Reato continuato, la contiguità spazio-temporale non costituisce un dato “neutro”

In tema di reato continuato, «la contiguità spazio-temporale, sebbene non possa assurgere al ruolo di elemento necessario e, se mancante, ostativo al riconoscimento della continuazione, tuttavia costituisce pur sempre un “indicatore” della sussistenza o meno di un unico proposito e disegno criminoso, e nient’affatto un dato “neutro”».

La Corte d'Appello di Firenze, quale giudice dell'esecuzione, rigettava l'istanza proposta da un imputato ritenuto responsabile per il reato di riciclaggio e cessione illecita di sostanze stupefacenti , il quale aveva chiesto l'applicazione della continuazione criminosa tra i fatti di reato giudicati. L'accusato ricorre, quindi, in Cassazione deducendo, tra i vari motivi, la violazione di legge in relazione al mancato rispetto del vincolo di rinvio, sottolineando che «l'intervento di una causa estintiva della pena non esclude l'interesse del condannato al riconoscimento della continuazione in relazione al reato per il quale è stata irrogata la sanzione condonata, avrebbe imposto al giudice dell'esecuzione di riconoscere la continuazione e, successivamente, sulla pena finale ricalcolata ex articolo 81 c.p.p. di applicare il beneficio del condono nella misura massima di tre anni di reclusione ed ero 10000 di multa». La doglianza è inammissibile. Nel caso di specie, la distanza temporale tra i fatti giudicati, in relazione ai quali il condannato ha chiesto la continuazione, «non è stata considerata di per sé sola ma insieme ad altri elementi concreti». E la Suprema Corte specifica che, in tema di reato continuato, «la contiguità spazio-temporale, sebbene non possa assurgere al ruolo di elemento necessario e, se mancante, ostativo al riconoscimento della continuazione, tuttavia costituisce pur sempre un “indicatore” della sussistenza o meno di un unico proposito e disegno criminoso, e nient'affatto un dato “neutro”», come invece affermato dal ricorrente.

Presidente Vesssichelli – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. La Corte d'Appello di Firenze, quale giudice dell'esecuzione, in seguito ad annullamento della Prima Sezione Penale sentenza numero 4786 del 2021 , ha rigettato l'istanza del 3.5.2019, proposta da L.P.M. , volta a chiedere l'applicazione della continuazione criminosa tra i fatti di reato giudicati con la sentenza del 24.2.2005 della Corte d'Appello di Roma irrevocabile il 23.3.2006, relativa al reato di riciclaggio commesso il 23.8.1996 e che ha inflitto condanna nei suoi confronti alla pena di anni due e mesi otto di reclusione, oltre 750 Euro di multa e quelli giudicati con sentenza del 23.1.2015 della Corte d'Appello di Firenze irrevocabile il 18.10.2018, relativa al reato di cessione illecita di sostanze stupefacenti, commesso tra gennaio 1999 e gennaio 2000, con condanna alla pena di anni sei di reclusione e 40.000 Euro di multa . La Corte ha ritenuto insussistente la prova dell'unitarietà del disegno criminoso, presupposto per il riconoscimento della continuazione, alla luce di alcuni indicatori negativi la distanza di tempo intercorsa tra i fatti di reato oggetto delle sentenze passate in giudicato l'assenza di un collegamento tra essi, poiché il riciclaggio riguardava la sostituzione della targa dell'autovettura di proprietà dell'istante e non era plausibile, quindi, che la finalità perseguita dal condannato fosse quella, unica, di ricavare denaro contante per finanziare l'attività di spaccio, anche alla luce del fatto che la predetta sostituzione non rivelava neppure una qualche sicura finalizzazione ad un profitto economico. 2. Ha proposto ricorso l'istante, tramite il difensore, deducendo tre distinti motivi di censura. 2.1. La prima ragione difensiva eccepisce vizio di violazione di legge in relazione al mancato rispetto del vincolo di rinvio. La tesi del ricorrente è che la sentenza rescindente, ribadendo il principio secondo cui l'intervento di una causa estintiva della pena non esclude l'interesse del condannato al riconoscimento della continuazione in relazione al reato per il quale è stata irrogata la sanzione condonata, avrebbe imposto al giudice dell'esecuzione di riconoscere la continuazione e, successivamente, sulla pena finale ricalcolata ex articolo 81 cpv. c.p., di applicare il beneficio del condono nella misura massima di tre anni di reclusione ed Euro 10000 di multa. 