Operazioni soggettivamente inesistenti e confessione del legale rappresentante della società

Il diritto al silenzio con il relativo carico sanzionatorio , espressione della garanzia del giusto processo, si applica anche ai procedimenti tributari qualora in essi siano applicati sanzioni punitive, ma solo quando destinatario del trattamento sanzionatorio è lo stesso titolare del diritto al silenzio e non altro soggetto di diritto non si applica quindi la relativa garanzia nei confronti del legale rappresentante della società che abbia ammesso che la cedente era una cartiera in quanto le sanzioni tributarie sono esclusivamente a carico della società.

Lo ha stabilito la Cassazione con sentenza numero 6786 del primo marzo 2022 con cui ha rigettato il ricorso di una società. Operazioni soggettivamente inesistenti detrazione IVA. In tema di IVA, l'Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga a operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere di provare, non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inseriva in una evasione dell'imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l'ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente valorizzando, ad esempio, la circostanza che la prestazione non poteva essere effettivamente resa dal fatturante, perché sfornito della sia pur minima dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione ove l'amministrazione finanziaria assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un'operazione volta ad evadere l'imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi Cass. numero 336/2021 e numero 15369/2020 . Nel caso trattato da Cass. numero 5059/2022, l'unica circostanza valorizzata in sede di accertamento dai verificatori è quella secondo cui la società cedente non aveva mai avuto una sede operativa adeguata allo svolgimento dell'attività asseritamente svolta, né tenuto conto della contabilità tale circostanza, a giudizio della Ctr, è da sé sola inidonea a costituire prova presuntiva dello stato soggettivo del contraente, di consapevolezza che l'operazione si inseriva in un'evasione dell'imposta. Sulla questione si segnala la recentissima numero 3144/2022 con cui la Cassazione, in tema di consapevolezza del cessionario, ha precisato che in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, va esclusa la consapevolezza della frode da parte del cessionario in caso di vendite on line, in quanto in questi casi la mancanza di magazzini e di strutture e spazi adeguati della venditrice possono effettivamente risultare non conosciute ciò a maggior ragione in caso di prezzi in linea con il mercato. Caso concreto. La vicenda riguarda un avviso di accertamento con cui l'Agenzia delle Entrate recuperava l'IVA indebitamente detratta in relazione a fatture per operazioni soggettivamente inesistenti e, dal lato attivo, l'IVA relativa ad operazioni di cessione all'esportazione per via di dichiarazione di intenti ideologicamente falsa. Quanto al primo punto la Cassazione ricorda che l'Amministrazione finanziaria, che contesti la cd. frode carosello , deve provare, anche a mezzo di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, gli elementi di fatto attinenti al cedente la sua natura di cartiera , l'inesistenza di una struttura autonoma operativa, il mancato pagamento dell'IVA e la connivenza da parte del cessionario, indicando gli elementi oggettivi che, tenuto conto delle concrete circostanze, avrebbero dovuto indurre un normale operatore a sospettare dell'irregolarità delle operazioni, mentre spetta al contribuente, che ha portato in detrazione l'IVA, la prova contraria di aver concluso realmente l'operazione con il cedente o di essersi trovato nella situazione di oggettiva impossibilità, nonostante l'impiego della dovuta diligenza, di abbandonare lo stato d'ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni, non essendo a tal fine sufficiente la mera regolarità della documentazione contabile e la dimostrazione che la merce sia stata consegnata o il corrispettivo effettivamente pagato, trattandosi di circostanze non concludenti Cass. numero 17818/2016 . Sul punto è stata decisiva la confessione stragiudiziale endoprocedimentale del legale rappresentante della società contribuente circa la consapevolezza della natura fittizia del soggetto emittente le fatture oggetto di contestazione. Sul valore