Quando spetta l’indennità di sopraelevazione?

L'indennità di sopraelevazione è dovuta dal proprietario dell'ultimo piano di un edificio condominiale ai sensi dell'articolo 1127 c.c. non solo in caso di realizzazione di nuovi piani o nuove fabbriche, ma anche per la trasformazione dei locali preesistenti mediante l'incremento delle superfici e delle volumetrie indipendentemente dall'aumento dell'altezza del fabbricato.

La vicenda da cui origina la questione sottoposta all'esame della Corte di Cassazione riguarda il ricorso presentato dal proprietario di un immobile sito al piano rialzato di un condominio avverso i lavori edilizi realizzati dal proprietario dell'ultimo piano dello stabile. In particolare, il proprietario dell'appartamento del piano rialzato contestava all'inquilino dell'ultimo piano di aver edificato una nuova costruzione in sopraelevazione con relativa realizzazione del balcone a distanza inferiore a quella legale dalla sottostante veduta del suo immobile. Il ricorso è fondato, in quanto le nuove costruzioni in appoggio al muro devono rispettare la distanza di tre metri dalla soglia delle vedute preesistenti, e che tale distanza opera, anche in senso verticale, «nei riguardi delle costruzioni sottostanti non solo le finestre ma anche i balconi con riguardo al loro piano di calpestio». A tal proposito, la Corte di Cassazione ha già avuto modo di chiarire che la proprietà della colonna d'aria cioè lo spazio sovrastante il lastrico solare , non costituendo oggetto di diritti e quindi di proprietà autonoma rispetto a quella del lastrico solare, va intesa come il diritto del proprietario di utilizzare lo spazio sovrastante mediante la sopraelevazione ciò, peraltro, non comporta per il proprietario che intenda sopraelevare l'esonero dall'obbligo di corrispondere agli altri condomini l'indennità prevista dall'articolo 1127 c.c., salvo che non vi sia accettazione dei medesimi e, perciò, conseguente rinuncia all'indennità da parte di tutti i proprietari dei piani sottostanti Cass. civ., numero 22932/2004 . L'indennità di sopraelevazione, dunque, è dovuta dal proprietario dell'ultimo piano di un edificio condominiale ai sensi dell'articolo 1127 c.c. non solo in caso di realizzazione di nuovi piani o nuove fabbriche, ma anche per la trasformazione dei locali preesistenti mediante l'incremento delle superfici e delle volumetrie indipendentemente dall'aumento dell'altezza del fabbricato, traendo tale indennità fondamento dall'aumento proporzionale del diritto di comproprietà sulle parti comuni conseguente all'incremento della porzione di proprietà esclusiva e, in applicazione del principio di proporzionalità, «si determina sulla base del magqior valore dell'area occupata ai sensi del citato articolo 1127, comma 4, c.c.». Per questi motivi, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello.

Presidente Bertuzzi – Relatore Carrato Ritenuto in fatto 1. Con atto di citazione dell'aprile 2005 T.D.A. , sulla premessa di essere proprietario di un appartamento ubicato al piano rialzato, sito in omissis , ricoperto da lastrico solare di proprietà esclusiva di G.S. sul quale lo stesso aveva edificato una nuova costruzione in sopraelevazione con relativa realizzazione di balcone aggettante munito di sporti a distanza inferiore a quella legale dalla sottostante veduta del suo immobile, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Brindisi - sez. dist. di Fasano, lo stesso G. per sentir accertare l'illegittimità di detta costruzione in ordine alla verificatasi violazione delle distanze legali, con conseguente ripristino dei luoghi, risarcimento dei danni e la corresponsione della dovuta indennità a seguito del maggior utilizzo delle parti comuni ai sensi dell'articolo 1127 c.c. Nella costituzione del convenuto, il quale instava per il rigetto della domanda, l'adito Tribunale, con sentenza numero 190/2012, accoglieva parzialmente quest'ultima, condannando il G. al pagamento della complessiva somma di Euro 6.400,00, a titolo di risarcimento dei danni, respingendo tutte le altre richieste. 2. Decidendo sull'appello formulato dal T., cui resisteva l'appellato, la Corte di appello di Lecce, con sentenza numero 410/2017 pubblicata il 5 aprile 2017 , rigettava il gravame, confermando l'impugnata sentenza e condannando l'appellante alla rifusione delle spese del grado. A sostegno dell'adottata pronuncia la Corte salentina riteneva, innanzitutto, infondati i motivi sull'asserita omessa decisione del giudice di prime cure in ordine al rigetto della domanda riferita al balcone con relativi sporti, invece appositamente considerate e ravvisate come non meritevoli di accoglimento, così come in relazione alla richiesta di disapplicazione della DIA formulata in primo grado con la memoria di cui all'articolo 183 c.p.c. Il giudice di appello riteneva, inoltre, destituita di fondamento la censura circa il mancato riconoscimento dell'indennità di sopraelevazione prevista dal citato articolo 1127 c.c., sul presupposto che l'appellante - cui incombeva il relativo onere - non aveva fornito la prova della comproprietà della colonna d'aria soprastante il lastrico solare. Infine, la Corte di appello rilevava che correttamente con la sentenza di primo grado, stante l'esito della controversia, era stata disposta la compensazione delle spese giudiziali. 