Le modalità e le condizioni previste per la conservazione dei dati già acquisiti prima della modifica normativa all’articolo 132, d.l. numero 196/2003, intervenuta a seguito della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea H.K. c. Prokuratuur del 2.03.2021, sono compatibili con il principio di effettività, poiché la data retention è subordinata sia al parametro di significativa illiceità penale, sia alla sussistenza di altri elementi di prova che consentono di “compensare” la mancanza di un provvedimento di acquisizione inoltre, la normativa transitoria consente di ponderarne la rilevanza nel contraddittorio delle parti, che consente di evitare che tali dati rechino indebito pregiudizio al soggetto interessato.
Il caso. La Corte d'Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza emessa dai giudici di primo grado, confermava la condanna della ricorrente in relazione ai reati di truffa articolo 640 c.p. e false attestazioni o certificazioni articolo 55-quinquies d.lgs. numero 165/2001 , fondando la propria decisione sull'esame congiunto di tabulati telefonici e riprese di un impianto di videosorveglianza. L'imputata proponeva ricorso per Cassazione invocando, tra l'altro, l'inutilizzabilità della denuncia anonima sulla quale asseritamene si sarebbero basate le indagini preliminari del P.M., in violazione degli articolo 240 e 333 del codice di rito. Lamentava altresì l'inutilizzabilità dei tabulati telefonici alla luce della decisione del 2.03.2021 della Corte di Giustizia dell'U.E. “H.K. comma Prokuratuur” secondo cui l'articolo 15 della Direttiva 2002/58/CE osta ad una normativa che consenta una conservazione dei dati relativi al traffico telefonico/informatico la cui acquisizione sia riservata al Pubblico Ministero e non diretta alla lotta contro gravi forme di criminalità o alla prevenzione di gravi minacce contro la sicurezza pubblica. Il contesto normativo. La Suprema Corte ricordava che, per costante giurisprudenza, sebbene il codice di rito non ammetta la possibilità di utilizzare le denunce anonime, queste possano tuttavia fungere da stimolo per ulteriori verifiche, rimanendo precluse le sole attività investigative che già presuppongano l'esistenza di una notitia criminis quali l'acquisizione dei tabulati. Inoltre, l'acquisizione dei tabulati era stata effettuata secondo la normativa all'epoca vigente articolo 132, comma 3, d. lgs. numero 196/2003 , che non individuava i reati per i quali si potesse procedere all'acquisizione e prevedeva che essa potesse avvenire con decreto del Pubblico Ministero, senza un controllo dell'Autorità Giurisdizionale. Tali elementi venivano, tuttavia, ritenuti necessari dalla Corte di Giustizia U.E., che li enucleava nella sentenza H.K. comma Prokuratuur relativa alla legislazione dell'Estonia, e quindi recepiti dal legislatore con d.l. numero 132/2021, poi convertito in legge con modificazioni relative alla disciplina applicabile ai dati acquisiti prima dell'entrata in vigore del precitato decreto-legge. In particolare, se ne prevedeva l'utilizzabilità purché tali dati fossero valutati unitamente ad altri elementi di prova nei soli procedimenti per quanto di interesse per reati puniti con l'ergastolo o con la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni. La soluzione offerta dalla Corte. Ritenuto che nel caso di specie, gli elementi raccolti in seguito alla ricezione dell'esposto anonimo fossero tali da giustificare – a prescindere dall'esposto medesimo – l'acquisizione dei tabulati telefonici, la Suprema Corte prendeva in esame se essi fossero utilizzabili. Si rilevava, in primo luogo, come entrambi i reati oggetto di imputazione rientrassero nel limite edittale previsto dalla normativa. In secondo luogo, si evidenziava come gli “altri elementi di prova” non necessariamente dovessero essere tali da provare, di per sé, la colpevolezza dell'imputato, essendo invece sufficiente che essi siano tali da resistere agli argomenti contrari presentati dall'imputato. Ciò specificato, la Suprema Corte riteneva che il Giudice di merito avesse, correttamente, fondato l'accertamento di responsabilità dell'imputato sulla convergenza delle diverse fonti probatorie. D'altra parte, si evidenziava come la disciplina