È soltanto la durata indeterminata della società per azioni che giustifica e attribuisce il diritto di recesso al socio, non la sua riduzione.
In questi termini si è espressa la Corte di Cassazione con l'interessante sentenza numero 6280 del 24 febbraio 2022. La vicenda in lite. Un socio di società per azioni impugnava innanzi alla Corte di Appello di Palermo il lodo emesso dal Tribunale Arbitrale avente ad oggetto la controversia insorta in relazione alla legittimità del recesso esercitato dalla società. In particolare, con delibera assembleare del 4 settembre 2007 era stata ridotta la durata della società dal 31 dicembre 2100 al 31 dicembre 2040. Il socio impugnante — che non aveva partecipato all'assemblea dei soci e non aveva prestato il proprio consenso a tale delibera — aveva esercitato il diritto di recesso ai sensi dell'articolo 2437, comma 1, lett. e c.c. sul presupposto che tale deliberazione, modificando in senso riduttivo e compatibile con la vita media dell'uomo la precedente durata aveva, in sostanza, eliminato la facoltà di recesso ad nutum prevista dal terzo comma della richiamata disposizione recesso consentito per le società a tempo indeterminato, alle quali doveva equipararsi quella con scadenza all'anno 2100. Da qui l'impugnazione del lodo per contrarietà all'ordine pubblico in ragione della violazione delle norme disciplinanti le cause di recesso. Ad avviso della Corte di Appello la delibera mediante la quale era stato abbreviato il termine di durata non legittimava l'esercizio del diritto di recesso. Veniva proposto il ricorso per cassazione. Il diritto di recesso come strumento di tutela del socio. Ricorda, anzitutto, la Prima Sezione della Corte che lo statuto di s.p.a. è modificabile a maggioranza, sia pure con i più rigorosi quorum previsti per l'assemblea straordinaria, e non all'unanimità. Come osservato in dottrina è stato infatti tenuto conto del carattere programmatico insito nel contratto sociale che deve poter essere adeguato in conseguenza delle esigenze dettate dall'esercizio dell'attività di impresa. Tuttavia, poiché queste modifiche possono comportare una sostanziale alterazione degli elementi essenziali del contratto, sono stati adottati strumenti di contemperamento con il principio di tutela delle minoranze, ovvero dei soci non consenzienti. Assume rilevanza, al riguardo, la previsione del diritto di recesso come efficace, seppur estremo, strumento di tutela del socio avverso cambiamenti sostanziali dell'operazione cui partecipa. La relativa disciplina, prosegue la Corte, è conformata in modo da perseguire la realizzazione e la stabilità dell'aggregazione societaria e delle risorse al fine di evitare il depauperamento del patrimonio sociale. Il legislatore del 1942 aveva circoscritto le cause di recesso alla tassativa previsione normativa. Lo scenario muta a seguito della riforma introdotta dal d.lgs. numero 6 del 17 gennaio 2003. Il novellato articolo 2437 c.c. non soltanto annovera un più ampio catalogo di cause di recesso normativamente previste, ma riconosce, puntualizzano i Giudici di legittimità, all'autonomia statutaria la facoltà di individuarne ulteriori. Ciò per le sole società che non fanno appello al mercato del capitale di rischio e che non godono del pieno ed inderogabile diritto alla libera trasferibilità delle azioni, rispetto al quale il recesso si configura come strumento alternativo. Tenuto fermo il principio per cui è nullo ogni patto volto ad escludere o rendere più gravoso l'esercizio del diritto di recesso nelle ipotesi previste dall'articolo 2437, comma 1, c.c., le categorie di cause di recesso si possono così distinguere quelle necessarie ed ineliminabili statutariamente quelle disponibili in quanto eliminabili statutariamente. Tale eliminazione, se attuata mediante una deliberazione assembleare, è di poi foriera dell'attribuzione del diritto di recesso. La soluzione della Suprema Corte. Osserva la Corte che, nella specie, il recesso non è stato esercitato dal socio in ragione della proroga della durata della società