delle dichiarazioni rese dal contribuente si ricorda che le stesse dichiarazioni – nel concorso di particolari circostanze – possono rivestire i caratteri delle presunzioni gravi, precise e concordanti, ai sensi dell'articolo 2729 c.c., dando luogo, di conseguenza, non ad un mero indizio, bensì ad una prova presuntiva, idonea da sola ad essere posta a fondamento e motivazione dell'avviso di accertamento in rettifica, da parte dell'amministrazione finanziaria. Il che accade, in particolare, quando le dichiarazioni rese a verbale dal terzo si segnalino come dotate di una particolare attendibilità ed affidabilità, poiché aventi natura confessoria, per le conseguenze negative che possano derivarne a carico del terzo o del contribuente stesso medesimo Cass. numero 9876/2011 e numero 9402/2007, nonché da ultimo Cass. numero 592/2021 . Sul punto non è stata accolta l'eccezione del contribuente secondo cui non gli era stato dato avviso che poteva rifiutarsi di rispondere alle domande fattegli, trattandosi di una facoltà e non di un obbligo, e che perciò aveva il diritto al silenzio. Sia la Corte di Giustizia che la Corte EDU si sono infatti pronunciate in casi pacificamente rientranti nel diritto delle sanzioni penali ed equiparate come nel caso delle sanzioni tributarie quando abbiano natura afflittiva secondo gli Engel criteria oppure allorchè al silenzio è direttamente correlata una sanzione, ma sempre quando destinatario del trattamento sanzionatorio è lo stesso titolare del diritto al silenzio e non altro soggetto di diritto. Nel caso di specie destinatario della sanzione era la società e non il legale rappresentante. Sul secondo aspetto la Cassazione ricorda che la non imponibilità delle cessioni all'esportazione effettuate nei confronti di esportatori abituali, prevista dall'articolo 8, comma 1, lett. c , del d.P.R. numero 633 del 1972, non può essere subordinata alla sola formale specifica dichiarazione d'intento dell'esportatore ove questa sia ideologicamente falsa, occorrendo in tale ipotesi che il contribuente cedente dimostri l'assenza di un proprio coinvolgimento nell'attività fraudolenta, ossia di non essere stato a conoscenza dell'assenza delle condizioni legali per l'applicazione del regime di non imponibilità o di non essersene potuto rendere conto pur avendo adottato tutte le ragionevoli misure in suo potere Cass. numero 19869/2016 .

Presidente Manzon Relatore Guida Fatti di causa Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale del Veneto accoglieva parzialmente l'appello proposto dall'Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Treviso numero 22/1/12 che aveva accolto il ricorso proposto da D. spa contro l'avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2006. La CTR osservava in particolare che, essendosi ristretto l'ambito devolutivo del gravame alla sola IVA, avendo l'agenzia fiscale appellante dato atto di aver annullato in autotutela l'atto impositivo impugnato in relazione alle II.DD, affermava la fondatezza della pretesa erariale in relazione a detta imposta, derivando tale convincimento dalla confessione stragiudiziale endoprocedimentale del legale rappresentante della società contribuente circa la consapevolezza della natura fittizia del soggetto emittente le fatture oggetto di contestazione Unica sas , che peraltro dagli ulteriori elementi addotti dall'Ente impositore risultava essere un evasore totale assenza di contabilità ed omissione delle dichiarazioni fiscali omessi versamenti del tutto privo di struttura operativa ed anche irreperibile. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo sette motivi, poi illustrati con una memoria. Resiste con controricorso l'Agenzia delle entrate. Ragioni della decisione Con il primo motivo ex articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 4 la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione del diritto di difesa ed in particolare per violazione dell'articolo 6 CEDU, degli articolo 47 e 48, Carta dei diritti fondamentali dell'UE, dell'articolo 24 Cost., comma 2, dell'articolo 111 Cost., poiché la CTR ha basato la propria decisione su di una dichiarazione resa in sede di istruttoria amministrativa dal suo legale rappresentante. Anzitutto dev'essere disattesa l'eccezione di inammissibilità del mezzo sollevata dall'avvocatura erariale, in quanto questione non proposta con il