«In tema di protezione complementare di diritto nazionale, di protezione umanitaria in regime transitorio o di protezione speciale introdotta dal d.l. n.130/2020, convertito con modificazioni dalla l. n.173/2020, sul giudice del procedimento incombe il dovere di cooperazione istruttoria, che attiene alla prova dei fatti e non alla loro allegazione, previsto in tema di esame delle domande di protezione internazionale […]».
In una controversia relativa la richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, il Supremo Collegio ha ritenuto necessario enunciare il seguente principio di diritto «In tema di protezione complementare di diritto nazionale, di protezione umanitaria in regime transitorio o di protezione speciale introdotta dal d.l. numero 130/2020, convertito con modificazioni dalla l. numero 173/2020, sul giudice del procedimento incombe il dovere di cooperazione istruttoria, che attiene alla prova dei fatti e non alla loro allegazione, previsto in tema di esame delle domande di protezione internazionale, ai sensi dell'art.4 della Direttiva CE 13.12.2011 numero 95, dell'art.3 del d.lgs. numero 251/2007, dell'art.8, d.lgs. numero 25/2008 e dell'art.35-bis, comma 9, e 27, comma 1-bis, dello stesso d.lgs. numero 25/2008, limitatamente alle circostanze concernenti la situazione sociale, economica o politica del Paese di provenienza del richiedente e non, quindi, relativamente alle circostanze attinenti alla integrazione sociale, culturale, lavorativa e familiare del richiedente asilo in Italia».
Presidente Genovese – Relatore Scotti Fatti di causa 1. Con ricorso D.Lgs. numero 25 del 2008, ex articolo 35, A.M., cittadino del Pakistan, ha adito il Tribunale di Venezia impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria. Il ricorrente aveva riferito di aver lasciato il proprio Paese a causa delle persecuzione subita dai famigliari di un ragazzo ucciso da suo fratello che suo fratello, insegnante, nel 2005 era stato ricattato da un allievo a causa della relazione intrattenuta con altra insegnante e ostacolata dalle diverse condizioni economiche e dalla diversità di casta, e aveva ucciso l'allievo ricattatore, finendo in carcere che i famigliari del morto volevano vendetta e per questo nel 2009 lo avevano fatto ferire per strada a una gamba di essere andato dal 2010 al 2015 in Sudafrica e che tuttavia al suo ritorno la situazione non era cambiata. Con ordinanza del 12.3.2018 il Tribunale di Venezia ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria. 2. L'appello proposto da A.M. è stato rigettato dalla Corte di appello di Venezia, con aggravio di spese, con sentenza del 3.2.2020. 3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso A.M., con atto notificato il 5.10.2020, svolgendo tre motivi. L'intimata Amministrazione dell'Interno si è costituita solo con memoria 13.11.2020 al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale. Ragioni della decisione 1. Il secondo e il terzo motivo meritano esame preliminare rispetto al primo, attinente alla protezione complementare umanitaria di diritto nazionale, per ragioni di priorità logico giuridica. 2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., numero 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all'articolo 14, lett. c , per assenza di fonti informative idonee. 2.1. Il motivo è inammissibile perché inficiato da genericità e riversato nel merito per richiedere a questa Corte, giudice di legittimità, una rivalutazione dei fatti e delle prove, compiuta dal giudice di merito, che ha debitamente consultato e citato le fonti informative a sostegno della propria valutazione. 2.2. Il ricorrente lamenta la mancata considerazione di documenti prodotti con ricorso e atto di appello, senza neppure indicarli e tantomeno dar conto del loro contenuto, con il conseguente vizio di autosufficienza. 2.3. La censura relativa al non adeguato aggiornamento delle fonti citate peraltro del tutto relativo, visto che vengono citate fonti del 2018 in un provvedimento deliberato a novembre del 2019 non è sorretta dall'indicazione e dalla documentazione delle ragioni del loro superamento. 2.4. Il fatto che alcuni link menzionati dalla Corte di appello non funzionerebbero costituisce mera labiale e comunque generica contestazione. 3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., numero 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all'articolo 116 c.p.c., comma 1, D.Lgs. numero 251 del 2007, articolo 3, comma 3 e al D.Lgs. numero 25 del 2008, articolo 8, comma 3. 3.1. Il ricorrente lamenta la mancata applicazione del principio dell'onere probatorio attenuato e delle regole legali di valutazione della credibilità del racconto del richiedente asilo. 3.2. La doglianza è oltremodo generica, anche nelle vaghe recriminazioni circa la durata del colloquio in sede amministrativa, e soprattutto è eccentrica rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata. Questa, infatti, non ha solamente ritenuto non credibile il racconto del ricorrente ma ha anche p. 8, pag. 8 escluso che la vicenda narrata potesse dar titolo alla protezione internazionale, trattandosi di un fatto scaturito in un contesto di criminalità comune, con affermazione andata indenne da puntuale e specifica censura. 4. Con il primo motivo di ricorso, postergato nell'esame al secondo e al terzo perché attinente alla protezione umanitaria, di natura complementare e residuale, proposto ex articolo 360 c.p.c., numero 4, il ricorrente denuncia nullità della sentenza per motivazione apparente o inesistente ex articolo 132 c.p.c., comma 2, numero 4, in relazione al D.Lgs. numero 25 del 2008, articolo 32, comma 3, D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 5, comma 6, D.P.R. numero 394 del 1999, articolo 11 e 29, D.Lgs. numero 25 del 2008, articolo 8, comma 3 bis. 4.1. Come è noto, la normativa introdotta con il D.L. numero 113 del 2018, convertito in L. numero 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui al D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 5, comma 6 e disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell'entrata in vigore 5 ottobre 2018 della nuova legge tali domande debbono, pertanto, essere scrutinate sulla base delle norme in vigore al momento della loro presentazione, ma in tale ipotesi l'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, valutata in base alle norme esistenti prima dell'entrata in vigore del D.L. numero 113 del 2018, convertito nella L. numero 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per casi speciali previsto dall'articolo 1, comma 9, del suddetto Decreto Legge. Sez. U., numero 29459 del 13.11.2019, Rv. 656062 - 01 . 4.2. La stessa sentenza delle Sezioni Unite aveva inoltre chiarito che in tema di protezione umanitaria, l'orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d'integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l'esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato Sez. U., numero 29459 del 13.11.2019, Rv. 656062 - 02 . 4.3. Occorre tuttavia tener conto dei più recenti sviluppi giurisprudenziali nella nuova prospettiva ermeneutica disegnata dalla recente sentenza delle Sezioni Unite del 9.9.2021 numero 24413. Tale pronuncia ha affermato che ai fini del riconoscimento del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve instaurarsi una relazione di proporzionalità inversa tra fatti giuridicamente rilevanti, che impone un peculiare bilanciamento tra la condizione soggettiva del richiedente asilo e la situazione oggettiva del Paese di eventuale rimpatrio il principio va ricondotto in termini generali al paradigma del modello di comparazione, c.d. attenuata resta fermo, che l'accertamento del diritto alla protezione umanitaria postula sempre, proprio per l'atipicità dei relativi fatti costitutivi, l'esigenza di procedere a valutazioni soggettive ed individuali, da svolgere caso per caso resta fermo altresì il principio che occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d'integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l'esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato tuttavia tale valutazione comparativa deve essere compiuta attribuendo alle condizioni soggettive e oggettive del richiedente nel Paese di origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano in presenza di situazioni di deprivazione dei diritti fondamentali nel Paese di origine quali la mancanza delle condizioni minime per poter soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili della vita personale, ossia quelli strettamente connessi al sostentamento ed al raggiungimento dei livelli minimi per un'esistenza