Restituzione dei frutti civili indebitamente percepiti per i beni oggetto di revocatoria: si tratta di un debito di valuta e di non valore

In tema di azione revocatoria fallimentare, l'obbligazione restitutoria dell'accipiens soccombente ha natura di debito di valuta e non di valore, in quanto l'atto posto in essere dal fallito è originariamente lecito e la sua inefficacia sopravviene solo in esito alla sentenza di accoglimento della domanda, che ha natura costitutiva, avendo ad oggetto un diritto potestativo e non un diritto di credito ne consegue che pure gli interessi sulla somma da restituirsi decorrono dalla data della domanda giudiziale e che il risarcimento del maggior danno, conseguente al ritardo con cui sia stata restituita la somma di denaro oggetto della revocatoria, spetta solo ove l'attore lo alleghi specificamente e dimostri di averlo subito.

Con l'ordinanza numero 5495 del 18 febbraio 2022 il S.C. ribadisce il consolidato orientamento che riconosce all'azione revocatoria natura costitutiva, con conseguente qualificazione dell'obbligazione restitutoria dell'accipiens in termini di debito di valuta e non di valore. Il caso. L'ordinanza in commento definisce, con rimessione alla corte territoriale per una valutazione dei fatti secondo il principio espresso nella massima in epigrafe, una questione relativa alla debenza dei frutti civili all'esito di un'azione revocatoria esperita dal fallimento. In particolare, per quanto di rilievo in questa sede, all'esito dell'azione revocatoria esperita e relativa all'acquisto di alcuni locali di proprietà della società fallita all'epoca in bonis, gli aventi causa dall'assuntore del fallimento rivendicavano i frutti civili per il mancato godimento degli immobili oggetto della revocatoria. La questione veniva risolta in modo non uniforme in primo e secondo grado, avendo i giudici di merito operato un conteggio nel quale non era chiara la valutazione dell'azione revocatoria quale costitutiva o risarcitoria e, di conseguenza, se i frutti civili alla stessa legati fossero calcolati come debito di valuta o di valore. Azione revocatoria ha natura costitutiva. Secondo l'orientamento al quale aderisce la pronuncia in commento, l'azione revocatoria fallimentare ha natura costitutiva ed il suo esercizio costituisce un diritto meramente potestativo degli organi della procedura. Di conseguenza, uno degli effetti legati a tale qualificazione è, ad esempio, che solo la domanda giudiziale spiega effetto interruttivo della prescrizione e non già anche la diffida stragiudiziale effettuata a norma dell'articolo 2943, comma 4 c.c. Azione revocatoria e restituzione frutti. Ulteriore conseguenza della qualifica dell'azione revocatoria come azione costitutiva riguarda l'obbligo di restituzione dei frutti civili, che è – in tale prospettiva – considerato un debito di valuta e come tale decorre dalla proposizione della domanda giudiziale. Secondo la giurisprudenza, infatti, tanto nei casi di cui al comma 1 dell'articolo 67 l. fall., quanto in quelli di cui al comma 2 della medesima disposizione, l'atto contro il quale viene esperita l'azione è originariamente valido ed efficace, e diviene privo di effetti nei confronti della massa fallimentare soltanto a seguito dell'accoglimento della domanda, in ragione della natura costitutiva dell'azione, avente ad oggetto l'esercizio di un diritto potestativo e non di un diritto di credito. Da tale ricostruzione discende che l'obbligazione pecuniaria restitutoria nascente dalla revocatoria, in dipendenza della natura dell'atto revocato, non ha ad oggetto un debito di valore, ma un debito di valuta. Frutti civili e locazione di immobili. Con riferimento al caso di specie, ad esempio, successivamente alla dichiarazione di inefficacia delle vendite immobiliari per cui è causa consegue la condanna dell'acquirente al pagamento dei frutti civili che, a decorrere dalla data della domanda giudiziale, l'immobile compravenduto avrebbe potuto produrre se amministrato secondo l'ordinaria diligenza. Somme che ben possono essere liquidate in una somma pari al più probabile importo dei canoni che sarebbero stati mensilmente corrisposti per la locazione del medesimo immobile, maggiorato degli interessi legali. Frutti civili e situazione di buona fede. Nel caso oggetto dell'ordinanza in commento, non rileva in alcun modo la buona fede del possessore in favore del proprietario, posto che, come visto, la restituzione dei frutti civili, costituenti il corrispettivo del godimento della cosa, dà luogo ad un debito di valuta, soggetto al principio nominalistico. Danno ulteriore in caso di ritardato pagamento. Diverso è, invece, il caso dell'eventuale diritto della parte vittoriosa ad ottenere il risarcimento del maggior danno per il ritardo nel pagamento. Oggetto, infatti, di uno dei motivi di ricorso accolti dal S.C. era la quantificazione delle somme riconosciute alla parte vittoriosa nell'azione revocatoria. Detta somma, infatti, era per una parte comprensiva dei frutti civili formatisi per il periodo che va dall'introduzione dell'azione revocatoria sino al passaggio in giudicato della sentenza e, dall'altra, per il periodo successivo, nel quale i detentori degli immobili agivano sine titulo. Per i frutti di tale periodo, infatti, sarebbe stata necessaria una specifica quantificazione e rivalutazione ex articolo 1224, comma secondo, c.c., per il quale spetta al creditore di provare il maggior danno effettivamente subito.

Presidente Cristiano – Relatore Pazzi Rilevato che 1. Il Fallimento di omissis s.p.a., dichiarato il 16 giugno 1970, citava in giudizio S.M., F.M. e P.A., che, nel cd. periodo sospetto, avevano acquistato dalla società poi fallita due locali commerciali contigui, adibiti a bar locati a O.L. con contratto scadente il 30 ottobre 1971 e l'antistante area di parcheggio, chiedendo la revoca L. Fall., ex articolo 67, delle vendite. La procedura concorsuale trovava soluzione con l'omologa con sentenza del 7 febbraio 1972 del concordato fallimentare, con cui veniva disposta la cessione all'assuntore Br.Ca. dell'azione revocatoria in precedenza introdotta dal fallimento. Il giudizio, proseguito dal Br. con il successivo intervento delle sue aventi causa, O.L. e O.S. - cessionarie dei diritti nascenti dal vittorioso esperimento dell'azione - veniva definito con la sentenza della Corte d'appello di Brescia numero 347/1996 passata in giudicato il 21 gennaio 1999, a seguito della pubblicazione della sentenza di questa Corte numero 532/99, di rigetto dei ricorsi proposti dalle parti per ottenerne la cassazione , che accoglieva la domanda revocatoria e dichiarava trasferita alle intervenienti la proprietà degli immobili che ne formavano oggetto. 2. Con atto di citazione del 15 novembre 2000 le signore O., rientrate nel possesso dei locali loro trasferiti con la predetta sentenza, convenivano in giudizio S.M., P.A. e B.S. e A. questi ultimi nella qualità di eredi di F.M. , per sentirli condannare al risarcimento del danno da mancato godimento dei frutti percepiti e percipiendi sugli immobili dal 7 febbraio 1972 data della sentenza di omologa del concordato fallimentare al 30 giugno del 1999 data in cui i beni erano stati loro restituiti . 3. Il Tribunale di Brescia, con sentenza del 13 novembre del 2006, accoglieva parzialmente la domanda premesso che l'obbligo di restituzione dei frutti, per il periodo 7.2.1972/21.1.1999, traeva fondamento dall'articolo 2036 c.c., e solo per il breve periodo successivo 22.1.99/30.6.99 dall'articolo 2043 c.c., il giudice bresciano determinava in Euro 178.000 all'attualità l'ammontare dei frutti maturati e non percepiti dalle attrici e condannava i convenuti in solido al pagamento della predetta somma, maggiorata degli interessi legali dalla data della pronuncia. 4. La sentenza, appellata in via principale dalla sig.ra P. e dai sigg.ri B. e in via incidentale dalle sig.re O., è stata parzialmente riformata dalla Corte d'appello di Brescia, che ha liquidato la somma dovuta alle seconde a titolo di mancato godimento dei frutti civili degli immobili in Euro 144.392,50 oltre rivalutazione monetaria ed interessi sul capitale devalutato alla data del 7.2.1972 e via via rivalutato annualmente, previa detrazione dell'importo di Euro 179.706,85 già percepito dalle O. in data 26.3.2007. La corte del merito - per quanto qui di interesse - i ha rilevato che gli appellanti non avevano sollevato censure sulla qualificazione giuridica dell'azione operata dal tribunale ii ha osservato che i frutti civili dovuti a seguito della revoca della vendita L. Fall., ex articolo 67, hanno la funzione di corrispettivo del godimento della cosa e, nel caso di specie, dovevano essere liquidati con riferimento al valore figurativo del canone locativo di mercato degli immobili, da determinarsi in conformità delle conclusioni assunte dal C.T.U. nominato, iii ha escluso che tale canone potesse essere computato al netto delle spese sostenute dagli appellanti principali, in assenza totale di elementi di prova iv ha ritenuto che la somma dovuta costituisse un debito di valore, come tale soggetto alla rivalutazione monetaria. 5. Per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 23 marzo 2015, ha proposto ricorso P.A. prospettando nove motivi di doglianza O.L. e S. hanno resistito con controricorso. Gli intimati B.S. e B.A., quali eredi di F.M., ed F.E., quale erede di S.M., non hanno svolto difese. Parte controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'articolo 380-bis.1 c.p.c Considerato che 6. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione delle norme sulla condictio indebiti la corte d'appello, condividendo le affermazioni del tribunale, ha ritenuto che la condictio indebiti ob causam finitam configuri un indebito soggettivo ex latere accipientis, disciplinato dall'articolo 2036 c.c., ma avrebbe omesso di accertare lo stato soggettivo, di buona o mala fede, dei percipienti. 7. Il secondo motivo lamenta la violazione dell'articolo 2697 c.c. e articolo 112 c.p.c., per avere la corte di merito disposto la restituzione di tutti i frutti, percepiti e percipiendi, dalla data della percezione, malgrado le attrici/appellate non avessero dedotto, e tanto meno provato, la mala fede dei percipienti, violando così il principio secondo cui la decisione deve essere assunta iuxta alligata et probata partium. 8. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5, l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dallo stato soggettivo dei percipienti, incidente sul quantum delle restituzioni. 9. Il quarto motivo assume la nullità della sentenza, per violazione dell'articolo 164 c.p.c. rectius articolo 132 , comma 2, numero 4, in quanto la mancanza di una motivazione sullo stato psicologico dei percipienti priverebbe la sentenza impugnata dell'esposizione della ragione giuridica supportante la restituzione disposta dalla corte di merito. Vi sarebbe inoltre - a dire della ricorrente - un'evidente inconciliabilità fra le due affermazioni del giudice d'appello che individuano la ratio della decisione l'una nel disposto dell'articolo 1148 c.c., l'altra nell'articolo 2036 c.c 10. I motivi, da esaminarsi congiuntamente in ragione della loro parziale sovrapponibilità, sono inammissibili. 10.1 La sentenza impugnata non fa il minimo accenno alla questione inerente lo stato soggettivo - di buona o mala fede - dei percipienti, la sentenza anzi registra, a pag. 15 che costoro non avevano sollevato censure sulla qualificazione giuridica della domanda effettuata dal tribunale - a parere del quale l'obbligo di restituzione dei frutti dalla domanda di revocatoria sino al passaggio in giudicato della sentenza del 21.1.1999 traeva fondamento dall'articolo 2036 c.c., comma 2, avendo altrimenti un indebito vantaggio il debitore negligente in danno del creditore, e che invece, dopo il passaggio in giudicato della sentenza, dell'articolo 2043 c.c., trattandosi di detenzione sine titulo l'odierna ricorrente, d'altro canto, non chiarisce se, e in qual modo, la questione sia stata prospettata in sede d'appello né, tantomeno, deduce di aver proposto uno specifico motivo di gravame volto a lamentare l'errata applicazione da parte del primo giudice dell'articolo 2036 c.c., comma 2, per aver disposto la restituzione dei frutti a partire dalla data della sentenza di omologazione del concordato 7.2.1972 anziché da quella della domanda 15.11.2000 , che la corte del merito non avrebbe esaminato . Trova perciò applicazione il principio secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni comportanti accertamenti in fatto di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo allegare l'avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo a questa Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione Cass. 6089/2018, Cass. 23675/2013 . 10.2 Quanto al dedotto vizio di contraddittorietà della motivazione, è sufficiente rilevare che la prima delle due affermazioni in asserito contrasto l'avere il tribunale applicato l'articolo 1148 c.c., ovvero una norma che, disciplinando l'obbligo di restituzione del possessore di buona fede, risulterebbe inconciliabile con la condanna ex articolo 2036 c.c., comma 2, alla ripetizione dei frutti dal giorno della loro percezione è contenuta come riferisce la stessa ricorrente in un atto di parte comparsa di risposta in appello e non all'interno della sentenza impugnata. 11. Il quinto motivo di ricorso denuncia la violazione degli articolo 1149 e 2697 c.c., in quanto la corte distrettuale ha ritenuto che la restituzione dovesse riguardare i frutti lordi e non quelli netti, senza quindi alcuna deduzione dei costi sostenuti dai percipienti analiticamente indicati dal C.T.U., malgrado il possessore tenuto a restituire i frutti indebitamente percepiti abbia diritto - a mente dell'articolo 1149 c.c. - al rimborso delle spese. La ricorrente rappresenta come il consulente nominato dalla corte distrettuale avesse quantificato i costi da dedurre, facendo richiamo a principi generali di estimo e individuando una soluzione equa e di mercato , riporta il dato testuale della relazione peritale e lamenta l'omesso esame delle risultanze di tale atto. 12. Va precisato, in via preliminare, che non può essere accolta l'eccezione di inammissibilità del motivo sollevata dalle controricorrenti sul rilievo che la questione inerente la deducibilità delle spese era stata sollevata per la prima volta in appello e costituiva domanda rectius eccezione nuova, inammissibile ai sensi dell'articolo 345 c.p.c. la corte d'appello, infatti, ha esaminato l'eccezione, respingendola nel merito, sicché le O., parti vittoriose nel grado, ma soccombenti sulla questione pregiudiziale di rito, avrebbero dovuto proporre sul punto ricorso incidentale condizionato. 12.1 Ciò premesso, il motivo, che va riqualificato ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5, in quanto sostanzialmente volto a lamentare l'omesso esame di un fatto decisivo, è fondato e deve essere accolto. 12.2 La corte di merito ha escluso il diritto dei percipienti loro riconosciuto dall'articolo 1149 c.c. ad ottenere il rimborso delle spese sostenute per gli immobili per l'assenza totale di elementi di prova in causa pag. 22 , senza tenere in alcun conto il contenuto della consulenza tecnica espletata in grado d'appello, che aveva quantificato dette spese, sulla scorta di specifici criteri di estimo, nella misura del 40% del canone lordo ricavabile dalla locazione dei beni. Sussiste, quindi, il vizio di motivazione dedotto, giacché la corte distrettuale, a fronte della risposta data dal CTU a un quesito che essa stessa gli aveva posto, non poteva escludere la presenza di elementi di prova in causa, ma avrebbe dovuto chiarire i motivi per i quali non aveva ritenuto condivisibili le conclusioni del tecnico nominato, ovvero spiegare perché le spese - non ripetibili da un ipotetico locatario degli immobili ad es. quelle di manutenzione straordinaria o per versamento di imposte - indubitabilmente sostenute dagli appellanti nell'arco del quasi trentennio occorso a definire il giudizio di revocatoria, non potevano a suo giudizio essere quantificate in via forfetaria, secondo la metodologia prevista per casi analoghi da specifiche tabelle estimatorie. 13. Il sesto motivo di ricorso lamenta la violazione dell'articolo 2901 c.c. e L. Fall., articolo 67, in quanto la corte distrettuale ha affermato che l'azione revocatoria ha natura risarcitoria, e che la sua funzione è remuneratoria del danno causato dall'atto revocato, malgrado la giurisprudenza di legittimità sia ferma nel ritenere che essa abbia effetti meramente restitutori. 14. Il settimo motivo denuncia ulteriore violazione dell'articolo 2901 c.c. e L. Fall., articolo 67, perché il giudice d'appello ha qualificato l'obbligo restitutorio debito di valore, anziché di valuta, ed ha erroneamente ritenuto che l'importo liquidato in favore delle controparti dovesse essere rivalutato. 15. I motivi, che sono fra loro connessi e possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati nei termini che di seguito si espongono. 15.1 Va in primo luogo rilevato che la sentenza, pur non avendo espressamente affermato che l'azione L. Fall., ex articolo 67, ha natura risarcitoria, si fonda su tale implicita premessa, in quanto ha qualificato come debito di valore la somma liquidata a seguito del vittorioso esperimento dell'azione. 