Per l’accesso nel Corpo di Polizia Penitenziaria occorrono requisiti più “severi”

È legittima l’esclusione di un candidato dal concorso per posti di agente del Corpo di Polizia Penitenziaria, che sia motivata con riferimento al fatto che, nei confronti dell’interessato, è stata pronunciata sentenza penale di condanna, per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti, di cui all’articolo 73, comma 1 e 4, e all’articolo 80 d.P.R. numero 309/1990. L’accertata condotta, penalmente rilevante, è, infatti, incompatibile con lo svolgimento delle funzioni di agente di Polizia penitenziaria, considerati i compiti istituzionali chiamati a svolgere e la qualifica di agente di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza rivestita .

È quanto statuito dal TAR Liguria, con la pronuncia del 22 gennaio 2022, numero 58. L'esclusione dal concorso. Un soggetto ha presentato domanda per il concorso pubblico, indetto per l'assunzione di numero 300 posti di allievo agente del Corpo della Polizia Penitenziaria. Risultato idoneo e superato con esito positivo l'accertamento dei requisiti psicofisici, è stato, poi, avviato al Corso di formazione, convocato presso la Scuola di Formazione e nominato allievo agente, con riserva di accertare i requisiti previsti dalla legge. In sede di verifica, è stata accertata, a suo carico, la sussistenza di una sentenza, con la quale egli era stato condannato ad anni 4, mesi 6 di reclusione e 30.000 euro di multa con interdizione dai pubblici uffici per anni 5. Ciò, per acclarata commissione del reato, previsto dagli articolo 73, comma 1 e 4, ed 80 d.P.R. numero 309/1990, in quanto aveva ceduto a terzi innumerevoli quantità di hashish e cocaina, in concorso con altri. Sulla base di tale accertamento, l'Amministrazione Penitenziaria decide di procedere all'esclusione del candidato, in quanto ritiene che siffatta condotta determini l'insussistenza dei requisiti “morali”, previsti per l'assunzione nel Corpo. Avverso il provvedimento di esclusione, viene proposto ricorso avanti il TAR Lazio, il quale dichiara il proprio difetto di competenza territoriale, indicando il TAR Liguria quale giudice competente. I requisiti generali di accesso al pubblico impiego. Preliminarmente, occorre ricordare che i requisiti generali di ammissione ad un pubblico concorso e conseguente assunzione sono previsti e disciplinati dalla legge. Al riguardo, l'articolo 2 d.P.R. numero 487/1994, in tema di requisiti generali, stabilisce che “ n on possono accedere agli impieghi coloro che siano esclusi dall'elettorato politico attivo, nonché coloro che siano stati destituiti o dispensati dall'impiego presso una pubblica amministrazione per persistente insufficiente rendimento, ovvero siano stati dichiarati decaduti da un impiego statale, ai sensi dell'articolo 127, primo comma, lettera d , del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con il d.P.R. numero 3/1957 ”.  Quindi, i reati ostativi all'assunzione/permanenza presso un Ente Pubblico sono costituiti da quelli comportanti la destituzione, oltre che i “fatti” implicanti la decadenza. Ora, l'articolo 85 d.P.R. numero 3/1957 prevede la destituzione “di diritto” in relazione ai seguenti reati - delitti contro la personalità dello Stato esclusi quelli previsti nel capo IV del titolo I del libro II del Codice penale - delitti di peculato, malversazione, concussione, corruzione - delitti contro la fede pubblica esclusi quelli di cui agli articolo 457, 495, 498 c.p. - delitti contro la moralità pubblica ed il buon costume previsti dagli articolo 519, 520, 521, 531, 532, 533, 534, 535, 536 e 537 c.p. - delitti di rapina, estorsione, millantato credito, furto, truffa ed appropriazione indebita - reati comportanti l'interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l'applicazione di una misura di sicurezza detentiva o della libertà vigilata. Inoltre, producono effetto  ostativo anche i “fatti” comportanti la decadenza, ai sensi dell'articolo 127, comma 1, d.P.R. numero 3/1957, cioè   - quando si perda la cittadinanza italiana - quando si accetti una missione o altro incarico da una autorità straniera senza autorizzazione del ministro competente - quando,  senza giustificato motivo, non si assuma o non si riassuma servizio   entro  il  termine  prefissogli,  ovvero  rimanga  assente dall'ufficio  per  un periodo non inferiore a quindici giorni ove gli ordinamenti    particolari    delle   singole   amministrazioni   non stabiliscano un termine più breve   - quando  sia accertato che l'impiego fu conseguito