ricorso introduttivo della lite né in grado di appello, ma soltanto con il ricorso per cassazione e quindi del tutto nuova. Va rilevato infatti che la società contribuente con i motivi di impugnazione giudiziale dell'atto impositivo in oggetto ha, univocamente, contestato la circostanza, affermata dall'agenzia fiscale, della sua consapevolezza della natura fraudolenta delle operazioni, attive e passive, intrattenute con Unica sas. Dunque l'argomentazione giuridica spesa con il primo motivo del ricorso per cassazione non è nient'altro che lo sviluppo di tale originaria difesa, che non consiste nell'allegazione di un nuovo -fatto impeditivo/estintivo e quindi non può essere considerata un'eccezione in senso stretto, bensì appunto solo una mera difesa in diritto, sicché ben può essere valutata da questa Corte secondo il principio jura novit curia. Ciò posto, la censura è tuttavia infondata. Nel caso di specie è pacificamente accaduto che in sede di accesso ispettivo dell'agenzia fiscale presso la sede della società contribuente, il legale rappresentante della medesima, L.C., abbia sostanzialmente ammesso di essere consapevole che Unica sas era una c.d. cartiera, dichiarando che la sua interposizione serviva solo per la fatturazione . Lamenta la ricorrente che al Levada, prima di rendere le proprie dichiarazioni, non è stato dato avviso che poteva rifiutarsi di rispondere alle domande fattegli, trattandosi di una facoltà e non di un obbligo, e che perciò aveva il diritto al silenzio afferma che tale comportamento amministrativo ha violato il diritto dell'Unione ed il diritto costituzionale italiano, con la conseguenza della nullità derivata della sentenza impugnata, appunto perché basata, anche, ma essenzialmente, sulla valorizzazione processuale delle dichiarazioni stesse. In primo luogo, sul piano del diritto unionale/convenzionale, si deve osservare che la giurisprudenza, anche recente, della Corte di giustizia dell'Unione Europea e della Corte EDU non si pone nel senso patrocinato dalla ricorrente. Dette Corti infatti si sono pronunciate in casi pacificamente rientranti nel diritto delle sanzioni penali ed equiparate oppure allorché al silenzio è direttamente correlata una sanzione, ma sempre quando destinatario del trattamento sanzionatorio è lo stesso titolare del diritto al silenzio e non altro soggetto di diritto. Escluso dunque che la giurisprudenza della Corte EDU e della Corte di giustizia dell'Unione Europea riguardi direttamente la materia dell'imposizione tributaria in senso stretto vedi rispettivamente, tra le molte, Ferrazzini c. Italia e Orkem, SGL Carbon , pur ammesso che secondo tali giurisprudenze l'articolo 6 CEDU, l'articolo 6 TUE, gli articolo 47-48, Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, trovano applicazione oltre che nei procedimenti penali anche in quelli amministrativi interni degli Stati aderenti/membri, qualora in quest'ultimi siano applicabili sanzioni punitive qualificate secondo i c.d. OMISSIS leading case, Corte EDU Jussila c. Finlandia , tuttavia è chiaro che le Corti sovranazionali hanno delimitato l'area delle garanzie del giusto processo, del quale il diritto al silenzio è nucleo fondamentale quale norma internazionale generalmente riconosciuta Corte EDU, John Murray c. Regno Unito ed altre , alla costrizione derivante dalla sanzionabilità diretta del rifiuto di rispondere ossia al caso in cui il diritto interno degli stati aderenti/membri preveda una sanzione punitiva nei confronti del titolare del diritto di tacere. Ciò è particolarmente chiaro nelle più recenti pronunce di dette Corti ed in particolare in Corte EDU, Chambaz c. Svizzera ed in Corte giust. UE, DB c. Consob, pacifico che in entrambe si trattava di sanzioni direttamente irrogate alla persona fisica autrice della violazione interna. Orbene, nel caso in esame si controverte dell'imponibile fiscale della D. spa e di sanzioni direttamente applicate alla medesima, quindi non al Levada, preteso titolare del diritto al silenzio pertanto dette norme e giurisprudenze unionali/convenzionali non risultano pertinenti ed applicabili. D'altro canto recentemente questa Corte si è espressa -in un caso che deve ritenersi analogo nel senso che l'assenza di consenso informato nella specie, della necessità di autorizzazione del PM per l'apertura coattiva non è causa di vizio invalidante dell'atto impositivo, qualora in sede di istruttoria amministrativa siasi aperta non coattivamente una borsa contenente documenti contabili, poi utilizzati contro il contribuente cfr. Sez. U, 3182/2022 . Con il secondo motivo ex articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 4 la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per vizio motivazionale radicale motivazione apparente ovvero manifestamente illogica , in violazione del D.Lgs. numero 546 del 1992, articolo 61, articolo 36, comma 2, numero 4, dell'articolo 132 c.p.c., comma 2, numero 4 , dell'articolo 118 disp. att. c.p.c., articolando la critica in distinti punti riguardanti il rigetto del suo appello incidentale l'affermazione della natura meramente fittizia del soggetto asseritamente interposto nelle operazioni IVA in contesto l'eccezione di invalidità dell'atto impositivo impugnato per vizio motivazionale la fittizietà del soggetto interposto la correlazione tra mancanza di contabilità del soggetto interposto e l'affermazione della sua fittizietà la valutazione del decreto di archiviazione del parallelo processo penale nei confronti del suo legale rappresentante in relazione alla falsità delle fatture oggetto di contestazione amministrativa. La censura è infondata. Va ribadito che La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture Cass., Sez. U, Sentenza numero 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 01 . Condividendosi e dando seguito a tale, consolidato, arresto giurisprudenziale, risulta evidente che la, pur sintetica, motivazione della sentenza impugnata non rientra nei paradigmi invalidanti indicati nell'arresto medesimo. Il giudice tributario di appello infatti ha chiaramente indicato le ragioni per le quali ha ritenuto di dover validare le pretese creditorie erariali, sì come basate sulla fittizietà di Unica sas, valorizzando particolarmente le dichiarazioni rese da L.C. in combinazione valutativa degli elementi addotti dall'agenzia fiscale a sostegno della natura di cartiera di detta società. Vi è poi ulteriormente da ribadire che La differenza fra l'omessa pronuncia ai sensi dell'articolo 112 c.p.c. e l'omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all'articolo 360 c.p.c., numero 5, consiste nel fatto che, nel primo caso, l'omesso esame concerne direttamente una domanda od un'eccezione introdotta in causa, autonomamente apprezzabile, ritualmente ed inequivocabilmente formulata, mentre nel secondo, l'omessa trattazione riguarda una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione Cass. numero 25714 del 04/12/2014, Rv. 633682 01 , da ciò derivando l'erroneità del mezzo prescelto in ordine alla mancata argomentazione della CTR veneta in ordine al motivo di appello incidentale riguardante l'eccezione di nullià dell'avviso di accertamento impugnato per incompetenza della DRE dell'Agenzia delle entrate alle indagini, trattandosi al più di un'omessa pronuncia e non di un vizio motivazionale in ogni caso Non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo Cass. numero 29191 del 06/12/2017, Rv. 646290 01 e Alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell'articolo 111 Cost., comma 2, nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell'attuale articolo 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l'omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello determinando l'inutilità di un ritorno della causa in fase di merito , sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto Cass. numero 2313 del 01/02/2010 ex pluribus conf. Cass. numero 16171 del 28/06/2017 Cass. numero 9693 del 19/04/2018 . In base a tali principi, deve ritenersi che su detta eccezione ed in ordine a quella relativa alla motivazione/prova dell'avviso di accertamento il giudice tributario di appello, essendone del tutto consapevole v. la parte narrativa della sentenza impugnata , si sia implicitamente pronunciato per il rigetto delle medesime, le quali risultano peraltro infondate, rispettivamente, secondo gli ulteriori principi di diritto che In tema di accertamenti tributari, il D.L. numero 185 del 2008, articolo 27, conv. in L. numero 2 del 2009, non ha attribuito alle Direzioni regionali delle entrate una competenza in materia di accertamento fiscale prima inesistente, ma ha inteso fondare su una norma di fonte primaria il riparto delle competenze relative