né perché la società aveva durata a tempo indeterminato, essendo stata, all'opposto, ridotta la durata. Viene precisato che il diritto di recesso ad nutum attribuito dal terzo comma dell'articolo 2437 c.c. è direttamente connesso alla durata indeterminata statutariamente prevista per la società e non alla modifica della stessa. Sul piano della modifica della durata rileva soltanto la proroga di cui al comma 2 , mentre l'opposta ipotesi della riduzione della durata non è fonte di alcun autonomo diritto di recesso per il socio, né ciò può dedursi per implicito dalla facoltà prevista dal terzo comma. La previsione contemplata dal terzo comma, in linea con quella che riconosce la facoltà di recesso in caso di proroga della società, è intesa a tutelare il socio, al fine di evitare che questi, nei casi in cui le azioni non siano quotate in un mercato regolamentato, sia costretto dal vincolo sociale oltre un tempo ragionevole contro la sua volontà. Le ragioni di tale tutela non sussistono nell'opposto caso in cui la durata della società venga ridotta, tant'è che questa ipotesi non rientra nelle fattispecie previste ex lege al primo comma – che alla lettera e non contiene alcun rinvio all'ipotesi prevista dal terzo comma – e al secondo comma. Ragion per cui è soltanto la durata indeterminata della società per azioni che giustifica ed attribuisce il diritto di recesso al socio, non la sua riduzione. La durata della società riduzione da tempo indeterminato a tempo determinato. Non è applicabile alla vicenda esaminata, conclude la Corte, l'articolo 2437, comma 1, lett. e c.c. Se, infatti, come si ricava dalla lettura coordinata dei commi primo, secondo e quarto della richiamata disposizione, sono parificate sul piano della tutela sia le cause di recesso legali che quelle previste statutariamente, affinché possa essere esercitato il diritto di recesso è necessario che l'eliminazione abbia riguardato un caso di recesso specificamente riconosciuto dalla legge o dallo statuto, ove consentito. Rammentano i Giudici di legittimità che lo spazio operativo riconosciuto all'autonomia privata, in punto di diritto di recesso, si colloca nello stretto solco tracciato dal legislatore il quale, da un lato, ha enucleato un ristretto numero di cause di recesso ineliminabili ed inderogabili ed ha circoscritto le cause di recesso derogabili dall'altro, ha espressamente previsto che la facoltà di introdurre “ulteriori” clausole di recesso sia veicolata all'interno dello statuto. Ciò nell'ottica di coniugare la maggiore autonomia privata normativamente riconosciuta alle società che non fanno ricorso al capitale di rischio con le esigenze di trasparenza e di conoscibilità anche da parte dei terzi delle ulteriori ipotesi di fuoriuscita del socio, potenzialmente idonee ad incidere sull'assetto patrimoniale della società. Ne consegue, ed è questo il punto che più interessa, che la deliberazione di riduzione della durata della società che comporti il passaggio della durata da tempo indeterminato a tempo determinato non attribuisce un autonomo diritto di recesso ex lege alla stregua della disciplina dettata dall'articolo 2437, comma 1, lett. e c.c., perché tale effetto consegue soltanto nel caso di eliminazione delle cause di recesso previste ex lege derogabili e di eliminazione delle ulteriori clausole di recesso specificamente previste dallo statuto, ove consentito. Qualche precedente di interesse. In argomento, cfr. Trib. Napoli, 10 dicembre 2008, in Notariato, 2009, 3, 285, secondo cui «l'assimilabilità della società con durata indeterminata a quella con durata prevista superiore alla normale vita umana, con la possibilità per entrambe le ipotesi di recedere dalla società, è prevista solo per le società di persone dalla norma dell'articolo 2285 c.c. e non può essere esportata , neanche in via analogica, e calata in una diversa fattispecie societaria in cui invece predomina l'interesse patrimoniale all'investimento che comunque comporta la partecipazione sociale» App. Bologna, 28 settembre 2017, in Società, 2019, 12, 