Secondo il TAR Lazio, deve escludersi la ricorrenza del “cohousing” quando la residenza delle persone anziane è finalizzata in tutto o in parte a consentire l’erogazione di prestazioni di assistenza e sostegno da parte di terzi, dai quali dipenda, anche solo parzialmente, l’organizzazione dell’ambiente.
Una Cooperativa sociale prendeva in locazione un immobile, per poi subaffittarlo a cinque anziani. Il Comune, tuttavia, disponeva la chiusura della struttura, in assenza dell'autorizzazione all'apertura e al funzionamento, ex articolo 13, comma 1 c , L.R. numero 41/2003, assegnando contestualmente il termine di 30 giorni per la ricollocazione degli ospiti presso i loro familiari. La proprietaria della Cooperativa impugnava l'ordinanza, sostenendo che si trattava non di una r.s.a., bensì di una fattispecie di cohousing, e che solo le strutture socio-assistenziali sono soggette ad autorizzazione. Il ricorso è infondato. Il Tribunale amministrativo, infatti, ha chiarito che il cohousing è una forma non regolamentata di convivenza tra persone che, senza essere legate da vincoli o legami parentali, scelgono di risiedere in un'unica unità immobiliare della quale condividono gli spazi comuni nello specifico, tale figura rappresenta un fenomeno spontaneo di aggregazione e non ricorre quando, in presenza di persone anziane e non del tutto autosufficienti, la convivenza è intermediata da una organizzazione terza che si fa carico anche di erogare prestazioni tipiche dei servizi sociali. Secondo i Giudici, in assenza di una specifica disciplina, la figura del cohousing dovrebbe ricondursi all'istituto civilistico della comunione in questo caso del diritto di abitazione o di altro diritto sull'unità immobiliare con la conseguenza che, «quando i cohouser sono persone anziane, per distinguerlo da una fattispecie ordinaria di residenza assistita, caratterizzata dalla concomitanza o prevalenza funzionale di prestazioni tipiche dei servizi sociali assistenza morale, materiale, medica, infermieristica a persone non autosufficienti o non del tutto autosufficienti bisognerà avere riguardo al complessivo equilibrio tra le obbligazioni dedotte in contratto» solo quando queste ultime saranno riconducibili esclusivamente o principalmente alla regolazione delle spese comuni affitto, luce, gas, alimenti , che possono anche includere prestazioni accessorie ed eventuali da parte di terzi come visite domiciliari di personale medico o infermieristico o di assistenza sociale , si potrà identificare nella fattispecie dedotta una forma di cohousing , con conseguente inapplicabilità delle previsioni attinenti l'autorizzazione ed i requisiti altrimenti previsti dalla legislazione regionale sulle residenze. Deve pertanto escludersi la ricorrenza del cohousing «quando la residenza delle persone anziane è finalizzata in tutto o in parte a consentire l'erogazione di prestazioni di assistenza e sostegno rientranti nei servizi alla persona e come tali soggette ai requisiti specificatamente previsti a tutela degli utenti da parte di terzi, dai quali dipenda anche solo parzialmente l'organizzazione dell'ambiente». Nel caso in esame, pertanto, il Comune ha correttamente ordinato la chiusura di quella che appariva, in sostanza, una struttura socio-assistenziale non autorizzata, ex articolo 13, comma 1 c , L.R. numero 41/2003. Per questi motivi, il TAR Lazio respinge in parte il ricorso e compensa le spese del giudizio.
