Riforma Orlando e ricadute in ambito disciplinare

Sussiste, anche con riguardo alla disciplina processuale anteriore all’introduzione del comma 3- bis nell’art.407 c.p.p. da parte della l. numero 103/2017, l’illecito disciplinare di cui all’art.2, comma 1, lett. q , d.lgs. numero 109/2006 nel comportamento del Pubblico Ministero che, scaduti i termini delle indagini preliminari, ritardi in maniera reiterata, grave ed ingiustificata la definizione dei procedimenti assegnatigli mediante esercizio dell’azione penale o richiesta di archiviazione.

La sentenza delle SS.UU. qui in esame numero 37017, depositata il 26.11.2021 si è occupata tra le altre cose dell'impatto della riforma Orlando sulla materia disciplinare. Il caso. La Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura assolveva un magistrato all'epoca dei fatti Pubblico Ministero che era stato incolpato per aver asseritamene omesso, senza giustificato motivo di disporre indagini ovvero richiedere proroghe o comunque definire alcuni di procedimenti di definire altri procedimenti di dare disposizioni alla segreteria in ordine alla registrazione di varie notizie di reato. Come accennato, la Sezione Disciplinare assolveva l'incolpato, tra l'altro, per scarsa rilevanza del fatto, ovvero per essere rimasti esclusi gli addebiti. Una sentenza articolata e ricca di spunti interessanti. La decisione qui segnalata è piuttosto articolata e ricca di molti spunti interessanti, per cui è doveroso anzitutto un rinvio alla stessa perché appunto merita di essere attestatamene scrutinata. Per quanto qui di interesse pare utile porre in evidenza una delle tante tematiche esaminate dalle SS.UU. La specifica violazione disciplinare oggetto di sentenza. Anzitutto va precisato che la contestazione in oggetto riguardava l'illecito disciplinare di cui all'articolo 2, comma 1, lett. q d. lgs. numero 109/2006. Specifica previsione secondo cui ricordato che come stabilito dal 1° comma della disposizione menzionata, «il magistrato esercita le funzioni attribuitegli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio e rispetta la dignità della persona nell'esercizio delle funzioni» -, «il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni si presume non grave, salvo che non sia diversamente dimostrato, il ritardo che non eccede il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell'atto». La fattispecie e l'astratta applicabilità della lett. q dell'articolo 2, comma 1, d. lgs. numero 109/2006. I Giudici di legittimità non condividono la principale ed assorbente ragione decisoria fatta propria dalla Sezione Disciplinare, secondo cui il ritardo del Pubblico Ministero con riguardo alla disciplina anteriore alla l. numero 103/2017 non potrebbe rientrare neppure “astrattamente” cioè mai ed in nessun modo nella previsione disciplinare di cui alla ricordata lett. q dell'articolo 2, comma 1, d. lgs. numero 109/2006. Infatti, tale conclusione viene considerata in contrasto i con i principi costituzionali che devono presiedere all'interpretazione delle disposizioni in materia ii con la specifica disciplina processuale delle modalità e dei termini della fase delle indagini preliminari e dell'esercizio dell'azione penale iii con lo stesso criterio di tassatività e tipicità che presiede alla responsabilità disciplinare del magistrato. L'assenza di un termine legale per il compimento dell'atto asseritamente violato? Volendo qui ricordare il secondo aspetto segnalato dalle SS.UU., relativo alla ritenuta assenza di un termine legale per il compimento dell'atto asseritamente ritardato, e quindi con riferimento specificamente alla disciplina processuale, secondo i Giudici di legittimità, per una serie di ragioni esplicitamente segnalate nella sentenza cui di nuovo si fa rinvio , il quadro normativo, già prima della riforma di cui alla l. numero 103/2017 , era univoco nel prevedere un termine di promozione dell'azione penale o di formulazione della richiesta di archiviazione coincidente con quello di conclusione delle indagini preliminari. L'impatto della riforma Orlando sull'ambito disciplinare. Infatti, avvertono le SS.UU., l'introduzione, nell' articolo 407 c.p.p. , del comma 3 bis ad opera dell'articolo 1, comma 30, lett. a , della legge 23 giugno 2017, numero 103 e, con ciò, di un termine di esercizio dell'azione penale o di richiesta di archiviazione non ha mutato la situazione di interesse per la fattispecie, se non per ciò che concerne la più stringente definizione dei presupposti di operatività oggi attribuiti all'istituto dell'avocazione obbligatoria da parte del Procuratore Generale. La legge del 2017, altrimenti detto, ha optato per un più certo regime di avocazione, i cui presupposti non vengono più fatti dipendere dalla valutazione dell'entità e delle ragioni del ritardo registrato dal Pubblico Ministero, ma vengono fatti discendere dal solo dato obiettivo che il Pubblico Ministero non abbia assunto le proprie determinazioni ex articolo 405 c.p.p. entro il termine a tal fine stabilito dal comma 3 bis . Soluzione, questa, acceleratoria dell'attivazione dei rimedi interni al ritardo, ma non incompatibile con il fatto che l'obbligo di assumere queste determinazioni gravasse già sul Pubblico Ministero, prima della modifica legislativa, per effetto ed in coincidenza con la chiusura delle indagini preliminari, secondo quanto desumibile dal compendio normativo indicato in precedenza. Il principio di diritto affermato. Questo in conclusione il principio di diritto affermato dalle SSUU «Sussiste, anche con riguardo alla disciplina processuale anteriore all'introduzione del comma 3 bis nell' articolo 407 cod. proc. penumero da parte della L. 103/17 , l'illecito disciplinare di cui all'articolo 2, co. 1, lett. q D. Lgs.109/06 nel comportamento del Pubblico Ministero che, scaduti i termini delle indagini preliminari, ritardi in maniera reiterata, grave ed ingiustificata la definizione dei procedimenti assegnatigli mediante esercizio dell'azione penale o richiesta di archiviazione».