1433, che si è così pronunciata «la previsione di una durata largamente superiore alle aspettative di vita di un socio è equiparabile ad una durata indeterminata per la quale è normativamente ammesso il recesso ad nutum» Trib. Milano, 14 luglio 2020, numero 4186, in Dejure, secondo cui «l'articolo 2437 comma 3 c.c. che attribuisce al socio la facoltà di recesso ad nutum dalla società di capitali a tempo indeterminato è norma di stretta interpretazione che tende, appunto, a contemperare l'interesse del socio al disinvestimento con l'interesse dei terzi creditori alla conservazione della loro garanzia patrimoniale ed alla prevedibilità delle cause che possono intaccarne la consistenza. Di conseguenza la previsione dell'articolo 2437 comma 3 c.c. è norma di stretta interpretazione applicabile solo alle società per azioni a tempo indeterminato e che è, pertanto, escluso il diritto di recesso “ad nutum” del socio dalla società in cui lo statuto preveda un termine di durata sia pure lontano nel tempo» App. Milano, sez. impresa, 27 aprile 2021, numero 1323, in Dejure, ove statuito che «in tema di previsione di durata di una s.r.l., affinché il termine di un'epoca lontana sia considerato come indeterminato, con possibilità di recesso ad nutum di un socio, detto termine deve essere tale da oltrepassare qualsiasi orizzonte previsionale di vita, non solo della persona fisica ma anche di un soggetto collettivo, tenuto conto della ragionevole data di compimento del progetto imprenditoriale ne deriva l'illegittimità del recesso di un socio da una s.r.l. con durata prevista di 132 anni, e termine al 2100, che abbia come progetto la gestione di un immobile di lunga durata, essendo detto termine perfettamente compatibile con detto progetto, non potendosi individuare un termine ragionevolmente più breve».
Presidente Scaldaferri – Relatore Tricomi Fatti di causa Con atto di impugnazione ex articolo 829 c.p.c. notificato il 22/12/2009, S.S. convenne dinanzi alla Corte di appello di Palermo la società omissis Società … SRL di seguito, la società chiedendo in via rescindente che fosse dichiarata la nullità del lodo sottoscritto in Palermo il 17 novembre 2008 dal Collegio arbitrale investito dal medesimo S. con atto notificato l'11 dicembre 2007 della controversia insorta in relazione alla legittimità del recesso dalla cennata società all'epoca dei fatti, società per azioni , operato dallo stesso con la comunicazione del 4 ottobre 2007, ed in via rescissoria che fosse dichiarata la legittimità del recesso ed accolta la conseguente domanda di liquidazione della partecipazione sociale, previa sua determinazione, se necessario, con ricorso alla procedura di cui all'articolo 2437 c.c. Nel contraddittorio con la società, l'impugnazione è stata rigettata con la sentenza in epigrafe indicata. Per quanto ancora interessa, la Corte di appello ha puntualizzato che l'oggetto della decisione era circoscritto alle questioni attinenti al recesso esercitato da S. con nota del 4 ottobre 2007. Ha rammentato che la clausola arbitrale, contenuta nello Statuto sociale approvato il 4 settembre 2007, non prevedeva espressamente l'impugnabilità del lodo per violazione delle regole di diritto alla stregua della nuova formulazione dell'articolo 829 c.p.c. a seguito riforma D.Lgs. 2 febbraio 2006, numero 40, ex articolo 24 e che S., in assenza di errores in procedendo, aveva eccepito la nullità del lodo per l'applicazione della disciplina sul recesso in contrasto con l'ordine pubblico nel senso indicato dall'articolo 829 c.p.c., comma 3, introducendo così nel giudizio rescindente valutazioni inerenti al merito della lite compromessa in arbitri. Ha, quindi, ripercorso brevemente la vicenda societaria in esame, rammentando che con Delib. 