Nullità della clausola contrattuale d’appalto e termine di decorrenza degli interessi

«Il termine dell’adempimento dell’obbligazione e, con esso, il momento in cui il credito dell’appaltatore diventi esigibile, coincide con la concreta disponibilità delle somme accreditate all’appaltante».

Una società ricorre in Cassazione deducendo la violazione e falsa applicazione degli articolo 4, l. numero 741/1981, 35 e 36, d.P.R. numero 1063/1962, in quanto la Corte d'Appello avrebbe statuito la nullità della clausola contrattuale d'appalto che indica quale termine di decorrenza degli interessi la data in cui viene erogato il finanziamento delle opere appaltate alla committente, rispetto al disposto dell'articolo 4 citato, applicabile ratione temporis, secondo cui «l'importo degli interessi per ritardato pagamento dovuti in base a norme di legge, di capitolato generale e speciale o di contratto, viene computato e corrisposto in occasione del pagamento, in conto o a saldo immediatamente successivo, senza necessità di apposite domande e riserve». Inoltre, «il termine di 90 giorni», previsto dagli altri due articoli citati, «del capitolato generale d'appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici approvato con d.P.R. numero 1063/1962, è ridotto a 60 giorni». E risultano «nulli i patti in contrario o in deroga». Il divieto di derogare, previsto al citato articolo 4, non afferisce, però, ad una norma imperativa. Ne consegue il rigetto del suddetto ricorso da parte del Collegio che sottolinea come «il termine dell'adempimento dell'obbligazione e, con esso, il momento in cui il credito dell'appaltatore diventi esigibile, coincida con la concreta disponibilità delle somme accreditate all'appaltante».

Presidente Campanile – Relatore Caiazzo Rilevato che La omissis s.p.a. convenne innanzi al Tribunale di Roma la omissis s.p.a. per chiederne la condanna al pagamento delle somme da questa dovuta a titolo di saldo corrispettivo per l'esecuzione dei lavori appaltati dalla convenuta in regime di concessione svincolo delle ritenute di garanzia, interessi per il ritardo nella emissione di certificati e mandati di pagamento, compensi dovuti per due riserve iscritte nella contabilità dell'appalto per la costruzione della caserma della polizia di Stato al valido di omissis . Si costituiva la convenuta eccependo di aver pagato delle fatture, ad eccezione di due del omissis in mancanza della definitiva approvazione del collaudo, nei termini previsti dal capitolato speciale di appalto che le riserve erano generiche ed indeterminate che dell'eventuale ritardo nel pagamento era da ritenere responsabile il committente, chiamato in causa a tal fine. Con sentenza dell'1.7.04 il Tribunale dichiarò il difetto di giurisdizione nel rapporto con l'amministrazione chiamata in causa, mentre in parziale accoglimento delle domande dell'attrice, condannò la convenuta al pagamento della somma di Euro 29.625,50 oltre interessi legali. Avverso tale sentenza propose appello la società che, con sentenza del 30.8.16, fu in parte accolto condannando parte appellata al pagamento della somma di Euro 258.783,15 a titolo di interessi moratori, nonché della somma di Euro 10.305,35, osservando che la questione era stata affrontata dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, ritenendo nulle le clausole in questione al riguardo, la L. numero 741 del 1981, articolo 4, dispone che l'importo degli interessi per ritardato pagamento dovuti in base alla legge e al capitolato generale e speciale o di contratto, viene computato e corrisposto in occasione del pagamento, senza necessità di apposita domanda sono nulli i patti contrari o in deroga tale clausola è stata appunto ritenuta invalida in quanto con essa s'intende proteggere il contraente più debole vietando il differimento della decorrenza degli interessi parte della suddetta somma oggetto di condanna era da ascrivere alle conseguenze delle disposte sospensioni non imputabili all'impresa la sentenza di primo grado non era stata specificamente censurata nella parte relativa alla condanna equitativa alla somma di Euro 19.953,958 non era fondato il gravame concernente la decadenza dalla riserva di cui al documento numero 91 per l'impossibilità di riscontro del registro di contabilità, motivazione non censurata in appello. omissis s.p.a. ricorre in