La Cassazione sulla decadenza dalla richiesta di adeguamento o ricalcolo della pensione

In riferimento alla richiesta di adeguamento o ricalcolo di prestazioni pensionistiche parzialmente già riconosciute, la decadenza riguarda solo le differenze sui ratei maturati precedenti il triennio.

La Corte d'Appello di Lecce confermava la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato un pensionato decaduto dall'azione giudiziaria per il periodo precedente il 7 settembre 2008 ed aveva dichiarato il diritto del medesimo ad ottenere il ricalcolo della pensione diretta, con gli incrementi di cui agli articolo 4 l. numero 140/1985 e articolo 1 l. numero 59/1991. La sentenza era stata impugnata, in via principale, dall'INPS, relativamente alla mancata applicazione della decadenza disposta dall'articolo 47 d.P.R. numero 639/1970 anche per il periodo successivo a quello indicato in sentenza e sul presupposto che il primo giudice avesse male interpretato l'articolo 38 l. numero 111/2011. La Corte d'Appello ha condiviso l'interpretazione del primo giudice relativa all'articolo 38 d.l. numero 98/2011 conv. in l. numero 111/2011, già in vigore al momento di presentazione della domanda giudiziaria, ed ha fatto applicazione del meccanismo di decadenza ivi previsto, trattandosi di domanda di ricalcolo di prestazione pensionistica già riconosciuta, nei limiti del triennio anteriore alla data di deposito dell'atto introduttivo del giudizio. Gli eredi del pensionato ricorrono in Cassazione, lamentandosi dell'errata interpretazione ed applicazione dell'articolo 47 d.P.R. numero 639/1970 come modificato dall'articolo 38 d.l. numero 98/2011 conv. in l. numero 111/2011 e l'omessa applicazione dell'articolo 436 c.p.c. ad avviso dei ricorrenti, a fronte dell'introduzione di due distinte forme di decadenza processuale, una triennale, relativa ai trattamenti pensionistici, ed una annuale, relativa alle prestazioni temporanee dei lavoratori dipendenti, già soggette a decadenza annuale, l'articolo 38 d.l. numero 98/2011 riguarderebbe le ipotesi di adempimento parziale delle prestazioni temporanee, in quanto le prestazioni pensionistiche godrebbero di una garanzia costituzionale, come esplicitato dalla giurisprudenza di legittimità formatasi prima dell'entrata in vigore del citato articolo 38 d.l. numero 98/2011. Il ricorso è infondato. La Corte di Cassazione, infatti, afferma che in riferimento alla richiesta di adeguamento o ricalcolo di prestazioni pensionistiche parzialmente già riconosciute, la decadenza riguardi, in considerazione della natura della prestazione, solo le differenze sui ratei maturati precedenti il triennio dalla domanda giudiziale. Sul punto, la Suprema Corte ha già avuto modo di chiarire che in tema di ricalcoli pensionistici, l'intento del legislatore è quello di incidere unicamente sui ratei pregressi, e tale interpretazione trova conferma anche dalla relazione che accompagna l'articolo 38, dove si afferma che, a differenza del diritto al trattamento pensionistico di per sé imprescrittibile, il diritto ai singoli ratei è considerato soggetto a prescrizione in quanto considerato dalla giurisprudenza di contenuto esclusivamente patrimoniale, periodicamente risorgente e limitatamente disponibile tale interpretazione, inoltre, è in linea con i principi affermati dalla Corte Costituzionale, che ha sempre ritenuto il diritto a pensione come diritto fondamentale, irrinunciabile, imprescrittibile e non sottoponibile a decadenza Corte  Cost., numero 71/2010 . L'applicazione della decadenza della domanda di riliquidazione ai soli ratei pregressi oltre il triennio e non all'intera pretesa del privato, pertanto, attua un giusto equilibrio tra il diritto alla pensione e l'obiettivo decorso del tempo assicurato dalla decadenza mobile, che comunque sanziona il pensionato in modo significativo con la perdita dell'integrazione dei ratei ultra-triennali rispetto alla domanda giudiziale. Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso.

