Maltrattamenti agli anziani nella casa di riposo: condannati il titolare e la ex dipendente

Drogati, privati di assistenza e insultati. Queste alcune delle vessazioni a cui erano sottoposti gli ospiti della struttura.

Il Tribunale di Bologna condannava alla pena della reclusione marito e moglie, rispettivamente titolare e dipendente di una residenza per anziani, in quanto ritenuti colpevoli del reato di cui all'articolo 572 c.p. capo B . In particolare, i coniugi venivano accusati di maltrattare le persone anziane a loro affidate, che venivano aggredite verbalmente e fisicamente, oltre che «denigrate, derise, mal nutrite e sottoposte altresì alla somministrazione di sostanze psicotrope, senza prescrizione medica e senza necessità terapeutica, al solo fine di determinarne l'ulteriore compromissione delle capacità relazionali, percettive e volitive». I coniugi ricorrono in Cassazione, lamentandosi, tra i vari motivi, del fatto che il mero richiamo a un generale clima di sopraffazione non può valere a ritenere integrato il reato di cui all'articolo 572 c.p. rispetto a condotte non abituali, o comunque riferite anche a persone mai raggiunte da violenze fisiche. Il ricorso è infondato. La Corte di Cassazione, infatti, afferma che, ai fini della configurabilità del delitto di cui all'articolo 572 c.p., lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve necessariamente collegarsi a specifici comportamenti vessatori posti in essere nei confronti di un determinato soggetto passivo, ma può derivare anche da un clima generalmente instaurato all'interno di una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere dei soggetti attivi, i quali ne siano tutti consapevoli, a prescindere dall'entità numerica degli atti vessatori e dalla loro riferibilità ad uno qualsiasi dei soggetti passivi Cass. penumero , numero 16583/2019 . A riguardo, inoltre, la Suprema Corte ha già avuto modo di precisare che «in tema di maltrattamenti in famiglia, l'articolo 572 c.p. è applicabile anche quando le condotte siano realizzate nell'ambito di una situazione di parafamiliarità, intesa come sottoposizione di una persona all'autorità di un'altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita proprie delle comunità familiari, nonché di affidamento, fiducia e soggezione del sottoposto rispetto all'azione di chi ha la posizione di supremazia». Condizioni senz'altro ravvisabili nel caso di specie, in quanto le persone ospitate nella Comunità, in ragione dell'età avanzata e delle loro precarie condizioni di salute, erano affidate giorno e notte alle cure dei gestori della struttura, le cui piccole dimensioni dimostrano come di fatto la vita all'interno della struttura fosse per molti versi analoga a quella di un nucleo familiare, con condivisione di ogni spazio e attività e in parte anche del riposo notturno. Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Presidente Andreazza – Relatore Zunica Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 18 dicembre 2019, il G.U.P. del Tribunale di Bologna condannava R.L. e T.M., rispettivamente, alla pena di 6 anni è 8 mesi di reclusione il primo, e di 3 anni e 4 mesi di reclusione la seconda, perché ritenuti colpevoli, entrambi, del reato di cui all'articolo 572 c.p. capo B e il solo R. di tre ulteriori contestazioni oggetto di due procedimenti riuniti aventi ad oggetto il reato di cui all'articolo 609 bis c.p., comma 2, capi A, Al e C , fatti commessi in omissis in un arco temporale compreso tra il omissis . In particolare, secondo la prospettazione accusatoria recepita dal G.U.P., R. e la T., il primo titolare e la seconda dipendente della Comunità Alloggio omissis , maltrattavano le persone anziane a loro affidate, che venivano aggredite verbalmente e fisicamente, oltre che denigrate, derise, mal nutrite e sottoposte altresì alla somministrazione di sostanze psicotrope, senza prescrizione medica e senza necessità terapeutica, al solo fine di determinarne l'ulteriore compromissione delle capacità relazionali, percettive e volitive, venendo altresì i degenti della struttura costretti a restare chiusi al freddo nelle loro camere, senza che venisse dato ascolto alle loro insistite richieste di aiuto. In tale contesto di angherie, la