Presidente Gatto Costantino Relatore Lomazzi Fatto e diritto La Sig.ra omissis , Presidente e rappresentante legale della Cooperativa sociale “ omissis ”, prendeva in locazione un immobile sito in via [ ], località [ ], poi dato in comodato gratuito alla Cooperativa e quindi subaffittato a numero 5 anziani. Il Comune di Fiumicino, con ordinanza numero [ ], disponeva la chiusura della struttura, in assenza dell'autorizzazione all'apertura e al funzionamento, ex art.13, comma 1c della L.R. numero 41 del 2003, in difetto del prescritto parere igienico-sanitario, con somministrazione di alimenti e bevande non conforme alla normativa vigente, al fine di tutelare la salute degli ospiti, assegnando contestualmente il termine di 30 giorni per la ricollocazione dei medesimi mediante i loro familiari. L'interessata impugnava l'ordinanza, censurandola per violazione dell'art.7 della Legge numero 241 del 1990, dell'art.13 della L.R. numero 41 del 2003, dell'art.50 del D.Lgs. numero 267 del 2000 nonché per eccesso di potere sotto il profilo della carenza di istruttoria e di motivazione, della contraddittorietà. La ricorrente in particolare ha fatto presente che 1 mancava il destinatario del provvedimento, che era stata omessa la comunicazione di avvio del procedimento ai numero 5 anziani e che gli stessi, tutti titolari di contratto di affitto, avevano dichiarato di voler abitare nella struttura in cohousing. L'interessata ha sostenuto al riguardo che 2 trattavasi non di una r.s.a. bensì per l'appunto di una fattispecie di cohousing, che gli anziani risiedevano nell'immobile con i contratti di subaffitto, erano capaci di intendere e di volere, in buone condizioni di salute, che nell'immobile disponevano ognuno di un proprio alloggio, con spazi comuni come il salone e la cucina e che vi era la partecipazione collettiva alle pulizie e alla preparazione dei pasti. Veniva quindi segnalato che 3 solo le strutture socio-assistenziali erano soggette ad autorizzazione, mentre nel caso in esame si trattava di semplice coabitazione, scarsamente peraltro normata in Italia, come modulo volto a superare forme di solitudine, tra persone di età avanzata, ma autosufficienti. La Sig.ra omissis in ultimo ha fatto presente che 4 il Comune già dai mesi di aprile e maggio 2021 era a conoscenza dei fatti, avendo gli anziani contattato l'Amministrazione ai fini del cambio di residenza. Il Comune di Fiumicino si costituiva in giudizio per la reiezione del gravame, illustrando con apposita memoria l'infondatezza nel merito del medesimo. Nella camera di consiglio del 6 dicembre 2021, fissata per l'esame dell'istanza cautelare, questo Tribunale, accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria, ricorrendone i presupposti ex art.60 c.p.a., sentite sul punto le parti costituite, ha trattenuto la causa per la decisione nel merito. Il ricorso appare destituito di fondamento e dunque da respingere, nella parte in cui dispone la chiusura della struttura socio-assistenziale non autorizzata, per le ragioni di seguito esposte. Occorre al riguardo premettere che l'esperienza del cohousing nasce in Danimarca negli anni '60 per poi diffondersi anche in Svezia, Norvegia, Olanda, Inghilterra, Germania, Francia, Stati Uniti, Canada, Australia, Giappone, prendendo piede di recente anche in Italia, seppure non ancora disciplinato in modo organico la ricorrente medesima fa riferimento alle delibere g.r. numero 564 del 2000 e numero 1423 del 2015 dell'Emilia-Romagna, assunte ai fini distintivi del cohousing dalle r.s.a., all'art.82 della L.R. Lazio numero 7 luglio che richiama il fenomeno nell'ottica di porre rimedio alle situazioni di disagio abitativo . Detto modello coabitativo segue essenzialmente le direttrici dell'incoraggiamento della socialità, dell'aiuto reciproco, dei rapporti di buon vicinato, della riduzione della complessità della vita, della sua migliore organizzazione con conseguente diminuzione dello stress, della riduzione dei costi di gestione delle attività quotidiane. L'esperienza è caratterizzata da un alto livello di condivisione delle scelte, da legami di collaborazione e socialità, dalla condivisione di molti spazi e servizi. Deve quindi escludersi la ricorrenza del “cohousing” quando la residenza delle persone anziane è finalizzata in tutto o in parte a consentire l'erogazione di prestazioni di assistenza e sostegno rientranti nei servizi alla persona e come tali soggette ai requisiti specificatamente previsti a tutela degli utenti, nel caso di specie, dalla L.R. Lazio numero 41 del 2003 da parte di terzi, dai quali dipenda anche solo parzialmente l'organizzazione dell'ambiente. Tanto premesso, con riferimento al motivo sub 1 va evidenziato che l'ordinanza del Comune risulta correttamente indirizzata alla Sig.ra -OMISSIS--OMISSIS-, quale titolare della struttura sita in via -omissis-, località -omissis- che le ragioni di urgenza dettate dalla