A inchiodare il militare è anche l’utilizzo di certificati medici falsi. Poco plausibile la tesi difensiva secondo cui ad agire sarebbe stata in autonomia la madre del militare.
Il richiamo a - presunte - ragioni di salute non basta a legittimare il mancato rientro in servizio del militare. Consequenziale la sua condanna per il reato di diserzione, con pena fissata in quattro mesi di reclusione. Ricostruita nei dettagli la vicenda, l'uomo sotto processo viene condannato sia dal Tribunale militare, nel gennaio del 2019, sia dalla Corte militare d'Appello, nel dicembre del 2019, e punito con quattro mesi di reclusione militare per il reato di « diserzione impropria ». Nel contesto della Cassazione, il militare prova a ridurre la gravità dell'accusa a suo carico, proponendo la propria versione dei fatti. In questa ottica egli spiega che «il mancato rientro in servizio, al termine di un periodo di licenza, è stato motivato da ragioni di salute » e aggiunge che, non a caso, egli è stato «assolto, già all'esito del giudizio di primo grado, dalla contestazione di truffa» per l'utilizzo di falsi certificati medici. Quest'ultimo dato, ossia l'assoluzione dall'accusa di truffa, dovrebbe, a suo dire, già bastare per mettere in discussione la condanna per diserzione, condanna che invece, sottolinea, è stata poggiata «sulla ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla madre e sul contegno da lui serbato a fronte delle rassicurazioni ricevute in ordine alla trasmissione della certificazione sanitaria attestante l'impedimento al rientro in caserma». Prima di emettere una decisione, i Giudici della Cassazione richiamano i passaggi salienti della vicenda. Così, viene posto in evidenza che «il soldato, avendo fruito di un periodo di licenza, sarebbe dovuto rientrare in servizio il 2 febbraio del 2017, giorno in cui, però, risultò assente al contrappello» ed egli, «dopo avere preannunziato telefonicamente di essere vittima di una indisposizione», «inviò due certificati medici , attestanti il suo impedimento sino all'8 febbraio 2017», certificati che però «si sono rivelati falsi » poiché «frutto della contraffazione dei veri certificati sottoscritti in precedenza dal medico che se ne è assunto la paternità». Vero che il militare «è stato assolto, in primo grado, dalla contestazione di truffa», ma ciò è avvenuto, osservano i Giudici, «per la grossolanità dell'operata falsificazione, che venne facilmente individuata all'atto dell'esame dei certificati da lui inviati a giustificazione dell'assenza». Allo stesso tempo, però, il militare è stato condannato per il reato di diserzione impropria, integrato dalla condotta del militare che «essendo in libera uscita, non si presenta, senza giusto motivo, al reparto di appartenenza nei cinque giorni successivi». Per ritenere giustificabile tale assenza bisogna fare riferimento, precisano i Giudici, ad «un motivo oggettivamente giusto , traente origine da un impedimento - fisico o morale - alla presentazione, impedimento che, senza raggiungere gli estremi di uno stato di necessità, costituisca, tuttavia, una situazione transitoria od improvvisa , ma sempre di natura obiettiva». Ad esempio, è giustificato «il mancato rientro conseguente alla sopravvenienza, debitamente documentata, di una malattia, di gravità tale da impedire la ripresa del servizio». Nella vicenda presa in esame dalla Cassazione, però, è emersa «l' inattendibilità della versione difensiva, secondo cui il militare, effettivamente colto da improvvisa e debilitante indisposizione, sarebbe stato visitato da un medico, il quale avrebbe certificato l'impedimento attraverso la redazione di documenti che il militare avrebbe affidato alla madre, la quale, però, avendoli smarriti , avrebbe - in forza di deliberazione autonoma, non comunicata al figlio - utilizzato quelli redatti in precedenti occasioni e rimasti nella sua disponibilità, che avrebbe parzialmente contraffatto, sì da creare, all'insaputa del figlio, una apparenza diversa dalla realtà». In secondo grado è stato sottolineato soprattutto «la menzogna» raccontata dalla madre del militare, «la quale, mossa da tangibile interesse a preservare, per quanto possibile, la posizione del figlio, si è trincerata dietro personali problemi di salute, anche di ordine psicologico, che avrebbero determinato la défaillance, e che, tuttavia, paiono incompatibili con l'estemporanea iniziativa che ella sostiene di avere spontaneamente adottato, espressione di una callida lucidità assolutamente inconciliabile con la dedotta difficoltà a provvedere alle proprie necessità di vita, tanto acuta da indurre una donna a prestarle frequente ausilio anche nel disbrigo di semplici adempimenti domestici». Peraltro, «da un punto di vista logico, è non credibile che la donna, dopo avere smarrito il certificato che ella sostiene essere stato redatto l'1 febbraio 2017, abbia contraffatto quello preesistente, peraltro inviandolo via PEC al corpo di appartenenza del figlio, per poi ripetere analogo contegno – con la medesima sequenza – a distanza di cinque giorni», osservano i giudici della Cassazione. E proprio «l'invio di certificati medici palesemente contraffatti costituisce primario indice della fallacia della dedotta giustificazione» proposta dal militare. Senza dimenticare, poi, che il medico, pur ricordando di «avere, in quei mesi, diagnosticato al militare faringotonsillite con febbri e virosi intestinale faringotonsillie, ha detto di «non avere precisa memoria di visite a domicilio risalenti ai primi giorni di febbraio del 2017». L'ennesima prova della inattendibilità della versione difensiva proposta dal militare arriva «dal suo atteggiamento, di totale passività ». Difatti, egli, «pur avendo interesse alla tempestiva e corretta trasmissione della documentazione al reparto di appartenenza», sostiene di avere «lasciato alla madre, affetta da patologie financo di natura psichiatrica, la cura di adempimenti tanto delicati». Sacrosanta, quindi, la condanna del militare per il reato di diserzione.