Presidente Berrino – Relatore Calafiore Fatti di causa Con sentenza depositata il 19.6.2015, la Corte d'appello di Lecce, rigettando l'appello principale proposto dall'INPS e quello incidentale proposto dagli eredi di T.S. , ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato T.S. decaduto dall'azione giudiziaria per il periodo precedente il 7 settembre 2008 ed aveva dichiarato il diritto del medesimo ad ottenere - a decorrere da detta data - il ricalcolo della pensione diretta, categoria IOS, con gli incrementi di cui alla L. numero 140 del 1985, articolo 4 e L. numero 59 del 1991, articolo 1 e condannato l'INPS al pagamento in suo favore di Euro 12.058,96, detratte le somme già eventualmente corrisposte per il medesimo titolo, oltre accessori e spese di giudizio. Tale sentenza era stata impugnata, in via principale, dall'Inps, relativamente alla mancata applicazione della decadenza disposta dal D.P.R. numero 639 del 1970, articolo 47 anche per il periodo successivo a quello indicato in sentenza e sul presupposto che il primo giudice avesse male interpretato la L. numero 111 del 2011, articolo 38 ed, in via incidentale, dagli eredi del T. nelle more deceduto, quanto alla parziale decadenza ed alla compensazione delle spese. La Corte d'appello ha condiviso l'interpretazione del primo giudice relativa al D.L. numero 98 del 2011, articolo 38 conv. in L. numero 111 del 2011, già in vigore al momento di presentazione della domanda giudiziaria, ed ha fatto applicazione del meccanismo di decadenza ivi previsto trattandosi di domanda di ricalcolo di prestazione pensionistica già riconosciuta, nei limiti del triennio anteriore alla data di deposito dell'atto introduttivo del giudizio. Avverso tale pronuncia T.R. e Ro., quali i eredi di T.S., hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura. L'INPS ha depositato procura speciale. Ragioni della decisione Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano violazione dell'articolo 436 c.p.c., per avere la Corte di merito definito alla pagina 2 rigo 15 e 16 della sentenza tardivo l'appello incidentale da loro proposto, pur se la memoria di costituzione che lo conteneva era stata tempestivamente depositata. Gli stessi ricorrenti riconoscono che tale indicazione, sebbene erronea, “ pur se priva di effetti pratici, nella realtà potrebbe generare dubbi di interpretazione ed un eventuale passaggio in giudicato di tale statuizione ”. Con il secondo e terzo motivo, che vengono rubricati separatamente ma illustrati unitariamente, i ricorrenti lamentano l'errata interpretazione ed applicazione del D.P.R. numero 639 del 1970, articolo 47 come modificato dal D.L. numero 98 del 2011, articolo 38 conv. in L. numero 111 del 2011 e l'omessa applicazione dell'articolo 436 c.p.c. A loro avviso, posto che il legislatore con il D.L. numero 384 del 1992 conv. in L. numero 438 del 1992 aveva introdotto due distinte forme di decadenza processuale una triennale, relativa ai trattamenti pensionistici, ed una annuale, relativa alle prestazioni temporanee dei lavoratori dipendenti indennità di disoccupazione involontaria, indennità contro la tubercolosi, cassa integrazione guadagni etc , già soggette a decadenza annuale, il D.L. numero 98 del 2011, articolo 38 cit. non potrebbe che riguardare le ipotesi di adempimento parziale delle prestazioni temporanee, in quanto le prestazioni pensionistiche, uniche per tale carattere, godrebbero di una garanzia costituzionale, come esplicitato dalla giurisprudenza di legittimità formatasi prima dell'entrata in vigore del D.L. numero 98 del 2011, citato articolo 38. Inoltre, dopo aver richiamato i contenuti della sentenza numero 69 del 2014 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l'incostituzionalità del D.L. numero 98 del 2011, articolo 38, comma 4 là dove ne prevedeva l'applicazione anche ai giudizi pendenti, i ricorrenti richiamano il contenuto dell'articolo 416 c.p.c. e ne denunciano la violazione, ritenendo che i giudici del merito avrebbero dovuto solo ritenere applicabile l'istituto della prescrizione ordinaria. Il primo motivo è inammissibile per carenza di interesse ad impugnare, dovendosi ribadire che, vd. Cass. numero 594 del 2016 il principio contenuto nell'articolo 100 c.p.c., secondo il quale per proporre una domanda o per resistere ad essa è necessario avervi interesse, si applica anche al giudizio di impugnazione, in cui l'interesse ad impugnare una data sentenza o un capo di essa va desunto dall'utilità giuridica che dall'eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone e non può consistere nella sola correzione della motivazione della sentenza impugnata ovvero di una sua parte. Nel