Infatti, può essere integrato da più condotte violente reiterate nel tempo, ma anche da un unico atto lesivo dell’incolumità o della libertà individuale della vittima che comporti un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.
Lo ha stabilito la quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 8973, depositata in cancelleria il 16 marzo 2022. Il caso. Il G.I.P. pronunciava ordinanza con cui applicava al Comandante della Polizia Penitenziaria di un carcere la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione a numerosi delitti di lesioni aggravate e tortura , oltre che per reati di calunnia , falso e depistaggio . Il Tribunale della libertà confermava l'ordinanza oggetto del riesame. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per Cassazione il prevenuto denunciando 1 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione ai gravi indizi di colpevolezza e alla responsabilità omissiva di cui all' articolo 40, comma 2 c.p. , nonché l'erroneità della qualificazione giuridica dei fatti ricondotti all'ipotesi delittuosa di tortura 2 violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alle esigenze cautelari di cui all' articolo 274 c.p.p. 3 violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento ai principi di proporzionalità e adeguatezza di cui all' articolo 275 c.p.p. La sentenza della Cassazione. La Suprema Corte, nel ritenere il ricorso infondato, ha avuto modo di ribadire una serie di interessanti principi di diritto. In relazione al primo motivo, dopo aver proceduto alla ricostruzione degli eventi, rilevato che le doglianze, eminentemente di fatto, sollecitano una rivalutazione di merito, la sezione osserva che il controllo di legittimità concerne il rapporto tra “motivazione e decisione” e non anche in rapporto tra “prova e decisione” che, in quanto riservata al giudice di merito, risulta insindacabile in sede di legittimità. Circa l'ipotesi concorsuale, la Corte va oltre, ricordando che il concorso di persone nel reato di cui all' articolo 110 c.p. è fondato sul modello di tipizzazione causale, di talché il concorso materiale oltre che all'autore, risulta esteso anche all'ausiliatore, al determinatore e all'istigatore. Quanto alla qualificazione giuridica, la sentenza ricorda che il delitto di tortura di cui all'articolo 613- bis c.p. è stato configurato come reato eventualmente abituale , di talché la locuzione “mediante più condotte” va riferita non solo a una pluralità di episodi reiterati nel tempo, ma anche a una pluralità di contegni violenti tenuti nel medesimo contesto cronologico . In relazione al secondo motivo, inammissibile perché propone doglianze di fatto, la Corte ribadisce che l'articolo 274, lett. c c.p.p. non individua il pericolo di recidiva con la reiterazione dei medesimi “fatti-reato oggetto di contestazione”, atteso che l'oggetto del periculum è la reiterazione di astratti “reati della stessa specie”. Quanto al terzo motivo, anch'esso inammissibile perché sollecita una rivalutazione del merito cautelare, la proporzione e adeguatezza della misura domiciliare risulta calibrata sul numero di reati ben 43 ascritti al ricorrente. Infine, la circostanza che il ricorrente sia stato destinatario di sospensione disciplinare non può ritenersi idonea a elidere il pericolo di reiterazione da un lato, per l'interinalità del provvedimento amministrativo, dall'altro per la diversa finalità che ne sottende l'adozione, stante il fatto che la sospensione disciplinare è diretta alla salvaguardia di interessi pubblici concernenti il rapporto di servizio con l'amministrazione, mentre la misura cautelare attiene alla tutela della collettività, con finalità di prevenzione generale. Conseguentemente, il ricorso è stato integralmente rigettato.
Presidente Vessichelli – Relatore Ricciardi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza emessa il 27/07/2021 il Tribunale della libertà di Napoli ha confermato l'ordinanza del Gip del Tribunale di omissis , con la quale è stata applicata a M.G. la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione a numerosi delitti di lesioni aggravate e tortura, nonché per reati di calunnia e falso capi 73 e 79 , e di depistaggio capo 80 . I fatti di cui è incolpato il ricorrente, in qualità di Comandante della Polizia Penitenziaria del carcere di omissis , secondo la prospettazione accusatoria convalidata dai giudici del merito cautelare, furono compiuti ai danni dei detenuti del reparto omissis del carcere di omissis nel mese di aprile 2020, essendo quelli di falso e calunnia ad essi collegati. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione M.G., con atto dei difensori Avv. omissis e Avv. omissis , sostenendo che l'operazione del 6 aprile 2020, seguita alla situazione del giorno precedente, allorquando i detenuti del reparto omissis si erano barricati all'interno dello stesso, fu nella sostanza gestita dalle forze coordinate dal Dott. C., mentre lo stesso M., pur intervenendo alla riunione preliminare di natura organizzativa, non si occupò di seguire le operazioni e non organizzò le attività all'interno dei reparti la catena di comando era nelle mani dei corpi speciali che erano convenuti presso il carcere di omissis in tenuta anti sommossa. Lo stesso Tribunale della libertà sottolinea come la condotta del M. sia sostanzialmente riconducibile allo schema della omissione, e non a quello della condotta attiva tuttavia egli non pote' esercitare alcun controllo connesso ad una posizione di garanzia, in quanto escluso dalla effettiva e concreta catena di comando, non potendo in alcun modo esercitare funzioni di natura inibitoria, a causa della mancata conoscenza di quanto si verificava nei reparti. Il presupposto per l'individuazione di un coinvolgimento dovrebbe infatti essere una conoscenza effettiva in capo al ricorrente di tutto quanto avveniva in reparto. Tanto premesso, deduce i seguenti motivi. 2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione ai gravi indizi di colpevolezza ed all' articolo 40 c.p. , comma 2. 