4 settembre 2007, la società omissis SPA successivamente trasformatasi in SRL con atto del omissis aveva provveduto a ridurre la durata della società dal 31 dicembre 2100 al 31 dicembre 2040 S., che non aveva partecipato all'assemblea dei soci e non aveva prestato il proprio consenso espresso a tale delibera, aveva esercitato il diritto di recesso avvalendosi della facoltà riconosciuta dall'articolo 2437 c.c., comma 1, lett. e , sul rilievo che la deliberazione in questione, modificando in senso riduttivo e compatibile con la vita media dell'uomo la precedente durata che eccedeva tale limite, si era sostanzialmente risolta nella eliminazione della facoltà di recesso ad nutum prevista dall'articolo 2437 c.c., comma 3, consentito per le società costituite a tempo indeterminato, alle quali doveva ragionevolmente equipararsi quella con scadenza fissata all'anno 2100. Quindi, ha ritenuto legittima ed ammissibile l'impugnazione del lodo per contrarietà all'ordine pubblico per violazione delle norme disciplinanti le cause di recesso, osservando che le stesse sono state considerate talmente stringenti dal legislatore - perché poste a presidio dell'agevolazione della raccolta di risorse finanziarie necessarie per l'esercizio dell'attività economica in forma societaria - da poter essere annoverate tra quelle lato sensu di ordine pubblico . Tali premesse non hanno, tuttavia, condotto ad un esito favorevole per l'impugnante. Pur recependo l'assimilazione tra società costituita con durata a tempo indeterminato e società con durata a tempo determinato eccedente l'ordinaria durata della vita umana - in applicazione dei principi elaborati dalla decisione della Corte di legittimità numero 9662/2013 in tema di società a responsabilità limitata -, la Corte di appello ha tuttavia rimarcato le differenze correnti tra la disciplina dettata per le SRL e quella stabilita per le SPA e ne ha tratto distinte conseguenze. Segnatamente, ha osservato che l'articolo 2473 c.c., in tema di SRL, attribuisce un diritto di recesso tout court ai soci che non abbiano consentito all'eliminazione di uno più cause di recesso o ad una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci ex articolo 2468 c.c., comma 4. Ha affermato che, al contrario, in tema di SPA, non tutte le delibere che in qualche modo limitino le facoltà di recesso legittimano al recesso il socio assente o dissenziente in particolare ha ritenuto che tra queste non rientrino quelle che abbreviano il termine di durata della società e, in tal modo, indirettamente comportano l'eliminazione della facoltà di recesso ad nutum prevista dall'articolo 2437 c.c., comma 3. La Corte palermitana ha, quindi, concluso che S. aveva esercitato il recesso in una ipotesi - Delib. che aveva abbreviato il termine di durata di SPA - che non legittimava tale iniziativa, risultando estranea al caso concreto la fattispecie legale tipica disciplinata dall'articolo 2437 c.c., comma 1, lett. e e che, quindi, le considerazioni formulate dal Collegio arbitrale, ancorché focalizzate su diversi aspetti della questione, non si erano risolte nella compressione di diritti di S. tutelati da stringenti norme di ordine pubblico e ne ha inferito l'insussistenza della causa di nullità del lodo lamentata dall'attore. Al rigetto dell'impugnazione è conseguita la condanna alle spese. S. ha proposto ricorso per cassazione con un unico motivo, seguito da memoria. Il Fallimento omissis SRL ha replicato con controricorso e memoria. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte con richiesta di rigetto del ricorso. Ragioni della decisione 1. Con l'unico motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2437 c.c. da parte della Corte di appello. A parere del ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe dovuto riconoscere piena efficacia al recesso da esso esercitato in data 4 ottobre 2007 a seguito della Delib. assunta dall'assemblea dei soci di omissis SPA in data 4 settembre 2007, che aveva avuto l'effetto di privare l'esponente del diritto di recedere ad nutum dalla società, diritto conseguente alla durata di questa assimilabile alla durata indeterminata. Il ricorrente sostiene che la Corte di appello avrebbe errato nella esegesi della norma perché, a suo parere, la formula adottata dal legislatore, mediante la previsione del comma 1, lett. e combinata con quella