No al pagamento di una somma per la disattivazione dell'utenza telefonica

La Cassazione ha respinto il ricorso di una nota compagnia telefonica, non potendo ritenersi vincolante per il cliente la mera indicazione delle c.d. spese di recesso nelle Condizioni generali di contratto pubblicate sul sito dell'operatore.

Un’utente citava dinanzi al Giudice di Pace una nota compagnia telefonica, per l'illegittimo addebito della somma di 35,18 euro a titolo di spese di disattivazione dell'utenza. Il Giudice di Pace, prima, e il Tribunale di Trani, poi, accoglievano la domanda della ricorrente, e condannavano la compagnia a restituire la cifra in questione, in quanto «nessuna clausola contrattuale sottoscritta dall'appellata autorizzava la società a riscuotere detta somma». La società ricorre in Cassazione, sostenendo che non trattandosi di clausole vessatorie non era richiesta una specifica approvazione per iscritto, mentre l'aderente aveva il dovere di conoscere le condizioni generali di contratto, considerata «l’ampia diffusione di queste ultime su tutto il territorio nazionale e la loro agevole consultabilità tramite il sito istituzionale». Né del resto - osserva la compagnia - il contratto di telefonia è sottoposto alle stringenti regole previste, per esempio, per i contratti bancari e finanziari o per il credito al consumo. Il ricorso, tuttavia, è infondato. Secondo i Giudici, infatti, la società non aveva neppure riprodotto in giudizio le Condizioni generali di contratto , ed aveva esercitato il suo diritto di azione «in termini che si connotano per antigiuridicità, giacché ha prospettato assunti difensivi palesemente eccentrici e nuovi rispetto all'apparato argomentativo e motivazionale della sentenza di cui ha chiesto la cassazione». Per questi motivi, la Corte condanna la società al pagamento delle spese processuali e del doppio contributo unificato.

Presidente Graziosi – Relatore Gorgoni Rilevato che T. SPA ricorre per la cassazione della sentenza numero 26762019 del Tribunale di Trani, pubblicata in data 11 dicembre 2019, articolando un solo motivo, illustrato con memoria. Resiste con controricorso D.A. La ricorrente espone di essere stata citata, dinanzi al Giudice di Pace di Barletta, da D.A. che lamentava l'illegittimo addebito della somma di Euro 35,18 a titolo di spese di disattivazione dell'utenza telefonica, in violazione della L. numero 40 del 2007, articolo 1, comma 3, e dei principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto. Il Giudice di Pace, prima, con la sentenza numero 53/2016, e il Tribunale di Trani, poi, con la decisione numero 2676-2019, oggetto del presente ricorso, accoglievano la domanda di D.A. e condannavano l'odierna ricorrente a restituire la somma di Euro 35,18. Il Tribunale, in particolare, dopo aver rigettato l'eccezione di incompetenza del Giudice di Pace, sollevata dalla somministrante, fondata sul fatto che D.A. aveva chiesto anche l'accertamento della nullità/inefficacia della clausola contrattuale delle condizioni generali di contratto che prevedeva il pagamento del costo di disattivazione, era stata allegata quale difesa a supporto della domanda di restituzione e non aveva determinato uno spostamento di competenza, rigettava nel merito l'appello, stante che nessuna clausola contrattuale sottoscritta dall'appellata autorizzava T. a riscuotere detta somma. Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell'articolo 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza della Corte. Considerato che 1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la Violazione e falsa applicazione di norme di legge in riferimento all'articolo 360 c.p.c., numero 3, in relazione all'articolo 1341 c.c., agli articolo 115 e 116 c.p.c., nonché delle delibere AGCOM numero 96/07/Cons del 22 febbraio 2007 e 302/07/Cons del 6 giugno 2007 - Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in riferimento all'articolo 360 c.p.c., numero 5, in relazione all'efficacia ed opponibilità delle condizioni generali di contratto - error in iudicando . Oggetto di censura è la statuizione con cui il Tribunale di Trani ha rigettato l'appello, confermando la decisione del Giudice di Pace, perché tutte le difese dell'appellante presupponevano la pattuizione di una clausola che autorizzasse ad addebitare alla controparte i costi oggetto di causa, sennonché era circostanza incontestata che nessuna clausola di tal fatta risultava sottoscritta dall'appellata e, dunque, nessuna pretesa poteva essere avanzata a tale titolo da Tim. L'errore della sentenza consisterebbe nell'aver preteso, ai fini della sua efficacia, la sottoscrizione della clausola delle Condizioni generali