«L’ammissione di un credito allo stato passivo non fa stato fra le parti fuori dal fallimento, poiché il c.d. giudicato endofallimentare, ai sensi dell’articolo 96, comma 6, l. fall., copre solo la statuizione di rigetto o di accoglimento della domanda di ammissione, precludendone il riesame».
Il Tribunale di Milano respingeva le istanze avanzate dal Fallimento di I.E. s.r.l. in liquidazione contro il M.I. s.p.a. sul presupposto dell'intervenuta risoluzione di un contratto di leasing intercorso tra le due società. I.E. proponeva impugnazione che la Corte d'Appello di Milano respingeva. Ne consegue il ricorso per cassazione sostenendo che la Corte territoriale avrebbe erroneamente affermato l'esistenza di una preclusione derivante da un giudicato endofallimentare rispetto all'azione intrapresa ai sensi dell'articolo 1526 c.c. Inoltre, tra i vari motivi di ricorso, I.E. sostiene anche che la pronuncia avrebbe infranto il perimetro oggettivo del suddetto giudicato, estendendolo alla domanda proposta nell'ordinaria sede id cognizione. La doglianza è fondata. Secondo l'articolo 96, ultimo comma, l.fall., «il decreto che rende esecutivo lo stato passivo e le decisioni assunte dal Tribunale all'esito dei giudizi di cui all'articolo 99, producono effetti soltanto ai fini del concorso». Pertanto, diversamente da quanto affermato dalla Corte d'Appello, «i provvedimenti che, in sede di verificazione dei crediti, sono adottati dal giudice delegato, quand'anche non abbiano formato oggetto di opposizione, non acquistano efficacia di cosa giudicata, ma spiegano solo effetti preclusivi nell'ambito della procedura fallimentare» Cass. numero 19940/2006 . E «l'efficacia preclusiva attribuibile al decreto e alle decisioni assunte nell'ambito anzidetto osta al riesame delle sottostanti questioni inerenti all'esistenza alla natura e all'entità dei crediti nella sola sede fallimentare, e non ha un'efficacia di vincolo positivo in ordine alle questioni comuni ad altra eventuale controversia tra le stesse parti, pur vertente sul medesimo rapporto giuridico» Cass. numero 25640/2017 . Ne consegue che «l'ammissione di un credito allo stato passivo non fa stato fra le parti fuori dal fallimento, poiché il c.d. giudicato endofallimentare, ai sensi dell'articolo 96, comma 6, l. fall., copre solo la statuizione di rigetto o di accoglimento della domanda di ammissione, precludendone il riesame». Per tutti questi motivi la S.C. accoglie il ricorso e cassa la sentenza rinviandola alla Corte d'Appello di Milano.
Presidente Cristiano – Relatore Terrusi Fatti di causa Il tribunale di Milano respinse le alternative domande avanzate dal Fallimento di omissis s.r.l. in liquidazione contro il M.I. s.p.a. sul presupposto dell'intervenuta risoluzione, in data anteriore alla sentenza di fallimento del 25.7.2012, di un contratto di leasing traslativo intercorso tra la detta concedente e la fallita. Tali domande erano finalizzate a ottenere, alternativamente, ai sensi dell'articolo 1526 c.c., la restituzione delle rate corrisposte prima della risoluzione, detratto l'equo indennizzo e il risarcimento, ovvero il risarcimento del danno causato dall'inadempimento, da parte della società di leasing, della disciplina pattizia in punto di procedura di vendita del bene. Il Fallimento propose impugnazione, che tuttavia la corte d'appello di Milano ha respinto con sentenza depositata il 26-9-2019, non notificata, avverso la quale è ora proposto ricorso per cassazione in sei motivi. I.S. s.p.a., già M.I., ha replicato con controricorso. Le parti hanno depositato memorie. Ragioni della decisione I. - Col primo mezzo la curatela denunzia la violazione o falsa applicazione della L.Fall., articolo 96,articolo 1526 e 1421 c.c., per avere la corte d'appello affermato l'esistenza di una preclusione derivante da un giudicato endofallimentare rispetto all'azione intrapresa