2.1.1. Quanto al reato di tortura e lesioni, evidenzia che l'antefatto della perquisizione straordinaria era rappresentato dal barricamento avvenuto il precedente 5 aprile è pacifico che M. non sia stato presente nel reparto durante lo svolgimento delle operazioni di perquisizione straordinaria, avendo al riguardo il Tribunale ritenuto inattendibili le dichiarazioni dei detenuti I. e dei fratelli F. in tal senso militano le conversazioni e le chat in cui alcuni colleghi criticano tale comportamento. Il M., quale comandante del carcere, era impegnato a controllare quanto avveniva negli altri reparti, per la presenza di possibili focolai di ulteriori tensioni. Lamenta che il ragionamento del Tribunale, secondo cui il M. partecipò alle operazioni di programmazione della perquisizione straordinaria ed informò il Provveditore dello sviluppo della stessa, senza che il provvedimento di nomina del C. lo avesse esautorato dell'effettivo esercizio delle sue funzioni, sia fondato su una serie di errori di impostazione che hanno determinato un travisamento della prova. Con riferimento alla perquisizione straordinaria evidenzia come non si tratti di atto illegittimo o illecito, bensì di un atto necessario e necessitato qualsiasi sovrapposizione tra straordinarietà della perquisizione, degenerazione della stessa e conoscenza specifica e concreta degli eventi ad essa conseguenti, sarebbe errata che M. potesse sapere della perquisizione straordinaria non dimostra nulla in ordine alla sua effettiva consapevolezza relativamente alle modalità e tipologia concreta ed effettiva della stessa il fatto che il M. abbia partecipato ad una riunione svoltasi nel proprio ufficio, in cui veniva affrontato e pianificato nelle linee essenziali il tema della perquisizione straordinaria, nonché la individuazione del personale del carcere di omissis che avrebbe dovuto operare unitamente al nucleo speciale, non dimostra una consapevolezza del fatto che si sarebbe svolta una successiva perquisizione con modalità illecite. Anche l'interrogativo che il M. avrebbe posto al F., per sapere se nella perquisizione andavano usati i c.d. sfollagente , rappresenta elemento da cui si desume che alcuna previa organizzazione tesa all'uso di mezzi di violenza e di coazione era stata predisposta. La modalità della conversazione porta ad escludere il previo concerto relativamente all'uso necessitato e indiscriminato della violenza, dimostrando più che la perquisizione straordinaria degenerò per cause ancora da accertare. In altri termini M. era sì consapevole della perquisizione straordinaria, ma non certo che l'operazione sarebbe stata eseguita in maniera violenta o illecita. Con riferimento alla possibile interruzione della catena di comando, e al valore dell'ordine di servizio del 6 aprile 2020 adottato dal F. in favore del C., sottolinea come la perquisizione straordinaria fu voluta dal Provveditorato regionale, che lo stesso 6 aprile 2020 nominò il Dott. C. quale direttore dell'ufficio di sicurezza, proprio in concomitanza con il periodo di emergenza sanitaria e per tutta la sua durata. Il Tribunale ha ritenuto che tale provvedimento non incidesse sulle prerogative del M., che era l'unico deputato a decidere se avvalersi o meno dell'apporto di personale esterno, e che successivamente all'operazione avrebbe fatto riferimento all'uso di maniere forti, chiosando in una chat oggi perquisizione e forza . Tale ricostruzione non sarebbe condivisibile in quanto non si cala nella concretezza dei rapporti all'interno del corpo, e perché non valuta come la stessa perquisizione venne disposta direttamente dal Provveditorato la catena di comando aveva almeno notevolmente ridimensionato il M., tant'e' che il Provveditore venne informato dell'esito della perquisizione con atto del Dott. C., il quale seguì e gestì concretamente tutte le operazioni. Tale contesto emerge dalle chat in cui M. viene descritto come soggetto messo in disparte nelle operazioni di perquisizione, e che, per il suo comportamento conciliante o attendista, si era ormai giocato la nomina a comandante del carcere di omissis . Con riferimento alle concrete modalità di svolgimento della perquisizione e sulla preventiva conoscenza delle stesse, sottolinea che il M. durante le operazioni non fu presente, ed era all'esterno di quella che fu la catena di comando egli partecipò agli atti di preparazione e di organizzazione delle operazioni, senza tuttavia avere conoscenza delle modalità esecutive, a capo delle quali fu posto il C Non è possibile attribuire una consapevolezza sulle modalità operative, anche sulla violenza usata nell'intervento, sulla base della sola partecipazione attiva all'incontro preliminare del 6 aprile 2020 avvenuta prima della perquisizione, occorrendo al contrario la prova della consapevolezza di quelle che sarebbero state le modalità operative. Lamenta inoltre che l'errore del Tribunale consisterebbe nell'aver confuso l'attività di pianificazione delle operazioni di perquisizione straordinaria, attribuite per ruolo e funzioni al comandante di reparto, con l'implicita nonché anticipata autorizzazione all'uso di violenza dalle dichiarazioni rese da alcuni degli agenti della Polizia penitenziaria che hanno partecipato alle operazioni di perquisizione straordinaria non emerge che nelle disposizioni impartite dal M. vi sia stata un'implicita autorizzazione all'uso della violenza, essendosi il ricorrente limitato a fornire generiche indicazioni di natura organizzativa e pianificatoria. Per quanto riguarda la traduzione dei 14 detenuti al reparto omissis , la stessa ha avuto natura provvisoria, e successivamente il M. non poteva occuparsi della situazione a causa della prolungata assenza dal servizio peraltro, la traduzione dei detenuti al reparto omissis non risulta in alcun modo collegata funzionalmente alle vicende relative alle modalità di svolgimento della perquisizione. L'altro aspetto concernente i messaggi scambiati dal M. con il Dott. F. prima dell'inizio delle operazioni di perquisizione confonde ancora una volta la perquisizione straordinaria con la perquisizione operata con modalità illecite o violente, dovendo ritenersi apodittica la motivazione del Tribunale nella parte in cui afferma che nel messaggio di M. a F. sia rilevabile la volontà di riaffermare il controllo del carcere mediante l'uso della violenza al riguardo, del resto, segnala che M. non ha mai preso parte alla chat omissis creata dagli agenti in servizio presso il carcere di omissis , né alle conversazioni tra C. e F., e dunque nulla poteva sapere delle eventuali intenzioni ostili nei confronti dei detenuti infatti, le frasi richiamate nell'ordinanza impugnata sono state reperite su una chat rinvenuta su uno smartphone dell'agente L.S Con riferimento alla responsabilità omissiva di cui all' articolo 40 c.p. , comma 2, sostiene che il ragionamento del