Elettorato passivo, incandidabilità e decadenza dalla carica: ubi maior, minus cessat

L’equiparazione della sentenza di applicazione della pena ex articolo 444 c.p.p. alla sentenza penale di condanna è prevista sia per le ipotesi di incandidabilità che per quelle di decadenza dalla carica.

La Corte territoriale rigettava l'appello proposto da un uomo diretto ad ottenere, in riforma dell'ordinanza del Tribunale, la disapplicazione o l’annullamento della dichiarazione di decadenza di diritto dell'appellante stesso dalla carica di deputato regionale, emesso dal Presidente dell'assemblea regionale di competenza. Per quanto ancora di interesse nel giudizio di legittimità, la Corte territoriale affermava che l'equivalenza stabilita dell'articolo 15 d. lgs. numero 235/2012 - in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi - tra sentenza penale di condanna e sentenza resa ex articolo 444 c.p.p. è giustificata dall’esigenza che la carica politica sia ricoperta da soggetti moralmente specchiati, idonei a garantire il buon andamento e l'imparzialità delle pubbliche scelte, né era dato dubitare della legittimità costituzionale di tale equivalenza in relazione agli articoli 2, 3 e 51 Cost., neanche con riferimento alle previgenti normative riguardanti l’incandidabilità alle cariche politiche e la decadenza dalle medesime. Avverso la sentenza l'uomo proponeva ricorso affidato a tre motivi. Il primo principio di diritto espresso dalla Suprema Corte . Una delle censure alla sentenza della Corte d'Appello riguarda l'affermazione secondo cui l’allegazione del passaggio in giudicato di una sentenza penale - da cui discenda la decadenza dalla carica di consigliere regionale - rientri nel novero delle questioni di fatto e giuridiche soggetta alla disponibilità delle parti e che, quindi, debba essere tempestivamente introdotta in giudizio e non sia rilevabile d'ufficio. Tuttavia, il Collegio ritiene che si tratti, al contrario, di un presupposto normativo che il giudice è tenuto ad accertare d'ufficio, configurandosi la sentenza penale passata in giudicato come un dato storico che non ammettere interpretazione di fatti o ulteriori indagini , per effetto del quale opera ipso iure la causa inabilitante. Per questo è stato espresso il principio di diritto secondo cui in tema di contenzioso elettorale amministrativo, la verifica della rispondenza a legge della decadenza dalla carica dell'interessato indicata nell'atto amministrativo, pur riguardando la tutela del diritto soggettivo perfetto inerente all’elettorato passivo, involge esigenze pubblicistiche di rilievo costituzionale, volte ad assicurare la salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, la tutela della libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, sì da rendere necessario l'esercizio di indagine ufficiosa sulla sussistenza dei presupposti normativi previsti dagli articolo 7 e 8 d.lgs. numero 235/2012 e, in particolare, sull’irrevocabilità della sentenza penale di condanna per le ipotesi di reato da cui discende ipso iure la decadenza dalla carica. Il secondo principio di diritto espresso dalla Suprema Corte. L’analisi degli altri motivi di ricorso ha occasionato un’ulteriore importante analisi in argomento. Nello specifico, i Giudici hanno contestato l'assunto argomentativo del ricorrente secondo cui l'equiparazione della sentenza di applicazione della pena ex articolo 444 c.p.p. alla sentenza penale di condanna sarebbe prevista solo per le ipotesi di incandidabilità e non anche per quelle di decadenza dalla carica. Ma per la Suprema Corte la sentenza di patteggiamento - nel caso di specie per originaria imputazione di corruzione in atti giudiziari, di seguito rubricato in traffico di influenze illecite - in quanto equiparata alla sentenza di condanna per espresso disposto dell'articolo 15 del già citato decreto legislativo, si configura come requisito negativo anche ai fini di mantenere la carica e non solo ai fini della candidabilità. Un diverso opinamento nel senso prospettato dal ricorrente, oltre che non corrispondere alla ratio legis , sarebbe oltremodo illogico perché paradossalmente il requisito negativo si porrebbe come ostativo solo alla partecipazione alla competizione elettorale, che senz'altro un minus rispetto al mantenimento della carica da parte del candidato eletto. Alla luce di tutto quanto appena premesso, i Giudici hanno espresso l’ulteriore principio di diritto secondo cui in tema di elettorato passivo, i requisiti negativi ostativi al mantenimento della carica di consigliere regionale, idonei a determinare ipso iure la decadenza ex articolo 8, comma 6, d.lgs. numero 235/2012 per difetto della dignità morale del soggetto desunto da condanne irrevocabili per determinati reati, sono i medesimi che determinano l’incandidabilità di cui all'articolo 7 dello stesso decreto legislativo, in base all'interpretazione letterale, sistematica e finalistica della relativa disciplina, e pertanto alla sentenza penale di condanna è equiparata quella di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444 c.p.p., come previsto dall'articolo 15 del già citato decreto legislativo. La Corte così ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio, dando atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione.