mediante la produzione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile. Al riguardo, occorre chiarire che, pur a fronte di un'espressa previsione di destituzione “obbligatoria” destituzione di diritto , la giurisprudenza, da tempo, segnala che la condanna per i reati sopra indicati non comporta automaticamente il divieto di assunzione o la decadenza del rapporto di pubblico impiego instaurato. Ed, infatti, viene affermato che “ i l mero accertamento di una condanna per taluno dei reati previsti dall'articolo  85 d.P.R. numero 3/1957, intervenuta antecedentemente all'assunzione del vincitore del concorso, non può condurre di per sé all'inibizione dell'ingresso in servizio dello stesso. A tal fine occorre, infatti, che l'amministrazione accerti autonomamente e specificamente la gravità dei fatti compiuti dall'interessato valutando dunque se i fatti rilevanti penalmente lo siano ugualmente ai fini dell'accesso al pubblico impiego. È pertanto illegittimo il diniego di assumere il vincitore di un concorso pubblico nel caso in cui l'amministrazione non abbia operato alcuna autonoma valutazione ritenendo sic et sempliciter le condanne penali riportate ostative alla sua ammissione al pubblico impiego, senza spiegare neppure quali siano tali condanne e perché sarebbero impeditive dell'assunzione ” Tar Calabria, sez. I, numero 446/2008 .  In altri termini, pure la commissione di un reato, comportante per legge la destituzione di diritto, non impedisce in modo assoluto l'assunzione. Ciò, in quanto la Pubblica Amministrazione deve, comunque, procedere ad accertare “ autonomamente e specificamente la gravità dei fatti compiuti dall'interessato valutando dunque se i fatti rilevanti penalmente lo siano ugualmente ai fini dell'accesso al pubblico impiego” . I requisiti speciali per l'accesso nel corpo di polizia penitenziaria.  Invero, accanto ai requisiti di ordine generale, ora esaminati, sussistono requisiti ulteriori e speciali per l'accesso a particolari tipologie di pubblico impiego. Infatti, deve essere evidenziato che, per il legittimo accesso ai ruoli della Polizia Penitenziaria, ai sensi degli articolo 5, d.Lgs numero 165/2001 , e 26 l. numero 53/1989 , è richiesto, oltre i requisiti generali, anche il possesso delle qualità morali e di condotta stabilite per l'ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria, ossia l'essere di condotta incensurabile . Al riguardo, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire, fin da anni risalenti, che il requisito della moralità e condotta incensurabili, richiesto per l'arruolamento nelle forze di polizia dal già indicato articolo 26 l. numero 53/1989 mediante il richiamo alla normativa dell' ordinamento giudiziario per l'ammissione alla magistratura , è necessario, pur dopo l'abrogazione delle disposizioni che richiedevano il requisito della buona condotta per l'ammissione ai pubblici impieghi. Dunque, l'amministrazione, nell'esaminare la sussistenza o meno del predetto requisito, deve procedere ad una adeguata valutazione della concreta situazione di fatto, e motivare, eventualmente, la ritenuta insussistenza del requisito delle qualità morali in relazione alle circostanze concrete del caso ed alle ragioni per le quali l'aspirante non darebbe affidamento per il futuro, tenuto conto dei compiti che è chiamato a svolgere C.d.S. , sez. IV, 4 luglio 2012, numero 3929 . La giurisprudenza ha, inoltre, precisato C.d.S. , sez. IV, 5 marzo 2013, numero 1343 i seguenti principi in materia   a la valutazione della presenza  o meno del requisito della condotta incensurabile appartiene ad una sfera di giudizio ampiamente discrezionale dell'Amministrazione, dovendosi, tuttavia, tale giudizio fondare su elementi di fatto concreti, e non su voci o semplici sospetti, afferenti direttamente la persona dell'aspirante o comunque a rapporti di frequentazione o convivenza che si riverberano sulla persona stessa del candidato, tali da non consentire nell'attualità un giudizio favorevole b l'esercizio della discrezionalità da parte dell'amministrazione ed il conseguente sindacato giurisdizionale del giudice deve tener conto della particolarità e della delicatezza delle funzioni, che il candidato dovrebbe svolgere, ove risultasse vincitore del concorso c a fronte della discrezionalità riconosciuta all'amministrazione in sede di valutazione del requisito della condotta, il sindacato giurisdizionale, lungi dal concretizzarsi in una valutazione che si sostituisce a quella legittimamente spettante all'amministrazione, deve tendere a verificare in primo luogo, per il tramite delle figure sintomatiche dell'eccesso di potere, l'esistenza e la sufficienza della motivazione sulla quale si fonda il provvedimento adottato, nonché la non contraddittorietà e ragionevolezza della valutazione effettuata e la logicità della misura assunta, per effetto della valutazione svolta. Nella valutazione della condotta, in sostanza, l'amministrazione deve svolgere un giudizio prognostico sul candidato, caratterizzato da discrezionalità tecnica, facendo riferimento ad elementi non certi, ma opinabili e del tutto disgiunto da eventuali profili di carattere penale e sanzionatorio.   