cassazione con tre motivi, illustrati con memoria. omissis resiste con controricorso, illustrato con memoria. Ritenuto che Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. numero 741 del 1981, articolo 4, D.P.R. numero 1063 del 1962, articolo 35 e 36, per aver la Corte d'appello statuito la nullità delle clausole contrattuali articolo 13 del capitolato speciale , perché in contrasto con la L. numero 741, articolo 4, comma 3, norma quest'ultima non applicabile sia in quanto l'appaltatore aveva accettato che la mora decorresse dal momento in cui la concessionaria avesse ricevuto il finanziamento e, fosse stata, dunque, in condizione di poter adempiere l'obbligazione, sia in quanto le suddette clausole non contemplavano una rinuncia preventiva al diritto, bensì una specifica pattuizione sul termine a quo del decorso degli interessi, incidendo pertanto sulla sola esigibilità del diritto agli interessi in capo all'appaltatore. Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione del R.D. numero 350 del 1895, articolo 54 e articolo 2697 c.c., per aver la Corte d'appello condannato omissis s.p.a. al pagamento della somma di Euro 80.970,68 a titolo di maggiori oneri, di cui alla riserva numero 12 relativa al primo stralcio, quale conseguenza delle disposte sospensioni dei lavori non imputabili all'impresa, assumendo al riguardo che tale riserva era stata confermata nello stato finale e che la statuizione della condanna sul punto era stata contestata nella comparsa di risposta in primo grado a causa dell'indeterminatezza della riserva e dunque per la mancata prova del diritto. Il terzo motivo, in subordine rispetto al secondo, deduce l'omesso esame di fatto decisivo, oggetto di discussione, afferente alla medesima questione oggetto del precedente motivo. Il ricorso è infondato. Il primo motivo riguarda la validità della clausola contrattuale d'appalto che indica quale termine di decorrenza degli interessi la data in cui viene erogato il finanziamento delle opere appaltate alla committente, rispetto al disposto della L. numero 741 del 1981, articolo 4, comma 3, applicabile ratione temporis, secondo il cui disposto l'importo degli interessi per ritardato pagamento dovuti in base a norme di legge, di capitolato generale e speciale o di contratto, viene computato e corrisposto in occasione del pagamento, in conto o a saldo, immediatamente successivo, senza necessità di apposite domande e riserve. Il termine di novanta giorni previsto nell'articolo 35, commi 1 e 2, e articolo 36, comma 3, del capitolato generale d'appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici approvato con D.P.R. 16 luglio 1962, numero 1063, è ridotto a sessanta giorni. Sono nulli i patti in contrario o in deroga. A sostegno della sentenza impugnata, che ha affermato la nullità delle suddette clausole, è stata invocata una giurisprudenza di legittimità risalente Cass., numero 16814/06 numero 14974/02, v. anche numero 15788/00 alla cui stregua, in tema di appalto di opere pubbliche, in virtù delle disposizioni di cui al primo ed all'ultimo comma della L. 10 dicembre 1981, numero 741, articolo 4, sono nulle tutte le pattuizioni, che prevedano particolari modalità o termini dilatori per la corresponsione degli interessi moratori spettanti all'appaltatore, dovendo tali interessi essere computati e corrisposti, senza la necessità di apposite riserve o domande il che significa ancorare la loro decorrenza esclusivamente al ritardo nell'adempimento senza che rispetto al momento previsto per l'adempimento stesso possano essere previste consistenti dilazioni del termine di decorrenza, restando altrimenti frustrate le finalità acceleratorie della normativa in esame in occasione del pagamento, in conto o a saldo, immediatamente successivo. In senso contrario, la giurisprudenza di legittimità più recente, afferma che, in tema di appalto di opere pubbliche, la clausola che impegni l'appaltante a pagare la sorte capitale per stati di avanzamento e saldo finale dei lavori al momento della effettiva acquisizione dei finanziamenti da parte di un altro ente, non è nulla della L. 10 dicembre 1981, numero 741, ex articolo 4, comma 3, ratione temporis applicabile, che sancisce la nullità dei patti contrari o in deroga alla disciplina degli interessi per ritardato pagamento, poiché, senza implicare alcuna