Tribunale sarebbe errato, mancando la prova rigorosa di una effettiva conoscenza da parte del M. delle modalità con cui si sarebbe eseguita l'operazione di perquisizione straordinaria, a maggior ragione trattandosi di una responsabilità omissiva, che altrimenti sarebbe connotata da profili oggettivi, neppure delimitati da una prevedibilità in concreto dello sviluppo della condotta. L'interlocuzione tra il M. ed il Direttore Regionale del dipartimento sullo svolgimento delle operazioni fu assolutamente generica, e non era a conoscenza di ciò che effettivamente stesse avvenendo nel reparto omissis . Anche il messaggio inviato dal M. a tal A. con il riferimento all'uso di maniere forti e all'espressione oggi perquisizione e forza , non potrebbe, secondo il ricorrente, essere ritenuto dimostrativo né di una previa adesione ad un meccanismo di utilizzazione della violenza, né tantomeno riprova di una consapevolezza sulle illegittime modalità con cui vennero poste in essere le operazioni di perquisizione straordinaria l'uso di maniere forti ed il riferimento alla forza com'e' collegata alla perquisizione non può che essere intesa nei limiti di una maggiore incisività dell'azione, proprio della perquisizione straordinaria. Il M. non si interessò mai della gestione concreta della perquisizione, in quanto la stessa venne in concreto affidata alla direzione dei corpi speciali provenienti da omissis la perquisizione, disposta dal DAP, non fu posta nelle mani del M., bensì in quelle del C., sicché non ricorre la effettività di un ruolo e di una posizione di garanzia. 2.1.2. Sotto altro profilo deduce la erroneità della qualificazione giuridica dei fatti, ricondotti alla fattispecie di tortura. La condotta materiale posta in essere appare infatti orientata non certo alla mortificazione della persona o a porre in essere trattamenti lesivi della persona, essendo invece le operazioni tese al contenimento dei gravi episodi verificatisi inoltre, tali atti non appaiono avere il carattere di abitualità, essendosi limitati ad un arco temporale ristretto e circostanziato. Mancherebbe inoltre la valutazione dell'elemento soggettivo, potendo l'evento essere la conseguenza di una volontà preordinata alla commissione di reati diversi in ogni caso mancherebbe il momento rappresentativo, oltre che quello volitivo. 2.1.3. Con riferimento ai reati di falso, calunnia e depistaggio di cui ai capi 73, 79 e 80, evidenzia che il M. era stato assente dal servizio il 7 aprile ed altrettanto dal 9 al 27 aprile sicché l'unica relazione da cui potesse inferirsi una partecipazione del M. era rappresentata dalla relazione di servizio elaborata il 6 aprile. Dalla relazione di servizio dell'8 aprile 2020, riguardante la descrizione sintetica e conclusiva delle operazioni eseguite, si evince che fu il comandante del nucleo, il Dott. C., ad informare il Provveditore dell'esito della perquisizione, e che il gruppo comandato dal C. era stato inviato presso il carcere di omissis proprio per eseguire la perquisizione disposta dal Provveditore stesso. Pertanto, le relazioni riguardanti gli accadimenti del 6 aprile non sono riconducibili al M. a parte la relazione del 6 aprile, con cui si comunicano gli esiti della perquisizione, le CNR numero 333 e 334 del 7 aprile, numero 340 del 9 aprile e numero 344 del 10 aprile, su cui sono fondate le ipotesi di depistaggio falso e calunnia non sono firmate dal Comandante M., che nelle date in cui furono redatte risultava assente dal servizio. Tale dato sarebbe stato immotivatamente svilito dal Tribunale, assumendo di non essere in grado di affermare che la firma sia ascrivibile ad altro funzionario il Tribunale incorrerebbe altresì in un travisamento della prova, in quanto, pur ammettendo che il segno evidenziato in sede di interrogatorio potrebbe rappresentare uno sbarramento, non trae le dovute conseguenze in tema di non riconducibilità della sottoscrizione al ricorrente il M. non può aver firmato gli atti quando era assente dall'ufficio e quando risulta sbarrato il suo nome. Neppure può valere il generico richiamo alla relazione del 6 aprile, di cui al capo 73, innanzitutto per la sua natura di atto complesso, trattandosi di collazione di contenuti di atti terzi la relazione del 6 aprile, infatti, è un atto assolutamente neutro, in quanto il Comandante del carcere, avendo ricevuto le relazioni degli agenti di polizia penitenziaria, li mise insieme e, senza attestarne in alcun modo né la veridicità, né la genesi, si limitò ad informare gli organi ulteriori. 2.2. Con un secondo motivo deduce la violazione di legge il difetto di motivazione in relazione alle esigenze cautelari di cui all' articolo 274 c.p.p. . Il giudizio relativo all'attualità e concretezza dei pericoli non può desumersi dalla sola gravità del titolo di reato, occorrendo la specifica motivazione in ordine ai fatti da cui si ricava la sussistenza di tali pericoli. Con riferimento al pericolo di reiterazione, il Tribunale motiva in relazione alla violazione dell'obbligo di impedire gli eventi, senza tuttavia considerare la condizione di assoluta eccezionalità in cui venne a verificarsi un vero e proprio cortocircuito del sistema. Sotto il profilo dell'inquinamento probatorio, lamenta l'assenza della necessaria attualità e concretezza del pericolo, essendosi la prova ormai cristallizzata mediante acquisizione delle prove documentali e l'escussione delle persone offese. Non sono riproponibili, infatti, le condizioni e le circostanze che avevano contrassegnato le condotte contestate, che ben possono scongiurarsi con un presidio cautelare meno gravoso. Lamenta la motivazione apparente del Tribunale, che avrebbe evidenziato, attraverso espressioni generiche e mere formule di stile, l'impossibilità di far fronte al pericolo cautelare attraverso il ricorso alla sola misura interdittiva della sospensione del servizio cui M. è sottoposto. Tutte le condotte contestate al ricorrente, incensurato, fanno riferimento a vicende verificatesi per ragioni di servizio e connesse unicamente alle funzioni di Comandante della Polizia Penitenziaria sicché sarebbero assenti i requisiti di attualità e concretezza. Deduce inoltre che ad alcuni indagati sia stata imposta la misura cautelare del divieto di allontanamento dal Comune di residenza in cui non insistono istituti penitenziari, quale prescrizione sufficiente a scongiurare il pericolo di inquinamento probatorio e di reiterazione del reato, e lamenta che analogo criterio non sia stato impiegato anche nei confronti del M., che è residente a Noia, ove non insistono strutture carcerarie. 