La violazione del divieto della reformatio in peius del giudice dell’impugnazione

«Viola il divieto della reformatio in peius il giudice dell’impugnazione che, riconosciuta la continuazione esterna, individuato il reato più grave in quello già giudicato con sentenza irrevocabile, determina la pena base in misura superiore a quella stabilita con detta sentenza».

Con sentenza impugnata la Corte d'Appello di Palermo aveva assolto A.M., D.S. e M.P. dal reato di associazione pe delinquere, perché il fatto non sussisteva e aveva rideterminato le pene inflitte, previo riconoscimento del vincolo di continuazione con il reato di truffa. A.M. e D.S. hanno proposto due distinti ricorsi per Cassazione. Il ricorso di A.M. sul trattamento sanzionatorio determinato in misura superiore al quadruplo della pena minima detentiva di quattro mesi di reclusione è stato dichiarato inammissibile. Il Collegio infatti specifica che il trattamento sanzionatorio per A.M. era stato giustamente determinato sulla base di un giudizio di congruità, in misura prossima al medio edittale, considerando anche l'aumento della metà per la riconosciuta recidiva reiterata. Pertanto secondo la Corte di Cassazione, il percorso argomentativo della Corte territoriale non poteva considerarsi carente delle motivazioni che avevano portato alla decisione. Il ricorso proposto invece da D.S., sulla base di due motivi di doglianza è stato accolto per quanto riguarda la determinazione della pena per il delitto di truffa individuato come reato più grave e non più quale reato satellite, determinando una errata pena detentiva superiore a quella realmente prevista. Infatti, ritiene il Collegio che anche nell'ipotesi in cui la continuazione esterna venga riconosciuta con riferimento a reati già giudicati con sentenza non irrevocabile, come nel caso di specie, il giudice dell'impugnazione non possa infliggere una pena superiore a quella già determinata con la sentenza. Alla luce di queste considerazioni, la Corte di Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto «viola il divieto della reformatio in peius il giudice dell'impugnazione che, riconosciuta la continuazione esterna, individuato il reato più grave in quello già giudicato con sentenza irrevocabile, determina la pena base in misura superiore a quella stabilita con detta sentenza». Pertanto, il Collegio annulla il disposto della sentenza impugnata nei confronti della ricorrente D.S. e dichiara inammissibile il ricorso di A.M.

Presidente Ricciarelli – Relatore Tripiccione Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Palermo, decidendo quale giudice di rinvio, ha assolto M.A., S.D. e P.M. dal reato di cui all'articolo 416 c.p., capi A e B perché il fatto non sussiste, e rideterminato la pena inflitta al M. per il reato di cui al capo F in anni due e mesi tre di reclusione e quella inflitta alla S. per i reati di cui ai capi C ed F, previo riconoscimento del vincolo della continuazione con il reato di truffa di cui alla sentenza del 17 giugno 2013 del Tribunale di Palermo, in anni uno e mesi otto di reclusione, revocando le pene accessorie inflitte e confermando nel resto la sentenza di primo grado. 2. Propongono separati ricorsi per cassazione i difensori di fiducia di M.A. e S.D 2.1 M.A. deduce vizi cumulativi di violazione di legge e di carenza di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio in quanto determinato in misura superiore al quadruplo della pena minima di quattro mesi di reclusione. 2.2 S.D. deduce due motivi di ricorso, di seguito riportati nei limiti strettamente necessari alla motivazione. Con il primo motivo deduce la violazione dell'articolo 597 c.p.p., commi 3 e 4, in quanto la pena per il delitto di truffa, individuato come reato più grave e non più quale reato stellite, è stata determinata in misura superiore a quella di mesi otto di reclusione inflitta con la sentenza del 17 giugno 2013. Con il secondo motivo deduce la violazione dell'articolo 597 c.p.p., commi 3 e 4, per l'omessa concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, già concesso all'imputata con la sentenza del Tribunale di Palermo del 17 giugno 2013 e non revocato dalla sentenza della Corte di appello del 28 gennaio 2016. Considerato in diritto 1. Il ricorso proposto da M.A. è inammissibile per manifesta infondatezza del motivo dedotto. È, invece, fondato il ricorso proposto da S.D. per le ragioni di seguito esposte. 