T., moglie di R., non impediva le condotte illecite poste in essere in danno degli anziani, inducendo gli altri dipendenti a ottemperare agli ordini impartiti dal marito, nonché a ignorare le rimostranze e le lamentele provenienti dalle persone offese. Il solo R., peraltro, si rendeva autore anche di abusi sessuali in danno di due ospiti della struttura, ovvero C.P. capi A e Al , costretta a toccargli le parti intime, a subire palpeggiamenti al seno, a masturbarlo e a subire una penetrazione, e S.I. di anni 91 capo C , indotta in 25 occasioni a compiere rapporti sessuali orali nella camera dove era ospitata. Gli imputati venivano altresì condannati al risarcimento dei danni in favore di una pluralità di parti civili, ovvero il Comune di omissis , nei cui confronti il danno veniva quantificato nella misura complessiva di 8.000 Euro, la CGIL e la CISL, nei cui confronti il danno veniva quantificato nella misura complessiva di 3.000 Euro ciascuna, mentre la liquidazione del risarcimento veniva riservata alla sede civile nei confronti delle restanti parti civili, ossia C.P., alla quale veniva riconosciuta una provvisionale pari a 60.000 Euro, S.I., in cui favore veniva riconosciuta una provvisionale pari a 40.000 Euro, e inoltre Fi.Anumero , F.F., G.M., Ba.Anumero , D.P.M., Fa.Fe., P.G., nonché gli eredi di Ne.Mi. e di V.R. in favore di ciascuna delle predetti parti civili, veniva riconosciuta invece una provvisionale pari a 20.000 Euro. 2. Con sentenza dell'11 dicembre 2020, la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della pronuncia del G.U.P., appellata da entrambi gli imputati, rideterminava la pena per T.M. in 2 anni e 8 mesi di reclusione e, per l'effetto, revocava la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici alla stessa comminata. La decisione di primo grado veniva confermata nel resto. 3. Avverso la sentenza della Corte di appello felsinea, R. e la T., tramite i loro rispettivi difensori, hanno proposto distinti ricorsi per cassazione. 3.1. R. ha sollevato due motivi. Con il primo motivo, la difesa deduce l'inosservanza dell'articolo 609 septies c.p., comma 4, numero 4, osservando che, rispetto al reato di cui al capo C , si è proceduto in mancanza della necessaria querela da parte della persona offesa S.I., essendo stata acquisita la notizia di reato unicamente sulla base delle sommarie informazioni rese da B.E. e M.M La I., infatti, non ha mai formalizzato la sua denuncia, indice questo di una chiara volontà personale volta a tutelare la propria riservatezza sui fatti di causa, per cui le scelte personali della vittima dovevano cedere il passo rispetto alla esigenza punitiva dello Stato, tanto più che nel caso di specie non era ravvisabile alcuna connessione investigativa tra i reati contestati, posto che la I. non ha mai assunto la veste di persona offesa nel procedimento relativo al delitto di maltrattamenti in famiglia, unico reato perseguito d'ufficio e, in ogni caso, gli accertamenti svolti nei due procedimenti non sono sovrapponibili il compendio probatorio del primo procedimento, infatti, si regge esclusivamente sulle intercettazioni ambientali eseguite presso la Comunità a far data dal 21 gennaio 2019, ossia in un momento in cui la I. non era più ospite della struttura, essendosi ella trasferita altrove nel settembre 2018, ciò a ulteriore riprova del fatto che non vi era alcun legame tra l'indagine sui maltrattamenti e quella sulla violenza sessuale, avendo del resto il P.M. operato scelte processuali differenti, procedendo in un caso con giudizio immediato e nell'altro con giudizio ordinario. Con il secondo motivo, la difesa di R. censura la formulazione del giudizio di colpevolezza rispetto al delitto di cui all'articolo 572 c.p. capo B , evidenziando che la Corte territoriale avrebbe operato un'interpretazione estensiva della norma incriminatrice, in violazione dei principi espressi dagli articolo 25 e 27 Cost., facendo rientrare nell'ambito applicativo della norma anche fatti commessi non qualificabili come maltrattamenti, come quelli posti in essere in danno di G., Me. e F., i quali non hanno subito attacchi all'integrità fisica, mancando la necessaria abitualità delle condotte e non essendo sufficiente ai fini della condanna il mero richiamo a un generale clima di sopraffazione . Peraltro, l'imputato è stato chiamato a rispondere anche di fatti da lui non commessi, in quanto non era fisicamente presente presso la struttura. 