Presidente Santalucia – Relatore Cappuccio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 17 dicembre 2019 la Corte militare di appello ha confermato quella con la quale il Tribunale Militare di Roma, il 22 gennaio 2019, ha dichiarato la penale responsabilità di S.M. in ordine al reato di diserzione impropria e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di quattro mesi di reclusione militare, oltre che al pagamento delle spese processuali. 2. S.M. propone, con l'assistenza dell'avv. omissis , ricorso per cassazione affidato a tre motivi, con il primo dei quali deduce violazione di legge per avere la Corte militare di appello omesso di considerare che il suo mancato rientro in servizio, al termine di un periodo di licenza, è stato motivato da ragioni di salute e che egli è stato, già all'esito del giudizio di primo grado, assolto dalla contestazione di truffa per insussistenza dell'addebito. Con il secondo motivo, lamenta vizio di motivazione per avere la Corte militare di appello seguito un percorso argomentativo contraddittorio ed illogico che, pur prendendo atto dell'assoluzione dal reato presupposto di truffa, si è incentrato sulla ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla madre e sul contegno da lui serbato a fronte delle rassicurazioni ricevute in ordine alla trasmissione della certificazione sanitaria attestante l'impedimento al rientro in caserma. Con il terzo motivo, eccepisce vizio di motivazione per avere la Corte di appello disatteso il principio secondo cui l'affermazione della penale responsabilità presuppone l'acquisizione di prova della colpevolezza dell'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio, condizione nel caso di specie mancante, per come dimostrato dal tenore delle deposizioni dei testi L.M., I.S. ed S.E. 3. Disposta la trattazione scritta ai sensi del D.L. numero 137 del 2020, articolo 23, comma 8, il Procuratore generale militare ha chiesto, con requisitoria del 4 novembre 2021, dichiararsi l'inammissibilità del ricorso, mentre il ricorrente, con memoria dell'8 novembre, ha insistito per il suo accoglimento. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e, pertanto, passibile di rigetto. 2. Il soldato S.M., avendo fruito di un periodo di licenza, sarebbe dovuto rientrare in servizio, a omissis , il 2 febbraio 2017, giorno in cui, però, risultò assente al contrappello. Egli, dopo avere preannunziato telefonicamente di essere vittima di una indisposizione, inviò due certificati medici, attestanti il suo impedimento sino all'8 febbraio 2017, che, ai successivi accertamenti, si sono rivelati falsi perché frutto della contraffazione di quelli sottoscritti, in precedenza, dal sanitario che se ne è assunta la paternità. S. è stato assolto, in primo grado, dalla contestazione di truffa per la grossolanità dell'operata falsificazione, che venne facilmente individuata all'atto dell'esame dei certificati da lui inviati a giustificazione dell'assenza. Egli è stato, invece, condannato per il reato di diserzione impropria, previsto dall' articolo 148 c.p.m.p. , numero 2 , ed integrato dalla condotta del militare che, essendo in libera uscita, non si presenta, senza giusto motivo, al reparto di appartenenza nei cinque giorni successivi. 3. La giurisprudenza di legittimità, chiamata a delineare le condizioni che consentono di ritenere l'esimente, ha stimato che essa debba consistere in un motivo oggettivamente giusto, traente origine da un impedimento - fisico o morale - alla presentazione, impedimento che, senza raggiungere gli estremi di uno stato di necessità, costituisca, tuttavia, una situazione transitoria od improvvisa, ma sempre di natura obiettiva, tale da escludere l'antigiuridicità alla condotta Sez. 1, numero 7731 del 23/12/1987, dep, 1988, Scapolo, Rv. 178777 e, più specificamente, ha reputato giustificato il mancato rientro conseguente alla sopravvenienza, debitamente documentata, di malattia, di gravità tale da impedire la ripresa del servizio Sez. 1, numero 2000 del 16/03/2000, De Lucia, Rv. 215923 Sez. 1, numero 13999 del 08/11/1999, Maiorano, Rv. 214826 . 