Presidente Cassano – Relatore Stalla Fatti rilevanti e ragioni della decisione 1.1 Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione propone quattro motivi di ricorso per la cassazione della sentenza numero 36 del 18 marzo 2021, comunicata il 6 aprile 2021, con la quale la Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha assolto il Dott. S.E. all'epoca dei fatti Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica di OMISSIS dall'illecito disciplinare previsto dal D.Lgs. numero 109 del 2006 a lui contestato dalla Procura Generale il 1.6.2018, con richiesta di censura in relazione a dieci capi di incolpazione, riassuntivamente riconducibili all'aver omesso, senza giustificato motivo - di disporre indagini, richiedere proroghe o comunque definire una serie di procedimenti indicati capi nnumero da 1 a 4 - di definire' una serie di altri procedimenti indicati capi nnumero da 5 a 8 e 10 - di dare disposizioni alla segreteria in ordine alla registrazione di 35 comunicazioni di reato capo 9 . L'assoluzione è stata dalla Sezione Disciplinare disposta, per quanto concerne il capo 9, per essere di scarsa rilevanza il fatto D.Lgs. numero 109 del 2006, ex articolo 3 bis e, per quanto concerne tutti gli altri capi, per essere rimasti esclusi gli addebiti. In ordine a quest'ultima statuizione, rileva in questa sede il solo capo di incolpazione numero 1 - l'unico fatto oggetto di ricorso per cassazione dal Procuratore Generale - così formulato illecito disciplinare previsto dal D.Lgs. numero 109 del 2006, articolo 1, comma 1, e articolo 2, comma 1, lett. q per avere, in violazione dei doveri di diligenza e laboriosità, ritardato in modo reiterato, grave ed ingiustificato il compimento di atti relativi all'esercizio delle proprie funzioni. In particolare, nella qualità di sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di omissis dal omissis fino al omissis , data in cui veniva trasferito, a domanda, alla Corte di Appello di Venezia, ometteva, senza alcun giustificato motivo, di disporre indagini, richiedere proroghe o comunque definire numero 42 procedimenti, risalenti agli anni omissis , a lui assegnati fin dal omissis , di cui all'allegato numero 1 della nota del cancelliere Dott.sa B. del 29 novembre 2017, trasmessa a questo ufficio il 5 dicembre 2017 dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bologna elenco che si allega sub A , e costituisce parte integrante della presente incolpazione . 1.2 La Sezione Disciplinare ha su questo capo come sugli altri di analoga natura rilevato che - per quanto l'illecito in questione fosse posto a presidio del diritto delle parti ad una durata ragionevole del processo articolo 111 Cost. e p. 6. Ce-du inteso in senso ampio e comprensivo anche della fase delle indagini preliminari, esso non poteva tuttavia essere addebitato a titolo di responsabilità oggettiva dal momento che, in base alla tipizzazione di legge, il ritardo rilevava sul piano disciplinare solo se reiterato, grave ed ingiustificato cioè concretante la effettiva violazione dei doveri del magistrato in assenza di cause giustificative e di inesigibilità di una condotta diversa - ad evitare di violare il principio di tipicità dell'illecito disciplinare, così come di dare ingresso al sindacato sul merito dell'attività giurisdizionale, in tanto il ritardo nella definizione dei procedimenti assegnati al Pubblico Ministero poteva rilevare, in quanto la legge prevedesse un termine finale di definizione del procedimento, cioè un termine a partire dal quale la decisione di procedere all'esercizio dell'azione penale, ovvero all'archiviazione, potesse e dovesse essere resa e, per ciò solo, ritardata - all'epoca dei fatti, e dunque prima dell'introduzione del comma 3 bis nell' articolo 407 c.p.p. , da parte della L. numero 103 del 2017, articolo 1, comma 30, lett. a c.d. riforma Orlando , l'ordinamento non prevedeva alcun termine entro il quale il Pubblico Ministero dovesse necessariamente procedere all'esercizio dell'azione penale oppure alla richiesta di archiviazione, e quindi alla definizione del procedimento, posto che l' articolo 405 comma 1 c.p.p. si limitava a disporre che il pubblico ministero, quando non deve richiedere l'archiviazione, esercita l'azione penale , mentre l' articolo 407 c.p.p. stabiliva solo un termine massimo per il compimento delle indagini Iniziale' e non finale di definizione del processo , la cui violazione implicava la sanzione processuale della inutilizzabilità degli atti istruttori successivi sent. pagg. 9, 10 - solo per effetto della riforma Orlando la legge aveva per la prima volta introdotto un termine finale entro il quale il Pubblico Ministero è obbligato a definire il procedimento ordinariamente, tre mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini e, comunque, dalla scadenza dei termini di cui all' articolo 415 bis c.p.p. , con conseguente rivisitazione dell'istituto dell'avocazione obbligatoria ex articolo 412 c.p.p. - indipendentemente dalla non riferibilità al Pubblico Ministero, in astratto, della condotta addebitata in base alla legislazione processuale applicabile ratione temporis , la contestazione del Procuratore Generale appariva, comunque, nella specie non sufficientemente circostanziata e priva del necessario supporto probatorio , in quanto mancante dell'indicazione di un termine specifico a partire dal quale la mancata definizione dei singoli procedimenti doveva considerarsi ritardata e, di conseguenza, dell'indicazione dell'entità dei ritardi che può, invero, essere diversa a seconda del termine che si individui e che, a sua volta, può essere diverso a seconda della tipologia del reato per cui si procede e delle eventuali proroghe che siano state richieste sent. pag. 11 - la contestazione era generica anche negli addebiti di omissione di atti di indagine e di richiesta di proroghe per le stesse, tanto più che non era stato possibile acquisire alcuna indicazione in ordine all'oggetto dei procedimenti non definiti e del relativo titolo di reato, così da meglio comprendere una contestazione di mancato impulso delle indagini con conseguente pregiudizio del diritto di difesa essendo anzi emerso che la maggior parte dei procedimenti in incolpazione risultava iscritta ben prima che il dottor S. assumesse le funzioni di sostituto procuratore a omissis il omissis solo 7 procedimenti risultano essere stati scritti nel omissis e degli 8 che risultavano iscritti nel omissis non è specificata la data di iscrizione, onde non può ritenersi provato che essa sia avvenuta in novembre o poco prima di tale data , in modo tale che non risulta provato e pare comunque da escludere con riguardo ai procedimenti più risalenti nel tempo il fatto presupposto dell'omissione contestata ovvero che i termini per le indagini preliminari non fossero ancora scaduti e che il Pubblico Ministero potesse espletare indagini e/o presentare richieste di proroghe sent. pagg. 11, 12 . 