2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge e il difetto di motivazione con riferimento ai principi di proporzionalità e adeguatezza di cui all' articolo 275 c.p.p. , lamentando che il Tribunale non abbia fornito motivazione in ordine alla adeguatezza della misura degli arresti domiciliari. Considerato in diritto 1. Il ricorso è nel suo complesso infondato. 2. Il primo articolato motivo, concernente la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, è complessivamente infondato. 2.1. Giova premettere che i titoli in relazione ai quali è stata emessa la misura cautelare oggetto di impugnazione riguardano i gravi episodi di violenza e sopraffazione compiuti il 6 aprile 2020 ai danni dei detenuti ristretti nel reparto omissis del carcere di omissis , e le condotte vessatorie, di falsificazione di atti pubblici e di depistaggio delle indagini commesse nei giorni immediatamente successivi. Secondo quanto accertato sulla base delle immagini acquisite dal sistema di videosorveglianza del carcere, nonché dalle chat tra gli agenti di polizia penitenziaria e dalle dichiarazioni dei detenuti, il pomeriggio del 6 aprile 2020, tra ore 15.30 e le 19.30, all'interno del reparto omissis del carcere di omissis , numerosi agenti di Polizia Penitenziaria - giunti anche dalle carceri di omissis e di omissis - hanno esercitato una violenza cieca ai danni di detenuti che, in piccoli gruppi o singolarmente, si muovevano in esecuzione degli ordini di spostarsi, di inginocchiarsi, di mettersi con la faccia al muro i detenuti, costretti ad attraversare il c.d. corridoio umano la fila di agenti che impone ai detenuti il passaggio e nel contempo li picchia , venivano colpiti violentemente con i m., o con calci, schiaffi e pugni violenza che veniva esercitata addirittura su uomini immobilizzati, o affetti da patologie ed aiutati negli spostamenti da altri detenuti, e addirittura non deambulanti, e perciò costretti su una sedia a rotelle. Oltre alle violenze, venivano imposte umiliazioni degradanti - far bere l'acqua prelevata dal water, sputi, ecc. -, che inducevano nei detenuti reazioni emotive particolarmente intense, come il pianto, il tremore, lo svenimento, l'incontinenza urinaria. Dopo le quattro ore di mattanza , le sofferenze fisiche e psicologiche venivano perpetrate anche nei giorni immediatamente successivi, in particolare nei confronti dei quattordici detenuti trasferiti dal reparto omissis al reparto omissis - perché ritenuti ispiratori della protesta del 5 aprile -, costretti senza cibo, e, per 5 giorni, senza biancheria da letto e da bagno, senza ricambio di biancheria personale, senza possibilità di fare colloqui con i familiari tant'e' che alcuni detenuti indossavano ancora la maglietta sporca di sangue, e, per il freddo patito di notte, per la mancanza di coperte e di indumenti, erano stati costretti a dormire abbracciati anche ai detenuti rimasti al reparto omissis veniva riservato un trattamento degradante, addirittura con la imposizione, volutamente mortificante della capacità di autodeterminazione, del taglio della barba, secondo quanto orgogliosamente rivendicato dal comandante C. in uno dei messaggi inviati sulla chat del gruppo di agenti di Polizia penitenziaria. Significativo risulta l'audio, rinvenuto nel telefono di Me.Sa., contenente il racconto fatto da un detenuto ad un familiare, secondo cui non possiamo parlare, non possiamo scrivere, non possiamo fare nulla, ci hanno tolto tutti i diritti, non esistiamo più, non siamo più detenuti ma prigionieri, una bella differenza . Lungi dall'essere un evento eccezionale, determinato dalla pretesa reazione dei detenuti ovvero dalla situazione di tensione determinatasi a causa dell'emergenza pandemica, la fase organizzativa e le reali motivazioni dell'operazione, definita perquisizione straordinaria - in quanto formalmente finalizzata alla ricerca di strumenti di offesa occultati dai detenuti, all'indomani della protesta realizzata dai detenuti del reparto omissis la sera del 5 aprile 2020 per sollecitare interventi a tutela della loro salute - sono state rivelate dal contenuto delle chat rinvenute nei telefoni degli indagati, e dei messaggi precedenti e successivi alla mattanza . In tale contesto M.G. rivestiva il ruolo di Comandante della Polizia penitenziaria del carcere di omissis . Con riferimento alla ricostruzione dei fatti rilevanti, nel rinviare alla analitica analisi contenuta nell'ordinanza impugnata soprattutto alle p. 4-6 , va evidenziato che il M., già la sera del 5 aprile, in seguito ai disordini avvenuti in alcune sezioni del reparto omissis , aveva chiesto al provveditore regionale F.A. l'invio di rinforzi, e l'intervento del Gruppo di supporto agli interventi comandato da C.P., nella previsione di un'azione di forza la sera del 5, tuttavia, in seguito alla cessazione della protesta, M. non autorizzava l'entrata nell'istituto degli agenti esterni decisione che raccoglieva il malcontento degli agenti di polizia penitenziaria, desiderosi di un'azione di forza esemplare, e le perplessità del C. e del F La mattina del 6 aprile F. chiamava M. e gli comunicava la volontà di procedere ad una ‘perquisizione straordinarià, alla quale M. non si opponeva, anzi prospettando il pericolo di nuove proteste nell'ambito di una fitta comunicazione, mediante messaggi, con il provveditore, M. decideva di estendere la perquisizione a tutto il reparto omissis , e non solo alle due sezioni la 3 e la 5 resesi protagoniste delle proteste del giorno precedente decisione che scatenava l'entusiasmo degli agenti di polizia penitenziaria del carcere di omissis , attestato dagli eloquenti messaggi postati sulla chat di gruppo. Alle 15.38, nonostante tutti i detenuti fossero rientrati nelle celle, e non si fosse registrata alcuna protesta ulteriore come comunicato dal M. al F. , nondimeno il Comandante non bloccava la perquisizione , confermando anzi l'operazione stiamo pianificando l'operazione alla 15.59 M. informava la direttrice del carcere che le operazioni stavano per avere inizio stiamo per effettuare perquisizione straordinaria e alle 16.09 comunicava al F. utilizziamo anche scudi e manganelli , avvisandolo anche della necessità di trasferire alcuni detenuti in successivi messaggi inviati tra le 16.49 e le 16.54 M. confermava che la perquisizione era