3.2. La T. ha sollevato quattro motivi. Con il primo motivo, la difesa deduce l'erronea applicazione dell'articolo 572 c.p., osservando che il mero richiamo a un generale clima di sopraffazione non può valere a ritenere integrato il reato rispetto a condotte non abituali, o comunque riferite anche a persone mai attinte da maltrattamenti. A ciò si aggiunge che non è stata comunque provata la sussistenza del contributo causale dell'imputata alle singole condotte di abuso e prevaricazione, posto che la T. ha collaborato nella struttura per un tempo limitato nel corso della giornata, limitandosi a fornire ausilio dalla tarda mattinata al primo pomeriggio, per cui ella non poteva essere chiamata a rispondere di fatti mai commessi. Con il secondo motivo, è stata censurata l'applicazione congiunta delle aggravanti di cui all'articolo 61 c.p., numero 5 e articolo 61 c.p., numero 11 sexies, circostanze che, secondo la prospettazione difensiva, sarebbero tra loro incompatibili rispetto alla vicenda in esame, in quanto la seconda aggravante assorbe il surplus di disvalore della prima infatti, nel caso di specie, la minorata difesa delle persone offese si è concretizzata nell'essere storicamente ricoverate in qualità di anziani nella casa alloggio e nell'essere nell'esclusivo potere/dovere di vigilanza degli imputati, per cui l'abuso del dovere di lealtà da parte dei ricorrenti è destinato ad assorbire l'approfittamento della minorata difesa degli ospiti della struttura. Con il terzo motivo, la difesa deduce l'inosservanza dell'articolo 69 c.p., contestando il mancato giudizio di prevalenza delle riconosciute attenuanti rispetto alle aggravanti concorrenti, non avendo la Corte territoriale tenuto adeguatamente conto della marginalità del ruolo svolto dall'imputata e della sua dipendenza psicologica dal marito. Con il quarto e ultimo motivo, la difesa eccepisce la violazione dell'articolo 132 c.p., rilevando che la Corte avrebbe irrogato una pena complessiva già aumentata per la continuazione, omettendo di indicare sia la pena edittale che la misura dell'aumento, frustrando così la possibilità di un controllo razionale del percorso logico-giuridico seguito e compromettendo altresì la possibilità di verificare se la pena sia stata contenuta entro i criteri legali predeterminati. 4. Le parti civili hanno rassegnato le conclusioni esposte in epigrafe. Considerato in diritto I ricorsi sono infondati. 1. Iniziando dal primo motivo del ricorso di R., se ne deve rimarcare l'infondatezza, avendo la Corte territoriale evidenziato che l'originaria iscrizione nel registro degli indagati riguardava anche la violenza sessuale ai danni di S.I., avendo poi il P.M. disposto la formazione di un autonomo fascicolo processuale per la necessità di sviluppare diverse e ulteriori indagini. In seguito veniva dunque disposta dal G.U.P. la riunione dei due procedimenti, in base al rilievo secondo cui le fattispecie in essi contestate trovavano origine nella medesima indagine e negli stessi accertamenti svolti nell'ambito del primo procedimento numero 88/2019 r.g.numero r. , atteso che già nelle fasi iniziali delle indagini, alla luce delle dichiarazioni rese ai Carabi numero dalle dipendenti della struttura B.E. e M.M., erano emerse, accanto alle ipotesi di maltrattamenti in danno degli ospiti della Comunità OMISSIS , presso la quale era presente la I., anche le violenze sessuali in danno di costei. Ciò posto, legittimamente i giudici di merito hanno ritenuto il reato di cui all'articolo 609 bis c.p. procedibile d'ufficio, in quanto connesso con il delitto di maltrattamenti in famiglia, ciò in coerenza con la costante affermazione di questa Corte cfr. Sez. 3, numero 37166 del 18/05/2016, Rv. 268313 , secondo cui, in materia di delitti di violenza sessuale, la procedibilità d'ufficio determinata dalla ipotesi di connessione prevista dall'articolo 609 septies c.p., comma 4, numero 4, si verifica non solo quando vi è connessione in senso processuale articolo 12 c.p.p. , ma anche quando vi è connessione in senso materiale, cioè ogni qualvolta l'indagine sul reato perseguibile di ufficio comporti necessariamente l'accertamento di quello punibile a querela, in quanto siano investigati fatti commessi l'uno in occasione dell'altro, oppure l'uno per occultare l'altro, oppure ancora quando ricorrono i presupposti di uno degli altri collegamenti investigativi indicati nell'articolo 371 c.p.p Di qui l'infondatezza della doglianza difensiva. 