transitoria in parola fosse compatibile con i principi contenuti nella citata sentenza della C.G.U.E. della quale, peraltro, la Suprema Corte aveva già escluso l'efficacia diretta nel nostro ordinamento . Dunque, poiché la disciplina aveva, da una parte, contemperato i diversi interessi in gioco e, dall'altra, consentito che i dati raccolti potessero comunque essere sottoposti al contraddittorio delle parti, poteva dirsi rispettato il c.d. “principio di effettività” e, dunque, i tabulati raccolti precedentemente alla modifica legislativa potevano essere utilizzati. Dichiarati inammissibili i restanti motivi, la Suprema Corte rigettava il ricorso.
Presidente Marini – Relatore Andreazza Ritenuto in fatto 1. N.M.C. ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello di Torino che ha confermato la sentenza del Tribunale di Torino di condanna per i reati di cui all'articolo 81 cpv. c.p., articolo 640 c.p., commi 1 e 2, numero 1, articolo 61 c.p., numero 9 e numero 11 e D.Lgs. numero 165 del 2001, articolo 55 quinquies, in relazione alla falsa attestazione degli orari di uscita dalla caserma del quinto reparto mobile di Torino, salvo che per trentuno episodi per i quali ha assolto l'imputata per insussistenza del fatto, rideterminando la pena in anni uno di reclusione ed Euro 600 di multa. 2. Con il primo motivo di ricorso lamenta la violazione della legge processuale e in particolare degli articolo 240 e 333 c.p.p., in relazione alla ritenuta utilizzabilità della denuncia anonima pervenuta al Procuratore della Repubblica e dei risultati acquisiti e alla mancanza di motivazione da parte del Giudice d'Appello sul punto. Premesso che se, per un verso, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sent. numero 25932 del 29/5/2008 , nell'affermare preliminarmente l'inutilizzabilità di una denuncia identificabile come anonima, ne hanno poi riconosciuto l'idoneità a stimolare l'attività investigativa al fine di assicurare l'acquisizione di dati conoscitivi da cui ricavare indicazioni utili per l'enucleazione di una notizia criminis, suscettibile di essere ulteriormente approfondita e, per l'altro, secondo orientamento più recente, non ò sarebbe comunque possibile porre una denuncia anonima a fondamento di atti tipici di indagine che implichino e presuppongano l'esistenza di indizi di reità, le attività di indagine espletate, come risultante dall'annotazione di p.g. dell'11/07/2016, sono state svolte come riscontro di quanto già contenuto nell'esposto anonimo, e non hanno, invece, rappresentato lo strumento attraverso cui assumere dati conoscitivi diretti a verificare se dal documento anonimo potessero ricavarsi estremi utili per l'individuazione di una valida notizia di reato. Anche gli accertamenti di p.g. riportati nell'annotazione del 16/02/2016, non hanno avuto valore autonomo rispetto alla predetta denuncia anonima. Parimenti la motivazione dei decreti di acquisizione dei tabulati telefonici si fonderebbe sostanzialmente sul contenuto dell'esposto anonimo poiché il richiamo all'annotazione di P.G. del 16/02/2016 sarebbe solo formale. In conclusione, dunque, le indagini di cui alla delega in data 24/11/2015 atterrebbero ad accertamenti relativi alla veridicità del contenuto dell'esposto anonimo. Inoltre, gli accertamenti richiesti dalla Procura all'epoca delle indagini non sono stati in concreto esperiti essendo i filmati delle telecamere stati mantenuti in memoria per una settimana. L'esposto anonimo sarebbe stato, altresì, utilizzato in violazione del diritto di difesa in particolare la difesa avrebbe legittimamente chiesto di poter visionare la documentazione di indagine, con particolare riferimento all'esposto anonimo, ma la Procura avrebbe negato l'accesso, definendolo privo di rilevanza processuale. Ciò avrebbe impedito alla difesa di avere piena contezza degli atti di indagine e avrebbe limitato la possibilità di articolare ulteriormente la difesa dell'imputata sulla base di un atto di primaria importanza. 3. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione della norma processuale penale in relazione alle modalità di acquisizione e di valutazione dei tabulati telefonici. Sul punto, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea avrebbe affermato, con la pronuncia del 2/3/2021, il contrasto con la normativa Europea della normativa estone, che, come quella italiana, consente una conservazione generalizzata ed indifferenziata dei dati relativi al traffico telefonico/informatico e dei dati relativi all'ubicazione e riserva al Pubblico Ministero i poteri di acquisizione. In particolare, la Corte ha ritenuto che l'articolo 15 dir. 2002/58/CE sul trattamento dei dati personali e sulla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni osti ad una normativa nazionale che consenta l'accesso di autorità pubbliche ad un insieme di dati relativi al traffico telefonico ed informatici o di dati relativi all'ubicazione. Dati, cioè, idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica e a permettere di trarre conclusioni precise sulla vita privata senza che tale accesso sia circoscritto a procedure aventi per scopo la lotta contro le gravi forme di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica. La Corte Europea, pertanto, ha affermato che l'autorità giudiziaria può acquisire i tabulati telefonici di una persona indagata solo dopo il vaglio o l'autorizzazione di un'autorità indipendente o di un giudice terzo e imparziale. Nel caso di specie la Corte d'Appello ha riconosciuto il fondamento della responsabilità penale in capo all'imputata solo nelle ipotesi in cui l'uscita dell'autovettura anticipata rispe'tto alla richiesta di straordinario sia risultate dal tabulato telefonico, ritenendo dunque tale dato indispensabile elemento di riscontro probatorio. Pertanto, l'acquisizione del tabulato effettuata in violazione della normativa, come oggi interpretata dalla Corte di Giustizia, comporterebbe, secondo il ricorrente, l'inutilizzabilità di un tale elemento. 4. Con il terzo motivo di ricorso, la ricorrente contesta la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla valutazione della prova indiziaria. In riferimento all'uscita dalla caserma dell'autovettura in uso all'imputata in un orario incompatibile con le richieste di straordinario, si rileva che nella prima parte della motivazione la Corte d'Appello attribuirebbe a tale solo fatto un'indiscutibile valenza probatoria, mentre successivamente affermerebbe che il medesimo elemento è inidoneo a fondare da solo, in assenza di un riscontro, la responsabilità penale. La sola uscita, infatti, secondo la ricorrente, non sarebbe sufficiente, in assenza di altro riscontro, a stabilire chi fosse alla guida, tanto più che i fotogrammi inquadrerebbero solamente la targa della vettura e che il veicolo non era in uso esclusivo all'imputata, ma anche al marito, né potendo condividersi il ragionamento, congetturale, della Corte territoriale sul fatto che dovesse ritenersi plausibile che i coniugi si allontanassero insieme dall'ufficio per fare ritorno a casa con lo stesso mezzo. La Corte avrebbe poi considerato illogico che l'imputata uscisse dal Commissariato con la propria vettura, la parcheggiasse in altro luogo e facesse rientro a piedi in Ufficio, nonostante fosse già emerso in sede di indagini e segnatamente dall'annotazione di p.g. del 16/02/2016, che l'imputata collocasse la vettura nel parcheggio esterno al Commissariato per poi farvi rientro successivamente dal passo carraio. La certezza sugli orari dei fotogrammi degli orari non essendo stata possibile l'acquisizione delle videoriprese sarebbe poi stata posta in dubbio dal teste S. in quanto la rilevazione sarebbe stata sul punto sballata . La Corte avrebbe, inoltre, omesso di valutare che la N. svolgeva servizi all'esterno in modo estemporaneo, sia con la vettura privata, sia con quella di servizio e che non sempre tali servizi erano riscontrati documentalmente. Segnatamente, il teste S. avrebbe dettagliatamente specificato cinque ipotesi di attività esterna, collocate negli anni oggetto di contestazione. Conseguentemente, la motivazione della Corte d'Appello sarebbe illogica e contraddittoria in relazione alla circostanza dell'uscita dell'auto in orario incompatibile con la richiesta di straordinario e alle criticità sollevate in dibattimento. 