1.3 Con il primo motivo di ricorso il Procuratore Generale lamenta - ex articolo 606 c.p.p. , comma 1, lett. b - violazione e falsa applicazione degli articolo 405,407,412 c.p.p. nonché del D.Lgs. numero 109 del 2006, articolo 2, comma 1, lett. q . Contrariamente a quanto ritenuto dalla Sezione Disciplinare, la riforma Orlando non aveva introdotto per la prima volta un termine di definizione del procedimento da parte del Pubblico Ministero, ma si era limitata ad eliminare le pregresse difficoltà operative dell'istituto dell'avocazione ex articolo 412 c.p.p. , riferendo l'esercizio dell'avocazione da parte del Procuratore Generale al mancato esercizio dell'azione penale, ovvero alla mancata richiesta di archiviazione, entro un termine tre mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini e comunque alla scadenza dei termini di cui all'articolo 415 bis a tal fine inserito dall'articolo 407, dal comma 3 bis novellato. Questa modificazione normativa non toglieva tuttavia che un termine per la definizione del procedimento fosse prevista anche prima della riforma Orlando, e dovesse segnatamente individuarsi nel termine di compimento delle indagini preliminari. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione della citata disposizione disciplinare, dal momento che la sentenza impugnata aveva erroneamente ritenuto non configurabile l'illecito a causa della mancata fissazione ex lege di un termine di compimento dell'attività processuale, nonostante che l'elemento costitutivo della fattispecie disciplinare non fosse il termine in sé entro cui compiere l'atto, bensì la gravità del ritardo con il quale l'atto era stato compiuto. Sicché la presunzione relativa di non gravità del ritardo non eccedente il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell'atto ben poteva essere superata, anche alla luce del principio di ragionevole durata del processo, in considerazione di concreti parametri dimostrativi della non giustificabilità del ritardo stesso. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta - ex articolo 606 c.p.p. , comma 1, lett. b ed e - violazione della disposizione disciplinare nonché sostanziale carenza apparenza di motivazione. Avendo ritenuto che il termine per il compimento dell'atto asseritamente inesistente prima della riforma Orlando fosse elemento costitutivo della fattispecie in addebito, la Sezione Disciplinare aveva poi omesso di valutare se il ritardo del dottor S. nella definizione, quantomeno, dei 42 procedimenti di cui al capo numero 1 dell'incolpazione anni omissis - omissis dovesse in effetti qualificarsi grave. Sul punto la sentenza si era limitata ad osservare, ma come obiter dictum, che comunque la situazione lavorativa dell'incolpato nel periodo di riferimento era gravosa e che la sua laboriosità, nell'ambito dell'ufficio di appartenenza, era di livello medio-alto sent. pagg. 15, 16 . Questa motivazione non era però in grado di realmente attestare la presenza di cause di giustificazione del ritardo, in quanto priva di ogni verifica dell'effettività dei dati riferiti e, soprattutto, di una valutazione interdipendente con gli elementi probatori in atti, attestanti oggettivamente l'omessa definizione al omissis data del trasferimento del dottor S. dalla Procura di omissis e di riassegnazione dei suoi fascicoli di procedimenti assegnatigli fin dal omissis tanto più che il concetto di laboriosità non coincideva con quello di diligenza, così da non poter di per sé scriminare l'addebito. A maggior ragione in presenza di una denuncia del dirigente dell'ufficio che aveva definito quella del dottor S. una situazione complessiva caratterizzata da trascuratezza e superficialità che ha impattato negativamente sull'ufficio , oltre che di una dichiarazione della dottoressa M., dirigente nell'ufficio nel periodo in questione, secondo la quale il dottor S. non era certamente il collega che aveva il maggior carico di lavoro . Con il quarto motivo di ricorso si deduce parimenti violazione del D.Lgs. numero 109 del 2006, articolo 2, comma 1, lett. q nonché vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione, ovvero di travisamento della prova. Per avere la Sezione Disciplinare altresì osservato che la contestazione in esame era comunque generica per mancata individuazione dei ritardi, senza tuttavia rilevare che la questione della genericità della contestazione non era stata tempestivamente eccepita dalla difesa nella fase degli atti introduttivi al giudizio ex articolo 181 c.p.p. , comma 3 quanto soltanto in sede di discussione e che, in ogni caso, ciò avrebbe imposto al giudice disciplinare di rimettere gli atti del processo al Procuratore Generale per la necessaria specificazione dell'imputazione. La Sezione Disciplinare non aveva poi considerato che la difesa era stata in grado di perfettamente cogliere tutti gli elementi della contestazione omessa definizione, a distanza di sette anni e quattro mesi, di 42 procedimenti assegnati al dottor S. alla data del suo insediamento, il OMISSIS pari a quasi l'8% di tutti i procedimenti di prima assegnazione . Il ritardo in questione era tale da superare ampiamente ogni massimo spazio di giustificabilità vuoi il triplo dei sei mesi di conclusione delle indagini preliminari vuoi il triplo di sei mesi più tre mesi di cui alla