Respinta l’istanza presentata da un uomo condannato per reati in materia di droga. Impossibile ipotizzare una lesione al suo diritto alla salute, a fronte del lungo periodo da trascorrere tra le mura domestiche.
Niente “ora d'aria” per l'uomo condannato a passare ancora quarantadue mesi agli arresti domiciliari . Impossibile concedergli la possibilità di assentarsi quotidianamente da casa, seppur per poco tempo, anche perché, osservano i Giudici, è privo di fondamento il riferimento, fatto dal legale dell'uomo, all'esigenza di tutelarne il diritto alla salute. Netta la posizione assunta dal Tribunale del riesame confermata la risposta negativa all'istanza avanzata da un uomo, condannato in Appello a oltre dieci anni di reclusione per reati in materia di droga e sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, e mirata ad ottenere l'autorizzazione ad «assentarsi quotidianamente dal luogo di esecuzione della misura per ragioni attinenti alla tutela del diritto alla salute». Questa decisione viene contestata in Cassazione dall'avvocato dell'uomo. Col ricorso il legale lamenta «la mancata considerazione del tempo di sottoposizione restrizione domestica , pari a oltre tre anni e sei mesi, aspetto questo che», sostiene, «avrebbe giustificato la necessità di allontanarsi anche solo per un breve periodo dal luogo di dimora, essendo tale situazione di fatto idonea a integrare una possibile compressione del diritto alla salute dell'uomo, al di là di eventuale documentazione medica». Dai Giudici della Cassazione arriva però l'ennesima, definitiva doccia fredda per l'uomo, che dovrà continuare a sopportare gli arresti domiciliari senza possibilità di uscire , anche solo per breve tempo, da casa. Condiviso il ragionamento compiuto dai giudici di merito. Impossibile, in sostanza, parlare di «indispensabili esigenze di vita» dell'uomo. Evidente, in particolare, «l'assenza di specifiche e indilazionabili attività che richiedano la presenza dell'uomo al di fuori dello spazio domestico». Per maggiore chiarezza, poi, i magistrati precisano che « non può estendersi al regime degli arresti domiciliari la norma dell' ordinamento penitenziario che consente al detenuto di restare all' aria aperta per almeno due ore », anche perché, in questa vicenda, «il paventato rischio per la salute fisica e psichica dell'uomo è oggetto di una prospettazione generica ed eventuale, non suffragata da alcuna documentazione sanitaria o da ulteriori riscontri obiettivi». Illogico, infine, anche il riferimento fatto dalla difesa a una «possibile compressione del diritto alla salute», compressione che «non può essere implicita nella prolungata permanenza obbligata dell'uomo tra le mura domestiche», tanto più che «non consta che le condizioni dell'immobile in cui egli vive siano tali da rendere insalubre la sua costante presenza in casa». Per chiudere il cerchio, infine, i magistrati di terzo grado sottolineano che il reato contestato all'uomo, ossia essere il capo di un'associazione criminosa dedita al traffico di stupefacenti, «prevede una presunzione di adeguatezza della misura di massimo rigore, per cui già l'applicazione degli arresti domiciliari costituisce una scelta premiale» mentre «un' autorizzazione generale ad allontanarsi ogni giorno dal domicilio, in assenza di specifiche esigenze personali, è idonea a vanificare in modo significativo le esigenze cautelari sottese all'imposizione della misura».
