Interdizione temporanea dai pubblici uffici e Legge Severino

La Corte di Cassazione, con sentenza numero 14025/2022, respinge il ricorso di un imputato, sospeso sia dalla carica di consigliere comunale sia in via cautelare da quella di impiegato comunale.

Un imputato, condannato per peculato, ricorre in Cassazione deducendo di aver subito gli effetti dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici in virtù della sospensione di diritto dalla carica di consigliere comunale, ed invoca l'applicazione dei principi affermati dalla Consulta nella sentenza numero 68/2001 in tema di equiparazione delle sanzioni formalmente amministrative alle sanzioni penali. La doglianza è infondata. I provvedimenti in forza dei quali sono state disposte la sospensione di diritto dell'accusato dalla carica di consigliere comunale e quella cautelare dal servizio di impiegato comunale hanno natura ammnistrativa. Ne consegue che non può trovare applicazione il disposto dell'articolo 661, comma 2, c.p.p., in forza del quale «nella durata delle pene accessorie temporanee applicate dal giudice penale tra le quali anche l'interdizione dai pubblici uffici deve essere computata la misura interdittiva di contenuto corrispondente che fosse stata eventualmente disposta, a titolo cautelare, nei riguardi dell'imputato con provvedimento dell'autorità giudiziaria» nei casi previsti dagli articolo 287 e segg. del codice di rito. Infatti, le pene accessorie sono caratterizzate «dalla natura afflittiva tipica della sanzione penale e conseguono di diritto, alla stregua del disposto dell'articolo 10 c.p., alla condanna alla pena principale come effetto automatico della stessa» Cass. numero 8280/2008 . Inoltre, i provvedimenti amministrativi previsti dagli articolo 10 e 11, d.lgs. numero 235/2012 c.d. Legge Severino e dell'articolo 4, l. numero 97/2001, in materia di sospensione cautelare dal servizio del dipendente pubblico in funzione disciplinare, assolvono «ad esigenze proprie della funzione amministrativa e della pubblica amministrazione presso la quale il soggetto colpito presta servizio, con compiti di natura essenzialmente preventiva e cautelare». Anche la Corte EDU si è pronunciata a riguardo, escludendo la natura di sanzioni penali delle disposizioni della Legge Severino e la loro conseguente soggezione ai principi contenuti nell'articolo 7 della Convenzione. Per tutti questi motivi il Collegio rigetta il ricorso e condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali.