Il TAR Liguria si palesa pienamente consapevole degli indicati principi giurisprudenziali in materia ed afferma che l'Amministrazione “ non ha applicato alcun automatismo ”, nell'assumere la propria censurata decisione, la quale è frutto di un'autonoma valutazione dei fatti. Al riguardo, occorre ricordare che il nostro Legislatore ha ritenuto e qualificato l'attività di spaccio di stupefacenti e sostanze psicotrope come una condotta di chiaro disvalore sociale, tanto da configurarla come reato e non come illecito civile o amministrativo. Proprio l'articolo 73 del già citato d.P.R. numero 309/1990 sanziona come reato qualsiasi condotta adibita allo spaccio, come anche la detenzione con fini distributivi  spaccio . Nello specifico, la disposizione normativa in esame fa riferimento a “chiunque coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope”. Quindi, nel nostro ordinamento, è vietata e penalmente perseguibile qualsiasi attività, sia a titolo oneroso che gratuito, che comporta la cessione ad altre persone di sostanze stupefacenti.  La destinazione della sostanza allo spaccio è l'elemento costitutivo del reato di illecita detenzione di sostanze stupefacenti, come da tempo statuito dalla Cassazione penale ex multis Cass. penumero , numero 39262/2008 .  Ora, non sembra sussistere grande incertezza in merito al fatto che la condotta di spaccio attenzione non di spaccio di “lieve entità”, il cd. “piccolo spaccio”, contemplato dall' articolo 73, comma 5, c.p. appare giustamente ostativa al configurarsi del requisito della condotta incensurabile. In altri termini, l'aggiuntivo e speciale requisito della condotta incensurabile non può tollerare il reato di spaccio. Correttamente, il TAR, qualifica, allora, la condotta di spaccio come “ incompatibile con lo svolgimento delle funzioni di agente di Polizia penitenziaria, considerati i compiti istituzionali chiamati a svolgere e la qualifica di agente di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza rivestita . Per tali ragioni, convincentemente, il TAR rigetta il ricorso, con condanna alle spese.

Presidente Caruso Fatto 1. Il ricorrente ha impugnato il provvedimento con cui l'Amministrazione lo ha espulso dal corso di formazione per allievi agenti del Corpo di Polizia penitenziaria, con esclusione dall'assunzione nello stesso Corpo. 2. In punto di fatto, occorre rilevare che egli ha partecipato al concorso pubblico indetto con Decreto del Direttore generale del personale del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, del 19.06.2015 pubblicato in GU, IV serie speciale, numero 57 del 28.07.2015, per complessivi 300 posti di Allievo Agente del Corpo della Polizia Penitenziaria del ruolo maschile. 3. Risultato idoneo e superato con esito positivo l'accertamento dei requisiti psicofisici, è stato avviato al Corso di formazione per Allievo Agente e convocato presso la Scuola di Formazione di omissis , nonché nominato allievo agente, con riserva di accertare i requisiti di cui all' articolo 35, co. 6, del d.lgs. numero 165 del 2001 e all' articolo 5, co. 2, del d.lgs. numero 443 del 1992 previsti per l'assunzione nel Corpo di Polizia penitenziaria. 4. Nello svolgere queste verifiche, l'Amministrazione ha appurato che a suo carico era stata emessa la sentenza numero [ ] del Tribunale di omissis , depositata il [ ], con la quale egli è stato condannato ad anni 4, mesi 6 di reclusione e 30.000 euro di multa con interdizione dai pubblici uffici per anni 5 per il reato di cui agli articolo 73, co. 1 e 4, e 80 del DPR numero 309 del 1990 , per aver ceduto a terzi innumerevoli quantità di hashish e cocaina, in concorso con altri docomma 2 dell'Avvocatura . 5. Su questa base, l'Amministrazione ha ritenuto che il ricorrente fosse privo dei requisiti “morali” per l'assunzione nel Corpo e ne ha decretato l'espulsione dal Corso di formazione nonché l'esclusione dall'assunzione nel Corpo di Polizia penitenziaria. 