2. Passando al secondo motivo del ricorso di R., sostanzialmente sovrapponibile al primo motivo del ricorso della T., deve osservarsi che il giudizio sulla configurabilità a carico di entrambi del delitto di maltrattamenti in famiglia capo B non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede. Deve premettersi al riguardo che le due conformi sentenze di merito hanno operato un'adeguata ricostruzione dei fatti di causa, richiamando in particolare le dichiarazioni rese il 14 dicembre 2018 da B.E. e M.M., dipendenti dalla primavera del 2018 della Comunità Alloggio OMISSIS ubicata nel Comune di omissis , dove erano ospitati 11 anziani, molti dei quali non autosufficienti, avendo le due dichiaranti fornito un quadro molto chiaro delle vessazioni cui erano sottoposti gli ospiti della struttura da parte del responsabile della Comunità R.L., che veniva coadiuvato dalla moglie T.M., a sua volta dipendente del centro assistenziale de quo. Le puntuali dichiarazioni della B. e della M. hanno trovato ampia conferma negli esiti delle riprese ambientali eseguite presso la struttura a partire dal 21 gennaio 2019, da cui è emerso che gli imputati si rivolgevano agli anziani ospiti con parole sgradevoli, costringendoli in vario modo ad assumere farmaci e ad assumere il cibo disinteressandosi dei loro bisogni e delle condizioni di salute, venendo lasciato isolato al buio per ore chiunque si mostrasse indisciplinato . Anche la consulenza tossicologica svolta su alcuni ospiti forniva elementi di riscontro alla prospettazione accusatoria, essendo emersa in tutti i campioni prelevati la presenza, in quantità consistenti, di varie sostanze farmacologiche con effetto psicotico, di cui una sola trazodone prescritta dal medico, mentre per le altre zolpidem e aloperidolo non vi era alcuna prescrizione medica, essendo evidente che la somministrazione di tali farmaci avveniva al fine di limitare la già ridotta capacità di reazione delle persone ospitate nella struttura. In tale contesto emergeva altresì il reiterato compimento da parte di R., tra il 2018 e il febbraio 2019, di abusi sessuali nei confronti di due ospiti della Comunità, ovvero C.P. capi A e A1 e S.I. capo C . Ora, i vari episodi di sopraffazione, fisica e morale, verificatisi nella struttura sono stati diffusamente indicati sia dal G.U.P. che dalla Corte territoriale e invero non sono stati neanche contestati dalla difesa nella loro consistenza fenomenica, per cui la sussistenza del reato contestato appare pacifica, dovendosi richiamare la condivisa affermazione di questa Corte cfr. Sez. 3, numero 13815 del 04/02/2021, Rv. 281588 secondo cui, in tema di maltrattamenti in famiglia, l'articolo 572 c.p. è applicabile anche quando le condotte siano realizzate nell'ambito di una situazione di parafamiliarità, intesa come sottoposizione di una persona all'autorità di un'altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita proprie delle comunità familiari, nonché di affidamento, fiducia e soggezione del sottoposto rispetto all'azione di chi ha la posizione di supremazia. Tale condizione è senz'altro ravvisabile rispetto alla Comunità omissis , in cui le persone ospitate, in ragione della età avanzata e delle loro precarie condizioni di salute, erano affidate giorno e notte alle cure dei gestori della struttura. In tal senso, occorre sottolineare che, come evidenziato dalla Corte territoriale pag. 11 della sentenza impugnata , le piccole dimensioni della Comunità, composta da 5 stanze da letto dove dormivano due ospiti per stanza , da un unico locale per il consumo dei pasti e da due piccole stanze per le attività diurne, le caratteristiche familiari della gestione gli addetti, anche per la sorveglianza e l'assistenza notturna erano 6, compresi il titolare e la moglie e il