Presidente Acierno – Relatore Parise Fatti di causa 1. Con sentenza numero 917/2021 pubblicata l'8-6-2021 la Corte d'appello di Palermo ha rigettato l'appello proposto da G.G. diretto ad ottenere, in riforma dell'ordinanza del Tribunale di Palermo del 16-10-2020, la disapplicazione e/o l'annullamento della dichiarazione di decadenza di diritto dell'appellante dalla carica di deputato regionale emessa dal Presidente dell'Assemblea Regionale Siciliana nella seduta del omissis . La Corte territoriale, per quanto ancora di interesse, ha affermato che i era manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. numero 235 del 2012, articolo 15, come affermato dal Tribunale con argomenti ai quali era fatto espresso rinvio, non essendo, peraltro, ravvisabile alcun contrasto della norma con la presunzione di innocenza prevista dall' articolo 27 Cost. , poiché la decadenza è ricollegabile non ad un giudizio di responsabilità penale ma al mero fatto dell'applicazione di una pena, non lesiva del suddetto principio costituzionale l'equivalenza stabilita dal citato articolo 15, tra sentenza penale di condanna e sentenza resa ai sensi degli articolo 444 c.p.c. e segg., è giustificata dall'esigenza che la carica politica sia ricoperta da soggetti moralmente specchiati, idonei a garantire il buon andamento e l'imparzialità delle pubbliche scelte, né era dato dubitare della legittimità costituzionale di tale equivalenza in relazione agli articolo 2,3 e 51 Cost. , neanche con riferimento alle previgenti normative riguardanti l'incandidabilità alle cariche politiche e la decadenza dalle medesime iii la previsione del principio di equivalenza tra sentenza penale di condanna e sentenza di patteggiamento rientra nell'ambito della competenza statale legislativa, concernendo la materia ordine pubblico e sicurezza , considerato, inoltre, il disposto del D.Lgs. numero 235 del 2012, articolo 14, che stabilisce l'applicabilità, anche nelle regioni a statuto speciale, delle disposizioni di legge ivi contenute iv al caso di specie erano pertanto applicabili del D.Lgs. numero 235 del 2012, articolo 7,8 e 15, ed era inammissibile la deduzione difensiva circa il mancato carattere di definitività della sentenza di patteggiamento in forza della quale era stata dichiarata la decadenza di diritto del deputato regionale perché prospettata per la prima volta in sede di discussione orale della causa, dopo la scadenza dei termini di cui all' articolo 190 c.p.c. e, dunque, tardivamente. 2. Avverso questa sentenza G.G. propone ricorso, affidato a tre motivi, nei confronti dell'Assemblea Regionale Siciliana e del Presidente dell'Assemblea Regionale Siciliana e della Commissione per la verifica dei poteri dell'Assemblea Regionale Siciliana, che resistono con controricorso. 3. Il ricorso è stato fissato per l'adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell' articolo 375 c.p.c. , u.c. e articolo 380 bis.1 c.p.c. . Ragioni della decisione 1. Il ricorrente denuncia i con il primo motivo la violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 3, degli articolo 648 e 625 bis c.p.p., l'omesso esame di un fatto decisivo ex articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 5, e la nullità della sentenza, per avere la Corte d'appello ritenuto tardivamente prospettata per la prima volta, dopo la scadenza dei termini di cui all' articolo 190 c.p.c. , la questione relativa alla definitività e al passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento ex articolo 444 c.p.p. , senza considerare che non si tratta di eccezione processuale rientrante nella disponibilità della parte, ma di un ineludibile presupposto normativo di applicabilità delle norme sulla decadenza, in base a quanto previsto dal D.Lgs. numero 235 del 2012, articolo 8, u.c., rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, e nella specie il passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento non era avvenuto in data 11-11-2019 data dell'ordinanza emessa da questa Corte di inammissibilità del ricorso , atteso che l'odierno ricorrente aveva introdotto il ricorso straordinario ex articolo 625 bis c.p.p. e l' articolo 648 c.p.p. , prevede l'irrevocabilità delle sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione, ossia, ad avviso del ricorrente, allo scadere del termine di 180 giorni ordinariamente previsto per la proposizione del ricorso straordinario ex articolo 625 bis c.p.p. , analogamente a quanto previsto dall' articolo 324 c.p.c. con il secondo motivo la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. numero 235 del 2012, articolo 7,8 e 9, sotto il profilo della inapplicabilità nella Regione Sicilia di quelle norme della c.d. Legge Severino che assume essere un segmento di materia riservata all'Autonomia regionale disciplina delle modalità di verifica e sanzioni incidenti sullo elettorato passivo , in rapporto all'articolo 4 dello Statuto Regionale Speciale, che è norma di rilievo costituzionale, ed al suo Regolamento interno articolo 40 , per avere la Corte d'Appello fatto diretta applicazione del dettato della L. numero 241 del 1990, articolo 21-octies , comma 2, quale norma di salvaguardia che impedisce la declaratoria di illegittimità di un atto amministrativo avente carattere vincolato , ed invece la censura involgeva profili di incompetenza e addirittura di vera e propria attribuzione, con le inerenti questioni di illegittimità costituzionale già espressamente sollevate e che assume il ricorrente di riproporre, con riferimento alla denunciata invasione dei compiti e delle attribuzioni proprie della Commissione Regionale di Verifica dei Poteri, ossia di prerogative di rilievo costituzionale derivanti dallo Statuto autonomistico e dal Regolamento interno della Regione Siciliana, non potendo altresì qualificarsi come vincolato il provvedimento di cui trattasi iii con il terzo motivo la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. numero 235 del 2012, articolo 7,8 e 9, sotto il profilo della inammissibile totale equiparazione delle sentenze di patteggiamento alle sentenze di condanna emesse all'esito di giudizio abbreviato o di dibattimento ai fini dell'applicazione del citato articolo 8, nonché la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. numero 235 del 2012, articolo 15, comma 1, che disciplina mere e limitate ipotesi di incandidabilità , e non già di decadenza, rimarcando la diversità, ancorata a presupposti fattuali e giuridici del tutto autonomi, delle due fattispecie legali, di stretta interpretazione, sicché nel caso in esame, ad avviso del ricorrente, è assolutamente carente il requisito della effettiva preesistenza di una sentenza di condanna definitiva a carico dell'odierno ricorrente, in disparte il rilievo, che ribadisce, secondo cui la sentenza di patteggiamento del GUP di Roma del 18.02.2019, nel caso concreto, non era effettivamente passata in giudicato allorquando era stata adottata la pronuncia di decadenza. 2. Il primo motivo è infondato, pur dovendo emendarsi in diritto la motivazione della sentenza impugnata. 2.1. La censura pone una prima questione che deve risolversi in senso contrario a quanto affermato nella sentenza impugnata, con la quale si è ritenuto che l'allegazione del passaggio in giudicato della sentenza penale, da cui discende la decadenza dalla carica di consigliere regionale del ricorrente, rientri nel novero delle questioni di fatto e giuridiche soggette alla disponibilità delle parti e che, quindi, debba essere tempestivamente introdotta in giudizio e non sia rilevabile d'ufficio. Ritiene, invece, il Collegio che si tratti di un presupposto normativo che il giudice è tenuto ad accertare d'ufficio, configurandosi la sentenza penale passata in giudicato come un dato storico , che non ammette reinterpretazione di fatti o ulteriori indagini, per effetto del quale opera ipso jure la causa inabilitante. Secondo la costante giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, la materia del contenzioso elettorale amministrativo è devoluta al giudice ordinario, ove concernente l'ineleggibilità, la decadenza e l'incompatibilità, in quanto volta alla tutela del diritto soggettivo perfetto inerente all'elettorato passivo e l'accertamento della suddetta posizione soggettiva dell'interessato si svolge attraverso la verifica della rispondenza a legge della decadenza dalla carica indicata nell'atto amministrativo cfr. tra le tante Cass. S.U. 11131/2015 . Indubitabilmente, tuttavia, detta verifica risponde, anche e soprattutto, ad esigenze pubblicistiche di rilievo costituzionale, essendo, in particolare, volta ad assicurare la salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, la tutela della libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, e ciò giustifica, anzi rende necessario l'esercizio di indagine ufficiosa sull'irrevocabilità della sentenza penale di condanna, che è un passaggio indispensabile dell'accertamento demandato al giudice ordinario. Va, pertanto, espresso il seguente principio di diritto In tema di contenzioso elettorale amministrativo, la verifica della rispondenza a legge della decadenza dalla carica dell'interessato indicata nell'atto amministrativo, pur riguardando la tutela del diritto soggettivo perfetto inerente all'elettorato passivo, involge esigenze pubblicistiche di rilievo costituzionale, volte ad assicurare la salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, la tutela della libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, sì da rendere necessario l'esercizio di indagine ufficiosa sulla sussistenza dei presupposti normativi previsti dal D.Lgs. numero 235 del 2012, articolo 7 e 8 e, in particolare, sull'irrevocabilità della sentenza penale di condanna per le ipotesi di reato da cui discenda ipso jure la decadenza dalla carica . 2.1.1. Alla stregua delle suesposte considerazioni, occorre correggere in diritto la motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell' articolo 384 c.p.c. , u.c., il cui dispositivo non cambia, per quanto di seguito si illustrerà, non essendo necessario, al riguardo, un accertamento fattuale, precluso a questa Corte, ma la risoluzione della questione giuridica dell'irrevocabilità ex articolo 648 c.p.p. , della sentenza penale di cassazione, sotto il secondo profilo denunciato dal ricorrente con il primo mezzo. 2.2. Passando, dunque, all'esame della seconda questione oggetto di doglianza, ad avviso del ricorrente, l'irrevocabilità della sentenza penale emessa nei suoi confronti decorre dalla data di scadenza del termine per proporre ricorso straordinario ex articolo 645 bis c.p.p., e, pertanto, il passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento non era ancora avvenuto in data 11-11-2019 data della pronuncia emessa da questa Corte di inammissibilità del ricorso per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento , e dunque, in tesi, quando era stato emesso il provvedimento di decadenza, atteso che egli aveva proposto ricorso straordinario ex articolo 625 bis c.p.p. , dichiarato inammissibile dalla Seconda sezione Penale di questa Corte con sentenza numero 22485/2020. La censura è priva di fondamento, atteso che lo stesso articolo 648 c.p.p. , richiamato dal ricorrente, al comma 2, prevede espressamente che Se vi è stato ricorso per cassazione, la sentenza è irrevocabile dal giorno in cui è pronunciata l'ordinanza o la sentenza che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso . Il ricorso straordinario per errore di fatto ai sensi dell' articolo 625 bis c.p.p. , è mezzo di impugnazione, per l'appunto, straordinario, che del tutto eccezionalmente può incidere