6. Il ricorrente ha impugnato il provvedimento dinanzi al TAR del Lazio, il quale, con ordinanza numero [ ], ha dichiarato il proprio difetto di competenza territoriale, indicando il TAR per la Liguria quale giudice competente. 7. Il ricorrente ha quindi riassunto il giudizio dinanzi a questo Tribunale. 8. Si è costituita in giudizio l'Avvocatura dello Stato per il Ministero della giustizia, resistendo all'impugnativa. 9. Con istanza depositata il 06.06.2020 il ricorrente ha rinunciato all'istanza cautelare proposta incidentalmente con il ricorso e, alla camera di consiglio del 10.06.2020, il Collegio ne ha preso atto. 10. Nel corso del giudizio le parti hanno depositato ulteriori scritti difensivi, approfondendo le rispettive tesi. 11. Con istanza del 10.12.2021, il ricorrente ha chiesto la sospensione del giudizio in attesa della definizione del processo penale di appello avverso la citata sentenza del Tribunale di -OMISSIS o, in subordine, la cancellazione della causa dal ruolo dell'udienza del 15.12.2021. 12. All'udienza pubblica del 15.12.2021, la causa è stata trattenuta in decisione. Diritto 13. In via preliminare, il Collegio è chiamato a pronunciarsi sull'istanza di sospensione del giudizio, motivata dalla pendenza del processo penale d'appello per la riforma della sentenza che ha condannato il ricorrente, in ragione della quale è stato adottato il provvedimento impugnato. 14. La richiesta non merita accoglimento, perché, come si vedrà, l'impugnazione è volta a ottenere una riqualificazione del fatto, con conseguente riduzione della pena, ma non ne contesta l'illiceità penale si v. l'atto di appello docomma 7 di parte attrice . 15. Né può disporsi la cancellazione della causa da ruolo, in forza dell'espresso divieto posto dall' articolo 73, co. 1-bis, cod. procomma amm. , introdotto dal d.l. numero 80 del 2021 conv. in l. numero 113 del 2021 ma applicabile anche ai giudizi in corso, in ossequio al principio “tempus regit actum”, stante la sua natura di norma processuale. Non vi sono quindi ragioni che ostino all'esame del merito. 16. A tal fine, non è superfluo ricordare che il ricorrente ha impugnato il provvedimento con cui è stato espulso dal corso di formazione per allievi agenti del Corpo di Polizia penitenziaria, con esclusione dall'assunzione nello stesso Corpo, e che la misura è stata adottata dopo che l'Amministrazione, in sede di verifica dei requisiti di partecipazione al concorso per 300 posti di allievo agente, ha avuto notizia del fatto che a suo carico è stata pronunciata una sentenza penale di condanna a quattro anni e sei mesi di reclusione, oltre a 30.000 euro di multa, con pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, per il reato di cui all' articolo 73, co. 1 e 4, e all'articolo 80 del DPR numero 309 del 1990 , ossia per spaccio di stupefacenti. 17.Contro tale atto, il ricorrente deduce sei motivi di ricorso. Con il primo motivo, si denuncia violazione degli articolo 2, 3, 27 e 97 Cost. , dell'articolo 35, co. 6, del d.lgs. numero 165 del 2001, dell'articolo 5, co. 2, del d.lgs. numero 449 del 1992, dell'articolo 7, co. 3 e 4, del d.lgs. numero 443 del 1992 . Secondo il ricorrente, l'Amministrazione non avrebbe potuto porre a fondamento dell'espulsione i fatti accertati nella sentenza penale, perché questa non è definitiva. Con il secondo motivo, si denuncia violazione degli articolo 2, 3, 27 e 97 Cost. , dell'articolo 35, co. 6, del d.lgs. numero 165 del 2001, dell'articolo 5, co. 10, del d.lgs. numero 449 del 1992, dell'articolo 7, co. 3 e 4, del d.lgs. numero 443 del 1992 . Secondo il ricorrente, l'Amministrazione avrebbe dovuto svolgere un'adeguata istruttoria, che le avrebbe consentito di appurare l'infondatezza dell'accusa penale. Con il terzo motivo, si denuncia violazione degli articolo 2, 3, 27 e 97 Cost. , dell'articolo 35, co. 6, del d.lgs. numero 165 del 2001, dell'articolo 5, co. 2, del d.lgs. numero 449 del 1992, dell'articolo 7, co. 3 e 4, del d.lgs. numero 443 del 1992 , dell' articolo 3 della legge numero 241 del 1990 difetto d'istruttoria e di motivazione, irragionevolezza, difetto di proporzionalità. Secondo il ricorrente, l'Amministrazione avrebbe dovuto valutare autonomamente i presupposti di fatto, senza aderire acriticamente a quanto riportato nella sentenza penale. Con il quarto motivo, si denuncia violazione degli articolo 2, 3, 27 e 97 Cost. , dell'articolo 35, co. 6, del d.lgs. numero 165 del 2001, dell'articolo 5, co. 2, del d.lgs. numero 449 del 1992, dell'articolo 