riforma Orlando , il che rendeva del tutto ininfluente la mancata specificazione tanto della natura dei procedimenti, quanto delle contestate omissioni di indagini ovvero di richiesta di proroga. Il qui dedotto vizio di motivazione e di applicazione normativa concerneva anche l'osservazione secondo cui la maggior parte dei procedimenti oggetto di incolpazione risultava iscritta ben prima che il dottor S. assumesse le funzioni di sostituto procuratore a omissis , così da doversi ritenere che il termine di conclusione delle indagini fosse per tali procedimenti già antecedentemente spirato. Infatti, il decorso del termine per il compimento delle indagini comportava unicamente la inutilizzabilità - ad istanza di parte e solo nel dibattimento - dell'atto istruttorio successivo, senza con ciò esimere il Pubblico Ministero dal dovere di svolgere comunque le indagini, sia per pervenire alle determinazioni finali nell'alternativa tra richiesta di giudizio e di archiviazione, sia per orientare la sua azione nel dibattimento. p. 1.4 Il Procuratore Generale ricorrente, con memoria 1 ottobre 2021, ha richiamato quanto in atti, insistendo per l'accoglimento del ricorso. Il Dott. S. ha depositato il 13 ottobre 2021 atto di costituzione nel giudizio, concludendo per l'inammissibilità e comunque l'infondatezza del ricorso, osservando che - era nella specie applicabile, come esattamente stabilito dalla Sezione Disciplinare, la normativa processuale antecedente alla riforma Orlando tempus regit actum - l'inosservanza del termine di durata massima delle indagini preliminari non era all'epoca assistita da alcuna sanzione, fatta salva l'inutilizzabilità delle indagini tardive - era onere del Procuratore Generale fornire la prova degli elementi costitutivi della fattispecie contestata, mentre nel caso di specie era mancato qualsivoglia elemento di determinazione e dimostrazione della effettività dei ritardi e della loro rilevanza - in nessun caso poteva essere rimessa in discussione, in sede di legittimità, la valutazione fattuale e probatoria resa nella sentenza della Sezione Disciplinare. Fissato all'udienza pubblica del 19 ottobre 2021, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal D.L. numero 137 del 2020, articolo 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di conversione numero 176 del 2020 , senza l'intervento in presenza fisica del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati presentato rituale richiesta di discussione orale. In particolare, tale non è risultata quella dedotta dalla difesa dello S. avvisata dell'udienza con comunicazione di Cancelleria del 16 luglio 2021 soltanto nel suddetto atto di costituzione 13.10.2021, in quanto tardiva rispetto al termine - di venticinque giorni liberi prima dell'udienza fissata - stabilito dall'articolo 23, comma 8 bis cit p. 2.1 I primi due motivi di ricorso - suscettibili di trattazione unitaria perché entrambi basati sulla violazione e falsa applicazione delle norme che presiedono ai termini di esercizio dell'azione penale da parte del Pubblico Ministero ed alla loro rilevanza disciplinare - sono fondati. Essi colpiscono la principale ed assorbente ragione decisoria fatta propria dalla Sezione Disciplinare, secondo cui il ritardo del Pubblico Ministero con riguardo alla disciplina anteriore alla L. numero 103 del 2017 cit. non potrebbe rientrare neppure astrattamente - cioè mai ed in nessun modo - nella previsione disciplinare, qui contestata, di cui al D.Lgs. numero 109 del 2006, articolo 2, comma 1, alla lett. q. Resterebbe naturalmente salva l'eventualità che il ritardo del Pubblico Ministero nella fase delle indagini preliminari integri altre fattispecie disciplinari come quella di lett. a quando si concreti in comportamento antidoveroso recante ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti, oppure di lett. g quando implichi grave violazione di legge per ignoranza o negligenza inescusabile , ma non quella costituita, appunto ai sensi della lett.q , dal ritardo in sé, per quanto reiterato, grave ed ingiustificato. Si tratta di conclusione che, nella sua assolutezza, non può essere condivisa perché in contrasto - con i principi costituzionali che devono presiedere all'interpretazione delle disposizioni in materia - con la specifica disciplina processuale delle modalità e dei termini della fase delle indagini preliminari e dell'esercizio dell'azione penale - con lo stesso criterio di tassatività e tipicità che presiede alla responsabilità disciplinare del magistrato. p. 2.2 Quanto al primo aspetto principi costituzionali di riferimento è la stessa Sezione Disciplinare che però non ne ha poi tratto tutte le dovute conseguenze a porre il problema del ritardo del Pubblico Ministero in correlazione con il concetto di durata processuale e, con ciò, in un contesto costituzionalmente sensibile ex articolo 111 Cost. , oltre che ex articolo 6 Cedu . Ed in effetti costituisce un dato ormai acquisito dell'ordinamento interno che il diritto delle parti ad un processo penale di ragionevole durata non concerne soltanto la fase del giudizio, ma anche quella delle indagini preliminari, seppure a partire dal momento in cui il cittadino abbia avuto notizia di essere indagato. Nel dichiarare costituzionalmente illegittimo, ex articolo 117 Cost. , comma 1, la L. 24 marzo 2001, numero 89, articolo 2, comma 2 bis, la Corte Costituzionale sent. 184/15 ha appunto affermato che una legge che riconosca l'equa riparazione per la irragionevole durata del processo penale solo a far data dall'assunzione della qualità di imputato, ovvero da quando l'indagato ha avuto legale conoscenza della chiusura delle indagini preliminari, anziché da quando l'indagato, in seguito ad un atto dell'autorità giudiziaria, ha avuto conoscenza del procedimento a suo carico, si pone per ciò solo in contrasto con l'articolo 6 Cedu disposizione, quest'ultima, che adotta una nozione di processo diversa e più ampia di quella interna, in quanto avulsa dalla suddivisione in fasi operata in ambito nazionale, ed unitariamente estesa anche al segmento procedimentale, non