su una sentenza penale della cassazione passata in giudicato, cioè irrevocabile come previsto dal 648 c.p.p. cfr. Corte Cost. numero 21 del 1982 , citata anche dai controricorrenti, e Corte Cost. numero 113/2011 in tema di sentenze CEDU . L' articolo 648 c.p.p. , detta una disciplina coerente con la finalità di certezza dei rapporti giuridici, di particolare rilevanza nell'ordinario procedimento penale, con i consequenziali precisi limiti di intangibilità del giudicato penale nel senso precisato dal Giudice delle leggi, non potendo la pronunzia della Corte di Cassazione, per il ruolo di supremo giudice di legittimità ad essa affidato dalla stessa Costituzione articolo 111 Cost., comma 2 , soffrire ulteriore sindacato ad opera di un giudice diverso Corte Cost. numero 21 del 1982 citata . Il parallelismo, prospettato in ricorso, tra giudicato penale e giudicato civile, secondo quanto previsto dall' articolo 324 c.p.c. , non solo è del tutto erroneo in ragione della strutturale e funzionale diversità dei rispettivi procedimenti che li originano, ma non è neppure conducente nel senso indicato dal ricorrente, perché la norma si riferisce all'intangibilità per mancata proposizione delle impugnazioni ordinarie, e tale non è quella di cui all' articolo 625 bis c.p.p. . 3. Anche il secondo motivo è infondato. Il Giudice delle leggi ha già affermato che non vi è alcuna invasione, ad opera delle norme della cd. legge Severino, dell'ambito legislativo della Regione Sicilia, in quanto si tratta di norme di ordine pubblico e di sicurezza di competenza del legislatore nazionale Corte Cost. numero 35/2011 numero 118/2013 276/2016 , nonché di un accertamento vincolato in ordine al quale non è possibile l'esercizio di alcuna discrezionalità da parte dell'assemblea regionale. Le questioni di illegittimità costituzionale che il ricorrente ripropone sono già state ritenute manifestamente infondate dalla Corte Costituzionale e da questa Corte Cass. 8618/2017 e Corte Cost. 276/2016 . In particolare, circa la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. numero 235 del 2012, articolo 7, comma 1 e articolo 8, comma 1, per contrasto della previsione con gli articolo 3,51,76 e 77 Cost. , con riguardo alla disparità di trattamento, in tema di elettorato passivo, tra componenti del Parlamento nazionale e componenti dell'Assemblea regionale siciliana, a cui si applicano le disposizioni del citato D.Lgs. numero 235 del 2012 , stante il disposto dell'articolo 14 stesso decreto, la Corte costituzionale sent. 276 del 2016 citata , dopo avere richiamato la propria sentenza numero 407 del 1992, ha ribadito che non appare configurabile, sotto il profilo della disparità di trattamento, un raffronto tra la posizione dei titolari di cariche elettive nelle regioni e negli enti locali e quella dei membri del Parlamento e del Governo, essendo evidente il diverso livello istituzionale e funzionale degli organi costituzionali ora citati, con la conseguenza che non può ritenersi irragionevole la scelta operata dal legislatore di dettare le norme impugnate con esclusivo riferimento ai titolari di cariche elettive non nazionali. 4. Parimenti infondato è il terzo motivo. L'assunto argomentativo del ricorrente, secondo il quale l'equiparazione della sentenza di applicazione della pena ex articolo 444 c.p.p. , alla sentenza penale di condanna sarebbe prevista solo per le ipotesi di incandidabilità, ai sensi del disposto del D.Lgs. numero 235 del 2012, articolo 15, e non anche per quelle di decadenza dalla carica, si pone in contrasto sia con il tenore letterale dell'articolo 7 dello stesso decreto, sia con la ratio della complessiva disciplina sul tema. 4.1. Sotto il primo profilo, che vi sia imprescindibile collegamento, nell'individuazione dei cd. requisiti negativi , tra incandidabilità e decadenza risulta inequivocabilmente dall'incipit dell'articolo 