2. Il motivo dedotto da M.A. è manifestamente infondato. L'imputato è stato condannato per il reato continuato di cui agli articolo 477 e 482 c.p., in relazione alla formazione di due false carte di identità capo F . Il trattamento sanzionatorio è stato determinato, sulla base di un giudizio di congruità, in misura prossima al medio edittale, considerando, altresì, l'aumento della metà per la riconosciuta recidiva reiterata. Rileva il Collegio che il percorso argomentativo adottato dalla Corte territoriale non può considerarsi carente nè affetto dal denunciato vizio di violazione di legge. Secondo un principio di diritto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione qualora venga irrogata una pena al di sotto della media edittale Sez. 3, numero 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 2715288 . È stato, infatti, precisato che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p., con espressioni del tipo pena congrua , pena equa o congruo aumento , come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale Sez. 2, numero 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243 Sez. 4, numero 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283 . 3. Passando all'esame del ricorso proposto da S.D., appare, innanzitutto, opportuno ricostruire il contenuto delle sentenze di condanna che hanno riguardato la sua posizione - con sentenza del 22 aprile 2014 il Tribunale di Palermo ha dichiarato S.D. colpevole dei reati di cui all'articolo 416 c.p., capo A , articolo 494 c.p. capo C e articolo 81,477 e 482 c.p., capo F e, ritenuta la continuazione, l'ha condannata alla pena di anni tre e mesi cinque di reclusione - con sentenza del 28 gennaio 2016, la Corte di appello di Palermo, previa riunione del procedimento ad altro definito con sentenza del Tribunale di Palermo del 17 giugno 2013 di condanna della S.per i reati di truffa capo 1 , falso in scrittura privata capo 2 e fabbricazione di documenti falsi capo 3 , in parziale riforma di tale ultima sentenza, ha assolto la S. dal reato ascritto al capo 3 e rideterminato la pena inflitta in mesi otto di reclusione. - Con sentenza numero 12575 del 24 novembre 2017 la Seconda sezione di questa Corte ha annullato senza rinvio la sentenza del 28 gennaio 2016 limitatamente al capo 2 perché il fatto non è previsto dalla legge come reato ed eliminato la relativa pena ha annullato con rinvio quanto ai capi A e B della sentenza del Tribunale di Palermo del 22 aprile 2014 ha dichiarato irrevocabile l'affermazione di responsabilità della S.     per i capi C ed F della medesima sentenza e per il capo 1 della sentenza del 17 giugno 2013 rinviando per il relativo trattamento sanzionatorio. La sentenza impugnata, una volta assolta la S. dai reati ascritti ai capi A e B, ha riconosciuto la continuazione esterna tra i reati rubricati ai capi C ed F e quello di truffa di cui al capo 1 della sentenza di condanna del 17 giugno 2013, individuando tale ultimo reato quale reato più grave e determinando la relativa pena base in anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 100,00 di multa. 3.1 Alla luce della ricostruzione che precede, ritiene il Collegio che sia fondato il primo motivo di ricorso. Giova, innanzitutto premettere che, secondo la costante esegesi offerta dalla dottrina e dalla giurisprudenza di legittimità, la ratio del più mite trattamento sanzionatorio conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione tra reati risiede nel giudizio di minore pericolosità del reo che cede una sola volta ai motivi a delinquere quando concepisce il disegno criminoso. Va, inoltre, aggiunto che qualora detto vincolo venga riconosciuto in sede esecutiva articolo 671 c.p.p. ovvero in sede di cognizione, ma in relazione ad altri reati già giudicati con sentenza irrevocabile Sez. U, numero 7682 del 21/06/1986, Nicolini, Rv. 173419 , nella determinazione del trattamento sanzionatorio occorre tenere conto del limite costituito dall'intangibilità in peius del giudicato. In ragione di ciò, con riferimento al riconoscimento della continuazione in sede esecutiva, si è affermato che il giudice dell'esecuzione, nel procedere alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio per effetto dell'applicazione della disciplina del reato continuato, non può quantificare gli aumenti dli pena per i reati-satellite in misura superiore a quelli fissati dal giudice della cognizione con la sentenza irrevocabile di condanna Sez. U, numero 6296 del 24/11/2016, dep. 2017, Nocerino, Rv. 268735 . Ritiene il Collegio che anche nell'ipotesi in cui la continuazione esterna venga riconosciuta con riferimento a reati già giudicati con sentenza non irrevocabile, come accaduto