3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, riferito a tre motivi, il T.D.A. L'intimato G.S. ha resistito con controricorso. Considerato in diritto 1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato - ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 - la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 116 c.p.c., comma 2, per essere incorsa la Corte di appello, nell'impugnata sentenza, in un errore nella valutazione delle risultanze della c.t.u. avuto riguardo, in concreto, alla individuazione delle misure che si era trasferito nella ricostruzione del fatto e che, quindi, aveva comportato l'omessa applicazione dell'articolo 907 c.c., in relazione al rispetto delle distanze legali delle costruzioni dalle vedute, non essendosi tenuto conto che ove la costruzione nella cui nozione si sarebbe dovuto ricomprendere anche il balcone risulti edificata a distanza inferiore a quella di tre metri prescritta dalla richiamata norma, la domanda di riduzione in pristino avrebbe dovuto essere accolta a prescindere da ogni valutazione in concreto se la costruzione stessa fosse o meno idonea ad impedire o ad ostacolare l'esercizio della veduta. 2. Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto - con riferimento all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 4 - il vizio di nullità dell'impugnata sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 132 c.p.c., comma 4 recte comma 2, numero 4 , ai sensi dell'articolo 156 c.p.c., comma 2 e dell'articolo 111 Cost., per aver la Corte di appello rigettato la domanda di riduzione in pristino del balcone e degli sporti con motivazione apparente , perché articolata attraverso brevi proposizioni assolutamente inidonee al raggiungimento dello scopo di evidenziare il ragionamento logico eseguito. 3. Con la terza ed ultima doglianza il ricorrente ha prospettato - in ordine all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 - la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 1127 c.c., comma 4, per aver la Corte di appello erroneamente richiesto la prova della comproprietà della colonna d'aria soprastante il lastrico solare in capo ad esso ricorrente al fine del riconoscimento dell'indennità di sopraelevazione che, per contro, trova il suo fondamento nella necessità di una misura compensativa della riduzione del valore delle quote di pertinenza degli altri condomini sulla comproprietà del suolo comune conseguente all'avvenuta esecuzione della sopraelevazione stessa. 4. Rileva il collegio che i primi due motivi - esaminabili congiuntamente in quanto tra loro connessi - sono fondati per le ragioni che seguono. Occorre osservare che la Corte di appello, malgrado con la domanda introduttiva le cui ragioni risultano essere state reiterate in appello a sostegno della critica mossa avverso la sentenza di prime cure, per quanto emergente adeguatamente anche dal contenuto del ricorso il T. avesse chiesto l'accertamento dell'illegittimità della costruzione, da parte del G. , di un balcone aggettante sulla OMISSIS edificato nel corso dei lavori edili riguardanti il piano sovrastante, la cui soletta ed i cui sporti si sarebbero dovuti ritenere posti a distanza inferiore a quella prevista dall'articolo 907 c.c., dalla sottostante finestra del vano bagno dell'immobile di esso T. provocando anche la diminuzione della fruizione di aria, luce e veduta dello stesso vano , non ha valutato la sussistenza o meno di detta violazione alla stregua delle risultanze delle c.t.u. da cui era emerso che il balcone sporgeva per 1 metro, la sua superficie di intradosso distasse 25 cm dal lato superiore della finestra di esso ricorrente e presentasse due mensole fiancheggianti distanti dai lati verticali della finestra stessa 27 e 17 cm , pur avendo verificato lo stato dei luoghi in modo corrispondente a quello prospettato dallo stesso attore v. pag. 5 dell'impugnata sentenza , restando, ovviamente, irrilevanti i provvedimenti autorizzativi amministrativi, siccome non opponibili ai terzi e non legittimanti, quindi, la lesione dei loro diritti. Il giudice di appello, invero, non ha rilevato che con riferimento al balcone, determinante un incremento di superficie dell'unità immobiliare soprastante di proprietà del G. , della quale costituiva un prolungamento, andava applicata - in relazione al rispetto della distanza dalla corrispondente sottostante finestra-veduta dell'immobile del T. - la disciplina prevista proprio dal denunciato articolo 907 c.c. la cui prescrizione - contemplante il rispetto della distanza minima di tre metri, pacificamente non osservata nel caso di specie sulla scorta delle due espletate c.t.u. ha natura assoluta , trattandosi di manufatto che, in relazione alla sua struttura e destinazione, presentava un carattere di stabilità e permanenza cfr. Cass. numero 12097/1995 e Cass. numero 11199/200 . Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte v., ad es., Cass. numero 4797/1988 e Cass. numero 5618/1995 ha più volte precisato - e al relativo principio di diritto dovrà uniformarsi il giudice di rinvio - che la disposizione dell'articolo 907 c.c., comma 3, secondo cui le nuove costruzioni in appoggio al muro devono rispettare la distanza di tre metri dalla soglia delle vedute preesistenti, deve essere intesa nel senso che tale distanza opera, anche in senso verticale, nei riguardi delle costruzioni sottostanti non solo le finestre ma anche i balconi con riguardo al loro piano di calpestio. Ed infatti, ai fini della disposizione anzidetta, il termine costruzione non va inteso in senso restrittivo di manufatto in calce o in mattoni o in conglomerato cementizio, ma in quello di qualsiasi opera che, qualunque ne sia la forma e destinazione, ostacoli l'esercizio di una veduta. Ed è altrettanto pacifico che la distanza di tre metri dalle vedute prescritta dall'articolo 907 c.c., per le nuove costruzioni, al pari di ogni altra distanza prescritta dalla legge per disciplinare i rapporti di vicinato, ha carattere assoluto, essendo stata predeterminata dal legislatore in via generale ed astratta, senza che al giudice sia consentito alcun margine di discrezionalità sia nella valutazione della esistenza della violazione della distanza, sia nella valutazione relativa alla dannosità e pericolosità della posizione della nuova costruzione rispetto alla veduta del vicino cfr., ex plurimis, Cass. numero 15376/2001, Cass. numero 213/2006 e Cass. numero 8691/2017 . 5. Anche il terzo ed ultimo motivo è manifestamente fondato. Va premesso, innanzitutto, che costituisce sopraelevazione, disciplinata dall'articolo 1127 c.c., non solo la realizzazione di nuove opere, consistenti in nuovi piani o nuove fabbriche, bensì anche la trasformazione di locali preesistenti mediante l'incremento di volumi e superfici nell'area sovrastante il fabbricato da parte del proprietario dell'ultimo piano. Orbene, sulla base di tale presupposto, alla stregua di tutta la conforme e condivisibile giurisprudenza di questa Corte successiva al precedente citato rimasto isolato nell'impugnata sentenza Cass. numero 5556/1988 , si deve affermare che, in tema di condominio, la proprietà della colonna d'aria cioè lo spazio sovrastante il lastrico solare non costituendo oggetto di diritti e quindi di proprietà autonoma rispetto a quella del lastrico solare, va intesa come il diritto del proprietario di utilizzare lo spazio sovrastante mediante la sopraelevazione ciò, peraltro ed è quel che rileva direttamente in questa sede , non comporta per il proprietario che intenda sopraelevare l'esonero dall'obbligo di corrispondere agli altri condomini l'indennità prevista dall'articolo 1127 c.c., salvo che non vi sia - circostanza rimasta esclusa nel caso di specie - accettazione dei medesimi e, perciò, conseguente rinunzia all'indennità da parte di tutti i proprietari dei piani sottostanti v, soprattutto, Cass. numero 22932/2004, Cass. SU numero 16794/2007 e Cass. numero 24327/2011 . In altri termini e a questo ulteriore principio di diritto dovrà uniformarsi il giudice di rinvio , l'indennità di sopraelevazione è dovuta dal proprietario dell'ultimo piano di un edificio condominiale ai sensi dell'articolo 1127 c.c., non solo in caso di realizzazione di nuovi piani o nuove fabbriche, ma anche per la trasformazione dei locali preesistenti mediante l'incremento delle superfici e delle volumetrie indipendentemente dall'aumento dell'altezza del fabbricato, traendo tale indennità fondamento dall'aumento proporzionale del diritto di comproprietà sulle parti comuni conseguente all'incremento della porzione di proprietà esclusiva e, in applicazione del principio di proporzionalità, si determina sulla base del maggior valore dell'area occupata ai sensi del citato articolo 1127 c.c., comma 4. 5. In definitiva, in virtù delle complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere integralmente accolto, con la conseguente cassazione dell'impugnata sentenza e il derivante rinvio della causa alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, che, oltre ad uniformarsi agli enunciati principi di diritto, provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione.