Colpito con una sbarra di ferro, reagisce e strappa con un morso un pezzo d’orecchio all’aggressore: esclusa la legittima difesa, inevitabile la condanna

Respinta la linea difensiva, mirata a ridimensionare il morso, presentandolo come l’unica via di uscita a fronte dell’aggressione subita. Per i Giudici, invece, la persona vittima dell’aggressione avrebbe potuto reagire in modo meno cruento.

Viene aggredito e colpito alla testa con una spranga di ferro. Riesce a reagire e a bloccare l' aggressore , e, d'istinto, reagisce mordendogli con forza l'orecchio e staccandone la parte superiore. E questa azione gli costa ora una condanna, poiché, sanciscono i Giudici, è impossibile catalogarla come espressione di una legittima difesa, pur a fronte dell'assalto violento da lui subito. Ricostruiti i dettagli del brutale episodio, i giudici di merito condannano, sia in primo che in secondo grado, l'uomo sotto processo, ritenendolo colpevole di «avere cagionato lesioni personali» alla persona che l'aveva precedentemente aggredito e di «avergli procurato, con un morso all' orecchio » la rimozione in toto della parte superiore del padiglione auricolare sinistro, con «esposizione della cartilagine» e conseguente «deformazione del viso». Giudici concordi anche sulla pena ben otto anni di reclusione. Per il difensore dell'uomo, però, la linea di pensiero seguita in Appello è eccessivamente severa, poiché non si è tenuto conto, a suo dire, del contesto in cui si è verificata l'azione compiuta dal suo cliente e, proprio per questo, erroneamente non è stata riconosciuta «la legittima difesa». A sostegno di questa tesi, poi, il legale spiega che «unica reazione difensiva adeguata» per il suo cliente, che in quegli attimi «era a mani nude», è stato «l'inevitabile contatto fisico con l'aggressore, nell'unico intento di disarmarlo della sbarra di ferro con la quale lo aveva già ripetutamente colpito in testa, potendo solo utilizzare le mani o anche i morsi per farlo desistere e non avendo alcun altro mezzo a disposizione». Evidente, quindi, secondo il legale, la mancanza di volontarietà nella condotta del suo cliente, «essendo i morsi solo mezzi fortuiti istintivi di chi, a mani nude, cerca in ogni modo di difendersi dall'aggressore armato di una sbarra metallica». Come ulteriore censura alla pronuncia d'Appello, poi, il legale pone in evidenza «lo stato di concitazione del momento dell'aggressione», avendo il suo cliente «l'unico obiettivo, in quel frangente, di salvarsi dall'aggressione in modo meno gravoso». Infine, l'avvocato sottolinea che l'aggressore aveva agito per primo nei confronti del suo cliente mentre quest'ultimo «ha reagito al solo fine di fermare la repentina azione aggressiva dell'altra persona, armata di una sbarra di ferro con cui aveva iniziato a colpirlo in testa», e in questa ottica «il morso all'orecchio» è da valutare, sostiene il legale, come «il gesto puramente istintivo di chi è costretto al contatto per disarmare l'aggressore». Chiaro l'obiettivo del difensore porre in evidenza «lo stato di necessità» del suo cliente, preda di un'aggressione violenta, e trarre la conseguenza che la sua reazione, cioè il morso all'orecchio dell'aggressore, va catalogata come legittima difesa o, alla peggio, come eccesso colposo di legittima difesa. Per i Giudici della Cassazione, però, non vi sono i presupposti per mettere in discussione la condanna pronunciata in Appello. Ciò perché va legittimamente esclusa l'ipotesi della legittima difesa, vista «l'assenza di proporzionalità tra la difesa – meglio, le modalità attraverso cui si è estrinsecata – e l'altrui offesa». Condivisa la valutazione compiuta dai giudici di secondo grado, i quali hanno posto in evidenza che «la condotta incriminata è consistita nella estirpazione radicale della parte esterna dell'orecchio» e per realizzarla «la persona offesa doveva necessariamente essere posta nell'impossibilità di muoversi per un determinato lasso di tempo durante il quale», rilevano i Giudici di Cassazione, l'uomo sotto processo «avrebbe ben potuto attuare una condotta diversa, meno efferata , semplicemente finalizzata a disarmare, o comunque a neutralizzare l'avversario». In sostanza, «avrebbe potuto, una volta immobilizzato l'aggressore, darsi alla fuga, invece di cimentarsi in quella cruenta ed efferata condotta lesiva, che esorbita evidentemente dalla mera volontà di neutralizzare la persona offesa, scegliendo consapevolmente ed intenzionalmente di compiere un atto gravemente lesivo, consistito nell'asportazione dell'orecchio», così da «imprimere» sull'aggressore «un marchio visibile ed indelebile». Nessun dubbio, quindi, sul fatto che «la condotta lesiva posta in essere ha travalicato i limiti della mera reazione difensiva, non soltanto per la sproporzione della difesa, ma anche per l'assenza del requisito della inevitabilità del pericolo, inteso come impossibilità di difendersi con una offesa meno grave di quella arrecata», chiariscono i magistrati. Inequivocabili, quindi, i dettagli dell'episodio. In sostanza, «la reazione» avuta dall'uomo sotto processo «non è stata limitata ad una neutralizzazione, ma è sfociata in una estirpazione dell'orecchio che presuppone una immobilizzazione, sia pur temporanea, dell'avversario, e integra una condotta volontaria, autonomamente punibile, in quanto esulante dai confini della reazione difensiva, e rientrante nel concetto di eccesso doloso , situazione nella quale, pur sussistendo la necessità di difendersi, non ricorrono i requisiti della inevitabilità del pericolo e della proporzione tra offesa e difesa». Impossibile, infine, sostenere, come invece ha fatto il difensore, che «il morso all'orecchio sia stato un mero atto istintivo, non volontario, e come tale punibile a titolo di colpa», poiché, chiariscono i magistrati, «non ricorre, invero, un atto istintivo, bensì una azione sorretta da un reale impulso cosciente della volontà, benché formatasi istantaneamente nell'ambito di un contesto concitato».