di giudizio in senso proprio e diretto. D'altra parte, nella giurisprudenza di questa Corte già da tempo non si discuteva neppure più del fatto che nella durata massima del processo penale, come fissata L. numero 89 del 2001, ex articolo 2 bis dovesse rientrare anche quella riferibile alle indagini preliminari, essendosi l'attenzione nomofilattica piuttosto concentrata sul diverso e conseguenziale aspetto dell'individuazione dell'esatto momento in cui - a seconda della varia natura ed efficacia degli atti - si possa affermare che la parte abbia avuto effettiva consapevolezza dell'avvio del procedimento a suo carico Cass., Sez.2 civ. nnumero 14385/15 20467/15 15131/13 Cass.Sez.1 civ. numero 17917/10 ed altre . Orbene, la tesi della radicale irrilevanza disciplinare del ritardo del Pubblico Ministero in quanto tale lett. q urta dunque frontalmente con il sistema di tutela che si è così venuto a delineare.Non solo perché questo sistema presuppone che neppure la fase delle indagini preliminari e del promovimento dell'azione penale, concorrendo alla durata del processo come sopra inteso, possa protrarsi sine die o comunque oltre termini di ragionevolezza, ma anche perché, su questo presupposto, non può risultare ininfluente - astrattamente ed assolutamente ininfluente - che questi termini di ragionevolezza possano in ipotesi essere stati superati in conseguenza di un ritardo reiterato, grave e ingiustificato da parte dell'organo pubblico che a quella fase è preposto. La totale ed incondizionata esenzione del Pubblico Ministero dalla responsabilità per il ritardo in sé mal si concilia anche con l'esigenza di controllo e trasparenza intrinseca nell'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale ex articolo 112 Cost. e nel principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge penale che essa esprime in modo tale che l'individuazione nell'ordinamento processuale di un termine di compimento dell'attività necessitata esercizio dell'azione penale, inteso anche nel suo risvolto negativo di non-esercizio tramite richiesta di archiviazione funge da primario ed ineludibile criterio di verifica pubblica. Già il giudice delle leggi C. Cost. sent. 88 del 1991 ebbe ad osservare in tema di archiviazione - poco tempo dopo l'introduzione del nuovo rito - che il principio di obbligatorietà dell'azione penale esige che nulla venga sottratto al controllo di legalità effettuato dal giudice , e che il problema di contemperare l'obbligatorietà dell'azione penale con l'esigenza di evitare i processi superflui perché suscitati da una notitia criminis palesemente inconsistente veniva dal nuovo codice adeguatamente risolto attraverso un articolato sistema di controllo sia interno all'Ufficio del Pubblico Ministero perché affidato al ruolo gerarchico del Procuratore Generale, sia esterno ad esso ad opera del GIP il quale può chiedere ulteriori indagini o restituire gli atti per la formulazione dell'imputazione e della parte offesa la quale può opporsi alla richiesta di archiviazione . Sicché la mancanza di un termine legale di esercizio dell'azione penale ben potrebbe convivere con un sistema improntato a discrezionalità e facoltatività - ma non ad obbligatorietà - dell'azione penale. Non sfugge poi, sempre quanto ad implicazioni costituzionali del problema, come la mancanza, in un ordinamento orientato ad obbligatorietà, di un termine di compimento dell'attività processuale - così come della possibilità di verificarne il rispetto ed eventualmente sanzionarne l'inosservanza sul piano della gestione dell'arretrato e delle pendenze, nell'alternativa tra l'esigibile smaltimento degli affari assegnati ed il loro disbrigo ad libitum - costituirebbe essa stessa un vistoso deficit di efficienza incidente anche sull'organizzazione e sul funzionamento degli uffici giudiziari, rilevante ex articolo 97 Cost. . Disposizione, questa, che afferma un principio certamente estraneo alla giurisdizione in senso stretto, ma non anche alla giustizia intesa come amministrazione e somministrazione di un servizio pubblico come più volte ricordato dalla Corte Costituzionale dec. nnumero 408/08 272/08 84/11 272/14 ed altre . p. 2.3 Venendo al secondo aspetto disciplina processuale , la ricostruzione normativa operata dalla Sezione Disciplinare - pervenuta al risultato di escludere la configurabilità di un ritardo stante la ritenuta assenza di un termine legale di compimento dell'atto asseritamente ritardato - non appare condivisibile, perché limitata per quanto concerne il periodo anteriore alla riforma del 2017 ad una incompleta e non organica considerazione dei soli articolo 405 e 407 c.p.p. ed in ciò sussiste il vizio denunciato, nei motivi in esame, dal Procuratore Generale ricorrente. Va in proposito considerato che - l' articolo 50 c.p.p. stabilisce che il Pubblico Ministero esercita l'azione penale quando non sussistono i presupposti per la richiesta di archiviazione - l'articolo 405, intitolato, oltre che alle forme, proprio ai termini dell'inizio dell'azione penale prescrive al comma 1 che il Pubblico Ministero esercita l'azione penale formulando l'imputazione quando non deve chiedere l'archiviazione al comma 2 prevede poi che il Pubblico Ministero, salvo quanto previsto dall'articolo 415 bis, richiede il rinvio a giudizio entro sei mesi o un anno se si procede per taluno dei delitti indicati nell' articolo 407 c.p.p. , comma 2, lett. a dall'iscrizione nel registro indagati anche i due commi successivi sono dedicati alla disciplina dei termini di inizio dell'azione penale nel caso di procedibilità a querela o su autorizzazione - l'articolo 406 regolamenta il regime di proroga giudiziale dei termini per le indagini preliminari - l'articolo 407 stabilisce i termini di durata massima delle indagini preliminari diciotto mesi, salvo prolungamento fino a due anni per determinati delitti indicati nel comma 2 della citata disposizione nel comma 3 viene stabilito che, se il Pubblico Ministero non ha esercitato l'azione penale o richiesto l'archiviazione nel termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice, gli