salvaguardia della salute degli ospiti hanno giustificato la mancata comunicazione di avvio del procedimento, ex art.7 della legge numero 241 del 1990 cfr., tra le altre, TAR Molise, numero 174 del 2011, TAR Toscana, II, numero 1930 del 2010 che in ogni caso il provvedimento era stato preceduto dagli appositi sopralluoghi della Polizia locale e dell'-omissis-, con specifiche visite agli ospiti della struttura che trattasi in dettaglio di soggetti in tarda età, affetti da patologie varie, bisognosi di assistenza omissis . In riferimento ai motivi sub 2, 3, da esaminare congiuntamente, siccome intimamente connessi, occorre dunque rilevare che la fattispecie in concreto emersa risulta alquanto lontana dal modello del cohousing dianzi delineato. Nello specifico, dal predetto verbale di sopralluogo dell'-omissis-, si ricava che il Sig. omissis cfr. docomma 14 al ricorso . Ne consegue che gli ospiti della struttura sono tutti anziani o molto anziani, che salvo un caso sono tutti affetti da patologie varie e solo parzialmente autosufficienti. Orbene dunque il quadro descritto non è per nulla sovrapponibile all'ipotesi del cohousing, tipizzata dalla piena volontarietà della condivisione abitativa, in condizione di piena autosufficienza e senza l'intermediazione di soggetti terzi esterni a detta esperienza. Nell'ipotesi in trattazione di contro, oltre alle condizioni degli ospiti, va rilevata la presenza, quale soggetto terzo intermediario, della Sig.ra -OMISSIS--OMISSIS-, che prendeva in locazione l'immobile con atto del 1° marzo 2021, lo dava in comodato d'uso gratuito alla Cooperativa sociale “-OMISSIS-”, di cui è Presidente nonché rappresentante legale, il successivo 1° aprile 2021 la Cooperativa, valorizzando le qualifiche della ricorrente di pedagogista e di OSS, nonchè i suoi attestati di primo soccorso, di BLSD, di riabilitazione neurocognitiva, di linguaggio del corpo non verbale e microespressioni facciali, di metodologie funzionali antistress psicoterapeutiche, stipulava poi con gli anziani negozi di messa in uso di una singola stanza e delle parti comuni dell'immobile sala, cucina, giardino , dietro il corrispettivo della somma di €1.200,00 mensili, anche per le spese di vitto, di assistenza continuativa, delle attività coordinate della Sig.ra -OMISSIS come da sue qualifiche cfr. docc.1, 2, 6, 7, 9, 10, 12 al ricorso . Ne consegue così, oltre all'intermediazione della ricorrente, per giunta con evidenziazione delle sue qualifiche e attestati di assistenza, del tutto ingiustificata nel predetto modello di cohousing, anche un'evidente sproporzione tra il corrispettivo versato al proprio locatore da un lato €10,800 annui e i canoni mensili di €1.200,00 richiesti a ciascuno dei numero 5 ospiti della struttura dall'altro sproporzione dettata per l'appunto anche dalla circostanza che il pagamento del prezzo da parte degli ospiti della residenza è corrispondente, come del resto riportato nei predetti negozi, non solo alla mera suddivisione dei costi generali di locazione tra di essi, ma anche all'erogazione o erogabilità quando necessarie delle prestazioni assistenziali tipiche delle qualifiche della stipulante sig.ra -OMISSIS e che ne denotano la partecipazione all'atto negoziale in termini di “intuitus personae” . A tutto ciò va aggiunto che il succitato canone mensile risulterebbe comunque sproporzionato, nel caso di effettivo modello di cohousing, proprio in ragione della reciproca diretta cooperazione dallo stesso predicata. Quanto in ultimo al motivo sub 4 va evidenziato che il Comune ha assunto prontamente le dovute misure nell'ottobre 2021, venendo a conoscenza della descritta situazione proprio con i sopralluoghi della -omissis di ottobre 2021, non risultando congrue a prendere cognizione delle dette circostanze le mere richieste degli anziani di cambio di residenza. Ne discende che il Comune ha correttamente operato, ordinando la chiusura di quella che appariva in sostanza una struttura socio-assistenziale non autorizzata, ex art.13, comma 1c della L.R. numero 41 del 2003. Va di contro accolta l'impugnativa laddove è rivolta alla parte dell'ordinanza che dispone lo sgombero degli anziani dalla struttura, dovendo la stessa essere rimeditata in parte qua dall'Amministrazione, anche con riferimento alla possibilità degli anziani di permanere in loco con adeguato titolo negoziale, senza intermediazioni di sorta, a differenti condizioni e con la dovuta assistenza. In considerazione dell'esito della controversia, sussistono giuste ragioni per compensare le spese di giudizio tra le parti. P.Q.M. Definitivamente pronunciando, in parte respinge e in parte accoglie, come indicato in motivazione, il ricorso numero 11622/2021 in epigrafe. Compensa le spese di giudizio tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52 del D.Lgs. numero 196 del 2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle persone fisiche ivi citate.