7 Non possono essere candidati alle elezioni regionali, e non possono comunque ricoprire le cariche di presidente della giunta regionale, assessore e consigliere regionale, amministratore e componente degli organi comunque denominati delle unità sanitarie locali . Tanto emerge inequivocabilmente anche dal tenore della specifica norma sulla decadenza articolo 8, comma 6 Chi ricopre una delle cariche indicate all'articolo 7, comma 1, decade da essa di diritto dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di condanna o dalla data in cui diviene definitivo il provvedimento che applica la misura di prevenzione , che, per l'appunto, non solo è inserita, sistematicamente, nello stesso articolo che disciplina anche la sospensione articolo 8 , così venendo normata la progressione tra l'iniziale provvedimento di natura in senso lato cautelare e quello definitivo, ma che neppure individua le ipotesi di reato da cui discende la decadenza, e ciò proprio in quanto sono le medesime previste per l'incandidabilità, stante l'espresso richiamo dell'articolo 7. 4.2. La suddetta interpretazione è l'unica rispondente alla finalità perseguita dal legislatore. Il D.Lgs. 31 dicembre 2012, numero 235 come la L. numero 55 del 1990 , nel testo modificato dalla L. numero 16 del 1992 , ha operato un bilanciamento non irragionevole tra il diritto all'elettorato passivo ed i primari interessi pubblici, collegando l'incandidabilità e la decadenza al difetto del requisito della non indegnità morale del soggetto, desunto dalla assenza di condanne irrevocabili per determinati reati. Il legislatore ha ragionevolmente esercitato la discrezionalità riconosciutagli dall' articolo 51 Cost. , ossia il potere di fissare i requisiti in base ai quali i cittadini possono accedere alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza posto che sono state selezionate le ipotesi di reato e si è richiesta la sentenza definitiva, dunque si sono prefissati parametri quantitativi e qualitativi coerenti ed idonei a lumeggiare le fattispecie. L'inquadramento della incandidabilità è stato già operato dal giudice delle leggi Corte Cost. 19 novembre 2015, numero 236 e v. già Corte Cost. 31 marzo 1998, numero 114 , con riguardo all'analoga fattispecie delle cause di incandidabilità previste, in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali, dalla L. 18 gennaio 1992, numero 16 24 giugno 1993, numero 288 29 ottobre 1992, numero 407 v. pure Corte Cost. 15 febbraio 2002, numero 25 e 15 maggio 2001, numero 132 , dalla massima magistratura amministrativa Cons. Stato 6 febbraio 2013, numero 695 29 ottobre 2013, numero 5222 e da questa stessa Corte Cass. 27 settembre 2012, numero 16493 27 maggio 2008, numero 13831 ord. 6 aprile 2005, numero 321 26 novembre 1998, numero 12014 8 novembre 1994, numero 9263 , secondo cui tale istituto non costituisce una sanzione, né penale e né amministrativa, o un effetto penale della condanna, ma conseguenza del venir meno di un requisito soggettivo per l'accesso alle cariche considerate o per il loro mantenimento. Pronunciando sulla L. numero 55 del 1990, citato articolo 15, la Corte costituzionale , in primo luogo, ha invero avuto modo di rilevare in più occasioni come le misure ivi previste - ossia l'incandidabilità alle cariche elettive e la decadenza di diritto dalle medesime a seguito di condanna definitiva per determinati reati che viene qui specificamente in rilievo , nonché la sospensione automatica in caso di condanna non definitiva - siano dirette ad assicurare la salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, la tutela della libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche allo scopo di fronteggiare una situazione di grave emergenza nazionale cfr. Cass. 12113/2016 . La Corte Cost. 19 novembre 2015, numero 236 - nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. numero 235 