contenuto numero degli ospiti 11 rappresentano come di fatto la vita all'interno della struttura fosse per molti versi analoga a quella di un nucleo familiare, con condivisione di ogni spazio e attività e in parte anche del riposo notturno. Ne' in senso ostativo alla sussistenza del reato appare decisiva l'obiezione difensiva secondo cui non sarebbero comprovate le vessazioni in danno dei singoli ospiti della Comunità, dovendosi richiamare la condivisa affermazione di questa Corte cfr. Sez. 6, numero 16583 del 28/03/2019, Rv. 275725 - 03 e Sez. 6, numero 8592 del 21/12/2009, dep. 2010, Rv. 246028 , secondo cui, ai fini della configurabilità del delitto di cui all'articolo 572 c.p., lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve necessariamente collegarsi a specifici comportamenti vessatori posti in essere nei confronti di un determinato soggetto passivo, ma può derivare anche da un clima generalmente instaurato all'interno di una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere dei soggetti attivi, i quali ne siano tutti siano consapevoli, a prescindere dall'entità numerica degli atti vessatori e dalla loro riferibilità ad uno qualsiasi dei soggetti passivi. Appare dunque pertinente la considerazione dei giudici di secondo grado secondo cui tutti gli ospiti, che sempre condividevano ogni momento della giornata, sono stati vittima dei maltrattamenti fisici e psicologici, sia perché da loro subiti direttamente, sia perché vi hanno assistito di persona, avendo la Corte di appello rilevato che, durante il periodo delle riprese audiovisive, protrattesi dal 21 gennaio al 17 febbraio 2019, sono stati registrati episodi lesivi in danno di tutti e 11 gli anziani, a nulla rilevando che taluni di costoro siano stati destinatari solo di sgarbi o di scherni e non anche di violenze fisiche, non potendosi sottacere che anche le forme di vessazione morale e non fisica sono idonee a qualificarsi come maltrattamenti , soprattutto se, come avvenuto nel caso di specie, le espressioni di derisione siano poste in essere in modo reiterato e in danno di persone che avevano bisogno di cure assidue e di un sostegno fisico e morale, mentre invece in taluni casi ai pazienti è stata negata l'assistenza da loro richiesta, risultando altresì comprovato che venivano deliberatamente offerti loro prodotti alimentari scaduti e che veniva controllato e sistematicamente punito chi riferiva ai familiari in visita ciò che avveniva all'interno della struttura. 2.1. Quanto all'ascrivibilità del delitto in esame ai ricorrenti, le sentenze di merito hanno valorizzato, rispetto a R., il fatto che questi, quale titolare e gestore della Comunità, è stato il principale autore materiale nonché ispiratore morale delle vessazioni, che nel caso di due ospiti hanno avuto pure connotazioni sessuali, occupandosi il ricorrente anche di dare disposizioni ai dipendenti di non annotare le effettive condizioni di salute degli ospiti della struttura. In ordine alla posizione della T., è stata rimarcata dai giudici di merito la circostanza che la stessa era pienamente inserita nel sistema di gestione della Comunità pianificato dal marito, risultando il presunto ruolo passivo della donna smentito dalle risultanze probatorie, da cui si desume che la ricorrente spesso spalleggiava R., usando toni di scherno all'indirizzo degli ospiti della Comunità, a nulla rilevando che in soli due episodi la T. abbia apparentemente espresso le sue riserve rispetto ai metodi aggressivi esercitati dal marito. A fronte di ciò, infatti, assume ben altra pregnanza il fatto che il modus agendi ordinario della ricorrente era volto ad assecondare consapevolmente il sistema gratuitamente repressivo instaurato dal coimputato all'interno della struttura. Deve pertanto concludersi che il giudizio sulla configurabilità a carico degli odierni imputati del reato di cui all'articolo 572 c.p., in quanto sorretto da considerazioni razionali e coerenti con le fonti dimostrative acquisite, resiste alle obiezioni difensive, formulate in termini non adeguatamente specifici. 