dignitosa il grado di integrazione del richiedente in Italia assume una rilevanza proporzionalmente minore in situazioni di particolare gravità quali la seria esposizione alla lesione dei diritti fondamentali alla vita o alla salute, conseguente, ad esempio, a eventi calamitosi o a crisi geopolitiche che abbiano generato situazioni di radicale mancanza di generi di prima necessità può anche non assumere alcuna rilevanza l'integrazione sociale non costituisce una condicio sine qua non della protezione umanitaria, bensì uno dei possibili fatti costitutivi del diritto a tale protezione, da valutare, quando sussista, in comparazione con la situazione oggettiva e soggettiva che il richiedente ritroverebbe tornando nel suo Paese di origine, anche - con riguardo alla situazione soggettiva - sotto il profilo della permanente sussistenza di una rete di relazioni affettive e sociali in presenza di un livello elevato d'integrazione effettiva nel nostro Paese - desumibile da indici socialmente rilevanti quali la titolarità di un rapporto di lavoro pur se a tempo determinato, costituendo tale forma di rapporto di lavoro quella più diffusa, in questo momento storico, di accesso al mercato del lavoro , la titolarità di un rapporto locatizio, la presenza di figli che frequentino asili o scuole, la partecipazione ad attività associative radicate nel territorio di insediamento le condizioni oggettivi e soggettive nel Paese di origine assumono una rilevanza proporzionalmente minore in presenza di un apprezzabile livello di integrazione del richiedente in Italia, se il ritorno nel Paese d'origine rende probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall'articolo 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell'articolo 5 T.U. cit., per riconoscere il permesso di soggiorno. 4.4. La Corte di appello nella sentenza impugnata non ha menzionato l'integrazione socio-lavorativa e si è limitata a escludere l'esistenza di fattori di vulnerabilità. 4.5. Il ricorso tuttavia appare generico e non autosufficiente. Il ricorrente parla di percorso di integrazione ampio e solido si riferisce a una particolare predisposizione nello studio dell'italiano, al conseguimento di diversi attestati di abilitazione al lavoro e di volontariato, all'intreccio di forti relazioni personali, circostanze queste che sarebbero state dimostrate nei gradi precedenti menziona un rapporto lavorativo già esistente al momento dell'adozione del provvedimento si riferisce all'allegato 2 che dovrebbero essere documenti prodotti in appello. Dalla lettura del ricorso non risulta in che cosa l'integrazione consista e soprattutto non emerge quando e come tali fatti siano stati allegati e provati in giudizio cosa questa tanto più grave a fronte del silenzio della sentenza impugnata sul punto. 4.6. A pagina 10 del ricorso e sempre a proposito della protezione umanitaria, il ricorrente lamenta il mancato adempimento del dovere di cooperazione istruttoria da parte della Corte di appello. La doglianza è del tutto generica, in quanto priva di un concreto riferimento e appare comunque manifestamente infondata. 4.7. L'articolo 4 della Direttiva CE 13.12.2011 numero 95 in tema di Esame dei fatti e delle circostanze stabilisce al comma 1, che lo Stato membro è tenuto, in cooperazione con il richiedente, a esaminare tutti gli elementi significativi della domanda di protezione internazionale. In applicazione di questo principio del D.Lgs. 19 novembre 2007, numero 251, articolo 3, dispone che il richiedente è tenuto a presentare, unitamente alla domanda di protezione internazionale o comunque appena disponibili, tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la medesima domanda e che l'esame è svolto in cooperazione con il richiedente e riguarda tutti gli elementi significativi della domanda. Il D.Lgs. 28 gennaio 2008, numero 25, articolo 8, in tema di Criteri applicabili all'esame delle domande nel comma 2, stabilisce che la decisione su ogni singola domanda deve essere assunta in modo individuale, obiettivo ed imparziale e sulla base di un congruo esame della domanda effettuato ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, numero 251. Il comma 3 dello stesso articolo impone di esaminare ciascuna domanda alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall'UNHCR, dall'EASO, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa. Il