del 2012, articolo 11, comma 1, lett. a , sollevata in riferimento agli articolo 2,4,51 e 97 Cost. - ha ribadito che non appare, invero, affatto irragionevole che questa operi con effetto immediato anche in danno di chi sia stato legittimamente eletto prima della sua entrata in vigore costituisce, infatti, frutto di una scelta discrezionale del legislatore certamente non irrazionale l'aver attribuito all'elemento della condanna irrevocabile per determinati gravi delitti una rilevanza così intensa, sul piano del giudizio di indegnità morale del soggetto, da esigere, al fine del miglior perseguimento delle richiamate finalità di rilievo costituzionale della legge in esame, l'incidenza negativa della disciplina medesima anche sul mantenimento delle cariche elettive in corso al momento della sua entrata in vigore . Resta da aggiungere che, secondo l'orientamento di questa Corte, espresso in fattispecie, invero, diversa dalla presente e qui condiviso per l'affermazione di principi valevoli anche per quanto ora di interesse, la causa di incandidabilità e di decadenza è giustificata da un giudizio di indegnità morale a ricoprire le cariche elettive indicate dalla legge, da parte di soggetti colpiti da alcune condanne penali irrevocabili, sicché essa si configura come un requisito negativo ai fini della capacità di partecipare alla competizione elettorale e di mantenere la carica. Il D.Lgs. 31 dicembre 2012, numero 235 , considera la condanna penale irrevocabile quale mero presupposto oggettivo e requisito negativo ai fini della capacità di partecipare alla competizione elettorale e di mantenere la carica così Cass. 12113/2016 in ipotesi di decadenza di un Sindaco di un Comune siciliano a seguito di condanna penale per il reato di tentato abuso d'ufficio commesso prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. numero 235 del 2021 . 4.3. Alla stregua di tali principi, non può che trarsi la necessaria conclusione che la sentenza cd. di patteggiamento nel caso di specie per originaria imputazione di corruzione in atti giudiziari, di seguito rubricata in traffico di influenze illecite ex articolo 346 bis c.p. , in quanto equiparata alla sentenza di condanna per espresso disposto dell'articolo 15 del citato D.Lgs., si configuri come requisito negativo anche ai fini di mantenere la carica, e non solo ai fini della candidabilità. Un diverso opinamento nel senso prospettato dal ricorrente, oltre che non rispondente alla ratio legis per quanto si è detto, sarebbe oltremodo illogico, poiché, paradossalmente, il requisito negativo si porrebbe come ostativo solo alla partecipazione alla competizione elettorale, che è senz'altro un minus rispetto al mantenimento della carica da parte del candidato eletto. Va, pertanto, espresso il seguente principio di diritto In tema di elettorato passivo, i requisiti negativi ostativi al mantenimento della carica di consigliere regionale, idonei a determinare ipso jure la decadenza ai sensi del D.Lgs. numero 235 del 2012, articolo 8, comma 6, per difetto della non indegnità morale del soggetto desunto da condanne irrevocabili per determinati reati, sono i medesimi che determinano l'incandidabilità di cui all'articolo 7 dello stesso D.Lgs., in base all'interpretazione letterale, sistematica e finalistica della relativa disciplina, e pertanto alla sentenza penale di condanna è equiparata quella di applicazione della pena ai sensi dell' articolo 444 c.p.p. , come previsto dall'articolo 15 dello stesso D.Lgs. . 5. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, ove dovuto Cass. S.U. numero 5314/2020 . Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, numero 196, articolo 52 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13 , comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, ove dovuto. Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, numero 196, articolo 5 2.