atti di indagine successivi sono inutilizzabili fatta salva l'attività integrativa di indagine di cui all'articolo 430 - l'articolo 408, nel disciplinare quell'esercizio in negativo dell'azione penale che si concreta, come detto, nella richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato articolo 125 disp. att. c.p.p. , stabilisce che il Pubblico Ministero debba presentare al giudice tale richiesta entro i termini previsti dagli articoli precedenti, con relativa notificazione alla persona offesa che nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione abbia dichiarato di volere essere informata la quale vi si può opporre qualora il Pubblico Ministero non opti per la richiesta di archiviazione, è gioco-forza che egli, entro gli stessi termini, esperisca l'alternativa fra richiesta di archiviazione ed esercizio dell'azione penale, secondo quanto stabilito dall'articolo 405 cit. il Pubblico Ministero, quando non deve richiedere l'archiviazione esercita l'azione penale formulando l'imputazione - l'articolo 412, comma 1, nella originaria formulazione, stabiliva l'avocazione delle indagini preliminari se il Pubblico Ministero non esercitava l'azione penale o non richiedeva l'archiviazione nel termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice. Il quadro normativo, già prima della riforma di cui alla L. numero 103 del 2017 , era dunque univoco nel prevedere un termine di promozione dell'azione penale o di formulazione della richiesta di archiviazione coincidente con quello di conclusione delle indagini preliminari. L'introduzione, nell' articolo 407 c.p.p. , del comma 3 bis ad opera della L. 23 giugno 2017, numero 103, articolo 1, comma 30, lett. a , e, con ciò, di un termine di esercizio dell'azione penale o di richiesta di archiviazione di tre mesi prorogabile per ulteriori tre mesi, ovvero di quindici mesi per i reati di cui al medesimo articolo 407, comma 2, lett. a, numeri 1, 3, 4 decorrenti dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini e, comunque, dalla scadenza dei termini di cui all' articolo 415-bis c.p.p. , non ha mutato la situazione per quanto qui interessa, se non per ciò che concerne la più stringente definizione dei presupposti di operatività oggi attribuiti all'istituto dell'avocazione obbligatoria da parte del Procuratore Generale, dal momento che - al Pubblico Ministero che non abbia assunto le proprie determinazioni sull'esercizio dell'azione penale nel termine così introdotto è fatto obbligo di darne immediata comunicazione al Procuratore Generale articolo 407, comma 3 bis, ult. periodo , così che l'emersione delle situazioni di ritardo incidenti non solo sulla ragionevole durata del processo, ma anche sulla prescrizione del reato è oggi interamente restituita alla dinamica gerarchica - il Procuratore Generale, in caso di omessa richiesta di archiviazione nel termine previsto dall' articolo 407 c.p.p. , comma 3-bis o di mancato esercizio dell'azione penale nel medesimo termine, dispone con decreto motivato l'avocazione del procedimento articolo 412, comma 1 riformato . La Legge del 2017, altrimenti detto, ha optato per un più certo regime di avocazione, i cui presupposti non vengono più fatti dipendere dalla valutazione dell'entità e delle ragioni del ritardo registrato dal Pubblico Ministero, ma vengono fatti discendere dal solo dato obiettivo che il Pubblico Ministero non abbia assunto le proprie determinazioni ex articolo 405 c.p.p. entro il termine a tal fine stabilito dal comma 3 bis. Soluzione, questa, acceleratoria dell'attivazione dei rimedi interni al ritardo, ma non incompatibile con il fatto che l'obbligo di assumere queste determinazioni gravasse già sul Pubblico Ministero, prima della modifica legislativa, per effetto ed in coincidenza con la chiusura delle indagini preliminari, secondo quanto desumibile dal compendio normativo indicato in precedenza. p. 2.4 Quanto al terzo aspetto rilevante integrazione della fattispecie disciplinare tipica va disattesa l'affermazione della Sezione Disciplinare secondo cui l'introduzione del comma 3 bis nell'articolo 407 dovrebbe per forza indurre una rivalutazione critica della tesi, che appare seguita nei precedenti disciplinari sopra richiamati, che individuava nella scadenza dei termini delle indagini preliminari o di quelli relativi all'avviso di conclusione delle indagini stesse, il termine idoneo a ravvisare il ritardo del Pubblico Ministero rispetto all'attività di definizione del procedimento, poiché detta scadenza consentiva, in effetti, di individuare solo il termine iniziale a partire dal quale l'attività definitoria . poteva essere compiuta e non, invece, quello finale a partire dal quale quella medesima attività poteva considerarsi ritardata sent. pagg. 9-10 . All'opposto, la modifica normativa sopravvenuta ai fatti in addebito non era di per sé in grado, per le ragioni esposte, di sovvertire un indirizzo disciplinare di merito individuato in sentenza con richiamo, tra le altre, alle decisioni della Sezione Disciplinare nnumero 66/2009, 3/2012, 94/2018 che in diverse occasioni aveva confermato che il Pubblico Ministero doveva rispondere - anche D.Lgs. numero 109 del 2006, ex articolo 2, comma 1, lett. q - del ritardo nell'esercizio dell'azione penale. La decisione da ultimo ricordata numero 94/2018 ha reputato addebitabile il comportamento di un Pubblico Ministero concernente 746 procedimenti penali iscritti a mod. 21 e 1042 iscritti a mod. 44, in relazione ai quali l'incolpato ha omesso di adottare le sue determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione penale, nonostante i termini massimi per le indagini preliminari fossero scaduti. In particolare, in relazione a 122 procedimenti penali iscritti a mod. 21 e a 338 iscritti a mod. 44 procedimenti iscritti antecedentemente all'anno 2008 i termini per le determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione penale risultano superati di ben oltre il triplo della durata massima prevista dall' articolo 407 c.p.p. e, in 16 di tali procedimenti iscritti antecedentemente all'anno 