D.Lgs. numero 25 del 2008, articolo 27, comma 1-bis, prevede che la Commissione territoriale, ovvero il giudice in caso di impugnazione, acquisisca, anche d'ufficio, le informazioni, relative alla situazione del Paese di origine e alla specifica condizione del richiedente, che ritiene necessarie a integrazione del quadro probatorio prospettato dal richiedente analogamente dello stesso D.Lgs. numero 25 del 2008, articolo 35 bis, comma 9, quanto alla fase giurisdizionale, prevede che per la decisione il giudice si avvalga anche delle informazioni sulla situazione socio-politico-economica del Paese di provenienza previste dall'articolo 8, comma 3 che la Commissione nazionale aggiorna costantemente e rende disponibili all'autorità giudiziaria. 4.8. La ratio dell'obbligo di cooperazione istruttoria viene tradizionalmente colta nell'esigenza di proteggere il richiedente asilo, soggetto presuntivamente debole e sradicato dal contesto sociale e culturale originario, dalle conseguenze pregiudizievoli della difficoltà di precostituirsi al momento della fuga e procurarsi successivamente le prove delle circostanze rilevanti circa i gravi rischi corsi nel Paese di origine. Il richiedente asilo, infatti, assume di essere stato costretto ad allontanarsi per sfuggire a una persecuzione imputabile alle autorità statuali, o da queste consentita, ovvero a rischi di gravi danni di condanna a morte, di tortura o di trattamenti inumani o degradanti, o alla propria incolumità fisica, in un contesto di violenza indiscriminata scaturente da un conflitto armato interno. 4.9. La giurisprudenza di questa Corte non ha mai dubitato dell'estensione del principio della cooperazione istruttoria officiosa anche con riferimento alle indagini necessarie per valutare la situazione del Paese di origine del richiedente anche in relazione alla domanda di protezione complementare di diritto nazionale. Anche molti altri ordinamenti degli Stati membri UE posseggono istituti analoghi e ciascuno segue le sue regole e i suoi presupposti il considerando articolo 15 della Direttiva numero 95 del 2011 chiarisce che la sua disciplina non si applica ai cittadini di paesi terzi o agli apolidi cui è concesso di rimanere nel territorio di uno Stato membro non perché bisognosi di protezione internazionale, ma per motivi caritatevoli o umanitari riconosciuti su base discrezionale . Dalle protezioni caritatevoli o umanitarie di diritto interno dei singoli Stati occorre tener distinta la facoltà riconosciuta agli Stati membri di stabilire o mantenere disposizioni più favorevoli, purché compatibili con la normativa dell'Unione, sia sotto il profilo sostanziale, e cioè in ordine alla determinazione dei soggetti che possono essere considerati rifugiati o persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché in ordine alla definizione degli elementi sostanziali della protezione internazionale articolo 3 della Direttiva qualifiche numero 95 del 2011 , sia sotto il profilo procedurale, in ordine alle procedure di riconoscimento e revoca dello status di protezione internazionale articolo 3 della Direttiva procedure numero 32 del 2013 . L'articolo 3, par. 3, della Direttiva numero 32 del 2013 consente infine agli Stati membri di decidere di applicare la Direttiva procedure anche nei procedimenti di esame di domande intese a ottenere qualsiasi forma di protezione che esula dall'ambito di applicazione della Direttiva qualifiche e quindi anche in relazione alle forme di tutela cosiddette caritatevoli o umanitarie di diritto interno. Tale appunto è la disciplina italiana che ha omologato le procedure per il riconoscimento della protezione internazionale e quelle per l'attribuzione della tutela complementare dinanzi alla stessa autorità giudiziaria e tendenzialmente nello stesso procedimento. 4.10. La cooperazione istruttoria, per definizione, agisce solo sul terreno della prova e circoscrive significativamente l'operatività della regola dell'onere probatorio, derogata in questa materia dal principio del cosiddetto onere probatorio attenuato , tratteggiato per la prima volta nella giurisprudenza di questa Corte dalla sentenza delle Sezioni Unite numero 27310 del 17.11.2008 che ha affermato che spetta al giudice cooperare nell'accertamento delle condizioni che consentono allo straniero di godere della protezione internazionale, acquisendo anche di ufficio le informazioni necessarie a conoscere l'ordinamento giuridico e la situazione politica del Paese di origine. 