15.2 Costituisce, per contro, orientamento ormai consolidato di questa Corte, che il collegio pienamente condivide ed intende qui ribadire, che l'obbligazione restitutoria dell'accipiens, rimasto soccombente rispetto alla domanda L. Fall., ex articolo 67, svolta nei suoi confronti, ha natura di debito di valuta e non di valore si vedano in questo senso, ex multis, Cass. 12850/2018, Cass. 6575/2018, Cass. 27084/2011, Cass. 12736/2011, Cass. 6538/2010, Cass. 6991/2007 . Vero è che le pronunce appena citate si riferiscono all'obbligo di restituzione del bene fuoriuscito dal patrimonio del fallito per effetto dell'atto dichiarato inefficace bene costituito, nella specie, dagli immobili oggetto delle compravendite revocate e non anche alle obbligazioni accessorie quale quella di rimborso dei frutti indebitamente percepiti eventualmente sorte in capo ai soccombenti a seguito dall'accoglimento della domanda pare tuttavia evidente che a queste ultime non può essere attribuita natura diversa da quella dell'obbligazione principale. Peraltro, analoga natura, di debito di valuta, indipendentemente dalla buona o mala fede dell'accipiens, ha anche l'obbligo di restituzione dei frutti civili costituenti il corrispettivo del godimento della cosa Cass. 5776/2006, Cass. 3466/2010, Cass. 21906/2021 . 15.3 Diversa questione è quella dell'eventuale diritto della parte vittoriosa ad ottenere il risarcimento del maggior danno per il ritardo nel pagamento. Tale danno va specificamente domandato, ai sensi dell'articolo 1224 c.c., comma 2, ed allegato nonché dimostrato ove sia richiesto in misura superiore a quella presuntivamente identificabile nell'eventuale differenza intercorsa, durante la mora, fra il tasso di rendimento medio dei titoli di Stato di durata non superiore ai dodici mesi ed il tasso degli interessi legali Cass., Sez. U., 19499/2008 . 15.4 La portata dei principi appena illustrati opera, tuttavia, nei limiti del giudicato e dunque per il periodo dall'introduzione dell'azione revocatoria sino al passaggio in giudicato della relativa sentenza rispetto al quale l'obbligo di restituzione dei frutti ha tratto fondamento - secondo la valutazione del primo giudice, che non è stata oggetto di impugnazione - nell'articolo 2036 c.c., comma 2 rispetto al periodo successivo al passaggio in giudicato della sentenza di accoglimento dell'azione revocatoria opera, invece, la disciplina propria dei debiti di valore, in ragione del definitivo accertamento del fatto che l'obbligo di restituzione dei frutti si fonda sull'articolo 2043 c.c., trattandosi di detenzione sine titulo. 15.5 Dalla lettura della sentenza non è dato comprendere se l'importo di Euro 144.392,50 sia stato determinato dal ctu già all'attualità e se pertanto il giudice d'appello sia incorso nel marchiano errore di riconoscere la rivalutazione su una somma già rivalutata quel che è certo è che la corte del merito ha errato laddove ha quantificato il debito restitutorio in un unicum indistinto, non tenendo conto che dal 7.2.1972, e sino al 21.1.1999, secondo il principio nominalistico applicabile alle obbligazioni di valuta, i frutti civili i canoni ricavabili dalla locazione degli immobili andavano liquidati al valore della moneta nell'anno in cui erano maturati e maggiorati dei soli interessi legali salvo il diritto delle O. al risarcimento del maggior danno da ritardo, se domandato , potendosi riconoscere la rivalutazione unicamente sui canoni percepibili dal 22.1.1999 al 30.6.1999. 16. L'ottavo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5, l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e discusso fra le parti, in quanto la corte di merito, parametrando il debito restitutorio ai frutti percipiendi, avrebbe trascurato di considerare che nel periodo ottobre 1971/aprile 1981, v'era prova dei frutti percepiti, atteso che con sentenza numero 1228/82 passata in giudicato, il Tribunale di Brescia aveva condannato O.L. a pagare ad essa ricorrente ed alle altre parti convenute in revocatoria la somma di Euro 7.746 per l'occupazione sine titulo dei locali adibiti a bar. 17. Il motivo è assorbito dall'accoglimento di quelli che lo precedono, spettando al giudice del rinvio, tenuto a rideterminare l'ammontare del debito restitutorio controverso, di valutare se, a tal fine, possa o meno tenersi conto dei fatti dedotti e provati nel giudizio già definito con la sentenza passata in giudicato. 