7, co. 3 e 4, del d.lgs. numero 443 del 1992 , dell' articolo 3 della legge numero 241 del 1990 difetto d'istruttoria e di motivazione, irragionevolezza, difetto di proporzionalità. In sostanza, l'espulsione rappresenterebbe una sanzione sproporzionata, soprattutto considerato che la responsabilità penale del ricorrente non è stata accertata in via definitiva. Con il quinto motivo, si denuncia violazione degli articolo 2, 3 e 97 Cost. , degli articolo 3 e 7 della legge numero 241 del 1990 violazione del giusto procedimento, dei principi di buona fede e correttezza, sviamento di potere e difetto di motivazione. In pratica, si sostiene che il provvedimento censurato si fondi su presupposti non indicati nella comunicazione di avvio del procedimento, con lesione del contraddittorio procedimentale. Con il sesto motivo, si denuncia violazione degli articolo 2, 3 e 97 Cost. , degli articolo 5 e ss. del d.lgs. numero 449 del 1992 , inesistenza dei presupposti. Secondo il ricorrente, l'Amministrazione avrebbe errato nel non applicare il d.lgs. numero 449 del 1992 , che prevede un procedimento disciplinare speciale e che richiede il passaggio in giudicato della sentenza penale i cui fatti vengano posti alla base della sanzione disciplinare. 18. I motivi possono essere esaminati congiuntamente, anche per ragioni espositive, in quanto trattano questioni analoghe o connesse. 19. Il ricorso è complessivamente infondato, alla luce delle seguenti considerazioni. Si deve rilevare, innanzitutto, come l'Amministrazione abbia valutato autonomamente i fatti, quali risultanti dalla sentenza, pertanto non ha applicato alcun automatismo e, di conseguenza, non è dirimente che la pronuncia non sia divenuta definitiva. Sotto altro profilo, lo stesso ricorrente non nega né che il fatto sussista, né che sia penalmente rilevante, né di averlo commesso, ma sostiene piuttosto che dovesse ricevere un trattamento sanzionatorio più mite si v. l'appello penale, docomma 7 di parte attrice, nelle cui conclusioni si chiede alla Corte d'appello di «riformare la sentenza impugnata riconoscendo all'imputato l'ipotesi di reato meno grave di cui al comma 5 del DPR 309/90 . In linea subordinata la pena andrà comunque ridotta il contenimento dell'aumento in continuazione» . Per questo, alla luce del fatto per l'accesso ai ruoli della Polizia penitenziaria, gli articolo 35 del d.lgs. numero 165 del 2001 e 26 della legge numero 53 del 1989, è richiesto il possesso delle qualità morali e di condotta stabilite per l'ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria, ossia l'essere di condotta incensurabile secondo quanto dispone l'articolo 2, co. 2, lett. b-bis, del d.lgs. numero 160 del 2006 , appare congruamente motivata e sostanzialmente incensurabile nonché proporzionata l'estromissione di chi, come il ricorrente, abbia illecitamente ceduto a terzi sostanze stupefacenti, in quanto tale condotta è incompatibile con lo svolgimento delle funzioni di agente di Polizia penitenziaria, considerati i compiti istituzionali chiamati a svolgere e la qualifica di agente di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza rivestita. Il provvedimento risulta immune da vizi anche sul piano procedurale da un lato, contrariamente a quanto sostiene la parte attrice, nella specie non viene in rilievo il d.lgs. numero 449 del 1992 , trattandosi di verificare i requisiti per l'accesso al corso cui il ricorrente era stato ammesso con riserva e non di sanzionare la violazione di doveri del servizio e della disciplina indicati dalla legge, dai regolamenti o da un ordine dall'altro, la comunicazione di avvio del procedimento docomma 6 di parte attrice , nell'indicare i fatti da cui si sarebbe evinto il difetto dei requisiti di accesso anche mediante richiamo alla sentenza penale e nel prefigurare l'espulsione, risultava sufficientemente completa e dettagliata da consentire la partecipazione al procedimento. 20. Per tali ragioni, il ricorso è meritevole di rigetto. 21. Secondo la regola generale della soccombenza, dalla quale non vi è ragione di discostarsi nel caso di specie, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali, che vengono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria Sezione Prima , definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in 3.000 euro, oltre oneri e accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all 'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, numero 19 6, e dell'articolo 10 del Regolamento UE 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.