Presidente Miccoli – Relatore Riccardi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 23/07/2020 la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 20/02/2020 che aveva affermato la responsabilità penale di M.M. , condannandolo alla pena di 8 anni di reclusione, per il reato di cui all' articolo 583 quinquies c.p. , per avere cagionato lesioni personali a K.R. , procurandogli, con un morso all'orecchio, la rimozione in toto dell'elice fino all'antelice del padiglione auricolare sinistro, con esposizione della cartilagine, da cui derivava una deformazione del viso. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di M.M. , Avv. F. S., deducendo, con due motivi di ricorso, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all'omesso riconoscimento della legittima difesa e dell'eccesso colposo. Premessi diffusi richiami al testo della sentenza impugnata ed ai limiti della legittima difesa e dell'eccesso colposo, sostiene il ricorrente che, nella fattispecie, unica reazione difensiva adeguata, per il ricorrente a mani nude, è stato l'inevitabile contatto fisico con l'aggressore, nell'unico intento di disarmarlo della sbarra di ferro con la quale lo aveva già ripetutamente colpito in testa, e ciò potendo solo utilizzare le mani o anche morsi per farlo desistere, non avendo alcun altro mezzo a disposizione nella specie non vi sarebbe volontarietà, essendo i morsi solo mezzi fortuiti istintivi di chi, a mani nude, cerca in ogni modo di difendersi dall'aggressore armato di una sbarra metallica. Sostiene che la Corte territoriale non abbia tenuto in considerazione lo stato di concitazione del momento dell'aggressione avendo l'imputato in quel rapido frangente l'unico obiettivo di salvarsi dall'aggressione in modo meno gravoso, proprio a causa dello stato di totale agitazione e turbamento. Sotto altro profilo sostiene che la Corte territoriale sia incorsa in un vizio di motivazione, in quanto, pur riconoscendo che fu effettivamente il K. ad aggredire per primo il ricorrente, non ha considerato che quest'ultimo ha reagito al solo fine di fermare la repentina azione aggressiva dell'altra persona armata di una sbarra di ferro con cui aveva iniziato a colpirlo in testa. Il morso all'orecchio è il gesto puramente istintivo di chi è costretto al contatto per disarmare l'aggressore dal palanchino di ferro con il quale lo stava colpendo. In presenza di uno stato di necessità, dunque, al più il fatto poteva essere qualificato in termini di eccesso colposo, essendo venuta meno la proporzione tra offesa e difesa per colpa. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Premesso che il riconoscimento o l'esclusione della legittima difesa, reale o putativa, e dell'eccesso colposo nella stessa costituiscono un giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità quando gli elementi di prova siano stati puntualmente accertati e logicamente valutati dal giudice di merito Sez. 1, numero 3148 del 19/02/2013, dep. 2014, Mariani, Rv. 258408 , va ribadito che l'assenza dei presupposti della scriminante della legittima difesa, in specie della necessità di contrastare o rimuovere il pericolo attuale di un'aggressione mediante una reazione proporzionata ed adeguata, impedisce di ravvisare l'eccesso colposo, che si caratterizza per l'erronea valutazione di detto pericolo e dell'adeguatezza dei mezzi usati Sez. 5, numero 19065 del 12/12/2019, dep. 2020, Di Domenico, Rv. 279344 - 02, con riferimento ad una fattispecie in tema di legittima difesa domiciliare di cui all'articolo 52, comma 2, nella nuova formulazione dettata della L. 26 aprile 2019, numero 36 , in cui la Corte ha escluso l'eccesso colposo per l'insussistenza del qualificato profilo di necessità o di inevitabilità altrimenti dell'azione asseritamente difensiva . Ciò posto, i giudici di merito hanno escluso la sussistenza della scriminate invocata, anche nella forma dell'eccesso colposo, sul presupposto dell'assenza di proporzionalità tra la difesa recte, le modalità attraverso cui si è estrinsecata e l'altrui offesa. La Corte d'Appello, facendo buon governo dei principi di diritto che regolano la materia, ha evidenziato che, nel caso in esame, la condotta incriminata è consistita nella estirpazione radicale della parte esterna dell'orecchio, per realizzare