinari criteri di riparto dell'onere della prova».
Con l'ordinanza in esame, la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulla mancata corresponsione in favore dei ricorrenti dell'indennizzo per la non ragionevole durata del processo civile di esecuzione promosso nei loro confronti. In particolare, i ricorrenti lamentano la violazione dell'articolo 6 CEDU, per non aver la Corte d'Appello ritenuto che un processo esecutivo durato per 25 anni avesse superato notevolmente il termine di durata ragionevole. A riguardo, la Suprema Corte ha chiarito che in tema di equa riparazione, il debitore esecutato rimasto inattivo non riporta, di regola, effetti negativi per l'irragionevole durata del processo esecutivo presupposto, preordinato al soddisfacimento dell'esclusivo interesse del creditore e, pertanto, non potendo operare nei suoi confronti la presunzione di danno non patrimoniale derivante dalla pendenza del processo, «grava sullo stesso l'onere di allegare uno specifico interesse ad una celere espropriazione e di dimostrarne l'esistenza, nel rispetto degli ordinari criteri di riparto dell'onere della prova» Cass. civ., numero 29139/2019 . Pertanto, qualora il debitore abbia svolto un ruolo in qualche misura attivo nella procedura esecutiva che lo riguarda, non può escludersi un suo interesse ad una rapida definizione della stessa, diversamente dall'ipotesi in cui, «avendo ivi mantenuto una posizione meramente passiva di attesa della liquidazione dei beni pignorati, non abbia palesato alcuna premura per il suo celere svolgimento, traendo, al contrario, vantaggio, dalla sua eccessiva durata». Ne consegue che la presunzione di danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo esecutivo non opera per l'esecutato, «poiché egli dall'esito del processo riceve un danno giusto». Per questi motivi, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Presidente Manna – Relatore Penta Ritenuto in fatto Con decreto numero 314/2019 del 2 luglio 2019 il Consigliere designato della Corte di Appello di Palermo rigettava il ricorso di B.V. e L.I.C. volto ad ottenere l'indennizzo per la non ragionevole durata del processo civile di esecuzione promosso nei loro confronti, dinanzi al Tribunale di Palermo, con atto di pignoramento immobiliare in data 26.04.1994 e conclusosi, a distanza di 25 anni, con provvedimento del g.e. del 5 marzo 2019 dichiarativo della parziale estinzione della procedura esecutiva. Avverso tale decisione proponevano opposizione i predetti debitori esecutati con ricorso depositato l'8.07.2019, chiedendone la riforma ed insistendo nelle originarie domande. Il Ministero, pur regolarmente citato, non si costituiva. Con decreto del 18.11.2019, la Corte d'appello di Palermo rigettava l'opposizione, sulla base delle seguenti considerazioni - il primo giudice aveva fatto corretta applicazione del costante e consolidato indirizzo della giurisprudenza, secondo cui la presunzione di danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo esecutivo non opera per l'esecutato, poiché egli dall'esito del processo riceve un danno giusto, sicché, ai fini dell'equa riparazione da durata irragionevole, l'esecutato ha l'onere di provare uno specifico interesse alla celerità dell'espropriazione, dimostrando che l'attivo pignorato o pignorabile fosse ab origine tale da consentire il pagamento delle spese esecutive e da soddisfare tutti i creditori e che spese ed accessori sono lievitati a causa dei tempi processuali in maniera da azzerare o ridurre l'ipotizzabile residuo attivo o la restante garanzia generica, altrimenti capiente - qualora il debitore abbia svolto un ruolo in qualche misura attivo nella procedura esecutiva che lo riguarda, non può escludersi un suo interesse ad una rapida definizione della stessa, diversamente dall'ipotesi in cui, avendo ivi mantenuto una posizione meramente passiva di attesa della liquidazione dei beni pignorati, non abbia palesato alcuna premura per il suo celere svolgimento, traendo, al contrario, vantaggio, dalla sua eccessiva durata - tenuto conto di tali principi, la parte opponente non poteva vantare alcun indennizzo, non avendo provato, nè chiesto di provare, che in partenza vi fossero concrete possibilità di soddisfare integralmente i debitori e di coprire le spese della procedura e che le spese e gli accessori fossero aumentati a causa dei ritardi processuali in maniera da azzerare o ridurre l'ipotizzabile residuo attivo o la restante garanzia generica, altrimenti capiente, di talché la durata eccessiva della procedura le avesse procurato uno specifico pregiudizio. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso B.V., anche in nome e per conto del padre B.G., e L.I.C., sulla base di un unico motivo. Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso. In prossimità dell'adunanza i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa. Ritenuto in diritto 1. Con l'unico motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell'articolo 6 CEDU, e della L. numero 89 del 2001, per non aver la corte d'appello ritenuto che un processo esecutivo durato per 25 anni avesse superato notevolmente il termine di durata ragionevole. 1.1. Il motivo è inammissibile, ai sensi dell'articolo 360 bis c.p.c., numero 1 . Anche di recente questa Corte ha ribadito il principio, dal quale non vi è ragione, in assenza di elementi nuovi di segno contrario esposti dai ricorrenti, di discostarsi, secondo cui, in tema di equa riparazione, il inattivo non riporta, di regola, effetti negativi per l'irragionevole durata del processo esecutivo presupposto, preordinato al soddisfacimento dell'esclusivo interesse del creditore e, pertanto, non potendo operare nei suoi confronti la presunzione di danno non patrimoniale derivante dalla pendenza del processo, grava sullo stesso l'onere di allegare uno specifico interesse ad una celere espropriazione e di dimostrarne l'esistenza, nel rispetto degli ordinari criteri di riparto dell'onere della prova Sez. 6 - 2, Ordinanza numero 29139 del 11/11/2019 conf. Sez. 6 - 2, Ordinanza numero 35239 del 18/11/2021 . Da ciò consegue che il debitore esecutato - a differenza del contumace nell'ambito di un processo dichiarativo - è soggetto al potere coattivo del creditore, recuperando solo nelle eventuali fasi d'opposizione ex articolo 615 e 617 c.p.c., la cui funzione è diretta a stabilire un separato ambito di cognizione, la pienezza della posizione di parte, con possibilità di svolgere contraddittorio e difesa tecnica Sez. 6 - 2, Sentenza numero 89 del 07/01/2016 conf. Sez. 6 - 2, Ordinanza numero 29139 del 11/11/2019 . In definitiva, qualora il debitore abbia svolto un ruolo in qualche misura attivo nella procedura esecutiva che lo riguarda, non può escludersi un suo interesse ad una rapida definizione della stessa diversamente dall'ipotesi in cui, avendo ivi mantenuto una posizione meramente passiva di attesa della liquidazione dei beni pignorati, non abbia palesato alcuna premura per il suo celere svolgimento, traendo, al contrario, vantaggio, dalla sua eccessiva durata. Va altresì ribadito l'altro principio per cui la presunzione di danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo esecutivo non opera per l'esecutato, poiché egli dall'esito del processo riceve un danno giusto. Pertanto, ai fini dell'equa riparazione da durata irragionevole, l'esecutato ha l'onere di provare uno specifico interesse alla celerità dell'espropriazione, dimostrando che l'attivo pignorato o pignorabile fosse ab origine tale da consentire il pagamento delle spese esecutive e da soddisfare tutti i creditori e che spese ed accessori sono lievitati a causa dei tempi processuali in maniera da azzerare o ridurre l'ipotizzabile residuo attivo o la restante garanzia generica, altrimenti capiente Sez. 6 - 04/05/2022 - 2, Sentenza numero 14382 del 09/07/2015 conf. Sez. 2, Ordinanza numero 523 del 14/01/2021 . La deduzione, peraltro non risultante dal decreto impugnato, secondo cui, a fronte di un credito di Euro 29.498,62, il patrimonio del soggetto esecutato ammontava ad oltre 300.000,00 Euro pag. 6 del ricorso , oltre che tardiva, integra gli estremi di una mera asserzione di parte, come tale priva di qualsivoglia fondamento probatorio. 2. In definitiva, il ricorso è inammissibile. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Non sussistono i presupposti di legge per l'applicabilità del raddoppio del contributo unificato come previsto dal D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater , sulla scorta del disposto dell'articolo 10 dello stesso T.U. numero 115/2002 cfr. Cass. numero 2273/2019 e Cass. SU numero 19883/2019 e, quindi, in virtù dell'esenzione dal pagamento di tale contributo per le domande proposte ai sensi della L. numero 89 del 2001. P.Q.M. La Corte - dichiara inammissibile il ricorso - condanna i ricorrenti al rimborso delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 1.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.