in corso e che erano impegnati oltre 200 uomini, essendo intervenuti anche quelli del nucleo di omissis alla 18.33 inviava al F. un messaggio con cui indicava i 15 detenuti da spostare - che verranno poi trasferiti nel reparto omissis -, e stilava una relazione, che fotografava e inviava al funzionario del Provveditorato Sanges mediante omissis , in cui accusava falsamente i detenuti già segnalati di aver commesso atti di resistenza. Successivamente, al termine delle operazioni, M. ringraziava, con un messaggio inviato alle 22.11 sulla chat Uniti per S. Maria , da lui stesso creata come veicolo di rapida comunicazione con il personale alle sue dipendenze, tutti gli agenti che avevano partecipato alla perquisizione analogo ringraziamento indirizzava al F. e al C Dalle conversazioni intercettate, intrattenute successivamente alla notizia dell'avvio delle indagini, è emersa altresì la partecipazione alla strategia di depistaggio, con creazione di falsi documenti e manipolazioni di prove, alle quali il Comandante M. ha contribuito, consentendo di far scattare foto di bastoni e pezzi di ferro, da attribuire alla disponibilità dei detenuti asseritamente rivoltosi, e firmando una relazione di servizio, lo stesso 6 aprile, in cui venivano falsamente riferiti i comportamenti aggressivi dei detenuti durante la perquisizione, che avrebbero reso necessario un contenimento attivo . 2.2. Tanto premesso quanto alla ricostruzione dei fatti, le doglianze del ricorrente consistono nella svalutazione del comportamento tenuto in occasione della perquisizione straordinaria , mediante una rilettura del compendio indiziario, non soltanto minata da una evidente parcellizzazione valutativa, ma finalizzata a raffigurare il M., Comandante della Polizia Penitenziaria del carcere di omissis , come un uomo spogliato di ogni potere decisionale, ed ignaro di ciò che si era programmato e di ciò che si stava compiendo all'interno del suo carcere. Tale lettura alternativa è proposta sulla base di una serie di argomenti M. non partecipò ai pestaggi, restando nel suo ufficio, e non scendendo nel reparto omissis era stata disposta una legittima perquisizione straordinaria , non già un pestaggio l'ordine di servizio del 6 aprile 2020 aveva interrotto la catena di comando, attribuendo al Dott. C. la direzione delle operazioni egli era all'oscuro delle modalità concrete con cui sarebbe stata eseguita la perquisizione straordinaria l'assenza di consapevolezza di tali modalità escluderebbe l'effettività di una posizione di garanzia rilevante ex articolo 40 c.p. , comma 2, - che, nonostante la mole del ricorso articolato in ben 40 pagine , appaiono prive di specificità, limitandosi ad affermazioni assertive, reiterative, e, soprattutto, prive di confronto argomentativo con il provvedimento impugnato. Inoltre, tali doglianze sono eminentemente di fatto, sollecitando, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali Sez. U, numero 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di legge, ai sensi dell' articolo 606 c.p.p. , sono ictu oculi dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dal Tribunale Sez. U, numero 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767 Sez. U, numero 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 Sez. U, numero 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 . In particolare, va ribadito il consolidato insegnamento di questa Corte secondo cui, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o assenza delle esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito Sez. 2, numero 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628 in sede di giudizio di legittimità sono rilevabili esclusivamente i vizi argomentativi che incidano sui requisiti minimi di esistenza e di logicità del discorso motivazionale svolto nel provvedimento e non sul contenuto della decisione sicché il controllo di logicità deve rimanere all'interno del provvedimento impugnato e non è possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate e, nel ricorso afferente i procedimenti de libertate , a una diversa valutazione dello spessore degli indizi e delle esigenze cautelari Sez. 1, numero 1083 del 20/02/1998, Martorana, Rv. 210019 Sez. 6, numero 49153 del 12/11/2015, Mascolo, Rv. 265244 Sez. U, numero 19 del 25/10/1994, De Lorenzo, Rv. 199391 . Tanto premesso, con le censure proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell' articolo 606 c.p.p. , lett. e -, ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in particolare sotto il profilo del ruolo effettivamente assunto dal M. nelle operazioni di c.d. perquisizione straordinaria . Il controllo di legittimità, tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione. Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, ed esclusa l'ammissibilità di una rivalutazione del merito cautelare, va al contrario evidenziato che l'ordinanza impugnata, come più ampiamente si dirà, ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti ed alla affermazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, con argomentazioni prive di illogicità tantomeno manifeste e di contraddittorietà. 2.3. Le doglianze sono peraltro manifestamente infondate, in quanto, secondo la ricostruzione dei fatti accertata dai giudici del merito cautelare, una serie di significativi elementi - non soltanto rappresentativi, ma anche logici hanno confermato la piena e consapevole partecipazione del M. alle operazioni di perquisizione straordinaria del 6 aprile 2020, sfociate in vere e proprie torture, alle successive vessazioni riservate, anche nei giorni successivi, in particolare ai detenuti trasferiti nel reparto omissis , ed alle operazioni di falsificazione di atti pubblici, calunnia e depistaggio. In particolare, va al riguardo evidenziato che - una volta informato da F. della decisione di eseguire una perquisizione straordinaria - che pure non competeva al provveditore, bensì al medesimo Comandante -, M. non sollevò obiezioni, ma rafforzò il proposito del provveditore, prospettando il pericolo di una imminente rivolta, e successivamente decise lui di estendere la perquisizione all'intero reparto omissis - M. partecipò, dirigendola, alla breve riunione organizzativa prima dall'inizio delle operazioni, impartendo indicazioni ai propri subordinati, rassicurandoli che gli uomini di C. sanno cosa fare , lasciando il comando dei suoi uomini gli agenti del carcere di omissis all'ispettrice Co., e consentendo