5. Con l'ultimo motivo di ricorso, la difesa lamenta la violazione dell'articolo 233 c.p. e l'erronea valutazione e contraddittorie'tà della motivazione in ordine alle conclusioni del consulente tecnico, Ing. R., relative alla localizzazione delle utenze cellulare e alla mappatura delle celle nonché in relazione al mancato conferimento della perizia tecnica. Secondo la difesa, l'affermazione della responsabilità penale della Sig. N. dipenderebbe solamente dalle conclusioni degli agenti operanti di PG, e non dalle risultanze di un'indagine tecnica sulla localizzazione delle celle agganciate negli orari di lavoro e nelle ore di attività straordinaria dell'imputata. I giudici della Corte d'Appello, infatti, non avrebbero valutato gli esiti degli accertamenti tecnici del consulente della difesa, Ing. R., circa l'inidoneità dell'indicazione delle celle agganciate, diversamente dalla localizzazione satellitare, a consentire l'individuazione dell'esatto punto in cui si trova l'utente della chiamata. La Corte non avrebbe considerato che l'utilizzo del tabulato deve essere preceduto dalla mappatura storica della cella e che gli agganci delle celle spesso provengono da differenti utenze senza che sia stato accertato il contemporaneo e contestuale utilizzo delle tre utenze due per uso lavorativo, una privata da parte dell'imputata. La Corte avrebbe poi affermato che l'aggancio della cella di omissis in orario di ufficio sarebbe compatibile con i fine settimana, le ferie, i congedi, e le malattie benché sia risultato che su omissis siano state agganciate più celle, e non solo una. La Corte, pur riconoscendo il limite di un'indagine svolta con il semplice tabulato, avrebbe dunque posto a fondamento della decisione le sole affermazioni del teste V., non tecnicamente qualificato, senza motivare sulle conclusioni del consulente tecnico e senza disporre una perizia d'ufficio ex articolo 603 c.p.p Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso, incentrato sulla violazione dell'articolo 333 c.p.p., è infondato e deve, conseguentemente, essere rigettato. Fermo che, atteso quanto testualmente previsto dalla norma appena citata, delle denunce anonime non può essere fatto alcun uso, salvo quanto disposto dall'articolo 240 , va ricordato che costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte l'affermazione secondo cui l'effetto legittimo, e dunque non contrastante col precetto richiamato, degli elementi contenuti nella denuncia anonima può essere quello di stimolare l'attività di iniziativa del P.M. e della polizia giudiziaria al fine di assumere dati conoscitivi, diretti a verificare se dall'anonimo possono ricavarsi gli estremi utili per l'individuazione di una notitia criminis in tal senso, Sez.6, numero 34450 del 22/04/2016, Morico, Rv. e Sez.6, numero 36003 del 21/09/2006, Macrì . Si è aggiunto che tali investigazioni, volte ad acquisire elementi di prova utilizzabili, si pongono, peraltro, fuori delle indagini preliminari, appunto in quanto sfornite di pregressa notitia criminis, mentre invece l'accusa non può procedere - sulla sola base di una denuncia anonima o confidenziale, appunto perché non inseribile in atti ed inutilizzabile - a perquisizioni, sequestri, intercettazioni telefoniche, ovvero ad atti che implicano e presuppongono l'esistenza di indizi di reità. In altri termini, dunque, non è vietato che l'anonimo, pur inutilizzabile, possa tuttavia fungere da stimolo per indagini volte a verificare che vi siano elementi per l'enucleazione di una notitia criminis, con conseguente simmetrica preclusione di tutti quegli atti investigativi che già presuppongano l'esistenza di una notizia di reato e, a maggior ragione, di indizi di colpevolezza. Ciò posto, nella specie, alla stregua delle coordinate esegetiche ricordate, la invocata violazione dell'articolo 233 c.p.p., non sussiste. Sulla base degli atti del fascicolo cui questa Corte può accedere in virtù della natura processuale del vizio sollevato, risulta che, pervenuto un esposto anonimo nei confronti dell'imputata, la polizia giudiziaria procedeva, sulla base di delega del P.M. presso il Tribunale di Torino del 24/11/2015, ad acquisire, relativamente al periodo del maggio 2015, i fotogrammi degli accessi e delle uscite, dalla caserma della Polizia di Stato, dell'autovettura in uso all'imputata stessa e ad acquisire, altresì, copia dei fogli di servizio e dei fogli