caso di specie, l'aver qualificato come tardivo l'appello incidentale non ha comportato alcun effetto pratico come anche i ricorrenti hanno rilevato , posto che la sentenza ha deciso nel merito l'impugnazione incidentale, per cui è evidente la totale carenza di interesse relativa al motivo in esame. I due successivi motivi, da trattare congiuntamente, sono infondati. La sentenza impugnata ha applicato la disciplina della decadenza triennale ai soli ratei maturati prima del triennio antecedente alla proposizione della domanda giudiziaria in coerenza con gli arresti più recenti di questa Corte di legittimità. La recente Cass. 17/06/2021, numero 17430, sulla scorta di Cass. numero 28416 del 14/12/2020 ha avuto modo di applicare come già espresso da Cass. nnumero 7756 del 2016, 16661 del 2018, 3580 del 2019 e 29754 del 2019 i principi e le ragioni enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza numero 15352 del 2015 in tema di emotrasfusioni, in relazione ai termini introdotti dalla L. numero 238 del 1997, articolo 1, comma 9, per la domanda volta al conseguimento dell'indennizzo da vaccinazioni o di epatiti post trasfusionali e pensioni da HIV ed ha ritenuto applicabile il nuovo termine anche per i fatti pregressi, ma a decorrere dall'entrata in vigore delle nuove disposizioni. Il termine di decadenza, introdotto dal D.L. numero 98 del 2011, articolo 38, comma 1, lett. d , numero 1 , convertito in L. numero 111 del 2011, con riguardo alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l'adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito , decorrente dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte , trova applicazione anche con riguardo a prestazioni già liquidate, ma solo a decorrere dall'entrata in vigore della citata disposizione. La questione, di diritto transitorio, ha riguardato l'incidenza su una situazione ancora pendente della legge sopravvenuta, che ha introdotto ex novo un termine di decadenza. Si è escluso che la nuova previsione di un termine di decadenza possa avere effetto retroattivo, facendo decorrere il termine prima dell'entrata in vigore della legge che l'abbia istituito, e si è affermato, conformemente aì principi generali dell'ordinamento in materia di termini, che, ove una modifica normativa introduca un termine di decadenza prima non previsto, la nuova disciplina si applichi anche alle situazioni soggettive già in essere, ma la decorrenza del termine viene fissata con riferimento all'entrata in vigore della modifica legislativa. Si è precisato che tale soluzione realizza il bilanciamento tra il fine sollecitatorio perseguito dal legislatore con l'introduzione del termine decadenziale, ed il fine di tutelare l'interesse del privato, onerato della decadenza, a non vedersi addebitare un comportamento inerte allo stesso non imputabile Cass. numero 13355 del 2014 . Inoltre, la decadenza è evitata dalla proposizione dell'azione giudiziaria, stante il tenore letterale della norma ed essendo questo l'atto il cui compimento va effettuato nel termine e dunque - secondo i principi generali in materia di decadenza - il solo atto che possa impedire la decadenza. Secondo i principi generali, poi, la decadenza - una volta maturata - copre ogni questione, e dunque inibisce la riliquidazione ulteriore, quale che sia la ragione invocata dalla parte alla base della stessa. Nel presente giudizio si dibatte sulla possibilità, in riferimento alla richiesta di adeguamento o ricalcolo di prestazioni pensionistiche parzialmente già riconosciute, che la decadenza riguardi, in considerazione della natura della prestazione, solo le differenze sui ratei maturati precedenti il triennio ovvero, in generale, ogni differenza comunque dovuta per il titolo in relazione al quale è richiesto l'adeguamento o il ricalcolo orbene, il dibattito è stato risolto nel primo senso. Se, infatti, la decadenza definisce una volta per tutte, anche nell'interesse della stabilità dei conti pubblici, l'ammontare della prestazione da erogare, essa è però ipotizzabile solo in quei casi in cui la prestazione nel suo nucleo essenziale sia comunque riconosciuta e mantenuta, trattandosi di prestazione costituzionalmente protetta ed imprescrittibile. Ciò deriva dalla lettera delle disposizioni applicabili, posto che l'articolo 47, comma 6, estende alle azioni di riliquidazione i commi 2 e 3, in relazione ai quali il D.L. 29 marzo 1991, numero 103, articolo 6, convertito in L. 1 giugno 1991, numero 166, chiarisce che il decorso dei termini previsti dal citato D.P.R. numero 639 del 1970, articolo 47, commi 2 e 3, determina l'estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e l'inammissibilità