al personale del gruppo di supporto guidato dal C. di operare senza freni - già nel corso della riunione preliminare individuò i 14 detenuti da portare via, e che successivamente saranno trasferiti nel reparto omissis , dove saranno abbandonati per giorni, in stato di degrado fisico ed umano, senza cibo, vestiti e coperte - M. era ben consapevole della delicatezza e della eccezionalità dell'operazione, avendo contezza dell'arrivo di oltre 200 colleghi provenienti da omissis e da omissis armati con scudi e manganelli, e manteneva il potere di farli accedere o meno alla struttura carceraria, tant'e' che il giorno precedente non aveva consentito l'accesso - M. comunicò al F. l'uso di scudi e manganelli alle 16 09 del 6 aprile 2020 - successivamente inviò messaggi di ringraziamento al F. e al C., e alle 21 25 rispondeva a tale A., rivendicando oggi perquisizione e forza . Tali elementi sono stati qualificati dal Tribunale in termini di concorso omissivo, ai sensi dell' articolo 40 c.p. , comma 2, sul rilievo che il Comandante della Polizia penitenziaria del carcere di omissis avesse il dovere di garantire il rispetto della legalità, e l'obbligo giuridico di impedire gli eventi poi verificatisi. Tale ricostruzione, pur essendo in parte corretta, appare tuttavia parziale, essendo basata sull'elemento - evidentemente frainteso nella sua consistenza dimostrativa - dell'assenza del M. nel reparto omissis , e della sua mancata partecipazione fisica , esecutiva, alle torture inflitte ai detenuti. Al riguardo, va infatti rammentato che il concorso di persone nel reato, proprio in ragione del modello unitario di tipizzazione del fatto di partecipazione adottato dall' articolo 110 c.p. , è fondato sul modello c.d. di tipizzazione causale, alla stregua del quale tutte le condotte dotate di efficacia eziologica nei confronti dell'evento lesivo sono riconducibili alla fattispecie concorsuale nell'ambito di tale quadro normativo, dunque, il concorso materiale non può essere limitato - come sembrerebbe dedursi dalla qualificazione del Tribunale - al solo autore, cioè a colui che compie gli atti esecutivi del reato nella fattispecie, gli atti di vessazione fisica e psicologica , ma e', evidentemente, esteso anche al c.d. ausiliatore o complice , cioè colui che si limita ad apportare un qualsiasi aiuto materiale nella preparazione o nella esecuzione del reato ulteriore rilievo assume, peraltro, il determinatore - che fa sorgere in altri un proposito criminoso prima inesistente -, e l'istigatore - che si limita a rafforzare o eccitare in altri un proposito criminoso già esistente -, che integrano la fattispecie del concorso morale. Tanto premesso, va evidenziato che la mera assenza del M. dal reparto omissis , e la sua mancata partecipazione agli atti esecutivi di tortura, non priva di rilevanza, sotto il profilo materiale, ma anche morale di istigazione , il contributo fornito prima e anche dopo, per occultare il reato dell'inizio delle operazioni di pestaggio, allorquando ha chiesto l'intervento del Gruppo di supporto comandato dal C. ha autorizzato l'ingresso nel carcere di oltre 200 agenti provenienti da altri istituti penitenziari armati di scudi e manganelli ha comunicato l'uso di scudi e manganelli al F. ha partecipato e diretto la riunione preliminare organizzativa che ha preceduto l'inizio della perquisizione straordinaria , impartendo indicazioni ai propri subordinati, rassicurandoli che gli uomini di C. sanno cosa fare , lasciando il comando dei suoi uomini gli agenti del carcere di omissis all'ispettrice Co., e consentendo al personale del gruppo di supporto guidato dal C. di operare senza freni già nel corso della riunione preliminare ha individuato i 14 detenuti da portare via, e che successivamente saranno trasferiti nel reparto omissis , dove saranno abbandonati per giorni, in stato di degrado fisico ed umano, senza cibo, vestiti e coperte. La versione della inconsapevolezza delle modalità con cui sarebbe stata eseguita la formalmente legittima perquisizione straordinaria - che avrebbe altresì privato l'indagato della concreta posizione di garanzia - è stata correttamente ritenuta inverosimile dal Tribunale, che, con apprezzamento di fatto immune da censure di illogicità, e dunque insindacabile in sede di legittimità, ha evidenziato che M. era ben consapevole della delicatezza e della eccezionalità dell'operazione, avendo contezza dell'arrivo di oltre 200 colleghi provenienti da omissis e da omissis armati con scudi e manganelli, e manteneva il potere di farli accedere o meno alla struttura carceraria, tant'e' che il giorno precedente non aveva consentito l'accesso, e che la fitta trama di messaggi con F. e con altri dirigenti e/o subordinati consente di escludere che egli fosse ignaro di quanto stava per accadere del resto, la smentita della versione dell'ormai proverbiale a sua insaputa è plasticamente fornita dal messaggio con cui, la sera stessa del 6 aprile, rispondeva ad un messaggio, con l'icastica espressione oggi perquisizione e forza . 2.4. Le doglianze con cui il ricorrente contesta la qualificazione giuridica, sotto il profilo della tipicità e del dolo, sono generiche, risolvendosi in assertive deduzioni meramente contestative, prive di concreto confronto con la ricostruzione dei fatti accertata e con il provvedimento impugnato, e manifestamente infondate, nella parte in cui tentano di circoscrivere la consistenza dei fatti ad un evento singolo ed eccezionale, privo del requisito di abitualità. Al riguardo, è sufficiente rammentare che il delitto di tortura è stato configurato dal legislatore come reato eventualmente abituale, potendo essere integrato da più condotte violente, gravemente minatorie o crudeli, reiterate nel tempo, oppure da un unico atto lesivo dell'incolumità o della libertà individuale e morale della vittima, che però comporti un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona Sez. 5, numero 47079 del 08/07/2019, R., Rv. 277544, che, in motivazione, ha precisato che per l'integrazione del reato nella sua forma abituale sono sufficienti due condotte, reiterate anche in un minimo lasso temporale ai fini dell'integrazione del delitto di tortura di cui all' articolo 613-bis c.p. , comma 1, la locuzione mediante più condotte va riferita non solo ad una pluralità di episodi reiterati nel tempo, ma anche ad una pluralità di contegni violenti tenuti nel medesimo contesto cronologico Sez. 5, numero 50208 del 