18. Il nono motivo di ricorso denuncia la violazione dell'articolo 2909 c.c., in quanto la corte di merito ha recepito le conclusioni del C.T.U. in ordine all'entità dei canoni che un locatore diligente avrebbe potuto percepire non tenendo conto del giudicato esterno, costituito dalla citata sentenza numero 1228/1982 del Tribunale di Brescia, che aveva quantificato in Lire 15.000.000 la somma dovuta per l'occupazione del medesimo immobile da fine ottobre 1971 ad aprile 1981. 19. Il motivo è infondato. 19.1 La sentenza impugnata dà atto a pag. 6 che il Tribunale di Brescia con sentenza numero 1228/1992 ha condannato O.L., conduttrice del bar oggetto dell'azione revocatoria, a pagare a S.M., F.M. e P.A. la somma di Lire 15.000.000 a titolo di risarcimento danni da illegittima occupazione dell'immobile dal 30 ottobre 1971 all'aprile 1981. La condanna è stata dunque pronunciata a ristoro dei danni provocati dal conduttore per la mora nella restituzione della cosa, ex articolo 1591 c.c 19.2 Ora, affinché il giudicato sostanziale formatosi in un giudizio operi all'interno di altro instaurato successivamente, è necessario che tra la precedente causa e quella in atto vi sia, oltre che identità di parti e di petitum, anche di causa petendi, ai fini della cui individuazione rilevano non tanto le ragioni giuridiche enunciate dalla parte a fondamento della pretesa avanzata in giudizio, bensì l'insieme delle circostanze di fatto che la parte stessa pone a base della propria richiesta, essendo compito precipuo del giudice la corretta identificazione degli effetti giuridici scaturenti dai fatti dedotti in causa Cass. 16688/2018 nello stesso senso Cass. 15817/2021 . La presente lite differisce da quella risolta dal Tribunale di Brescia con sentenza numero 1228/1982 per parti, petitum e causa petendi, alla luce dei fatti addotti a fondamento della pretesa. In questa lite, infatti, non è coinvolta solo O.L., ma anche O.S. entrambe quali aventi causa da Br.Ca. . Inoltre, la sentenza qui impugnata accerta l'esistenza di un giudicato interno in merito all'esistenza di un obbligo di restituzione dei frutti dalla domanda di revocatoria sino al passaggio in giudicato della relativa sentenza, in virtù del disposto dell'articolo 2036 c.c., comma 2, e, dopo il passaggio in giudicato della sentenza, dell'articolo 2043 c.c., mentre la sentenza del Tribunale di Brescia numero 1228/1982 accerta una responsabilità contrattuale per il ritardo nella riconsegna dell'immobile locato ex articolo 1591 c.c Neppure i fatti allegati dalle parti a suffragio della domanda coincidono, perché mentre in questo giudizio è stato dedotto il mancato godimento dei frutti percepiti sugli immobili interessati dalla precedente azione revocatoria e restituiti soltanto in data 30 giugno 1999, con la sentenza numero 1228/1982 era stata dedotta l'illegittimità dell'occupazione della conduttrice una volta che il contratto di locazione era giunto a scadenza. Non è possibile, quindi, riconoscere in questa sede efficacia di giudicato esterno alla sentenza numero 1228/1982 del Tribunale di Brescia. 20. All'accoglimento del quinto, del sesto e del settimo motivo di ricorso conseguono la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio della causa alla Corte d'appello di Brescia in diversa composizione, la quale, nel procedere a nuovo esame, si atterrà ai principi enunciati e provvederà anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il quinto, il sesto e il settimo motivo di ricorso, assorbito l'ottavo, e rigetta nel resto cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di Appello di Brescia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.