3. Anche il secondo motivo del ricorso della T., relativo al concorso tra le circostanze aggravanti di cui all'articolo 61 c.p., numero 5 e articolo 61 c.p., numero 11 sexies, non è meritevole di accoglimento, avendo i giudici di merito legittimamente ritenuto applicabili entrambe le aggravanti, stanti le loro differenti peculiarità. E invero deve osservarsi al riguardo che l'aggravante di cui all'articolo 61 c.p., numero 11 sexies, norma introdotta dalla L. numero 3 del 2018, si configura quando il fatto è commesso in danno di persone ricoverate presso strutture sanitarie o presso strutture sociosanitarie residenziali o semiresidenziali, pubbliche o private, ovvero presso strutture socio-educative, essendosi dunque in presenza di una circostanza ricollegata a una condizione spazio-temporale oggettiva, nella quale si ritiene insita una considerazione di maggiore disvalore della condotta, in quanto realizzata in danno di persone che vivono una condizione di disagio. Quanto all'aggravante ex articolo 61 c.p., numero 5, deve richiamarsi in questa sede la recente affermazione delle Sezioni Unite di questa Corte sentenza numero 40275 del 15/07/2021, Rv. 282095 - 02 , secondo cui, ai fini dell'integrazione della circostanza aggravante della minorata difesa, le circostanze di tempo, di luogo o di persona, di cui l'agente abbia profittato, devono tradursi, in concreto, in una particolare situazione di vulnerabilità del soggetto passivo del reato, non essendo sufficiente l'idoneità astratta delle predette condizioni a favorire la commissione dello stesso, occorrendo quindi individuare e indicare in motivazione le ragioni che consentano di ritenere che, in una determinata situazione, si sia in concreto realizzata una diminuita capacità di difesa sia pubblica che privata. Tanto premesso, deve ritenersi che le due circostanze possano concorrere, nel caso in cui il reato, oltre a essere stato commesso in una delle strutture indicate nell'articolo 61 c.p., numero 11 sexies, si sia estrinsecato anche nell'approfittamento delle condizioni di vulnerabilità delle persone offese, non potendosi ritenere che chiunque sia ospitato in una struttura assistenziale sia per ciò solo in condizioni di minorata difesa e dunque vi sia una sovrapposizione delle situazioni di fatto sottese alle aggravanti, giustificandosi l'aggravante introdotta nel 2018 in ragione del disvalore ricollegabile al compimento di reati in determinati contesti assistenziali, nei quali è lecito attendersi un atteggiamento improntato al rispetto della persona, e ciò a prescindere dalle contingenti condizioni soggettive in cui si trovi l'ospite che sia destinatario delle condotte illecite rivolte a suo danno. In definitiva, almeno in astratto, nessuna delle due aggravanti è assorbente rispetto all'altra, nel senso che la situazione di minorata difesa della vittima non è necessariamente implicita nel fatto di essere ospiti di una struttura sanitaria o parasanitaria, essendo stata ritenuta già meritevole di un possibile inasprimento sanzionatorio la sola circostanza che un determinato delitto venga compiuto in luoghi di assistenza e di cura in cui si esige un adeguato standard comportamentale nell'approccio verso le persone che siano ivi ospitate. Da ciò consegue che, ove la condotta dell'agente, oltre a verificarsi in peculiari contesti dove si richiede attenzione alla cura delle persone presenti, si traduca anche in un approfittamento dell'eventuale situazione di minorata difesa della vittima, ben si giustifica il potenzialmente duplice inasprimento sanzionatorio. Ciò è quanto avvenuto nel caso di specie, dovendosi considerare che gli imputati, nel compiere i maltrattamenti in danno degli ospiti, hanno fatto leva proprio sulla specifica condizione di provata fragilità delle vittime, avendo indirizzato i ricorrenti le loro condotte illecite verso persone di età avanzata che non erano in grado di reagire alle angherie subite, anche perché non del tutto autosufficienti. Dunque, i comportamenti delittuosi posti in essere da R. e dalla T. non solo sono stati compiuti all'interno di una struttura assistenziale in danno delle persone ivi ospitate, il che giustifica la sussistenza dell'aggravante ex articolo 61 sexies c.p. a prescindere da ogni approfondimento sullo status delle vittime, ma sono stati in concreto favoriti dall'oggettiva condizione di minorata difesa delle persone offese, costrette