di contratto che prevedeva l'addebito delle spese di disattivazione il che avrebbe richiesto la stipulazione per iscritto del contratto di utenza telefonica non imposta nè ai fini della validità, ma neppure ai fini della prova. La decisione sarebbe stata erronea, secondo la prospettazione di TIM, anche là dove il Tribunale avesse preteso l'allegazione delle condizioni generali al contratto di utenza. Di conseguenza, la sentenza impugnata avrebbe male applicato l'articolo 1341 c.c. - il quale impone la conoscenza o la conoscibilità delle condizioni generali di contratto al fine di vincolare l'aderente, mentre richiede, solo al suo comma 2, che particolari clausole, quelle vessatorie, siano specificamente approvate per iscritto pretendendo l'assolvimento dell'onere di provare la conoscenza o la conoscibilità del contratto da parte dell'utente, esclusivamente con l'esibizione del contratto sottoscritto, omettendo di considerare non solo che l'aderente aveva il dovere di conoscere le condizioni generali di contratto, ma anche l'ampia diffusione di queste ultime su tutto il territorio nazionale e la loro agevole consultabilità tramite il sito istituzionale. Nella sostanza, il Tribunale avrebbe travisato il dovere di conoscenza gravante sull'aderente, imponendo al predisponente un inesistente dovere di portare a conoscenza di D.A. le condizioni generali di contratto. Aggiunge la ricorrente che il legislatore ha imposto l'esigenza della conoscibilità delle condizioni generali di contratto solo in settori particolari - a titolo di esempio, per i contratti relativi alle operazioni ed ai servizi bancari e finanziari e per la concessione del credito al consumo - prescrivendo che una copia del testo contrattuale venga consegnata all'aderente, tra i quali non rientrano i contratti di utenza telefonica. Osserva poi i che tra le parti non vi era stata una fase di trattativa, perché il contratto in questione era un contratto per adesione ii che la clausola relativa al rimborso delle spese di disattivazione dell'utenza sostenute da T. non abbisognava di specifica approvazione per iscritto, non essendo vessatoria iii che l'attrice nell'atto di citazione aveva fatto riferimento ad una serie di prescrizioni normative che riconosceva il diritto della predisponente ai costi di disattivazione con l'unico limite della conoscibilità e trasparenza delle condizioni generali di contratto iv che non sono vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge ovvero che riproducono disposizioni o attuano principi contenuti in convenzioni internazionali delle quali siano parti contraenti tutti gli Stati membri dell'Unione Europea o l'Unione Europea v che le condizioni generali di contratto e la connessa Carta dei servizi erano state adottate nel rispetto della Delibera numero 820/00/CONS dell'Autorità Garante delle comunicazioni e che erano state elaborate sulla scorta delle risultanze emerse da un prolungato ed esauriente confronto con le associazioni più rappresentative dei consumatori vi che la L. numero 20 del 2007, prescrive che i contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia devono prevedere la facoltà di recedere dal contratto o di trasferire l'utenza ad altro operatore senza vincoli temporali o ritardi ingiustificati e senza spese non giustificate da costi dell'operatore vii che, al fine di garantire il rispetto della L. numero 20 del 2007, l'AGCOM aveva deliberato le modalità operative e specifiche in materia di costi di attivazione, cui anche T. avrebbe dovuto attenersi viii che con successiva delibera numero 302/07/Cons la stessa Autorità aveva disposto la modifica di quella precedente, sostituendo l'utilizzo del termine penale , ritenuto inadeguato ai contratti di adesione, con quella di spese per il cliente per l'esercizio della facoltà di recesso, ed aveva proceduto alla verifica dei costi applicati da tutti gli operatori, compresa T., pubblicandoli sul proprio sito istituzionale. Il motivo è inammissibile per una pluralità di motivi. In primo luogo, si rileva che la clausola delle condizioni generali di contratto di cui si controverte non è stata riprodotta nel contratto e ciò impedisce a questa Corte di svolgere il compito istituzionale di cui il motivo di ricorso l'ha investita, vieppiù in considerazione del fatto che alcune delle argomentazioni implicano proprio la conoscenza del contenuto di detta clausola. Va altresì aggiunto che molte delle questioni sollevate non risultano trattate dalla sentenza impugnata, pertanto, parte ricorrente, al fine di sfuggire all'altrimenti inevitabile rilievo di novità delle censure, aveva l'onere - qui non assolto - non solo di allegare l'avvenuta