firma da cui emergevano sia i turni che le ore di straordinario effettuate dal Sostituto Commissario N. dall'incrocio di tali dati, gli operanti potevano dunque addivenire a stabilire, per il periodo esaminato, un quadro relativo all' ipotetico eccesso di ore di straordinario effettuate vedasi annotazione del 16/02/2016 . Solo successivamente, sulla base di tali emergenze, con decreto del 30/06/2016, il P.M. disponeva l'acquisizione dei tabulati telefonici relativi alle utenze mobili intestate all'imputata. Ne consegue che, mentre le prime attività di p.g. immediatamente successive alla ricezione dell'anonimo ovvero la mera acquisizione dei fotogrammi e dei fogli di servizio non erano certo tali da dovere processualmente presupporre l'esistenza di indizi di colpevolezza, fu invece il risultato dell'incrocio di tali dati a consentire, fungendo da stimolo per le indagini e allo stesso tempo consentendo di prescindere del tutto dall'esposto anonimo, di far luogo all'acquisizione dei tabulati telefonici sulla base dei dati indiziari in tal modo emersi sicché, se anche si ritenesse che tale ultima acquisizione, pur in mancanza, all'epoca, di previsioni in tal senso D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 132 evidentemente posta alla base dell'acquisizione effettuata ex articolo 156 c.p.p., non richiedeva, nella originaria versione, a differenza di quanto oggi previsto, la sussistenza di sufficienti indizi di reato, limitandosi a prevedere che i dati fossero acquisiti presso il fornitore con decreto motivato del pubblico ministero anche su istanza del difensore dell'imputato, della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa e delle altre parti private , fosse stata tale da presupporre la preesistenza di una notitia criminis, nessuna violazione dell'articolo 233 c.p.p., potrebbe dirsi sussistente. 2. E' infondato anche il secondo motivo. Come già in parte anticipato sopra ad altri fini, al momento dell'acquisizione dei tabulati rappresenta-nti i dati dell'utenza mobile della ricorrente, la relativa normativa, e segnatamente il D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 132, prevedeva, al comma 3, che detti dati fossero acquisiti presso il fornitore con decreto motivato del pubblico ministero senza che, da un lato, fossero tipizzati, anche solo con riferimento alla sanzione applicabile, i reati rispetto ai quali ciò fosse possibile o individuate comunque categorie di reati di particolare gravità risultando dunque detta acquisizione indifferenziata , e, dall'altro, contemplato un controllo dell'autorità giurisdizionale. Solo successivamente la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, Grande Camera, del 2 marzo 2021, H.K. c. Prokuratuur, sia pure in relazione ad un caso riguardante la legislazione dell'Estonia, statuiva che l'articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche, come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, letto alla luce degli articolo 7, 8 e 11 e 52, paragrafo 1, CFUE doveva essere interpretato nel senso di ostare a una normativa nazionale che, da un lato, potesse consentire l'accesso di autorità pubbliche a un insieme di dati relativi al traffico telefonico/informatico o di dati relativi all'ubicazione delle apparecchiature terminali, per finalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati, senza una specifica delimitazione a forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica e dall'altro individuasse nel pubblico ministero, e non in un giudice, l'autorità competente ad autorizzare detto accesso. Veniva così a prospettarsi la questione, già affiorata in precedenza vedasi Sez. 2, numero 5741 del 2020, Dedey, Rv. 278568 , della compatibilità o meno anche dell'assetto normativo italiano con i principi di cui alla direttiva citata considerata in particolare la ordinaria, generale, efficacia ex tunc delle sentenze della Corte di Giustizia nonché della sorte dei dati telefonici acquisiti anteriormente alla pronuncia in oggetto. A tale pronuncia, nelle more comunque valutata da questa Corte come non produttiva, di per sé sola, di immediata applicazione nell'ordinamento giuridico interno Sez.2, numero 33116 del 07/09/2021, Avram, non massimata , faceva seguito il D.L. 30 