ai sensi dell'articolo 1526 c.c., nonostante la nullità discendente dal contrasto tra le disposizioni pattizie e la detta norma, rilevabile in appello anche d'ufficio. Col secondo mezzo la stessa ulteriormente denunzia la violazione o falsa applicazione della L.Fall., articolo 96 e seg. e dell'articolo 2909 c.c. per avere la sentenza in ogni caso infranto il perimetro oggettivo del giudicato endofallimentare, estendendolo alla domanda proposta nell'ordinaria sede di cognizione. Col terzo motivo la ricorrente ancora denunzia la violazione o falsa applicazione dell'articolo 1526 c.c. e articolo 1362 c.c. e ss. in relazione al mancato accoglimento della domanda subordinata di riconduzione a equità della penale contrattualmente stabilita tra le parti, domanda che era stata formulata dalla curatela anche con riferimento alla procedura di vendita. Col quarto mezzo essa censura la sentenza per violazione o falsa applicazione della L.Fall., articolo 42 e ss. e articolo 1362 c.c. e ss. in relazione alla ritenuta correttezza della procedura di vendita del bene, considerata tale dal giudice a quo a prescindere dall'inadempimento della concedente alla clausola penale. Egualmente col quinto mezzo violazione o falsa applicazione degli articolo 1362 c.c. e ss. lamenta l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha affermato la mancanza di una attiva collaborazione della curatela quale giustificazione della condotta viceversa inadempiente della società di leasing. Infine, col sesto mezzo, è dedotta la violazione o falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c. e ss. e articolo 2727 e ss. cit. codice a misura del riconoscimento della diligenza della società di leasing nella procedura di vendita, della congruità del prezzo e dell'insussistenza del danno lamentato dal Fallimento. II. - I primi due motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono fondati nei limiti che seguono, e il loro accoglimento in parte qua , determinando la necessità di cassare la sentenza nel profilo associato alla domanda principale, assorbe ai sensi dell'articolo 336 c.p.c. le questioni di cui ai restanti mezzi, tutte relative alla domanda che si assume formulata in subordine. III. - La corte d'appello di Milano ha esplicitamente premesso che l'unica questione esaminabile in causa era quella relativa alla censurabilità o meno della procedura di rivendita del bene oggetto del contratto seguita dalla società di leasing. Ha così ritenuto di dover limitare lo scrutinio di merito ai soli profili della domanda alternativa e subordinata avanzata dal Fallimento. Questo perché la società Mediocredito si era insinuata al passivo per le somme correlate al leasing di cui si discute. Cosicché - a dire della corte d'appello - l'avvenuta esecutività dello stato passivo non avrebbe consentito di ridiscutere i profili dell'an e del quantum della detta pretesa creditoria, tenuto conto del giudicato eccepito ab initio dall'appellata, concernente, anche per implicito, ciò che in quella sede era deducibile e non era stato dedotto. Tale giudicato, sebbene meramente interno alla fase concorsuale, doveva considerarsi, sempre secondo la corte d'appello, operativo anche nella sede ordinaria di cognizione, appunto perché formatosi con riferimento al medesimo rapporto oggetto di causa. IV. - Dopodiché la stessa corte d'appello, ben vero con certa fumosità di argomentazione, ha pure aggiunto che l'articolo 12 dello specifico contratto di leasing aveva stabilito l'obbligo della utilizzatrice, all'atto della risoluzione, di pagare i canoni a quel momento dovuti e non versati cosa che aveva comportato lo speculare diritto della concedente, legittimamente previsto nel libero dispiegarsi dell'autonomia negoziale, di trattenere anche gli importi concernenti i canoni già pagati, in coerenza con l'articolo 1526 c.c., comma 2. Pure codesta ulteriore