2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge e vizio di carenza di motivazione in relazione alla specificità degli argomenti difensivi addotti in istanze e memorie, volti a provare che esisteva un unico disegno nell'agire criminoso del ricorrente, dato dalla finalità di ricavare denaro contante per poi finanziare nel tempo l'attività di spaccio. 2.3. Il terzo argomento di censura evidenzia vizio di violazione di legge e di motivazione rispetto al dettato dell'articolo 671 c.p., in base al quale non vi sono preclusioni per il giudice dell'esecuzione nel rimodulare la pena complessiva sarebbe stata omessa la valutazione effettiva della sussistenza di un unico disegno criminoso che colleghi i delitti commessi dal ricorrente, puntando su un dato non essenziale e neutro, quale la distanza temporale tra i fatti oggetto delle sentenze passate in giudicato. 3. Il Sostituto Procuratore Generale, Lucia Odello, ha chiesto l'inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato e, a tratti, anche generico. 2. Il primo motivo è del tutto fuori fuoco. La Prima Sezione Penale della Corte di cassazione - annullando, con la sentenza numero 4786 del 2021, l'ordinanza della Corte d'Appello di Firenze del 10.9.2019, con cui il giudice dell'esecuzione aveva dichiarato non luogo a provvedere sull'istanza del condannato, sulla base del rilievo che, in data 26/6/2014, con ordinanza del Tribunale di Velletri, veniva interamente condonata la pena principale che era stata inflitta con la sentenza emessa dal Tribunale di Velletri il 10 dicembre 2002, poi confermata dalla sentenza 24.2.2005 della Corte d'Appello di Roma, divenuta irrevocabile nei confronti del ricorrente - ha riaffermato il condiviso principio di diritto, in base al quale l'intervento di una causa estintiva della pena non esclude l'interesse del condannato al riconoscimento della continuazione in relazione al reato per il quale è stata irrogata la sanzione condonata Sez. 1, numero 42905 del 02/10/2013, Cucca, Rv. 257162 Sez. 1, numero 5097 del 22/09/1999, D'Ambrosio, Rv. 214388 . Ciò posto, la Cassazione ha chiarito che l'ordinanza poi annullata, emessa dal giudice dell'esecuzione, non aveva rispettato il suddetto principio di diritto, perché aveva affermato erroneamente la sussistenza di una preclusione al riconoscimento della continuazione, in conseguenza del pregresso condono di una delle pene inflitte per i reati oggetto dell'istanza, mentre avrebbe dovuto valutare, nel merito, se sussistessero gli elementi dimostrativi del vincolo fra gli indicati reati, dedotto dall'istante. La sentenza rescindente, in altre parole, ha stigmatizzato la palese erroneità dell'impostazione del primo giudice dell'esecuzione, il quale aveva ritenuto di non pronunciarsi sull'istanza del ricorrente, dichiarando il non luogo a provvedere, sul presupposto fallace che il condono di una delle pene in relazione alle quali era richiesta l'applicazione della continuazione impedisse la pronuncia in tema di reato continuato. Ed invece, come precisato dalla Prima Sezione Penale, l'orientamento corretto e dominante nella giurisprudenza di legittimità ritiene che l'intervento di una causa estintiva della pena non esclude l'interesse del condannato al riconoscimento della continuazione in relazione al reato per il quale è stata irrogata la sanzione condonata oltre alle già citate Sez. 1, numero 42905 del 02/10/2013, Cucca, Rv. 257162 e Sez. 1, numero 5097 del 22/09/1999, D'Ambrosio, Rv. 214388 la stessa sentenza di annullamento è stata, poi, massimata, con gli estremi Sez. 1, numero 4786 del 27/10/2020, dep. 2021, Rv. 280801 . Orbene, la sentenza di annullamento si era semplicemente limitata ad affermare il principio predetto in relazione al caso deciso, indicando al giudice del rinvio l'obbligo di rivalutare il merito della richiesta di applicazione della continuazione, al netto dell'errore e, dunque, senza preclusioni di sorta nè nel senso di riconoscere il vincolo ex articolo 81 cpv. c.p., nè con la finalità di escluderlo. Il provvedimento rescissorio, in ossequio al vincolo ricevuto, del tutto logicamente e correttamente non ha più considerato l'argomento errato, che era costato l'annullamento della prima ordinanza, pronunciandosi direttamente, così come imposto dalle indicazioni di rinvio ex articolo 627 c.p.p., sulla sussistenza o meno di un'ipotesi di continuazione nel caso di specie. 