Confermata la condanna per un uomo beccato in strada a prendere i soldi raccolti tra i passanti da una bambina di appena 6 anni. Inutile il riferimento difensivo all’accattonaggio come pratica usuale degli zingari. Irrilevante anche il richiamo alla condizione di povertà dell’uomo finito sotto accusa.
Il riferimento alla cultura rom e alla propria evidente condizione di povertà non può giustificare, o rendere meno grave, la decisione di utilizzare una bambina di appena 6 anni per chiedere l'elemosina. Scenario della triste vicenda è la provincia calabrese. A finire sotto processo è un uomo, Boldo – nome di fantasia –, beccato in strada a incassare l' elemosina raccolta tra i passanti da una bambina , Ana – nome di fantasia – di appena 6 anni. Il racconto fatto dal poliziotto che ha assistito personalmente alla scena è sufficiente, sia in primo che in secondo grado, per emettere una sentenza di condanna a carico di Boldo, ritenuto colpevole per « impiego di minori nell'accattonaggio » e sanzionato con quattro mesi di reclusione. Col ricorso in Cassazione il difensore di Boldo prova a fornire una lettura diversa dei comportamenti tenuti dal suo cliente. In questa ottica egli sottolinea che «l'assistente di Polizia ha dichiarato di avere visto una bambina chiedere l'elemosina e un uomo», Boldo, «a cui consegnava il denaro ricevuto dai passanti», ma «in nessun modo si è dimostrato», aggiunge, «che la bambina sia stata sottoposta a sofferenze e mortificazioni». Il legale aggiunge poi un particolare che a suo dire non può essere trascurato «l'accattonaggio è usualmente praticato dagli zingari e, più in generale, in diverse comunità etniche» che considerano «la richiesta di elemosina una condizione di vita tradizionale ». Illogico, quindi, «criminalizzare condotte che rientrano nella tradizione culturale di un popolo», chiosa il legale. Per provare ulteriormente a ridimensionare l'episodio, infine, l'avvocato sottolinea che il suo cliente «ha commesso il reato in stato di necessità in ragione della profonda situazione di indigenza in cui versava», essendo egli «costretto a vivere in una baracca, senza servizi igienici, e a usare vestiti di recupero». I Giudici di terzo grado spazzano però via subito ogni dubbio indiscutibile , a loro avviso, è «la responsabilità penale » di Boldo, alla luce delle «precise dichiarazioni» rese dal poliziotto, il quale ha chiaramente riferito di «avere notato dinnanzi al Tribunale della città una bambina chiedere l'elemosina ai passanti sotto la pioggia battente, nonché a poca distanza un uomo – identificato, poi, in Boldo – al quale ella consegnava, via via, il denaro ricevuto». Priva di valore, poi, è la sottolineatura difensiva che «la condotta accertata è usualmente praticata dagli zingari e, in genere, in diverse comunità etniche». Su questo punto i Giudici ribattono che «la dedotta connotazione culturale della pratica di chiedere l'elemosina non può certamente condurre a decriminalizzare la condotta posta in essere da Boldo», anche perché «i valori della cultura rom non rilevano quando, come in questo caso, contrastano con i beni fondamentali riconosciuti dall'ordinamento costituzionale, quali il rispetto dei diritti umani e la tutela dei minori». Per fare ancora più chiarezza, poi, i Giudici sottolineano che, Codice Penale alla mano, «non è richiesto che il minore sia sottoposto a sofferenze o mortificazioni», poiché deve essere punito semplicemente «chiunque si avvale per mendicare di una persona minore di 14 anni e, comunque, non imputabile». Inutile anche il riferimento alla «profonda situazione di indigenza » di Boldo, situazione che non può certo giustificare il ricorso all' accattonaggio e all'impiego di una bambina per ottenere in strada l'elemosina dai passanti. A questo proposito, i giudici ribadiscono che «lo stato di necessità non può essere riconosciuto al mendicante che si trovi in ristrettezze economiche, perché la possibilità di ricorrere all'assistenza degli enti che la moderna organizzazione sociale ha predisposto per l'aiuto agli indigenti ne esclude la sussistenza, in quanto fa venir meno gli elementi dell'attualità e dell'inevitabilità del pericolo grave alla persona». Sacrosanto, infine, sanciscono dalla Cassazione, respingere anche l'ipotesi, avanzata dalla difesa, della non punibilità di Boldo per presunta «tenuità del fatto». Decisivo, a questo proposito, il richiamo al « forte disvalore sociale della condotta posta in essere» da Boldo, disvalore testimoniato anche dalla circostanza che «la bambina, di soli 6 anni, sotto una pioggia battente rivolgeva ai passanti la richiesta di elemosina e poi consegnava il denaro ricevuto all'uomo, posizionato a pochi metri di distanza».