affermazione è censurata nel contesto del primo motivo. Ma in tale parte il motivo è inammissibile perché quella in esame non costituisce una ratio decidendi, ma una considerazione che la stessa corte territoriale ha esplicitamente detto di voler svolgere ad abundantiam. V. - Viceversa la prima affermazione inerente alla preclusione da giudicato, che identifica l'unica ratio che sorregge la decisione nelle premesse giuridicamente rilevanti, è errata in diritto oltre che intimamente contraddittoria e non sono pertinenti le citazioni giurisprudenziali alle quali la stessa è stata ancorata. L'ordinanza di questa Corte numero 5133 del 2019, come pure la sentenza, ancora di questa Corte, numero 27161 del 2018, richiamate dal giudice a quo a sostegno della tesi, attengono al rilievo del giudicato esterno formatosi nel contesto di giudizi ordinari di cognizione, non anche invece al giudicato solo endoconcorsuale conseguente all'ammissione di un credito allo stato passivo. Con riguardo a tale profilo viene in evidenza, invece, la L.Fall., articolo 96, u.c., secondo il quale il decreto che rende esecutivo lo stato passivo e le decisioni assunte dal tribunale all'esito dei giudizi di cui all'articolo 99, producono effetti soltanto ai fini del concorso . Ne segue che, diversamente da quanto affermato dalla corte territoriale, i provvedimenti che, in sede di verificazione dei crediti, sono adottati dal giudice delegato, quand'anche non abbiano formato oggetto di opposizione, non acquistano efficacia di cosa giudicata, ma spiegano solo effetti preclusivi nell'ambito della procedura fallimentare v. Cass. numero 19940-06 . Il che costituisce approdo sostanzialmente indiscusso della giurisprudenza formatasi sul tema v. ex aliis Cass. numero 25640-17 , nel senso che l'efficacia preclusiva attribuibile al decreto e alle decisioni assunte nell'ambito anzidetto osta al riesame delle sottostanti questioni inerenti all'esistenza alla natura e all'entità dei crediti nella sola sede fallimentare, e non ha un'efficacia di vincolo positivo in ordine alle questioni comuni ad altra eventuale controversia tra le stesse parti, pur vertente sul medesimo rapporto giuridico. In altre parole, come anche ribadito da ultimo, l'ammissione di un credito allo stato passivo non fa stato fra le parti fuori dal fallimento, poiché il cd. giudicato endofallimentare, ai sensi della L.Fall., articolo 96, comma 6, copre solo la statuizione di rigetto o di accoglimento della domanda di ammissione, precludendone il riesame v. Cas. numero 27709-20, che ha giustappunto cassato, in base a tale principio, la sentenza d'appello che aveva valorizzato alla stregua di giudicato gli esiti del giudizio di verifica dei crediti dinanzi al giudice delegato al fallimento nell'ambito di un distinto giudizio ordinario di risoluzione di un contratto di leasing, intrapreso dalla curatela . VI. - L'impugnata sentenza va dunque cassata in relazione a tale profilo insito nei primi due motivi di ricorso, ferma la precisazione sopra svolta a parziale inammissibilità della medesima prima censura in relazione al limite della statuizione in effetti adottata dalla corte d'appello. Ciò determina l'assorbimento di tutti i restanti mezzi, perché la motivazione ulteriore della sentenza riguarda la sorte della domanda di riduzione di cui all'articolo 1385 c.c., che tuttavia appare esser stata formulata dal Fallimento in via alternativa. VII. - Alla cassazione segue il rinvio alla medesima corte d'appello, in diversa composizione, la quale si uniformerà ai principi esposti e rinnoverà il giudizio. La stessa provvederà anche sulle spese della fase di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso nei sensi di cui in motivazione, assorbiti gli altri, cassa l'impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla corte d'appello di Milano anche per le spese del giudizio di cassazione.