Evidente il disturbo arrecato alla donna vittima del tradimento perpetrato dal marito. Rilevante anche il fatto che i messaggi molesti tramite WhatsApp si siano ripetuti con una certa frequenza.
Condanna sacrosanta per l'amante che tramite WhatsApp invia alla moglie tradita immagini che testimoniano, in maniera inequivocabile, la concretezza della relazione avuta col marito fedifrago. A finire sotto processo è una donna, Franca – nome di fantasia –. A farla finire sotto accusa sono alcuni messaggi inviati tramite WhatsApp alla moglie – Barbara, nome di fantasia – dell'uomo con cui ha intrapreso una relazione. Inequivocabile il contenuto dei messaggi, ossia alcune «immagini di momenti intimi » con l'uomo. Sacrosanta, secondo i giudici del Tribunale, è la condanna di Franca, ritenuta colpevole di molestia ai danni di Barbara e sanzionata con 400 euro di ammenda. Col ricorso in Cassazione l'avvocato che difende Franca non mette in dubbio la condotta della sua cliente, ma prova a ridimensionarne il peso. In sostanza, il legale ritiene plausibile escludere «la punibilità» della sua cliente, poiché, a suo dire, ci si trova di fronte a una offesa, quella arrecata a Barbara, non grave. Questa obiezione viene respinta in modo netto dai Giudici di terzo grado, i quali ricordano che la non punibilità è esclusa quando si prendono in esame reati abituali, posti in essere, cioè, mediante reiterazione della condotta . Nella vicenda riguardante Franca e Barbara, poi, la non punibilità è impossibile, poiché «il susseguirsi delle condotte moleste », concretizzatesi nell'invio di messaggi tramite WhatsApp, ha reso evidente «l'abitualità» del disturbo arrecato alla moglie tradita, concludono i Giudici. Confermata in via definitiva, quindi, la condanna di Franca.
Presidente Siani – Relatore Centofanti Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Bari dichiarava D.L.M.E. colpevole della contravvenzione di cui all' articolo 660 c.p. , - per avere l'imputata ripetutamente molestato, con il telefono e a mezzo del servizio di messaggistica istantanea WhatsApp r , D.C.C. , inviandole immagini riproducenti momenti di condivisione intima intrattenuti con il marito di quest'ultima, legato all'imputata da relazione extraconiugale - e la condannava alla pena di quattrocento Euro di ammenda. 2. D.L.M.E. ricorre per cassazione, con il ministero del suo difensore di fiducia, sulla base di unico motivo con cui deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all'omessa pronuncia in ordine all'applicabilità della causa di esclusione della punibilità di cui all' articolo 131-bis c.p. , espressamente invocata dinanzi al giudice di merito. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato, e quindi inammissibile, perché, per, dominante giurisprudenza di questa Suprema Corte Sez. 7, numero 13379 del 12/01/2017, Boetti, Rv. 269406-01 Sez. 3, numero 48315 del 11/10/2016, Quaranta, Rv. 268498-01 Sez. 3, numero 30134 del 05/04/2017, Dentice, Rv. 270255-01 Sez. 3, numero 48318 del 11/10/2016, Halilovic, Rv. 268566-01 v. anche Sez. 5, numero 14845 del 28/02/2017, A., Rv. 270021-01 , con cui parte impugnante omette totalmente di confrontarsi, la Causa di non punibilità, integrata dalla particolare tenuità del fatto ex articolo 131-bis c.p. , non può essere applicata, secondo previsione testuale, ai reati necessariamente abituali ed a quelli eventualmente abituali che siano stati posti in essere mediante reiterazione della condotta tipica. La causa di non punibilità non può dunque trovare applicazione neppure in relazione al reato di cui all' articolo 660 c.p. , che in concreto cfr. Sez. 1, numero 19631 del 12/06/2018, dep. 2019, Rv. 276309-01 abbia assunto, per il susseguirsi delle condotte moleste, l'anzidetto carattere di abitualità, come è incontestato essere avvenuto nella specie e ciò senza necessità di esplicita motivazione sul punto da parte del giudice di merito Sez. 1, numero 1523 del 05/11/2018, dep. 2019, Morreale, Rv. 274794-01 . 2. Alla declaratoria d'inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e - per i profili di colpa connessi all'irritualità dell'impugnazione Corte Cost. numero 186 del 2000 - di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in tremila Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.