2004 , il ritardo risultava ultradecennale, con punte massime di tredici anni . Queste Sezioni Unite sent. numero 12311/2015 si sono occupate della responsabilità del Pubblico Ministero per il ritardo nell'espletamento delle indagini preliminari, affermando il principio per cui non commette illecito disciplinare per violazione di legge, ai sensi del D.Lgs. 23 febbraio 2006, numero 109, articolo 2, comma 1, lett. g, il magistrato del P.M. che, conferita una delega investigativa alla polizia giudiziaria, non solleciti il deposito della relazione, né faccia istanza di proroga delle indagini, ma presenti richiesta di archiviazione, trattandosi di condotta che rientra nell'ambito della valutazione discrezionale riservata al magistrato inquirente . Con riguardo alla condotta in addebito, le Sezioni Unite ne hanno affermato l'irrilevanza disciplinare in quanto essa, in mancanza di obblighi specifici previsti dalla legge processuale, deve ritenersi compresa nell'ambito della valutazione discrezionale riservata al magistrato inquirente . Si ebbe in proposito a precisare che le norme del processo penale sopra citate, rispetto alle quali è stato fatto riferimento ai fini della sussistenza dell'allegata violazione di legge, non prevedono, infatti, specifici obblighi, ma, come esattamente affermato nella sentenza impugnata, individuano tempi e modalità di svolgimento delle indagini di competenza del pubblico ministero. Le indicazioni ivi contenute sono riconducibili ad uno spazio di apprezzamento del magistrato sottratto alla valutazione del giudice disciplinare. Ciò appare evidente dalla formulazione degli articolo 326 c.p.p. che si limita a fissare le finalità delle indagini preliminari, e articolo 358 c.p.p. a norma del quale il pubblico ministero compie ogni attività necessaria ai fini indicati nell'articolo 326 e svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini . Si tratta però di valutazioni riferite ad una condotta - richiesta di archiviazione a seguito di inerzia nella conduzione delle indagini e, segnatamente, di mancata sollecitazione della Polizia Giudiziaria - ben diversa da quella qui dedotta, ed infatti contestata ai sensi del D.Lgs. numero 109 del 2006, articolo 2, comma 1, lett. g , non q ,. Tanto che in quella stessa sentenza si è chiarito che per quanto riguarda gli altri due articoli citati nel capo di incolpazione - che disciplinano, rispettivamente, l'inizio dell'azione penale, le sue forme e i relativi termini articolo 405 , nonché i termini di durata massima delle indagini preliminari articolo 407 - deve osservarsi che la contestazione di cui al capo di incolpazione in esame non riguarda alcuna violazione dei termini indicati dalle norme citate . Con ciò non ammettendosi né escludendosi l'astratta configurabilità di una responsabilità disciplinare da ritardo a tale titolo. Resta il richiamo al rispetto di uno spazio di apprezzamento del magistrato sottratto alla valutazione del giudice disciplinare , spazio di apprezzamento che non sembra tuttavia essere posto qui in discussione dalla contestazione di cui al capo 1 ancora in esame. Ai sensi del D.Lgs. numero 109 del 2006, articolo 1 1 . Il magistrato esercita le funzioni attribuitegli con imparzialita, correttezza, diligenza, laboriosita, riserbo e equilibrio e rispetta la dignità della persona nell'esercizio delle funzioni . L'articolo 2, comma 1, stabilisce che costituiscono illeciti disciplinari nell'esercizio delle funzioni lett. q il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni si presume non grave, salvo che non sia diversamente dimostrato, il ritardo che non eccede il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell'atto . La fattispecie è dunque resa tipica dal ritardo in relazione al doveroso, diligente e laborioso compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni, dovendosi in proposito osservare che - quand'anche possa essere stata formulata avendo principalmente a mente il ritardo del giudice nel deposito delle sentenze ed, in effetti, su questo terreno si è sviluppata la maggiore casistica in materia , la norma non opera alcuna specificazione di questo tipo, così da rendersi applicabile a qualsivoglia forma di ritardo del magistrato, tanto giudicante quanto inquirente, nel compimento degli atti funzionali suoi propri - il mero dato oggettivo del superamento del termine processuale di adempimento non determina l'automatica rilevanza disciplinare della condotta, richiedendosi che tale superamento si concreti in un ritardo qualificato, perché reiterato, grave ed ingiustificato, ferma la presunzione relativa di non gravità indicata nella seconda parte della disposizione - la verifica del giudice disciplinare sull'elemento costitutivo del ritardo non può mai spingersi a sindacare scelte di natura prettamente discrezionale nell'esercizio della giurisdizione. La necessità che il vaglio disciplinare muova dal riscontro globale e concreto di tutti indistintamente gli elementi integrativi della fattispecie di ritardo in un dato contesto, sia normativo sia operativo sia organizzativo, implica che - nel caso specifico del ritardo nell'esercizio dell'azione penale da parte del Pubblico Ministero - i parametri di reiterazione, gravità e giustificatezza oltre che di diligenza e laboriosità non possano prescindere dalla valutazione altresì dei tempi fisiologici della riflessione del Pubblico Ministero cioè di quello spatium deliberandi a questi indispensabile per la ponderata formazione, dopo la chiusura delle indagini preliminari, del proprio convincimento e delle proprie determinazioni tra istanza di archiviazione e richiesta di rinvio a giudizio. p. 3. Parimenti fondati sono anche il terzo ed il quarto motivo di ricorso, anch'essi suscettibili di trattazione unitaria in quanto accomunati da una medesima censura di natura sia normativa sia motivazionale, ex articolo 606 c.p.p. , comma 1, lett. b ed e . In effetti, nella sentenza impugnata, ad una prima ragione decisoria costituita dalla ritenuta assoluta estraneità normativa della fattispecie, si associano - introdotte dall'avverbio