settembre 2021, numero 132, poi convertito, con modificazioni, dalla L. 23 novembre 2021, numero 178, di modifica del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 132, comma 3 in particolare, per quanto qui di interesse, la novella ha previsto che i dati relativi al traffico telefonico e telematico possono essere acquisiti se sussistono sufficienti indizi di reati per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, determinata a norma dell'articolo 4 c.p.p. e di reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia e il disturbo sono gravi, ove rilevanti per l'accertamento dei fatti. Ha altresì previsto che tali dati siano acquisiti previa autorizzazione rilasciata dal giudice con decreto motivato, su richiesta del pubblico ministero o su istanza del difensore dell'imputato, della persona sottoposta a indagini, della persona offesa e delle altre parti private e che la violazione di tali disposizioni comporti, inoltre, l'inutilizzabilità dei dati acquisiti comma 3-quater . La L. numero 178 del 2021, articolo 1, comma 1-bis di conversione del decreto ha, infine, introdotto una disciplina transitoria consentendo l'utilizzabilità, a carico dell'imputato, dei dati relativi al traffico telefonico, al traffico telematico e alle chiamate senza risposta, acquisiti nei procedimenti penali in data precedente alla data di entrata in vigore del D.L. numero 132 del 2021, a condizione che questi siano valutati unitamente ad altri elementi di prova ed esclusivamente per l'accertamento dei reati per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore ne massimo a tre anni, determinata a norma dell'articolo 4 c.p.p., e dei reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone con il mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia o il disturbo sono gravi. 2.1. Ciò posto, quindi, ritiene la Corte che l'eccezione di inutilizzabilità dei dati acquisiti, già respinta dalla Corte territoriale, e nuovamente sollevata con il presente motivo di ricorso, debba essere rigettata, dovendo appunto tenersi conto della normativa, appena ricordata, nel frattempo intervenuta, e, in particolare della disposizione transitoria sopra menzionata. In primo luogo, va sottolineato che sia il reato di truffa aggravata che quello del D.Lgs. numero 165 del 2001, articolo 55-quinquies sono puniti con pena della reclusione pari, nel massimo, ad anni cinque, risultando dunque rispettato il limite edittale della novella in secondo luogo l'utilizzazione dei dati risultanti dai tabulati è stata effettuata dai giudici di merito unitamente ai fotogrammi ritraenti l'auto nella disponibilità dell'imputata in uscita dalla caserma, sì che appare rispettata l'ulteriore condizione della disposizione transitoria che condiziona la valorizzabilità dei dati unitamente ad altri elementi di prova . La sentenza impugnata, nell'analizzare gli elementi emergenti dal compendio probatorio, ha fatto, come si ribadirà oltre, espressa congiunta valutazione si veda in particolare, a suggello delle complessive argomentazioni, la conclusione finale a pag.7 della sentenza di quanto risultante dai fotogrammi delle telecamere poste all'uscita della caserma e ritraenti la vettura nelle disponibilità dell'imputata in orari incompatibili con quelli indicati nei fogli di servizio da lei stessa compilati, e dell' aggancio , in quegli stessi orari, da parte del cellulare della donna, di celle poste lungo il percorso dalla caserma a casa e, dunque, non compatibili con una protratta permanenza in ufficio della stessa, trovando, nella significativa convergenza di tali diverse fonti probatorie, la ragione della sussistenza del reato ascritto. Ne' potrebbe assumersi che la decisione della Corte di pervenire ad assolvere l'imputata nei casi in cui non siano risultati agganci di celle telefoniche abbia comportato denegare l'attribuzione, alle immagini delle telecamere, del significato di altri elementi di prova id est riscontri , sì che non risulterebbe rispettato il presupposto di utilizzabilità richiesto dalla norma transitoria. Oltre ad essere una tale conclusione manifestamente contraddetta dal fatto che solo la convergenza, tra loro, dei dati provenienti dalle due diverse fonti ha foridato, nella specie, come dalla