4. Nel caso in esame, i giudici di merito hanno concordemente attestato l'inattendibilità della versione difensiva, secondo cui S. , effettivamente colto da improvvisa e debilitante indisposizione, sarebbe stato visitato dalla Dott.ssa I. , la quale avrebbe certificato l'impedimento attraverso la redazione di documenti che l'imputato avrebbe affidato alla madre che, però, avendoli smarriti, avrebbe - in forza di deliberazione autonoma, non comunicata al figlio - utilizzato quelli redatti in precedenti occasioni e rimasti nella sua disponibilità, che avrebbe parzialmente contraffatto, sì da creare, all'insaputa del diretto interessato, una apparenza diversa dalla realtà. La Corte militare di appello ha, in particolare, ritenuto il mendacio della S. , la quale, mossa da tangibile interesse a preservare, per quanto possibile, la posizione del congiunto, si è trincerata dietro personali problemi di salute, anche di ordine psicologico, che avrebbero determinato la dèfaillance e che, tuttavia, paiono incompatibili con l'estemporanea iniziativa che ella sostiene di avere spontaneamente adottato, espressione di una callida lucidità assolutamente inconciliabile con la dedotta difficoltà a provvedere alle proprie necessità di vita, tanto acuta da indurre L.M. a prestare frequente ausilio anche nel disbrigo di semplici adempimenti domestici. Da un punto di vista logico, del resto, è del tutto incredibile che la donna, dopo avere smarrito il certificato che ella sostiene essere stato redatto Ìl febbraio 2017, abbia contraffatto quello preesistente, peraltro inviandolo via PEC al corpo di appartenenza del figlio, per poi ripetere analogo contegno - con la medesima sequenza - a distanza di cinque giorni. 5. L'invio di certificati palesemente contraffatti costituisce piuttosto, nella ricostruzione avallata dalla Corte militare di appello, primario indice della fallacia della dedotta giustificazione, che non trova contraddizione nelle dichiarazioni rese dagli ulteriori soggetti escussi. Al riguardo, la Corte, dopo avere ribadito, in primis, il giudizio di inattendibilità di S.E. nella parte in cui ella ha sostenuto che il figlio versava in condizioni di salute tanto precarie da essere impedito alla partenza da […] verso omissis , ha osservato che la testimone L.M. si è limitata a riferire che, in quei giorni, S.M. era a casa per asseriti - e da lei non direttamente riscontrati nè tantomeno diagnosticati - problemi di salute ciò che, è facile arguire, non comprova effettività e gravità dell'affezione e che la Dott.ssa I.S. , pur ricordando di avere, in quei mesi, diagnosticato al militare faringotonsillite con delle febbri e virosi intestinale , ha detto di non avere precisa memoria di visite a domicilio risalenti ai primi giorni di febbraio del 2017. Il percorso motivazionale seguito dai giudici di merito si rivela incensurabile, perché scevro da profili di manifesta illogicità e contraddittorietà, anche laddove rinviene ennesima prova dell'inattendibilità della versione difensiva dall'atteggiamento, di totale passività, che S.M., pur avendo interesse alla tempestiva e corretta trasmissione della documentazione al reparto di appartenenza, avrebbe serbato lasciando alla madre, affetta da patologie financo di natura psichiatrica, la cura di adempimenti tanto delicati. 6. La sentenza impugnata perviene, dunque, all'affermazione della penale responsabilità dell'imputato sulla scorta di argomentazioni che, frutto dell'esame di tutte le evidenze disponibili, conducono ad escludere, in termini di certezza, la ricorrenza della dedotta esimente, onde insussistente si palesa la dedotta violazione del canone di giudizio previsto dall' articolo 533 c.p.p. , comma 1. Nè, va opportunamente aggiunto, le conclusioni raggiunte in ordine al reato di diserzione impropria confliggono con l'assoluzione dal delitto di truffa, conseguenza dell'assenza, nell'artifizio posto in essere da S., di effettiva attitudine ingannatoria e non già della riconosciuta rispondenza al vero delle circostanze esposte nei certificati grossolanamente contraffatti. 7. Dal rigetto del ricorso discende la condanna di S. al pagamento delle spese processuali ai sensi dell' articolo 616 c.p.p. , comma 1, primo periodo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.