contenuta al comma 2, sarebbe omnicomprensiva e riguarderebbe tutte le deliberazioni che abbiano avuto l'effetto di privare i soci di una facoltà di recesso, adottate senza il voto favorevole del socio interessato a recedere. In particolare, sostiene che la durata della società prevista dallo statuto, equiparabile alla durata a tempo indeterminato, avrebbe fatto conseguire il diritto del recesso ad nutum che la Delib. di riduzione della durata aveva indirettamente eliminato tale facoltà che ciò, pertanto, rendeva legittimo il recesso dallo stesso esercitato. In sintesi, il ricorrente chiede si sapere se l'articolo 2437 c.c., comma 1, lett. e , deve essere letto nel senso che qualunque deliberazione assembleare avente ad oggetto una modifica statutaria che abbia l'effetto di privare un socio della facoltà di recedere dalla società al medesimo spettante in base al combinato disposto delle disposizioni normative e statutarie vigenti al momento dell'adozione della stessa deliberazione assembleare, sia in sé sufficiente per far sorgere in capo ai soci assenti o dissenzienti il diritto di recedere dalla società - come dallo stesso propugnato - oppure nel senso che tale diritto di recesso sorge solo laddove si tratti di deliberazione assembleare riguardante le ipotesi indicate dall'articolo 2437 c.c., comma 2, proroga del termine di durata della società e/o introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione deli titoli azionari fol. 21 del ric., ove per mero errore materiale si fa riferimento alla riduzione della durata . 2. Il motivo è infondato e va disatteso. La controversia è circoscritta - come puntualizzato dalla Corte di appello e non contestato - alla legittimità o meno del recesso esercitato dal socio assente S. con atto del 4/10/2007, a seguito della deliberazione assembleare della società per azioni omissis SPA non quotata in un mercato regolamentare, approvata in data 4/9/2007, con la quale era stato ridotto il tempo di durata della società statutariamente previsto, secondo la Corte di appello, in termini assimilabili alla durata indeterminata. 3. Come è noto, secondo le disposizioni codicistiche, lo statuto delle società per azioni è modificabile a maggioranza, sia pure con i più rigorosi quorum previsti per l'assemblea straordinaria, e non all'unanimità, ciò perché - come è stato sottolineato dalla dottrina - si è tenuto conto del carattere programmatico insito nel contratto sociale, che deve poter essere adeguato in conseguenza delle esigenze dettate dall'esercizio dell'attività di impresa e non può, di converso, presentarsi come cristallizzazione di una composizione di interessi. Tuttavia, poiché queste modifiche possono comportare una sostanziale ed effettiva modifica degli elementi essenziali del contratto, sono stati adottati strumenti di contemperamento con il principio di tutela delle minoranze, ovvero dei soci non consenzienti. Preminente rilievo assume, in questo ambito, la previsione del diritto di recesso - come estremo, ma efficace strumento di tutela del socio avverso cambiamenti sostanziali dell'operazione cui partecipa -, la cui disciplina tuttavia è conformata in modo da perseguire nel contempo anche una finalità di favore verso la realizzazione e la stabilità dell'aggregazione societaria e delle risorse al fine di evitare il depauperamento del patrimonio sociale e, conseguentemente, della garanzia che questo realizza per i creditori sociali. Se il legislatore del 1942, a tal fine, aveva rigorosamente circoscritto le cause di recesso alla tassativa previsione normativa, a seguito della riforma introdotta dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, numero 6 la volontà legislativa si è esplicata in maniera differente. Invero, il novellato articolo 2437 c.c. non solo annovera un più ampio catalogo di cause di recesso normativamente previste, ma riconosce all'autonomia statutaria la facoltà di individuarne ulteriori, anche se tale facoltà è riservata alle sole società che non fanno appello al mercato del capitale di rischio e che non