11/10/2019, S., Rv. 277841 . Peraltro, le condotte di tortura risultano non essersi fermate a quelle inflitte il pomeriggio del 6 aprile, essendo proseguite, con ulteriori vessazioni in particolare nei confronti dei 14 detenuti trasferiti nel reparto omissis , anche nei giorni successivi. Quanto al dolo, premesso che, in tema di tortura, anche quando il reato assuma forma abituale, per l'integrazione dell'elemento soggettivo non è richiesto un dolo unitario, consistente nella rappresentazione e deliberazione iniziali del complesso delle condotte da realizzare, ma è sufficiente la coscienza e volontà, di volta in volta, delle singole condotte Sez. 5, numero 4755 del 15/10/2019, dep. 2020, U., Rv. 277856 , gli elementi già evidenziati infra p. 2.3. sono esaustivi della piena consapevolezza, da parte del M., della finalità e dei metodi dell'operazione di pestaggio e vessazione che era stata programmata, ed eseguita mentre lui si tratteneva nel proprio ufficio. 2.5. Le doglianze concernenti i gravi indizi di colpevolezza in relazione ai reati di falso, calunnia e depistaggio, sono infondati e generici, nella parte in cui omettono un concreto confronto argomentativo con l'ordinanza impugnata. La circostanza che M. fosse in congedo il 7 aprile e poi dal 9 al 27 aprile 2020, e che quindi non possa aver sottoscritto le relazioni di servizio del 7 e del 10 aprile oggetto di alcune contestazioni non si confronta, infatti, con il rilievo, pure sottolineato dal Tribunale, che l'indagato ha redatto, lo stesso 6 aprile, la relazione di servizio con cui accusava falsamente i 14 detenuti poi trasferiti al reparto omissis dei reati di resistenza e minaccia a p.u., che avrebbe determinato la necessità di un contenimento attivo , e che, secondo quanto emerso dalle intercettazioni, anche nei giorni in cui era assente dal servizio interloquiva costantemente con gli agenti che erano stati incaricati di predisporre prove fotografiche e relazioni di servizio false, nell'operazione di depistaggio delle indagini avviata immediatamente dopo la cessazione dell'operazione del 6 aprile invero, risulta che M. suggeriva in realtà di ridurre al minimo la predisposizione di false prove dirette a simulare il rinvenimento di armi bianchi nei confronti dei detenuti, pur concedendo il via libera per tutto f. 14 dell'ordinanza impugnata . Dunque, il coinvolgimento nei falsi, nelle calunnie e nel depistaggio è fondato non tanto sulla sottoscrizione delle relazioni, quanto sul coinvolgimento del M. nella predisposizione di false prove, fotografiche e documentali, in merito alla disponibilità di armi improprie da parte dei detenuti. 3. Il secondo motivo, con cui si contesta la sussistenza delle esigenze cautelari, è inammissibile sotto diversi profili, perché propone doglianze di fatto, dirette a sollecitare una non consentita rivalutazione del merito, mediante una lettura alternativa del compendio probatorio, oltre che del tutto prive di specificità, omettendo qualsivoglia concreto confronto argomentativo con la motivazione dell'ordinanza impugnata, e con il poderoso materiale indiziario in essa richiamato, e manifestamente infondate. Preliminarmente va rilevata la non pertinenza delle censure riguardanti il pericolo di inquinamento e la connessa sollecitazione di una diversa misura sulla base del luogo di residenza dell'indagato e dell'assenza, in esso, di strutture carcerarie , atteso che la motivazione del Tribunale fa riferimento soltanto alle esigenze cautelari del pericolo di reiterazione, e non altresì al pericolo di inquinamento. Le doglianze con cui si contesta la sussistenza dell'attualità e concretezza delle esigenze cautelari e l'adeguatezza delle misure sono inoltre inammissibili, perché riposano, in realtà, sull'erroneo presupposto che il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie coincida con la reiterazione degli stessi fatti-reato contestati nel procedimento, e che, dunque, l'eccezionalità dei fatti, legati alle tensioni derivanti dalla gestione dell'emergenza pandemica, lo stato di incensuratezza, la distanza temporale dai fatti, impedisca al ricorrente la reiterazione dei fatti contestati. Al riguardo, va infatti ribadito che, in tema di esigenze cautelari, il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie non va inteso come pericolo di reiterazione dello stesso fatto reato, atteso che l'oggetto del periculum è la reiterazione di astratti reati della stessa specie e non del concreto fatto reato oggetto di contestazione Sez. 5, numero 70 del 24/09/2018, dep. 2019, Pedato, Rv. 274403 - 02, con riferimento ad una fattispecie relativa al reato di bancarotta fraudolenta, in cui la Corte ha precisato che il pericolo di reiterazione non può essere escluso in assoluto dall'attuale assenza in capo all'indagato di cariche sociali in altre società . Dunque, con riferimento al pericolo di recidiva, non va confuso il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, con il pericolo di reiterazione dello stesso fatto-reato, poiché dal tenore dell' articolo 274 c.p.p. , lett. c , emerge in maniera evidente che l'oggetto del periculum è la reiterazione di astratti reati della stessa specie, non del concreto fatto-reato oggetto di contestazione, che, talvolta, non potrebbe neppure essere naturalisticamente reiterato come nell'ipotesi di più grave aggressione al bene vita dell'omicidio . Tanto premesso, l'ordinanza impugnata ha, al contrario, compiutamente evidenziato le circostanze di fatto dalle quali è stato desunto, con apprezzamento di fatto immune da censure, e dunque insindacabile in sede di legittimità, l'attuale e concreto pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, desunto da - l'esistenza di un vero e proprio sistema denominato, dal Comandante C., omissis , che priva i fatti del carattere di episodicità ed eccezionalità pure rivendicato dal ricorrente, anche considerando che il omissis è stato applicato, ricorrendone la necessità, in un diverso carcere rispetto a quello dove e', evidentemente, vigente quello, appunto, di omissis - l'organizzazione, non improvvisata, ma ben rodata, ed attestata dalle chat di gruppo degli agenti, della chiamata alle armi di tutti gli agenti di Polizia Penitenziaria, provenienti anche da altre carceri, convocati per abbattere i vitelli , dare tante di quelle mazzate - la perpetrazione di violenti pestaggi e degradanti umiliazioni nei confronti di circa 350 detenuti, passati e ripassati con divertimento dagli agenti di Polizia penitenziaria, e con cinica soddisfazione per il lavoro di altissimo livello fatto, proprio nei confronti di persone che sono affidate alla custodia degli autori - la personalità del M., evidenziata anche dall'indifferenza verso la formulazione delle accuse calunniose a carico dei 14 detenuti trasferiti nel reparto omissis . Tali elementi sono stati, dunque, posti a fondamento dell'affermazione di sussistenza del pericolo attuale e concreto di reiterazione di reati della stessa specie nei confronti dell'odierno ricorrente. Va aggiunto che il pericolo di reiterazione e l'applicazione della misura domiciliare sono stati fondati anche sulle condotte successive, consistite nelle vessazioni imposte nei giorni successivi ai detenuti soprattutto a quelli trasferiti nel reparto omissis , e nella partecipazione, con ruolo ideativo, alla falsificazione di relazioni di servizio ed al depistaggio delle indagini. 