Presidente Andreazza – Relatore Zunica Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 21 luglio 2021, il Tribunale del riesame di Bologna confermava l'ordinanza del 29 giugno 2021, con cui la Corte di appello di Bologna aveva rigettato l'istanza avanzata nell'interesse di B.H. e finalizzata ad autorizzare l'imputato, sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, ad assentarsi quotidianamente dal luogo di esecuzione della misura per ragioni attinenti alla tutela del diritto alla salute. 2. Avverso l'ordinanza del Tribunale felsineo, B. , tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con cui la difesa contesta il difetto di motivazione rispetto alla mancata considerazione del tempo di sottoposizione dell'imputato alla restrizione domestica, pari a oltre 3 anni e 6 mesi, aspetto questo che avrebbe giustificato la necessità di allontanarsi anche solo per un breve periodo dal luogo di dimora, essendo tale situazione di fatto idonea a integrare una possibile compressione del diritto alla salute del ricorrente, al di là di eventuale documentazione medica. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza. 1. Occorre premettere che nell'ordinanza impugnata, il Tribunale del riesame ha innanzitutto ripercorso le fasi principali della vicenda cautelare relativa a B.H. , ricordando che questi è stato destinatario della misura degli arresti domiciliari con provvedimento del G.I.P. del Tribunale di Bologna del 31 gennaio 2018, eseguita il 21 febbraio 2018, in quanto gravemente indiziato di essere il capo, promotore e organizzatore di un sodalizio dedito alla commissione di vari episodi di acquisto e rivendita di sostanze stupefacenti, tra cui principalmente cocaina ed eroina, essendo egli punto di riferimento di S.T.L. , reggente dell'associazione, nel reperire e nel ricevere la droga. Con sentenza del 9 maggio 2019, il G.U.P. del Tribunale di Bologna condannava B.H. alla pena di anni 10 e mesi 4 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato associativo e di una pluralità di reati-fine, mentre la Corte di appello di Bologna, con sentenza del 10 luglio 2020, riduceva la pena ad anni 10 e giorni 20 di reclusione, essendo stato nelle more il ricorrente autorizzato a trasferire il luogo di esecuzione della misura da omissis . Ciò posto, la Corte di appello, con ordinanza del 29 giugno 2021, rigettava l'istanza difensiva volta ad autorizzare l'imputato ad allontanarsi quotidianamente dal luogo di domicilio coatto, non ritenendo sussistenti le indispensabili esigenze di vita richieste dall' articolo 284 c.p.p. , comma 3. Tale decisione è stata condivisa dal Tribunale del riesame con l'ordinanza impugnata, nella quale è stata rimarcata l'assenza di specifiche e indilazionabili attività che richiedano la presenza di B. al di fuori dello spazio domestico, non potendo estendersi al regime degli arresti domiciliari la norma articolo 10 dell'ordinamento penitenziario che consente al detenuto di restare all'aria aperta per almeno due ore, costituendo il paventato rischio per la salute fisica e psichica dell'imputato oggetto di una prospettazione generica ed eventuale, non suffragata da alcuna documentazione sanitaria e/o da ulteriori riscontri obiettivi, 2. Orbene, l'impostazione seguita dai giudici cautelari appare immune da censure, dovendosi richiamare in proposito la costante affermazione di questa Corte cfr. Sez. 5, numero 27971 del 01/07/2020, Rv. 279532 , secondo cui, in tema di autorizzazione ad assentarsi dal luogo degli arresti domiciliari, la valutazione in ordine alle indispensabili esigenze di vita deve essere improntata, stante l'eccezionalità della previsione di cui all' articolo 284 c.p.p. , comma 3, a criteri di particolare rigore, potendo risultare positiva solo in presenza di situazioni obiettivamente riscontrabili che impediscano al soggetto ristretto di poter far fronte in altro modo all'esigenza di vita rappresentata. Tali situazioni peculiari nel caso di specie non risultano nè comprovate nè dedotte, avendo la difesa evocato in termini ipotetici una possibile compressione del diritto alla salute , che invero non può essere implicita nella prolungata permanenza obbligata dell'imputato tra le mura domestiche, tanto più che, come sottolineato dal Tribunale, non consta che le condizioni dell'immobile in cui vive il ricorrente siano tali da rendere insalubre la sua costante presenza in casa. A ciò peraltro deve aggiungersi che il titolo di reato per cui si procede D.P.R. numero 309 del 1990, articolo 74 prevede una presunzione di adeguatezza della misura di massimo rigore, per cui già l'applicazione degli arresti domiciliari costituisce una scelta premiale dell'imputato, essendo un'autorizzazione generale ad allontanarsi ogni giorno dal domicilio, in assenza di specifiche esigenze personali, idonea a vanificare in modo significativo le esigenze cautelari anch'esse oggetto di presunzione relativa sottese all'imposizione della misura. 3. In definitiva, in quanto sorretta da considerazioni pertinenti e non manifestamente illogiche, l'ordinanza impugnata non presta il fianco alle obiezioni difensive, formulate in termini non adeguatamente specifici, per cui il ricorso proposto nell'interesse di B. deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto infine della sentenza della Corte costituzionale numero 186 del 13 giugno 2000 , e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Motivazione semplificata.