godono del pieno ed inderogabile diritto alla libera trasferibilità delle azioni, rispetto al quale il recesso si configura come strumento alternativo. Ciò non toglie che le fattispecie per le quali è riconosciuto il diritto di recesso per il socio che non abbia concorso all'approvazione delle deliberazioni indicate nella norma in esame, o nei casi previsti statutariamente - ove consentito -, si continuino a connotare come di stretta interpretazione, in ragione delle finalità prima ricordate connesse all'istituto in esame. In questo contesto, fermo il principio per cui è nullo ogni patto volto ad escludere o rendere più gravoso l'esercizio del diritto di recesso nelle ipotesi previste dall'articolo 2437 c.c., comma 1, si individuano due categorie di cause di recesso le cause di recesso necessarie ed ineliminabili statutariamente le cause di recesso disponibili in quanto eliminabili statutariamente, anche se tale eliminazione quando viene attuata mediante una deliberazione assembleare e', a sua volta, foriera dell'attribuzione di un autonomo diritto di recesso. 4. Passando all'esame dello specifico motivo di ricorso, è opportuno, riprodurre il testo dell'articolo 2437 c.c articolo 2437 c.c. 1 Hanno diritto di recedere, per tutte o parte delle loro azioni, i soci che non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti a la modifica della clausola dell'oggetto sociale 2328, numero 3 , quando consente un cambiamento significativo dell'attività della società b la trasformazione della società 2498, 2500, 2500 ter, 2500 sexies, 2500 octies c il trasferimento della sede sociale all'estero 1373 d la revoca dello stato di liquidazione e l'eliminazione di una o più cause di recesso previste dal successivo comma ovvero dallo statuto f la modifica dei criteri di determinazione del valore dell'azione in caso di recesso g le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione. 2 Salvo che lo statuto disponga diversamente, hanno diritto di recedere i soci che non hanno concorso all'approvazione delle deliberazioni riguardanti a la proroga del termine b l'introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari. 3 Se la società è costituita a tempo indeterminato e le azioni non sono quotate in un mercato regolamentato il socio può recedere con il preavviso di almeno centottanta giorni lo statuto può prevedere un termine maggiore, non superiore ad un anno. 4 Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può prevedere ulteriori cause di recesso. 5 Restano salve le disposizioni dettate in tema di recesso per le società soggette ad attività di direzione e coordinamento. 6 E' nullo ogni patto volto ad escludere o rendere più gravoso l'esercizio del diritto di recesso nelle ipotesi previste dal comma 1 presente articolo. 5. Focalizzando l'attenzione sul tema oggetto della controversia, e cioè il rapporto tra la durata della società per azioni, la sua modifica ed il diritto di recesso, va osservato che l'elemento temporale rileva normativamente in due ipotesi. La prima riguarda - non già la riduzione della durata della società, ma - la proroga della durata della società, fattispecie per la quale è prevista una autonoma causa di recesso, derogabile statutariamente comma 2 . La seconda concerne il caso della società costituita a tempo indeterminato le cui azioni non siano quotate su mercati regolamentari, situazione in relazione alla quale, a prescindere dall'adozione di una qualsivoglia deliberazione, è riconosciuto il diritto di recesso ad nutum da esercitare secondo la tempistica prevista dal legislatore , derogabile statutariamente in peius entro il limite massimo di un anno, ma non eliminabile comma 3 . 6. Nel caso in esame, posto che alcuna specifica previsione statutaria risulta invocata, è in discussione l'applicabilità dell'articolo 2437 c.c., che va esclusa perché la fattispecie in esame non è sussumibile nelle ipotesi ivi contemplate infatti, il recesso non è stato esercitato in ragione della proroga della durata della società, né perché la società aveva una durata a tempo indeterminato, essendo stata, anzi, ridotta la durata in questione. 