comunque - ulteriori considerazioni di inaccoglibilità della domanda anche per genericità ed indeterminatezza della contestazione in ordine all'oggetto ed all'entità del ritardo, con riguardo alla mancata individuazione della data di scadenza dei termini di compimento delle indagini preliminari prima o dopo l'arrivo del Dott. S. nell'ufficio . Orbene, pur volendosi attribuire a queste considerazioni di per sé sovrabbondanti a fronte della già ritenuta aprioristica espunzione della fattispecie contestata dall'ordinamento disciplinare la natura, non di semplice obiter, ma di concorrente ed autonoma ragione decisoria, si rileva come le doglianze in esame ne inficino certamente il fondamento. Il capo in addebito si riferiva univocamente alla mancata definizione di un determinato numero di procedimenti assegnati al Dott. S., come segue In particolare, nella qualità di sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di omissis dal omissis fino al omissis , data in cui veniva trasferito, a domanda, alla Corte di Appello di Venezia, ometteva, senza alcun giustificato motivo, di disporre indagini, richiedere proroghe o comunque definire numero 42 procedimenti, risalenti agli anni omissis , a lui assegnati fin dal omissis , di cui all'allegato numero 1 della nota del cancelliere Dott.sa B. del 29 novembre 2017, trasmessa a questo ufficio il 5 dicembre 2017 dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bologna elenco che si allega sub A , e costituisce parte integrante della presente incolpazione Valutata nell'ottica della immediata percezione dell'addebito mossogli e del conseguente efficace apprestamento delle difese del caso in effetti spiegate a tutto campo , non può dirsi che questa contestazione difettasse di determinatezza e specificità, posto che essa conteneva la puntuale indicazione - della condotta di affermata rilevanza disciplinare, data dalla inerzia nella conduzione e nella mancata definizione di procedimenti - dei procedimenti non definiti, come da elenco di Cancelleria facente parte integrante dell'incolpazione - della loro data di iscrizione quinquennio 2006/10 - della data di loro assegnazione al Dott. S. OMISSIS - della conseguente entità del ritardo addebitabile circa sette anni siccome intercorrente tra la data di assegnazione dei fascicoli e quella di trasferimento del Dott. S. ad altro ufficio, occasione nella quale era stata riscontrata ed inventariata la perdurante pendenza degli stessi. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Difesa del Dott. S., si tratta di elementi necessari e ampiamente sufficienti a focalizzare l'addebito, a mettere l'incolpato in condizione di compiutamente difendersi, a fornire alla Sezione Disciplinare tutti gli elementi per orientare, nel merito, le proprie valutazioni. Non varrebbe obiettare che la sentenza impugnata, pur dopo aver rilevato la genericità e l'indeterminatezza dell'incolpazione, ha tuttavia poi ugualmente attinto il merito della responsabilità, negandone i presupposti di fatto con una valutazione qui non sindacabile. E' vero che in essa pagg. 15-16 sono ad abundantiam contenute anche alcune considerazioni prettamente valutative per lo più riferibili all'addebito di omissione di indagini e di richiesta proroghe volte ad invalidare sul piano probatorio e dunque oltre ed indipendentemente dalle già riscontrate ed assorbenti cause di proscioglimento costituite dalla irrilevanza giuridica del fatto e dalla indeterminatezza della sua contestazione l'addebito ciò segnatamente nella parte in cui si osserva che l'attività del Dott. S. era caratterizzata da un carico di notevole spessore , e che la sua laboriosità si attestava sui livelli medio-alti dell'ufficio, come confermano anche la testimonianza del dottor Z. Procuratore della Repubblica di OMISSIS fino al 2014 ed il rapporto redatto dall'attuale reggente dell'ufficio, dottor G. . E tuttavia, si tratta di osservazioni logicamente e giuridicamente non dirimenti, perché il punto fondamentale della causa - una volta ammessa l'imputabilità legale del ritardo - stava nella verifica in concreto dei suoi parametri di rilevanza disciplinare quanto a reiterazione, gravità, giustificatezza, esigibilità di un diverso comportamento anche autorganizzativo, secondo i criteri elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in materia. Criteri implicanti l'esigenza di una motivata valutazione su elementi fattuali dell'addebito che vanno ben oltre la sola laboriosità media ed il carico di lavoro fattori la cui efficacia scriminante è stata solo apoditticamente affermata in sentenza per attingere alla fattispecie di ritardo funzionale in tutta la complessità delle sue forme di manifestazione ed incidenza Cass. SSUU nnumero 17333/21 , 25020/19 , 22572/1919583/19 e molte altre . Sembra che l'incidentalità di queste affermazioni risenta in realtà anch'essa dell'impostazione di fondo accolta dalla sentenza esenzione disciplinare del ritardo del Pubblico Ministero . Impostazione che ha impedito che venisse veramente soppesata la centralità sostanziale dell'incolpazione, e che ha collocato l'intera vicenda in una luce non confacente al disvalore che si voleva addebitare. Da qui il vizio di mancanza o apparenza motivazionale lamentato nei due motivi in esame. p. 4. La sentenza va dunque cassata con rinvio alla Sezione Disciplinare che, in diversa composizione, riesaminerà la fattispecie in applicazione del seguente principio di diritto sussiste, anche con riguardo alla disciplina processuale anteriore all'introduzione dell' articolo 407 c.p.p. , comma 3 bis da parte della L. numero 103 del 2017 , l'illecito disciplinare di cui D.Lgs. numero 109 del 2006, articolo 2, comma 1, lett. q nel comportamento del Pubblico Ministero che, scaduti i termini delle indagini preliminari, ritardi in maniera reiterata, grave ed ingiustificata la definizione dei procedimenti assegnatigli mediante esercizio dell'azione penale o richiesta di archiviazione. P.Q.M. LA CORTE - accoglie il ricorso - cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura in diversa composizione.