nella fattispecie in esame, il giudice della impugnazione non possa, nella determinazione del trattamento sanzionatorio, infliggere una pena superiore a quella già determinata con detta sentenza. L'ipotesi in esame esula, infatti, dal perimetro applicativo del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza numero 16208 del 27/03/2014 secondo il quale non viola il divieto di reformatio in peius previsto dall'articolo 597 c.p.p. il giudice dell'impugnazione che, quando muta la struttura del reato continuato come avviene se la regiudicanda satellite diventa quella più grave o cambia la qualificazione giuridica di quest'ultima , apporta per uno dei fatti unificati dall'identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore. Rv. 258653 . Tale principio trova, infatti, applicazione nel caso in cui, per effetto delle determinazioni del giudice dell'impugnazione, si determina un mutamento della struttura del reato continuato, come definita con la sentenza di primo grado. Si tratta, dunque, di un principio che presuppone una cognizione piena del fatto da parte del giudice dell'impugnazione ed una diversa composizione della struttura del reato continuato rispetto a quella individuata dal giudice di primo grado. Tale cognizione piena difetta, invece, nel caso in cui la struttura del reato continuato si venga a comporre in relazione a fattispecie di reato esterne all'oggetto del giudizio principale, già giudicate, con sentenza anche non irrevocabile, all'esito di differenti giudizi di cognizione. In tale ipotesi, il limite del divieto di reformatio in peius opera anche in relazione alle fattispecie esterne , cosicché sarà configurabile una sua violazione nel caso in cui il giudice dell'impugnazione determini per i reati già giudicati una pena maggiore di quella stabilita in sentenza, sia essa individuata quale pena base o a titolo di aumento. 3.2 La soluzione adottata dalla sentenza impugnata si pone in linea asimmetrica rispetto a tali coordinate ermeneutiche, avendo determinato il trattamento sanzionatorio per il reato di truffa, individuato quale reato più grave, in misura superiore a quella complessivamente inflitta con la relativa sentenza di condanna mesi otto di reclusione e, dunque, in violazione del divieto di reformatio in peius. Nella fattispecie in esame, infatti, la Corte territoriale ha riconosciuto la continuazione tra fattispecie criminose oggetto di paralleli giudizi di cognizione da un lato, le fattispecie di cui ai capi C ed F e, dall'altro, il reato di truffa , cosicché anche all'esito del riconoscimento del vincolo della continuazione, rispetto a ciascuna di queste operava il divieto di reformatio in peius quale limite alla determinazione del trattamento sanzionatorio sia in relazione alla pena base che all'aumento per i reati satellite. Va, dunque, affermato il seguente principio di diritto viola il divieto della reformatio in peius il giudice della impugnazione che, riconosciuta la continuazione esterna, individuato il reato più grave in quello già giudicato con sentenza non irrevocabile, determina la pena base in misura superiore a quella stabilita con detta sentenza. 4. L'accoglimento del primo motivo di ricorso ha un valore assorbente rispetto all'esame del secondo motivo, spettando al giudice del rinvio, all'esito della determinazione del trattamento sanzionatorio, la valutazione in merito alla estensione del beneficio della sospensione condizionale della pena, già concesso dalla sentenza del 17 giugno 2013 per il reato di truffa, anche in relazione alla pena che sarà comminata per effetto del riconoscimento del vincolo della continuazione. 5. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, va disposto l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti di S.D., limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio, anche sul motivo concernente la sospensione condizionale della pena, ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo. All'inammissibilità del ricorso proposto da M.A. segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, il ricorrente va condannato al pagamento della somma di Euro tremila da versare in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. numero 186 del 2000 . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di S.D. limitatamente alla determinazione della pena, con assorbimento del motivo sulla sospensione condizionale della pena, e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo. Dichiara inammissibile il ricorso di M.A. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.