7. In proposito, va osservato che il diritto di recesso ad nutum attribuito dal comma 3 della disposizione in esame è direttamente connesso alla durata indeterminata statutariamente prevista per la società e non alla modifica della stessa sul piano della modifica della durata rileva, invero, solo la proroga comma 2 , mentre l'opposta ipotesi della riduzione della durata non è fonte di alcun autonomo diritto di recesso per il socio, né ciò può dedursi per implicito dalla facoltà prevista dal comma 3. La previsione dettata dal comma 3, invero, ponendosi in linea con quella che riconosce la facoltà di recesso in caso di proroga della società, è intesa a tutelare il socio, al fine di evitare che questi, nei casi in cui le azioni non siano quotate in un mercato regolamentato, sia costretto dal vincolo sociale oltre un tempo ragionevole contro la sua volontà. E' evidente che le ragioni di tale tutela non sussistono nell'opposto caso in cui la durata della società venga ridotta, tant'e' che questa ipotesi non rientra nelle fattispecie previste ex lege al comma 1 - che alla lett. e non contiene alcun rinvio alla ipotesi prevista dal comma 3 - e al comma 2. Invero, è solo la durata indeterminata della società per azioni che giustifica ed attribuisce il diritto di recesso al socio, non la sua riduzione. 8. Ne consegue che la richiesta di applicazione dell'articolo 2437 c.c., comma 1, lett. e , sollecitata dal ricorrente, non coglie nel segno. Se, infatti, come si evince dalla lettura coordinata dell'articolo 2437 c.c., commi 1, 2 e 4 sono parificate sul piano della tutela sia le cause di recesso legali che quelle previste statutariamente, ove ciò sia consentito, pur tuttavia perché possa essere esercitato questo diritto di recesso è necessario che l'eliminazione abbia riguardato un caso di recesso specificamente riconosciuto dalla legge o dallo statuto, ove consentito. In proposito, va sottolineato che lo spazio operativo riconosciuto all'autonomia privata, in punto di diritto di recesso, si colloca nello stretto solco tracciato dal legislatore, che da un lato ha enucleato un ristretto numero di cause di recesso ineliminabili ed inderogabili ed ha circoscritto le cause di recesso derogabili e, dall'altro, ha espressamente previsto che la facoltà di introdurre ulteriori clausole di recesso sia veicolata all'interno dello Statuto, nel chiaro obiettivo di coniugare la maggiore autonomia privata normativamente riconosciuta alle società che non fanno ricorso al capitale di rischio con le esigenze di trasparenza e di conoscibilità anche da parte dei terzi delle ulteriori ipotesi di fuoriuscita del socio, potenzialmente atte ad incidere sull'assetto patrimoniale della società. Va quindi affermato che la deliberazione di riduzione della durata della società che comporti il passaggio della durata da tempo indeterminato a durata a tempo determinato non attribuisce al socio un autonomo diritto di recesso ex lege alla stregua della disciplina dettata dall'articolo 2437 c.c., comma 1, lett. e , perché tale effetto consegue solo nel caso di eliminazione delle cause di recesso previste ex lege derogabili e di eliminazione delle ulteriori clausole di recesso specificamente previste dallo statuto, ove consentito, ipotesi che nel caso in esame non ricorrono. 9. Dalle considerazioni svolte si evince che la questione della equiparazione della prolungata durata della società per azioni alla durata a tempo indeterminato - ravvisata dalla Corte di appello e non costituente oggetto di impugnazione, come osservato dalla ricorrente - è priva di decisività in quanto la disamina qui svolta e la decisione impugnata prescindono da detto tema. 10. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13 Cass. S.U. numero 23535 del 20/9/2019 . P.Q.M. - Rigetta il ricorso - Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 8.500,00=, oltre Euro 200,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge - Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.