a subire le sopraffazioni dei ricorrenti, essendo fisicamente incapaci di difendersi, profilo questo che induce a ritenere corretta anche la contestazione della concorrente aggravante di cui all'articolo 61 c.p., numero 5, venendo in rilievo profili fattuali che, per quanto potenzialmente sovrapponibili, non lo sono necessariamente, non essendo la oggettiva situazione di debolezza degli ospiti di una struttura di assistenza di per sé coincidente con quella condizione di fragilità personale richiesta dalla previsione della circostanza della minorata difesa, avendo quest'ultima un contenuto maggiormente qualificato e pregnante rispetto allo status di generica debolezza insito nell'essere le persone offese ospitate in determinate strutture assistenziali. La ritenuta concorrenza delle due aggravanti in esame appare quindi immune da censure, per cui anche in tal caso la doglianza difensiva deve essere disattesa. 4. Venendo infine al terzo e al quarto motivo del ricorso della T., suscettibili di trattazione congiunta perché entrambi riferiti al trattamento sanzionatorio, deve rilevarsi che, anche nella parte dedicata alla determinazione della pena, la sentenza impugnata non presta il fianco alle censure difensive. 4.1. Quanto al bilanciamento delle circostanze del reato, la Corte di appello ha confermato il giudizio di equivalenza già operato dal G.U.P., il quale, in maniera tutt'altro che illogica, da un lato, aveva rimarcato la condizione di incensurata dell'imputata e il ruolo subalterno da lei svolto rispetto al marito e, dall'altro, ne aveva valorizzato la disarmante disinvoltura nel trattare con freddezza, sufficienza e sciatteria gli anziani ospiti della struttura, spesso avallando con le parole o con i fatti l'operato del marito e delle due infermiere , sebbene gli atti di maltrattamento della donna siano stati qualitativamente e quantitativamente inferiori rispetto a quelli posti in essere da R 4.2. Non può sottacersi, comunque, che la Corte territoriale ha ridotto la pena finale a carico della T., passata da 3 anni Euro,4 mesi a 2 anni e 8 mesi di reclusione, e ciò proprio in ragione della minore valenza offensiva della condotta della ricorrente rispetto a quella del coimputato, per cui non può affermarsi né che la Corte di appello abbia ignorato le deduzioni difensive, né che il trattamento sanzionatorio sia stato ispirato da criteri di eccessivo rigore. A ciò deve solo aggiungersi che anche il computo della pena appare immune da censure, avendo la sentenza impugnata indicato la pena base in 4 anni, applicando su di essa la riduzione di un terzo per il riconoscimento delle attenuanti generiche, avendo la Corte territoriale spiegato ragionevolmente sia che la pena base era superiore al minimo edittale, alla luce dell'estensione temporale dei fatti, protrattisi per almeno 8 mesi, sia che nella medesima pena base doveva ritenersi compreso anche l'aumento per la continuazione interna al reato, precisazione questa che va ritenuta corretta, avendo questa Corte chiarito cfr. Sez. 6, numero 29542 del 18/09/2020, Rv. 279688 - 02 che, nel caso di maltrattamenti in famiglia posti in essere nei confronti di più soggetti passivi, si configura una pluralità di reati, eventualmente unificati dalla continuazione, atteso che l'interesse protetto dal reato di cui all'articolo 572 c.p. è la personalità del singolo in relazione al rapporto che lo unisce al soggetto attivo. 5. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, i ricorsi proposti nell'interesse di R. e della T. devono essere entrambi rigettati, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento e di provvedere altresì alla refusione delle spese del grado sostenute dalle diverse parti civili costituite, liquidate secondo le modalità e gli importi indicati nel dispositivo. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato S.I., C.P., F.F., D.P.M., G.M., Ba.Anumero , F.F., Fi.Anumero , eredi Ne.Mi., ed eredi P.G., nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato, oltre che delle parti civili B.C., erede di V.R., B.T.L., Comune di omissis , spese che liquida per le prime due complessivamente in Euro 5.600 e, per il terzo, in Euro 3.420, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.