motivazione ricordata, la prova certa dei fatti, va ricordato che, in ordine alla locuzione di altri elementi di prova , già impiegata dal codice di rito, nell'articolo 192, comma 3, in relazione alle dichiarazioni di imputati di reati connessi, questa Corte ha costantemente affermato che gli stessi non devono necessariamente consistere in una prova distinta ed autonoma di colpevolezza , ma possono essere di qualsiasi natura, sia rappresentativa che logica, purché dotati di consistenza tale da resistere agli elementi contrari dedotti dall'imputato così già Sez. 5, numero 9001 del 15/6/2000, Madonia ed altri, Rv. 217728-01 da ultimo, v. Sez. 2, numero 35923 del 11/7/2019, P.G. c. Campo, Rv. 276744-01 , sì che, in altri termini, non sarebbe necessario che i riscontri abbiano lo spessore di una prova autosufficiente perché, in caso contrario, la chiamata in correità non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe già su tali elementi esterni e non sulla chiamata stessa. In definitiva, solo una lettura della locuzione in tal senso consentirebbe di conferire alla disposizione un senso logico che, diversamente, verrebbe inevitabilmente meno e tale lettura non può che essere adottata anche con riferimento alla norma transitoria in oggetto. 2.2. A conclusioni ostative all'utilizzabilità dei dati già a suo tempo acquisiti non può giungersi neppure eventualmente dubitandosi della compatibilità della disposizione transitoria dell'articolo 1, comma 1-bis cit., con l'articolo 15, paragrafo 1, della Dir. 2002/58/CE, modificato dalla Dir. 2009/136/CE relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni e con gli articolo 7, 8, 11 e 52, paragrafol, CDFUE, come interpretati dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 2 marzo 2021 già sopra menzionata è necessario, sul punto, sottolineare quanto infatti, già proprio detta sentenza ha precisato sub p. 43 e 44f laddove ha testualmente affermato, richiamando conformi precedenti sul punto, che l'obiettivo, in virtù delle scelte operate dal diritto nazionale, di evitare che informazioni ed elementi di prova ottenuti in modo illegittimo arrechino indebitamente pregiudizio a una persona sospettata di avere commesso dei reati , può, a seconda del diritto nazionale, essere raggiunto non solo mediante un divieto di utilizzare informazioni ed elementi di prova siffatti, ma anche mediante norme e prassi nazionali che disciplinino la valutazione e la ponderazione delle informazioni e degli elementi di prova, o addirittura tenendo conto del loro carattere illegittimo in sede di determinazione della pena sentenza del 6 ottobre 2020, La Quadrature du Net e a., C-511/18, C-512/18 e C-520/18, EU C 2020 791, punto 225 , aggiungendo poi, ad esemplificazione del limite invalicabile di una tale ponderazione, la necessità di escludere le informazioni ottenute qualora le persone da esse coinvolte non siano in grado di svolgere efficacemente le proprie osservazioni in merito alle informazioni e agli elementi di prova suddetti, riconducibili ad una materia estranea alla conoscenza dei giudici e idonei ad influire in maniera preponderante sulla valutazione dei fatti v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2020, La Quadrature du Net e a., C-511/18, C-512/18 e C-520/18, EU C 2020 791, punti 226 e 227 . A fronte di tali postulati, dunque, non può dubitarsi della conformità ad essi delle scelte operate dalla normativa transitoria, che non solo ha, in una visioné di ragionevole ed equilibrato contemperamento di interessi diversi, inteso perseguire la logica non dispersione di dati già acquisiti condizionata, tuttavia, ai nuovi parametri di significativa illiceità penale delle ipotesi per le quali la acquisizione dei dati è consentita e alla sussistenza di altri elementi di prova , quale requisito di compensazione rispetto alla mancanza di un provvedimento di acquisizione, fino ad oggi non richiesto, da parte del giudice, ma ha anche, evidentemente, esposto i dati così conservati al contraddittorio delle parti e alla conseguente possibilità, di cui si e', peraltro, significativamente avvalsa la ricorrente nella specie, di confutazione degli stessi nel procedimento de quo esercitata tramite la nomina di un consulente tecnico . Non