4.11. L'onere probatorio attenuato e il dovere di cooperazione istruttoria concernono la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati , come precisa inequivocabilmente del D.Lgs. numero 25 del 2008, articolo 8, comma 3. 4.12. La cooperazione istruttoria viene quindi invocata, del tutto fuor di luogo e senza base normativa, al di là di quest'ambito per evocare una sorta di generico favor per il richiedente asilo, in contrasto con il principio generale di imparzialità e neutralità del giudice. In questa prospettiva è stato osservato che il dovere di cooperazione officiosa che grava sul giudice del procedimento volto al riconoscimento della protezione internazionale riguarda il profilo istruttorio e l'assunzione di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine del richiedente e non certo le forme e le modalità di introduzione della domanda giudiziale, laddove il richiedente fruisce, eventualmente anche attraverso il patrocinio a spese dello Stato, di congrua assistenza tecnica Sez. 1, numero 22120 e 22123 entrambe del 20.1.2020 . 4.13. Il principio, alla luce della sua stessa ratio ispiratrice, non opera neppure sul piano probatorio in relazione a quelle circostanze per le quali il richiedente asilo non si trova in situazione di minorata difesa , come quelle attinenti alla sua integrazione sociale e lavorativa in Italia, rilevante ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria in regime transitorio o della nuova protezione speciale introdotta dal D.L. 21 ottobre 2020, numero 130, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, numero 173. In relazione a tali circostanze per le quali il richiedente asilo non soffre svantaggi particolari di disagio probatorio nell'accesso a documenti e informazioni, rispetto ai quali anzi si trova in posizione di vicinanza o riferibilità, non vi è nessuna ragione che giustifichi l'eccezionale deroga ai principi generali al principio di neutraliità del giudice e alla distribuzione a carico delle parti dell'onere probatorio e non vi è nessuna norma, in ogni caso, che la preveda. 4.14. Del resto la stessa sentenza delle Sezioni Unite numero 24413 del 2021 al p. 45 fa riferimento all'onere probatorio del richiedente allorché attribuisce rilievo al grado di integrazione che egli dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano . 4.15. Al riguardo il Collegio ritiene necessario enunciare il seguente principio di diritto In tema di protezione complementare di diritto nazionale, di protezione umanitaria in regime transitorio o di protezione speciale introdotta dal D.L. 21 ottobre 2020, numero 130, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, numero 173, sul giudice del procedimento incombe il dovere di cooperazione istruttoria, che attiene alla prova dei fatti e non alla loro allegazione, previsto in tema di esame delle domande di protezione internazionale, ai sensi dell'articolo 4 della Direttiva CE 13.12.2011 numero 95, D.Lgs. 19 novembre 2007, numero 251, articolo 3,D.Lgs. 28 gennaio 2008, numero 25, articolo 8 e dello stesso D.Lgs. numero 25 del 2008, articolo 35 bis, comma 9 e articolo 27, comma 1 bis, limitatamente alle circostanze concernenti la situazione sociale, economica o politica del Paese di provenienza del richiedente e non, quindi, relativamente alle circostanze attinenti alla integrazione sociale, culturale, lavorativa e familiare del richiedente asilo in Italia . 5. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile. Nulla sulle spese in difetto di rituale costituzione dell'Amministrazione, tardivamente effettuata con un atto denominato atto di costituzione , non qualificabile come controricorso, in difetto di esposizione dei motivi di diritto su cui si fonda, costituendone requisito essenziale cfr. Sez. 5, numero 17030 del 16.6.2021, Rv. 661609 - 01 Sez. 3, numero 10813 del 18.4.2019, Rv. 653584 - 01 Sez. U., numero 10019 del 10.4.2019, Rv. 653596-01 Sez. 6 - 3, numero 24835 del 20.10.2017, Rv. 645928 - 01 Sez. 6-3, numero 16921 del 7.7.2017, Rv. 644947 - 01 . P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, ove dovuto.