Presidente Siani – Relatore Sandrini Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe la Corte d'appello di L'Aquila, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha corretto l'errore contenuto nel dispositivo della sentenza pronunciata il 4.04.2018 dalla medesima Corte territoriale, sostituendo la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, applicata a D.G. per il reato di cui all'articolo 314 c.p. commesso in epoca antecedente l'anno 2012, con quella dell'interdizione temporanea per la durata di cinque anni per effetto del contenimento della pena principale nella misura di due anni di reclusione ha contestualmente rigettato l'istanza del condannato di dichiarare espiata la pena accessoria, non essendo prevista alcuna fungibilità della stessa con la sospensione di diritto prevista dal D.Lgs. numero 235 del 2012, articolo 10 e 11 e con la sospensione cautelare amministrativa dal servizio ex L. numero 97 del 2001, articolo 4 applicate al D. in relazione ai medesimi fatti. 2. Ricorre per cassazione D.G. , a mezzo del difensore, deducendo violazione dell'articolo 28 c.p., in relazione al D.Lgs. numero 235 del 2012, articolo 10 e 11 e L. numero 97 del 2001, articolo 4 e articolo 666 c.p.p., comma 6 e articolo 662 c.p.p., con riguardo all'omessa equiparazione agli effetti penali dell'interdizione dai pubblici uffici alle misure previste dalle disposizioni sopra indicate. Il ricorrente deduce di avere già subito gli effetti dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici in virtù della sospensione di diritto dalla carica di consigliere comunale di disposta il 31.03.2017 dal Prefetto di Pescara ai sensi del D.Lgs. numero 235 del 2012, articolo 10 e 11 e della sospensione cautelare dal servizio quale impiegato dipendente del Comune di Pescara disposta l'1.02.2017 dal dirigente del Comune ex L. numero 97 del 2001, articolo 4 invoca l'applicazione dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza numero 68 del 2021 in tema di equiparazione delle sanzioni formalmente amministrative alle sanzioni penali, essendo scaturite le misure amministrative, come sopra applicate, dai medesimi fatti-reato fondanti l'applicazione dell'articolo 28 c.p. e stante la natura afflittiva di tali misure, che ne legittimavano l'imputazione a titolo di presofferto, ex articolo 662 c.p.p., comma 2 all'espiazione della pena accessoria con decorrenza dall'1.02.2017 o almeno dal 31.03.2017. 3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato, per le ragioni che seguono. 2. I provvedimenti in forza dei quali sono state disposte la sospensione di diritto del ricorrente dalla carica di consigliere comunale e quella cautelare dal servizio di impiegato comunale hanno - pacificamente - natura amministrativa, essendo stati adottati dal Prefetto di Pescara e dal dirigente del Comune di nell'ambito delle rispettive competenze con riguardo agli stessi non può dunque trovare applicazione il disposto dell'articolo 662 c.p.p., comma 2 in forza del quale nella durata delle pene accessorie temporanee applicate dal giudice penale tra le quali anche la interdizione dai pubblici uffici deve essere computata la misura interdittiva di contenuto corrispondente che fosse stata eventualmente disposta, a titolo cautelare, nei riguardi dell'imputato con provvedimento dell'autorità giudiziaria nei casi previsti dagli articolo 287 e segg 3. Non vi è coincidenza nè sovrapponibilità di natura, di funzione e di contenuti tra le pene accessorie, e in particolare per quanto qui interessa quella della interdizione temporanea dai pubblici uffici, che priva il condannato di una serie di capacità, diritti, uffici e incarichi pubblici, qualifiche, titoli, gradi e dignità, puntualmente elencati nell'articolo 28 c.p., e le sospensioni di natura amministrativa dalla carica elettiva e dall'impiego pubblico come sopra disposte nei confronti del D. , rispetto alle quali la pena accessoria interdittiva si connota per un contenuto ben più ampio si tratta di titoli diversi, adottati all'esito di procedimenti diversi, che sono diretti al soddisfacimento di finalità giuridiche e sociali differenti e sottoposti a regole applicative distinte, con riguardo sia ai presupposti applicativi che ai relativi giudizi valutativi. Le pene accessorie, infatti, sono caratterizzate dalla natura afflittiva tipica della sanzione penale e conseguono di diritto, alla stregua del disposto dell'articolo 20 c.p., alla condanna alla pena principale come effetto automatico della stessa Sez. 5 numero 8280 del 22/01/2008, Rv. 239474 i provvedimenti amministrativi previsti del D.Lgs. numero 235 del 2012, articolo 10 e 11 cd. legge Severino e dalla L. numero 97 del 2001, articolo 4 in materia di sospensione cautelare dal servizio del dipendente pubblico in funzione disciplinare, assolvono invece ad esigenze proprie della funzione amministrativa e della pubblica amministrazione presso la quale il soggetto colpito presta servizio, con compiti di natura essenzialmente preventiva e cautelare. Ciò è stato espressamente riconosciuto e affermato, con riferimento alle misure della incandidabilità, della decadenza e della sospensione dalle cariche pubbliche elettive stabilite dal D.Lgs. numero 235 del 2012, anche dalla Corte costituzionale, in particolare nella sentenza numero 276 nel 2016, che, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale prospettate sotto il profilo della ipotizzata violazione all'articolo 25 Cost., comma 2, ha escluso la soggezione di tali misure al principio di irretroattività tipico delle sanzioni penali e delle sanzioni amministrative di natura punitiva-afflittiva, sul presupposto del carattere non punitivo delle misure in esame, che rappresentano mere conseguenze del venir meno di un requisito soggettivo per l'accesso alle cariche pubbliche considerate. Non pertinente si rivela, pertanto, il richiamo operato dal ricorrente alla più recente sentenza della Consulta numero 68 del 2021, che riguarda dichiaratamente l'applicazione delle sanzioni amministrative a carattere sostanzialmente punitivo, come la revoca della patente di guida applicata a titolo di sanzione accessoria dal giudice penale all'esito di un procedimento di natura giurisdizionale, e dunque una fattispecie non comparabile a quella in esame. Anche la Corte EDU, del resto, si è pronunciata in termini conformi sull'argomento, escludendo la natura di sanzioni penali delle disposizioni della cd. legge Severino e la loro conseguente soggezione ai principi contenuti nell'articolo 7 della Convenzione, con specifico riguardo alla loro denegata riconducibilità alla pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici disciplinata dall'articolo 28 c.p. Corte EDU, Sez. I, sentenze 17 giugno 2021, Galan c. Italia e Miniscalco c. Italia . Identiche conclusioni si impongono, a maggior ragione, con riguardo alla sospensione cautelare dall'impiego pubblico prevista dalla L. numero 97 del 2001, articolo 4 disposta nell'ambito di un procedimento, quello disciplinare, perseguente finalità strutturalmente diverse dal processo penale. 4. L'ordinanza impugnata ha dunque correttamente escluso la fungibilità delle sospensioni amministrative applicate al D. con la pena accessoria irrogata ex articolo 28 c.p., in puntuale applicazione dei suddetti principi di diritto, risultando immune da ogni censura. 5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.