Presidente Casa – Relatore Talerico Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 28 ottobre 2019, la Corte di appello di Catanzaro - per quanto qui rileva - confermava la pronuncia del Tribunale di Cosenza in data 5.6.2017, con la quale A.V.C. era stato ritenuto responsabile del reato di cui all' articolo 600 octies c.p. e, conseguentemente, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, era stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione, la cui esecuzione era stata sospesa ai termini e condizioni di legge. 2. Avverso detta sentenza, l'avvocato omissis , difensore di fiducia dell'imputato, ha proposto ricorso per cassazione, formulando tre distinti motivi di impugnazione. 2.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ai sensi del combinato disposto di cui all' articolo 606 c.p.p. , comma 1, lett. b ed e , per violazione del combinato disposto di cui agli articolo 192 e 533 c.p.p. . Secondo la difesa, la sentenza impugnata si fonderebbe su una erronea ricostruzione dei fatti e, in ogni caso, su una erronea applicazione delle norme di diritto dalle testimonianze rese in sede di istruttoria n omissis Cosenza, X il quale aveva chiaramente riferito di avere notato dinnanzi al Tribunale della città una bambina chiedere l'elemosina ai passanti sotto la pioggia battente, nonché a poca distanza un uomo - identificato, poi, nell'attuale imputato - al quale la predetta consegnava, via via, il denaro ricevuto. Ebbene - posto che esula dai poteri della Corte di legittimità quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, potendo e dovendo, invece, la Corte accertare se quest'ultimo abbia dato adeguatamente conto, attraverso l'iter argomentativo seguito, delle ragioni che l'hanno indotto a emettere il provvedimento - ritiene il Collegio che le argomentazioni dell'impugnata sentenza non possono dirsi manifestamente illogiche, nè contraddittorie, nè parziali, nè, infine, in contrasto con i dati acquisiti. Esse perciò, resistono alle censure con cui il ricorrente, in buona sostanza, ha riproposto la tesi difensiva già esposta nel corso dei giudizi di primo e di secondo grado, con cui sostiene che la condotta accertata è usualmente praticata dagli zingari e, in genere, in diverse comunità etniche per le quali la richiesta di elemosina costituirebbe una condizione di vita tradizionale molto radicata nella mentalità delle stesse. La dedotta connotazione culturale della pratica di chiedere l'elemosina, però, non può certamente condurre - come evidenziato nell'impugnata sentenza - a decriminalizzare la condotta posta in essere dall'imputato e in vero, i valori della cultura rom non rilevano quando - come nel caso di specie - contrastino con i beni fondamentali riconosciuti dall'ordinamento costituzionale, quali il rispetto dei diritti umani e la tutela dei minori. Inoltre, per l'integrazione del reato contestato non è richiesto che il minore sia sottoposto a sofferenze e/o mortificazioni , come risulta chiaramente dal tenore della norma incriminatrice, che punisce, salvo che il fatto costituisca più graye reato, chiunque si avvale per mendicare di una persona minore degli anni quattordici e, comunque, non imputabile . 2. Non merita accoglimento neppure il secondo motivo di ricorso. La prospettazione difensiva, secondo cui l'imputato avrebbe commesso il fatto per esservi stato costretto dalla profonda situazione di indigenza in cui versava, non integra l'invocata ricorrenza della scriminante di cui all' articolo 54 c.p. . E in vero, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l'esimente dello stato di necessità postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non scongiurabile se non attraverso l'atto penalmente illecito, e non può quindi applicarsi a reati asseritamente provocati da uno stato di bisogno economico, qualora a esso possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti Cass. Sez. 3, numero 35590 del 11/05/2016 , Rv. 267640 - 01 conformi, tra le tante Cass. Sez. 5, numero 3967 del 13/07/2015 , Rv. 265888, secondo cui la situazione di indigenza non è di per sé idonea a integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi dell'attualità e dell'inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che versano in tale stato è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale Cass. Sez. 1, numero 11863 del 12/10/1995 , Rv. 203245, che ha affermato che lo stato di necessità non può essere riconosciuto al mendicante che si trovi in ristrettezze economiche, perché la possibilità di ricorrere all'assistenza degli enti che la moderna organizzazione sociale ha predisposto per l'aiuto agli indigenti ne esclude la sussistenza, in quanto fa venir meno gli elementi dell'attualità e dell'inevitabilità del pericolo grave alla persona . 3. Infondato è, infine, il terzo motivo di ricorso. La Corte territoriale, nel rigettare la richiesta dell'imputato, tendente a ottenere l'applicazione della causa di non punibilità prevista dall' articolo 131 - bis c.p. , ha affermato che essa non poteva essere accolta stante il forte disvalore sociale della condotta posta in essere dall'A.V.C. in rapporto alla natura degli interessi protetti dalla disposizione incriminatrice, ovvero le esigenze di tutela dei soggetti di minore età tale giudizio va esaminato congiuntamente alla complessiva motivazione delle sentenze di merito, dalle quali emergono le modalità dell'accertata condotta dell'imputato e, in particolare, la circostanza che la bambina di soli sei anni rivolgeva ai passanti la richiesta di elemosina sotto una pioggia battente e, quindi, consegnava il denaro ricevuto all'imputato posizionato a pochi metri di distanza. Posto che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa, che ha a oggetto le modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo valutate ai sensi dell'att. 133 c.p., cioè una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, la decisione adottata è esente da vizi giuridici di sorta perché ha avuto riguardo alle forme di estrinsecazione del comportamento dell'imputato al fine di valutarne complessivamente la gravità e l'entità del contrasto rispetto alla legge. 4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. 5. In caso di diffusione del presente provvedimento, occorre omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52 , in quanto imposto dalla legge.