4. Il terzo motivo con cui lamenta la sproporzione e l'inadeguatezza della misura cautelare domiciliare è inammissibile, perché, oltre a sollecitare una rivalutazione del merito cautelare, è del tutto generica ed assertiva, nella sua estrema laconicità. Peraltro, il Tribunale ha espressamente motivato in merito alla inadeguatezza di una misura meno afflittiva, ed in particolare della misura interdittiva, considerando l'estrema gravità dei fatti ed il ruolo primario, organizzativo e decisionale, assunto dal M., non soltanto in relazione ai pestaggi del 6 aprile 2020, ma altresì in relazione alle successive condotte degradanti nei confronti dei detenuti in particolare, di quelli trasferiti al reparto omissis , e tenuti come prigionieri , nonché alla falsificazione di atti pubblici e al depistaggio delle indagini. La proporzione e l'adeguatezza della misura domiciliare risultano dunque ben calibrate, nonostante la mitezza della scelta cautelare, sul numero di reati almeno 43 imputazioni ascritte al M. e sulla assoluta gravità degli stessi, nonché sulla inidoneità di misure meno afflittive ad elidere il periculum individuato. 5. Con una doglianza non meglio precisata nei suoi contorni anche fattuali il ricorso sembra altresì contestare l'attualità delle esigenze cautelari, in quanto il ricorrente sarebbe destinatario della sospensione cautelare disciplinare p. 35 del ricorso . Il motivo è manifestamente infondato. Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato, con riferimento ai reati contro la P.A., che, anche dopo l'introduzione, nell' articolo 274 c.p.p. , lett. c , ad opera della L. 16 aprile 2015, numero 47, del requisito dell'attualità del pericolo di reiterazione del reato, il giudice di merito può ritenere sussistente il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie ex articolo 274 c.p.p. , comma 1, lett. c , pure quando il soggetto in posizione di rapporto organico con la P.A. risulti sospeso o dimesso dal servizio, purché fornisca adeguata e logica motivazione in merito alla mancata rilevanza della sopravvenuta sospensione o cessazione del rapporto, con riferimento alle circostanze di fatto che concorrono a evidenziare la probabile rinnovazione di analoghe condotte criminose da parte dell'imputato nella mutata veste di soggetto ormai estraneo all'amministrazione, in situazione, perciò, di concorrente in reato proprio commesso da altri soggetti muniti della qualifica richiesta Sez. 5, numero 31676 del 04/04/2017 Lonardoni, Rv. 270634 Sez. 6, numero 8060 del 31/01/2019, Romanò, Rv. 275087, con riferimento ad una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che tale pericolo giustificasse l'adozione della misura del divieto temporaneo di esercitare l'attività medica nei confronti di un soggetto sospeso dal servizio, rilevando che, per la risalenza dei rapporti corruttivi, per la rete di collegamenti creata e per lo stretto collegamento esistente tra l'attività professionale privata e quella pubblica, il libero esercizio della prima avrebbe potuto favorire la ripresa dei contatti in ambito imprenditoriale, sanitario e accademico e, pertanto, la reiterazione delle condotte criminose . Nel caso in esame, il principio affermato va calibrato sulla diversa fattispecie di tortura, che, a differenza dei reati propri contro la P.A., è un reato comune, così come tutti i reati a base violenta, oggetto del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie mentre con riferimento ai reati propri contro la P.A., ferma la compatibilità tra la sospensione disciplinare e la misura processuale, viene richiesta una motivazione sull'attualità del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, poiché richiedono un rapporto qualificato tra l'autore e il bene giuridico tutelato, una particolare qualifica giuridica in capo al soggetto attivo, con riferimento ai reati comuni, ed in particolare ai reati a base violenta, non viene in rilievo un tale rapporto qualificato, sicché il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie non può essere eliso dalla sospensione della qualifica giuridica. Ne consegue che la sospensione disciplinare non può ritenersi idonea ad elidere il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, innanzitutto per l'interinalità del provvedimento amministrativo, ma altresì per la diversa finalità che ne sottende l'adozione, che, nel caso della sospensione disciplinare da parte dell'autorità amministrativa, è diretta alla salvaguardia di interessi pubblici concernenti il rapporto di servizio con l'amministrazione, mentre nel caso della misura cautelare processuale oggetto di impugnazione concerne la tutela della collettività, con finalità di prevenzione generale in tema, Sez. 6, numero 3971 del 18/10/1994, dep. 1995, Caneschi, Rv. 200628 . Del resto, l'inidoneità della sospensione cautelare disciplinare ad elidere l'attualità del pericolo di recidiva è legata alla già evidenziata erroneità dell'impostazione che confonde il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, con il pericolo di reiterazione dello stesso fatto-reato, poiché dal tenore dell' articolo 274 c.p.p. , lett. c , emerge in maniera evidente che l'oggetto del periculum è la reiterazione di astratti reati della stessa specie, non del concreto fatto-reato oggetto di contestazione, che, talvolta, non potrebbe neppure essere naturalisticamente reiterato come nell'ipotesi di più grave aggressione al bene vita dell'omicidio . 6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 9 novembre 2021.