deduzione delle questioni avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo avesse fatto, in considerazione del fatto che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d'inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d'appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione che implichino un accertamento di fatto, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio Cass. 02/11/2018, numero 28060 Cass. 16/03/2021, numero 7280 . È appena il caso di aggiungere che la violazione degli articolo 115 e 116 c.p.c., indicata nella epigrafe del motivo, non è sorretta da alcuna argomentazione, sicché essa non riveste i caratteri di una censura cassatoria il che la rende non ammissibile perché la sua modalità di deduzione contravviene proprio alla finalità primaria della prescrizione di rito, che è quella di indicare che cosa si critica e su cosa si fonda la critica, sì da rendere agevole la comprensione della questione controversa. Neppure è stata correttamente dedotta la violazione dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5 anzitutto, e in via assorbente, per il limite di deducibilità del vizio di motivazione ex articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5, in presenza di c.d. doppia conforme articolo 348-ter c.p.c., commi 4 e 5, introdotto dal D.L. numero 83 del 2012, articolo 54, comma 1, lett. a , convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, numero 134 al fine di evitare tale conclusione, parte ricorrente avrebbe dovuto, confrontando le ragioni di fatto poste a fondamento della decisione di primo grado con quelle poste a base della sentenza di rigetto del gravame, dimostrarne la diversità il che nel caso di specie non risulta avvenuto. In ogni caso, quand'anche il vizio fosse stato deducibile, se ne sarebbe dovuta egualmente dichiarare l'inammissibilità le censure, infatti, mancano di evidenziare un fatto storico , il cui esame sia stato omesso, nè soddisfano gli oneri di allegazione posti a carico di chi denunci l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, quanto alla emergenza del fatto pretermesso dalla sentenza rilevanza del dato testuale o dagli atti processuali rilevanza anche dal dato extratestuale che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un diverso esito della controversia Cass., Sez. Unumero , 07/04/2014, numero 8053 . 2. Ne consegue l'inammissibilità del ricorso. La memoria di T., pur corposa, non contiene, infatti, argomenti che giustifichino il raggiungimento di una conclusione diversa, perché ripropone, senza approfondimenti conducenti, gli stessi ragionamenti del ricorso, perseverando nel tentativo di spostare il focus delle questioni rispetto a quelle su cui si è incentrato l'iter logico-argomentativo della sentenza impugnata. 3. Questa Corte ritiene che nel caso di specie ricorrano i presupposti per condannare T., ai sensi dell'articolo 96 c.p.c., comma 3, al pagamento della somma indicata in dispositivo. Emerge, infatti, in termini oggettivi dagli atti processuali, per di più tenendo conto della fase in cui si trova il giudizio, che T. ha esercitato le sue prerogative processuali in modo abusivo, più precisamente scorretto, cioè adottato col sacrificio di un interesse alieno di valore superiore rispetto a quello soddisfatto attraverso l'esercizio, da parte sua, del diritto di impugnazione e, quindi, attuato senza alcuna considerazione per l'interesse superiore ad un efficiente svolgimento del processo che risulta leso da un aumento del volume del contenzioso, da ogni ostacolo alla ragionevole durata dei processi pendenti nonché dallo spreco di risorse Cass. 30/09/2021, numero 26545 . Precisamente T. ha esercitato in concreto il suo diritto di azione, nonostante il rispetto formale da parte sua del diritto processuale, in termini che si connotano per antigiuridicità, giacché ha prospettato assunti difensivi palesemente eccentrici e nuovi rispetto all'apparato argomentativo e motivazionale della sentenza di cui ha chiesto la cassazione, confezionando un ricorso, la cui inammissibilità non poteva che risultare manifesta sotto i plurimi profili individuati. 4. Deve darsi atto anche della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico della ricorrente dell'obbligo di pagamento del doppio contributo unificato, se dovuto. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidandole in Euro 1.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, cui è da aggiungere la condanna al pagamento di Euro 1.000,00 ai sensi dell'articolo 96 c.p.c., comma 3, da distrarre, come richiesto, a favore dei difensori della controricorrente. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.