all'attività di verifica fiscale, istituendo una riserva esclusiva di competenza, in relazione alla rilevanza economico fiscale del soggetto accertato, a favore della Direzione regionale, già titolare, per disposizione regolamentare, della competenza a svolgere attività istruttoria, utilizzabile dalle Direzioni provinciali ai fini della emissione degli atti impositivi Sez. 5 -, Ordinanza numero 33289 del 21/12/2018, Rv. 652121 01 e che Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5 che attribuisce rilievo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio , né in quello del precedente numero 4, disposizione che per il tramite dell'articolo 132 c.p.c., numero 4, dà rilievo unicamente all'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante Cass., numero 11892 del 10/06/2016, Rv. 640194 01 . Ed ancora che Nel contenzioso tributario, la sentenza penale irrevocabile intervenuta per reati attinenti ai medesimi fatti su cui si fonda l'accertamento degli uffici finanziari rappresenta un semplice elemento di prova, liberamente valutabile in rapporto alle ulteriori risultanze istruttorie, anche di natura presuntiva Cass. numero 2938 del 13/02/2015 che In materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l'accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, numero 546, articolo 7, comma 4 e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l'imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l'atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario Cass. numero 8129 del 23/05/2012 . Dunque, fuori da ogni vincolo, il giudice tributario di appello ha liberamente valutato, sia pure per implicito, ma essendone pienamente consapevole v. parte narrativa della sentenza impugnata quale elemento probatorio l'archiviazione penale de qua, evidentemente ritenendo di dover valorizzare con prevalenza le risultanze probatorie emergenti dal processo tributario, pacifico che tale giudizio di merito non può essere oggetto di revisione in questa sede di legittimità, secondo altro consolidato principio di diritto che Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l'apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall'analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l'apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell'ambito di quest'ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all'uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione Cass. numero 9097 del 07/04/2017 . Con il terzo motivo ex articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 la ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione dell'articolo 2729 c.c., del D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 54, poiché la CTR ha affermato la natura fittizia di Unica sas sulla base di presunzioni prive dei caratteri di gravità, precisione e concordanza. La censura è inammissibile. Deriva dall'ultimo arresto giurisprudenziale citato che il mezzo in esame è del tutto al di fuori del perimetro del giudizio di legittimità ed in particolare del parametro dell'error in judicando in jure, dovendosi altresì ribadire che In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un'erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione ex multis Cass., numero 26110 del 2015 e che In tema di ricorso per cassazione, la deduzione del vizio di violazione di legge consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina cd. vizio di sussunzione postula che l'accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito Cass., numero 6035 del 13/03/2018, Rv. 648414 01 . Con il quarto, quinto, sesto e settimo motivo ex articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 la ricorrente lamenta, in diverse declinazioni rapportate alla violazione/falsa applicazione di distinte disposizioni legislative D.P.R. numero 633 del 1972, rispettivamente, articolo 8, comma 1, lett. c e comma 2, articolo 2697 c.c.D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 8, comma 1, lett. b , articolo 1, articolo 21, comma 7, D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 19 e del principio di neutralità dell'IVA, la contestata ed affermata detrazione di tale imposta in relazione alle operazioni passive fatture ricevute da Unica sas e l'applicazione dell'imposta in relazione a quelle attive fattive emesse nei confronti di Unica sas , oggetto delle riprese di cui all'avviso di accertamento impugnato. Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono infondate. Va ribadito che In tema d'I.V.A., l'Amministrazione finanziaria, che contesti la cd. frode carosello , deve provare, anche a mezzo di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, gli elementi di fatto attinenti al cedente la sua natura di cartiera , l'inesistenza di una struttura autonoma operativa, il mancato pagamento dell'I.V.A. e la connivenza da parte del cessionario, indicando gli elementi oggettivi che, tenuto conto delle concrete circostanze, avrebbero dovuto indurre un normale operatore a sospettare dell'irregolarità delle operazioni, mentre spetta al contribuente, che ha portato in detrazione l'I.V.A, la prova contraria di aver concluso realmente l'operazione con il cedente o di essersi trovato nella situazione di oggettiva impossibilità, nonostante l'impiego della dovuta diligenza, di abbandonare lo stato d'ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni, non essendo a tal fine sufficiente la mera regolarità della documentazione contabile e la dimostrazione che la merce sia stata consegnata o il corrispettivo effettivamente pagato, trattandosi di circostanze non concludenti Cass. numero 17818 del 09/09/2016, Rv. 640767 01 In tema di I.V.A., il D.P.R. 26 ottobre 1972, numero 633, articolo 21, comma 7, ai sensi del quale, se vengono emesse fatture per operazioni inesistenti, l'imposta stessa è dovuta per l'intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura, va interpretato nel senso che il corrispondente tributo viene considerato fuori conto e la relativa obbligazione isolata da quella risultante dalla massa di operazioni effettuate, senza che possa operare, per tale fatto, il meccanismo di compensazione, tra I.V.A. a valle ed I.V.A. a monte , che presiede alla detrazione d'imposta di cui al D.P.R. cit., articolo 19 e ciò anche in considerazione della rilevanza penale della condotta consistente nell'emissione di fatture per operazioni inesistenti Cass., Sez. 5, Sentenza numero 1565 del 27/01/2014, Rv. 629515 01 In tema d'IVA, è precluso al cessionario dei beni il diritto alla detrazione nel caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti anche solo sotto il profilo soggettivo, nonostante i beni siano entrati effettivamente nella disponibilità dell'impresa utilizzatrice, poiché l'indicazione mendace di uno dei soggetti del rapporto determina l'evasione del tributo relativo alla diversa operazione effettivamente realizzata tra altri soggetti Cass., numero 20060 del 07/10/2015, Rv. 636663 01 In tema di IVA, l'Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere di provare, non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inseriva in una evasione dell'imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l'ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente ove l'Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un'operazione volta ad evadere l'imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi Cass., numero 9851 del 20/04/2018 . Dal complesso di tali arresti giurisprudenziali risulta evidente che nel caso di specie non può essere detratta l'IVA sulle operazioni passive in contestazione registrate da D., avendo il giudice tributario di appello accertato in fatto sia che il soggetto emittente era una cartiera sia che la società contribuente utilizzatrice ne era consapevole. Quanto alle operazioni attive in contestazione cessione di beni , in primo luogo non può accedersi alla tesi della società contribuente di cui al quarto motivo che invoca l'applicabilità del D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 8, comma 1, lett. c e comma 2, poiché, stante la natura fittizia di Unica, essendo quindi le dichiarazioni d'intenti dalla medesima rilasciate ideologicamente false, non possono costituire titolo per applicare l'esenzione IVA in questione. In tal senso si intende dare seguito al principio di diritto secondo il quale In tema d'IVA, la non imponibilità delle cessioni all'esportazione effettuate nei confronti di esportatori abituali, prevista dal D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 8, comma 1, lett. c , non può essere subordinata alla sola formale specifica dichiarazione d'intento dell'esportatore ove questa sia ideologicamente falsa, occorrendo in tale ipotesi che il contribuente cedente dimostri l'assenza di un proprio coinvolgimento nell'attività fraudolenta, ossia di non essere stato a conoscenza dell'assenza delle condizioni legali per l'applicazione del regime di non imponibilità o di non essersene potuto rendere conto pur avendo adottato tutte le ragionevoli misure in suo potere Sez. 5, Sentenza numero 19896 del 05/10/2016, Rv. 641260 01 . Ne' d'altro canto ha fondamento l'ulteriore, subordinata, allegazione defensionale di cui al quinto motivo che mira a far escludere l'imponibilità di dette operazioni attive ai sensi del D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 8, comma 1, lett. b , trattandosi di cessioni all'esportazione. Va infatti ribadito che In tema di recupero dell'IVA per cessioni al di fuori dei confini dell'Unione Europea, nelle esportazioni indirette di cui al D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 8, comma 1, lett. b , la prova dell'avvenuta uscita della merce dal territorio doganale dell'Unione deve essere fornita dal cedente mediante l'esemplare 3 DAU, munito di timbro e visto dell'ufficio doganale di uscita, se la dichiarazione di esportazione è effettuata sulla base del Documento Unico Amministrativo DAU , ovvero esibendo la propria fattura di vendita, su cui siano riportati gli estremi della bolletta doganale ed il visto dell'ultima dogana in uscita dal territorio unionale, senza che sia sufficiente, in caso di transito da una pluralità di uffici, solo quello del primo ufficio Sez. 5 -, Ordinanza numero 33483 del 27/12/2018, Rv. 652125 01 . Dunque, chiaro che l'onere della prova dell'esportazione grava sul soggetto passivo che intende avvalersi della non imponibilità prevista dalla disposizione legislativa tributaria in questione, non risulta che D. abbia assolto tale onere e nemmeno che tale circostanza emerga con il grado di certezza necessario dagli accertamenti istruttori compiuti dall'agenzia fiscale né che sia stata accertata in fatto dal giudice tributario di appello. Infatti, quanto al primo profilo, dalle parti del PVC basante l'atto impositivo impugnato citate dalla ricorrente, si desume soltanto che Unica sas era una società fittizia cartiera e che quindi non poteva essere reale esportatrice della merce in questione, essendo le probabili destinatarie reali società di diritto rumeno, in allora da considerarsi extra comunitarie. Ma ciò non significa affatto che l'Ente impositore abbia così ammesso che la merce oggetto delle riprese fiscali sia stata effettivamente esportata in Romania e consegnata a tali società romene. Quanto al secondo, la CTR veneta si è limitata ad accertare in fatto che Unica era una cartiera e che quindi le operazioni dalla stessa filtrate sia in entrata che in uscita dal territorio nazionale e comunitario erano fittizie, ma, né esplicitamente né implicitamente, la sentenza impugnata contiene alcun accertamento che le operazioni attive oggetto della specifica contestazione contenuta nell'avviso di accertamento impugnato siano state effettivamente realizzate con le società romene indicate nel PVC. Quindi, nella fattispecie concreta, non resta che applicare, come ha fatto il giudice tributario di appello, il c.d. principio di cartolarità ai sensi del D.P.R. numero 633 del 1972, ex articolo 21, comma 7, con l'unico temperamento, non sussistente nel caso in esame, dell'eliminazione del rischio di perdita di gettito. In tal senso il Collegio condivide ed intende dare seguito al principio di diritto secondo il quale In tema d'IVA, in caso di operazione inesistente, in difetto di rettifica o annullamento della fattura, sussiste l'obbligo di versamento dell'imposta per l'intero ammontare indicato in fattura, in quanto l'emissione del documento contabile determina l'insorgenza del rapporto impositivo, senza che ciò contrasti con il principio di neutralità dell'IVA, prevalendo la funzione ripristinatoria conseguente alla eliminazione del difetto di rettifica o annullamento della fattura, a meno che non sia stato eliminato in tempo utile qualsiasi rischio di perdita del gettito fiscale derivante dall'esercizio del diritto alla detrazione Sez. 5 Ordinanza numero 28263 del 11/12/2020, Rv. 660036 01 . In conclusione il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 10.000 oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, articolo 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.