rinuncia, ha la funzione di determinare il termine dell'adempimento dell'obbligazione e, con esso, il momento in cui il credito dell'appaltatore diventi esigibile in concomitanza con la disponibilità delle somme accreditate all'appaltante. Ne consegue che gli interessi moratori sono dovuti quando quest'ultimo, pur avendo ricevuto tempestivamente l'accredito delle somme da parte dell'ente finanziatore, abbia ritardato il versamento nel termine pattuito Cass., numero 3648/09 numero 22996/14 numero 2509/18 . Il collegio ritiene di aderire a tale ultimo orientamento in quanto il divieto di derogare al citato articolo 4, non afferisce ad una norma imperativa invero, la tesi della tutela del contraente più debole, cioè l'appaltatore, appare troppo rigorosa, tenuto conto che le clausole in questiono, più verosimilmente, nascono dal fatto che la concreta erogazione dei finanziamenti è spesso incerta nella data e dunque le parti intendono così prevenire contenzioni, senza che ciò si traduca necessariamente in una sorte di approfittamento del contraente più debole, con il venir meno della presunzione che l'appaltatore non abbia lo stesso potere contrattuale dell'ente committente. Va dunque affermato il principio secondo il quale il termine dell'adempimento dell'obbligazione e, con esso, il momento in cui il credito dell'appaltatore diventi esigibile, coincida con la concreta disponibilità delle somme accreditate all'appaltante. Ne consegue che gli interessi moratori sono dovuti quando quest'ultimo, pur avendo ricevuto tempestivamente l'accredito delle somme da parte dell'ente finanziatore, abbia ritardato il versamento nel termine pattuito Cass., numero 22966/14 . Circa il secondo motivo, esaminabile congiuntamente al terzo poiché tra loro connessi, va osservato che la società ricorrente si duole del fatto che la Corte d'appello abbia rigettato l'eccezione d'indeterminatezza della riserva numero 12, in ordine al fermo del cantiere per circa tre anni, riserva che non avrebbe indicato le ragioni della stessa, bensì genericamente i danni per il fermo del cantiere R.D. numero 350 del 1895, ex articolo 54 . Al riguardo, parte controricorrente eccepisce in questa sede l'inammissibilità dell'eccezione poiché afferente a questione nuova, cioè la sospensione dei lavori imputabile all'impresa di contro, la ricorrente rileva di aver sollevato tempestivamente la suddetta eccezione di genericità della riserva che, di per sé, dovrebbe assorbire la questione dell'imputabilità ciò che presupporrebbe la corretta formulazione della riserva . La Corte territoriale ha liquidato equitativamente il danno in questione, in misura ridotta rispetto alla domanda, pari al 40% di quanto richiesto, in ordine ai lavori eseguiti nel periodo tra il 14.7 e il 6.9.95 per il primo lotto, fino al giorno di consegna dei lavori del secondo lotto, avendo invece respinto il gravame riguardante i lavori del secondo lotto, non risultando dimostrato l'impiego delle attrezzature presenti nel cantiere del primo lotto presso il cantiere del secondo lotto. Ora, la sentenza impugnata ha evidenziato che l'appellante impresa non aveva censurato la motivazione afferente alla suddetta limitazione del danno, rispetto a quanto richiesto, limitando appunto i danni al suddetto periodo per il quale, invece, la Corte d'appello ha ritenuto conseguita la prova, sebbene equitativa, del diritto fatto valere. La doglianza relativa alla mancanza di una chiara esplicitazione delle ragioni della riserva non tiene conto del fatto che la Corte d'appello ha fondato la propria decisione - e dunque l'accoglimento parziale dell'appello della omissis s.p.a. - proprio sull'esame delle varie riserve regolarmente inserite nel registro di contabilità. Ne consegue che la riforma della sentenza di primo grado, con la condanna della ricorrente al pagamento della minor somma, risulta chiaramente, sebbene in maniera logicamente implicita, fondata sull'esame di ogni riserva. Ne', per le suesposte argomentazioni, è meritevole di accoglimento la doglianza relativa all'omesso esame della questione oggetto del secondo motivo, avendo il giudice di secondo grado esaminato con pienezza la censura. Le spese del giudizio seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida nella somma di Euro 10.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, ove dovuto.