della relativa domanda giudiziale , precisando poi che in caso di mancata proposizione del ricorso amministrativo i termini decorrono dall'insorgenza del diritto ai singoli ratei. In relazione alla natura del termine decadenziale in genere, esso è stato riferito ai singoli ratei vedi Cass. 13104 del 2003 numero 152 del 1999 numero 2364 del 2004 , in ragione della loro autonoma cadenza temporale. L'articolo 6 non riguarda però solo la domanda di pensione, e dunque il caso in cui la pensione sia negata in toto, ma ha portata generale, potendo dunque applicarsi anche alla domanda di riliquidazione. Ciò è confermato proprio dal D.L. numero 98 del 2011, articolo 38, che ha modificato la disciplina del 1970, sia aggiungendo all'articolo 47 un comma 2 cui le decadenza si applica alle azioni giudiziarie avente oggetto l'adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito, sia aggiungendo dopo l'articolo 47 un articolo 47 bis, a norma del quale si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronuncia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui alla L. 9 marzo 1988, numero 88, articolo 24, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni . L'intento del legislatore, anche in tema di ricalcoli pensionistici, è dunque quello di continuare a incidere unicamente sui ratei pregressi e tale interpretazione trova conferma anche dai lavori preparatori e dalla relazione che accompagna l'articolo 38, dove si afferma che a differenza del diritto al trattamento pensionistico di per sé imprescrittibile, il diritto ai singoli reati è considerato soggetto a prescrizione in quanto considerato dalla giurisprudenza di contenuto esclusivamente patrimoniale, periodicamente risorgente e limitatamente disponibile. L'interpretazione che limita ai ratei l'applicazione dei termini di prescrizione e decadenza anche nel caso di riliquidazioni è in linea con i principi affermati in materia dalla Corte Costituzionale, che ha sempre ritenuto il diritto a pensione come diritto fondamentale, irrinunciabile, imprescrittibile e non sottoponibile a decadenza, in conformità di principio costituzionalmente garantito che non può comportare deroghe legislative tra le altre, Corte Costituzionale 26 febbraio 2010, numero 71 Corte Costituzionale 22 luglio 1999, numero 345 Corte Costituzionale 15 luglio 85, numero 203 . Una diversa interpretazione che applicasse la decadenza all'intera pretesa di rideterminazione travolgendo i ratei futuri ed infra triennali sarebbe del resto incompatibile con la Costituzione tutte le volte in cui la misura della prestazione riconosciuta o pagata non salvaguardi il nucleo essenziale della prestazione, come nel caso che solo una parte esigua della prestazione sia riconosciuta e pagata dall'ente previdenziale. Per tali casi, ritenere il diritto alle differenze pensionistiche perduto per decadenza comporterebbe di fatto la vanificazione del diritto alla pensione, in netto contrasto con l'articolo 38 Cost. Sarebbe peraltro non agevole individuare per ciascuna prestazione periodica , in difetto di criteri legali o costituzionali espliciti, quale sia il nucleo essenziale della prestazione pensionistica non comprimibile. L'applicazione della decadenza della domanda di riliquidazione ai soli ratei pregressi oltre il triennio e non all'intera pretesa del privato attua del resto un giusto equilibrio tra il diritto alla pensione e l'obiettivo decorso del tempo assicurato dalla decadenza mobile, che comunque sanziona il pensionato in modo significativo con la perdita dell'integrazione dei ratei ultra triennali rispetto alla domanda giudiziale. Per converso alcun bilanciamento tra gli opposti interessi sarebbe assicurato dall'accoglimento della tesi opposta, che produrrebbe una pensione decurtata per sempre in modo contra legem, con effetto completamente ablativo del diritto alle differenze a fronte di una situazione di ignoranza del pensionato all'esatto importo della prestazione, che potrebbe protrarsi per anni e con incidenza normale rilevante su una situazione soggettiva costituzionalmente protetta. Può dunque affermarsi che, in riferimento alla richiesta di adeguamento o ricalcolo di prestazioni pensionistiche parzialmente già riconosciute, la decadenza riguardi, in considerazione della natura della prestazione, solo le differenze sui ratei maturati precedenti il triennio dalla domanda giudiziale. La sentenza impugnata si è attenuta ai principi su estesi ed il ricorso va, dunque, rigettato. Nulla va pronunciato sulle spese ex articolo 152 att. c.p.c. avendo il ricorrente rilasciato la prescritta dichiarazione di esonero. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.