2.1. Anche il secondo ed il terzo motivo sono manifestamente infondati, potendo essere, peraltro, trattati unitariamente in ragione del fatto che attaccano, in ultima analisi, l'adeguatezza delle argomentazioni in base alle quali la Corte d'Appello, quale giudice dell'esecuzione, ha ritenuto insussistente il vincolo della continuazione tra le sentenze al centro dell'istanza proposta dal ricorrente, valutando la mancanza di prova del presupposto della medesimezza del disegno criminoso tra i fatti di reato giudicati con le due pronunce passate in giudicato la sentenza del 11.12.2008, emessa dal Tribunale di Lucca, parzialmente riformata dalla Corte di appello di Firenze con sentenza del 23 gennaio 2015, divenuta irrevocabile il 18 ottobre 2018, decisioni in forza delle quali il prevenuto risultava condannato alla pena di sei anni di reclusione ed Euro 40.000,00 di multa per il reato di cui agli articolo 81 c.p., comma 1, e D.P.R. numero 309 del 1990, articolo 73, commi 1 e 4, commesso in OMISSIS dal gennaio 1999 al gennaio 2000 la sentenza emessa dal Tribunale di Velletri il 10.12.2002, confermata dalla Corte di appello di Roma con sentenza del 24 febbraio 2005, divenuta irrevocabile il 23 marzo 2006, decisioni in forza delle quali il prevenuto risultava condannato alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed Euro 750,00 di multa per il reato di cui all'articolo 648 bis c.p., commesso in XXXXXX il 23 agosto 1996 . Invero, le argomentazioni del rigetto utilizzate dal giudice del rinvio non sono carenti nè sotto il profilo dell'obbligo di motivazione in generale, nè tantomeno alla luce del dettato dell'articolo 671 c.p I giudici d'appello, infatti, hanno ben spiegato che il vago riferimento difensivo alla necessità per il ricorrente di procurarsi risorse economiche utili far fronte alla prosecuzione della sua attività criminale principale di spaccio di sostanze stupefacenti, da un lato, si innestava su fatti commessi a notevole distanza di tempo tra loro, di talché non era neppure facilmente ipotizzabile, sotto tale profilo temporale, un collegamento finalistico tra la prima e la seconda condotta dall'altro, si rivelava di scarsa plausibilità, per l'atteggiarsi concreto del delitto di riciclaggio oggetto della prima condanna, configurato dalla sostituzione di targhe dell'autovettura di proprietà del ricorrente, neppure chiaramente rivelatrice di una qualche sicura finalità di profitto economico. Del resto, è noto che il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l'omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, ed inoltre del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi siano stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i delitti susseguenti risultino comunque frutto di determinazione estemporanea Sez. U, numero 28659 del 18/5/2017, Gargiulo, Rv. 270074 . Dunque, può affermarsi il principio secondo cui, in tema di reato continuato, la contiguità spazio-temporale, sebbene non possa assurgere al ruolo di elemento necessario e, se mancante, ostativo al riconoscimento della continuazione, tuttavia costituisce pur sempre un indicatore della sussistenza o meno di un unico proposito e disegno criminoso, e nient'affatto un dato neutro , come invece affermato dal ricorrente. Nel caso di specie, la distanza temporale tra i fatti giudicati, in relazione ai quali si chiede la continuazione, non è stata considerata di per sé sola, ma insieme ad altri elementi concreti ed ha fatto parte di quel giudizio complessivo, basato su fattori diversi, che le stesse Sezioni Unite indicano come il processo valutativo migliore per giungere ad una decisione in merito alla sussistenza o meno del vincolo ex articolo 81 cpv. c.p Il ricorso, dunque, si rivela anche generico, là dove non evidenzia specificamente alcuno degli indicatori che la giurisprudenza di questa Corte valuta utili ad esprimere l'unitario disegno criminoso e, quindi, il reato continuato, ma si limita, piuttosto, a ripetere le ragioni dell'appello, circoscritte all'evocazione di una generale finalità di reperimento di risorse economiche da investire nell'attività di spaccio di sostanze stupefacenti, sottovalutando gli argomenti contrari opposti dalla Corte d'Appello. 3. Alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità cfr. sul punto Corte Cost. numero 186 del 2000 , al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000 P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.