può dunque dirsi che, per le modalità e le condizioni previste e di cui si è appena detto, la scelta operata dal legislatore nazionale sul punto della conservazione dei dati già acquisiti sulla base dell'originario dettato dell'articolo 132 cit. possa comportare, così contrastando con il principio di effettività , la cui necessaria osservanza è stata ribadita dalla sentenza della Corte di Giustizia v. sempre sub p. 43 , il mantenimento, ai fini della loro valorizzazione, di informazioni ed elementi di prova ottenuti in modo illegittimo che arrechino indebitamente pregiudizio a una persona sospettata di avere commesso dei reati e che in definitiva renda impossibile in pratica o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell'Unione in ciò, appunto, consistendo, il contenuto del principio di effettività suddetto . 3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile. Nessuna illogicità o contraddittorietà di motivazione appare ravvisabile nella sentenza impugnata i giudici dell'appello hanno, invece, come già si è accennato sopra, chiaramente ritenuto la sussistenza della prova certa dei reati integrata nei soli casi in cui il dato dell'uscita dell'automobile dalla caserma emergente dai fotogrammi delle videocamere abbia trovato conferma nel dato fornito dall'utilizzo di celle telefoniche non solo diverse da quelle serventi il suo ufficio ma, soprattutto, significativamente poste, in successione, lungo il percorso congiungente detto ufficio con la casa dell'imputata ovvero da via omissis e ben diverse da quella che venivano invece agganciate dall'Ufficio così facendo, del resto, la sentenza ha superato anche le obiezioni mosse dalla Difesa, da un lato, circa il fatto che l'orario impresso sui fotogrammi non fosse quello effettivo ma la sentenza ha sul punto anche sottolineato che sono state utilizzate le sole immagini nelle quali lo scarto tra uscita attestata sui fogli e orario delle telecamere era superiore a quindici minuti e, dall'altro, circa la mancata prova che l'auto non fosse stata usata dal marito, collega della donna anch'egli lavorante nello stesso ufficio, e non dall'imputata nella cui disponibilità, ha aggiunto la sentenza, l'auto stessa, tuttavia, rientrava . E ciò senza considerare la natura di tale ultima questione che, oltre ad essere niente affatto decisiva per quanto appena precisato, appare altresì fattuale e, dunque, non prospettabile in sede di legittimità, alla pari, del resto, di quella secondo cui l'imputata, iri talune occasioni, avrebbe collocato la vettura nel parcheggio esterno al Commissariato per poi farvi rientro successivamente dal passo carraio. Così come non prospettabile e', poi, poi la non dedotta specifica incidenza sugli addebiti mossi e temporalmente circoscritti, la deduzione di cinque ipotesi, peraltro meramente affermate, in cui l'imputata avrebbe svolto attività di ufficio esterna con la propria vettura. 4. Il quarto motivo e', infine, anch'esso inammissibile. L'omessa considerazione dei rilievi del consulente della difesa in ordine ad una pretesa errata metodologia impiegata per analizzare i dati dei tabulati è da rapportare, evidentemente, a quanto esclusivamente dedotto con il secondo motivo dell'atto di appello a suo tempo proposto e di cui si dà conto nella stessa sentenza impugnata, così dovendosi prescindere da osservazioni e deduzioni non poste in tale momento. Di qui, allora, la mancanza di decisività di tali rilievi, sia con riguardo alla pretesa mancanza di mappatura storica delle celle che, evidentemente, presupporrebbe, in capo alla ricorrente, quanto meno l'onere di allegare elementi indicativi di una divergenza tra assetto esaminato dagli operanti ed assetto esistente al momento delle condotte poste in essere, sia con riguardo al fatto, prospettato in maniera generica, che un telefono possa agganciare delle diverse, anche distanti tra loro, ed anche in assenza di movimento. In ogni caso, va ribadita, quanto a tale secondo aspetto, la decisività del dato oggettivo, non pregiudicato dai rilievi in questione, della significativa sequenza di celle agganciate esattamente lungo il percorso dall'Ufficio a casa. 5. Il ricorso va, in conclusione, rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2022.