la quale, come logicamente osservato dal giudice di seconde cure, la persona offesa doveva necessariamente essere posta nell'impossibilità di muoversi per un determinato lasso di tempo durante il quale il ricorrente avrebbe ben potuto attuare una condotta diversa, meno efferata, semplicemente finalizzata a disarmare, o comunque a neutralizzare l'avversario, K. . L'imputato avrebbe d'altronde potuto, una volta immobilizzato l'aggressore, darsi alla fuga, invece di cimentarsi in quella cruenta ed efferata condotta lesiva, che esorbita evidentemente dalla mera volontà di neutralizzare la persona offesa, scegliendo consapevolmente ed intenzionalmente di compiere un atto gravemente lesivo, consistito nell'ablazione dell'orecchio, per imprimergli un marchio visibile ed indelebile. 3. Tanto premesso, va dunque osservato che la condotta lesiva posta in essere ha travalicato i limiti della mera reazione difensiva, non soltanto per la sproporzione della difesa, ma anche per l'assenza del requisito della inevitabilità altrimenti del pericolo, inteso come impossibilità di difendersi con una offesa meno grave di quella arrecata in tal senso escludendo la configurabilità della causa di giustificazione di cui all' articolo 52 c.p. , e, di conseguenza, la stessa configurabilità dell'eccesso colposo di cui all' articolo 55 c.p. . Nel rilevare che, nella fattispecie, non viene in rilievo l' articolo 55 c.p. , comma 2, che, introdotto dalla L. 26 aprile 2019, numero 36 , si riferisce ai casi di legittima difesa c.d. domiciliare, va innanzitutto evidenziato che il motivo concernente il mancato riconoscimento dell'eccesso colposo - pur oggetto di motivazione da parte della sentenza di primo grado - non risulta essere stato devoluto con l'atto di appello, che aveva limitato le censure al mancato riconoscimento della legittima difesa e, in subordine, dell'attenuante della provocazione ne consegue che il motivo è nuovo, e dunque inammissibile. Peraltro, va rammentato che, affinché risulti integrata la fattispecie di eccesso colposo, è indispensabile che ricorrano i presupposti della scriminante e che i limiti della stessa vengano, per colpa, superati. In tema di legittima difesa, l'eccesso colposo si verifica ogniqualvolta la giusta proporzione fra offesa e difesa venga meno per colpa, intesa come errore inescusabile, ovvero per precipitazione, imprudenza o imperizia nel calcolare il pericolo e i mezzi di salvezza Sez. 4, numero 9463 del 13/02/2019, Ouldhnini Said, Rv. 275269 . Pertanto, l'eccesso colposo potrà ritenersi integrato solo qualora ricorrano, cumulativamente, due presupposti la sussistenza a monte dell'esimente e l'eccesso dovuto al solo errore di valutazione, giacché l'eccesso consapevole e volontario si traduce in una condotta volontaria che fa ricadere il comportamento nella sfera della condotta dolosa, autonomamente punibile. Nella fattispecie, secondo la ricostruzione dei fatti accertata dai giudici di merito, alla stregua di una valutazione immune da censure di illogicità, e dunque insindacabile in sede di legittimità, la reazione dell'odierno ricorrente, non limitata ad una neutralizzazione, ma sfociata in una estirpazione dell'orecchio che presuppone una immobilizzazione sia pur temporanea dell'avversario, integra una condotta volontaria, autonomamente punibile, in quanto del tutto esulante dai confini della reazione difensiva, e rientrante nel concetto di eccesso doloso, situazione nella quale, pur sussistendo la necessità di difendersi, non ricorrono i requisiti della inevitabilità altrimenti del pericolo e della proporzione tra offesa e difesa. Va, infine, evidenziata la manifesta infondatezza della deduzione con cui il ricorso sostiene che il morso all'orecchio sia stato un mero atto “istintivo”, non volontario, e come tale punibile a titolo di colpa non ricorre, invero, un atto ‘istintivò quale potrebbe essere il protendere le braccia per evitare o attutire l'urto di una caduta , bensì una azione sorretta da un reale impulso cosciente della volontà, benché formatasi istantaneamente nell'ambito di un contesto concitato. 4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e alla corresponsione di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 3.000,00. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.