«In caso di emissione di più ordinanze che dispongono la stessa misura cautelare personale nei riguardi di un medesimo soggetto per fatti di reato tra loro connessi oggetto dello stesso procedimento, l’applicazione della regola di retrodatazione impone la sostituzione del termine iniziale di durata della misura adottata per ultima con il termine iniziale di efficacia della prima misura emessa. Nell’ambito di tale contesto, la retrodatazione del dies a quo della decorrenza cautelare richiede di verificare per il reato oggetto dell’ultimo provvedimento restrittivo se i termini di durata di fase o complessivi risultino già scaduti».
La Corte di Cassazione, con la pronuncia numero 43599/2021, depositata il 25 novembre 2021, si è espressa in tema di computo del termine massimo di custodia cautelare in caso di più provvedimenti applicativi emessi nei riguardi di un medesimo soggetto e concernenti reati connessi in unico procedimento. Il fatto. Il Tribunale del Riesame di Catanzaro accoglieva l'istanza di riesame proposta da un indagato destinatario di due provvedimenti cautelari, dichiarando la cessazione di efficacia. Nella specie, il soggetto era accusato del reato di cui all'articolo 74 d.P.R. numero 309/1990 e, ancor prima, di altri illeciti per i quali era già stata emessa ordinanza applicativa di custodia cautelare in fase di indagini. Secondo il Collegio della Libertà la pubblica accusa aveva già a disposizione gli elementi di conoscenza idonei a giustificare l'applicazione della medesima misura, derivandone, di tal guisa, l'applicazione della regola della retrodatazione del termine di decorrenza di efficacia della seconda misura. Avverso tale ordinanza propone ricorso per Cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Catanzaro, lamentando la violazione di legge degli articolo 297, 303 e 275 c.p.p. per aver il Collegio Decidente applicato, in maniera erronea, la disciplina della retrodatazione prevista per lo specifico fenomeno delle contestazioni a catena. La decisione della Corte. La Corte di Cassazione ritiene condivisibili alcune delle doglianze sollevata dalla Procura Generale, tanto da disporre l'annullamento del provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame con specifico riguardo al metodo di calcolo utilizzato nel caso di specie, da cui ne è derivata la ritenuta scadenza del termine massimo di custodia cautelare. Tuttavia, il Collegio di legittimità condivide l'applicazione della regola della retrodatazione anche nel caso di ordinanze cautelari emesse in fasi non omogenee, pur esistendo in giurisprudenza un orientamento di segno opposto. Sulla scorta di tale ricostruzione, la Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento, ha sancito il seguente principio di diritto «in caso di emissione di più ordinanze che dispongono la stessa misura cautelare personale nei riguardi di un medesimo soggetto per fatti di reato tra loro connessi oggetto dello stesso procedimento, l'applicazione della regola di retrodatazione impone la sostituzione del termine iniziale di durata della misura adottata per ultima con il termine iniziale di efficacia della prima misura emessa. Nell'ambito di tale contesto, la retrodatazione del dies a quo della decorrenza cautelare richiede di verificare per il reato oggetto dell'ultimo provvedimento restrittivo se i termini di durata di fase o complessivi risultino già scaduti».
Presidente Di Stefano – Relatore Aprile Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza sopra indicata il Tribunale di Catanzaro, in accoglimento della istanza di riesame presentata ai sensi dell' articolo 309 c.p.p. , dalla difesa dell'imputato, dichiarava la cessazione della efficacia della misura della custodia cautelare in carcere di cui, con provvedimento del 25 giugno 2021, la Corte di appello di Catanzaro aveva disposto l'applicazione nei confronti di L.C. in relazione al reato di cui al D.P.R. numero 309 del 1990, articolo 74 delitto per il quale il prevenuto - rinviato a giudizio per rispondere di questo e di altri illeciti era stato condannato con sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Catanzaro. Rilevava il Tribunale del riesame come la decorrenza dei termini di durata della custodia cautelare, la cui applicazione era stata disposta con l'anzidetta ordinanza, dovesse essere retrodatata in ragione della già riconosciuta connessione qualificata esistente con gli altri reati per i quali il C. era stato condannato con quella stessa sentenza delitti per i quali, nella fase delle indagini preliminari, l'8 marzo 2018 il C. era stato sottoposto a fermo e, in seguito, alla misura della custodia in carcere, poi sostituita con quella degli arresti domiciliari. Di tale prima misura, dopo l'emissione della sentenza di condanna, era stata dichiarata la perdita di efficacia ai sensi dell' articolo 300 c.p.p. , comma 4. Precisava il Tribunale del riesame che, prima del rinvio a giudizio per i fatti di reato oggetto della prima delle due ordinanze cautelari, la pubblica accusa già aveva a disposizione gli elementi di conoscenza idonei a giustificare l'applicazione della medesima misura anche per il reato associativo, oggetto della seconda di quelle ordinanze l'effetto della retrodatazione, ad avviso del Collegio catanzarese, comportava il dover ritenere oramai spirato il termine di un anno e sei mesi di durata della custodia cautelare di cui all' articolo 303 c.p.p. , comma 1, lett. c , - con riferimento alla fase decorrente dalla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado - tenuto conto che la custodia cautelare sofferta dallo stesso imputato durante l'efficacia della prima ordinanza in tutte le fasi del procedimento era stata pari a tre anni, tre mesi e diciassette giorni, dunque superiore all'anzidetto limite dell'anno e sei mesi. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro, il quale ha dedotto la violazione di legge, in relazione agli articolo 297 c.p.p. , comma 3, articolo 303 c.p.p. , comma 1, lett. c , e articolo 275 c.p.p. , comma 1 bis, per avere il Tribunale di Catanzaro erroneamente ritenuto di poter applicare nella fattispecie la disciplina della retrodatazione della durata della custodia cautelare per il fenomeno della c.d. ‘contestazione a catenà laddove la disposizione dettata dal comma 3 del predetto articolo 297 presuppone che le due ordinanze cautelari poste a raffronto siano state emesse entrambe nella medesima fase delle indagini preliminari, non essendo ‘utilizzabilè il meccanismo della retrodatazione se il provvedimento cronologicamente successivo sia emesso nel giudizio dibattimentale. Il Tribunale del riesame non avrebbe, altresì, considerato che il reato associativo contestato al prevenuto è di natura permanente e doveva ritenersi commesso anche in epoca successiva all'adozione delle prime delle due ordinanze cautelari essendo stati acquisiti, a partire dal maggio del 2018, elementi di prova della prosecuzione delle iniziative criminose dell'associazione dedita al narcotraffico di cui il C. era stato giudicato partecipe. Considerato in diritto 1. Ritiene la Corte che il ricorso vada accolto, per le ragioni e nei limiti di seguito meglio precisati. 2. Va preliminarmente evidenziato come privo di pregio sia il riferimento, contenuto nell'atto di impugnazione, alla denunciata violazione dell' articolo 275 c.p.p. , comma 1 bis, in quanto la disposizione contenuta in tale articolo - stabilendo che contestualmente ad una sentenza di condanna, l'esame delle esigenze cautelari è condotto tenendo conto anche dell'esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti, dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulta taluna delle esigenze indicate nell' articolo 274 c.p.p. , comma 1, lettere b e c - pone a carico del giudice un impegno motivazionale supplementare, in ordine all'accertamento dell'esistenza di un nesso tra le ragioni della decisione di condanna e la disamina dei bisogni cautelari, che non costituisce propriamente oggetto delle censure formulate con il ricorso oggi in esame. 3. Il motivo del ricorso, nella sua prima parte, è fondato. 3.1. In tema della applicabilità della disciplina di cui all' articolo 297 c.p.p. , comma 3, laddove più ordinanze cautelari siano state emesse nei riguardi dello stesso soggetto in fasi differenti del o dei relativi procedimenti, bisogna registrare l'esistenza di un indirizzo interpretativo apparentemente consolidato nella giurisprudenza di legittimità, in base al quale la regola della retrodatazione dei termini di custodia cautelare, in caso di pluralità di ordinanze applicative della medesima misura cautelare nei confronti di un imputato per uno stesso fatto o per fatti legati da connessione qualificata, non opera in relazione ai termini della custodia cautelare per la fase del dibattimento, non essendo prevista la retrodatazione del secondo provvedimento che dispone il giudizio al momento di emissione del primo. Più in dettaglio, si è affermato che solo nella fase delle indagini preliminari, in cui il Pubblico Ministero è unico dominus del procedimento, si pone la concreta esigenza di evitare possibili elusioni dei termini di durata delle misure cautelari così Sez. 1, numero 8786 del 01/12/2016, dep. 2017, Grazioso, Rv. 269178 sicché, quando sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura cautelare personale nei confronti dello stesso imputato per fatti connessi, la regola in argomento non opera nel caso in cui a un'ordinanza pronunciata nel corso delle indagini preliminari ne segua una seconda emessa in fase dibattimentale così Sez. 6, numero 12752 del 23/02/2017, Presta, Rv. 269679 conf., tra le altre, Sez. 1, numero 50000 del 27/11/2009, Carcione, Rv. 245976 e, più di recente, Sez. 1, numero 6936 del 26/11/2019, dep. 2020, Vertinelli, non massimata . Nei repertori è segnalata l'esistenza di un orientamento contrario, in base quale si è asserito che la regola della retrodatazione dei termini di custodia cautelare, in relazione ad una pluralità di ordinanze che dispongono la medesima misura nei confronti dello stesso imputato per fatti connessi, deve essere applicata anche se la richiesta è presentata nel corso di una fase successiva a quella delle indagini preliminari Sez. 6, numero 43235 del 25/09/2013, Silanos, Rv. 257459 Sez. 2, numero 20962 del 11/02/2014, Di Marino, Rv. 259688 conf. Sez. 4, numero 22847 del 03/07/2020, Safaoui, Rv. 280010 . Tuttavia, la lettura della motivazione di tali pronunce permette di scoprire che si tratta di un contrasto solo apparente, in quanto queste ulteriori sentenze hanno avuto ad oggetto, in verità, la diversa questione della ammissibilità della presentazione della richiesta difensiva ex articolo 297 c.p.p. , comma 3, nel corso del giudizio dibattimentale, ma con riferimento a ordinanze cautelari emesse nella precedente fase delle indagini preliminari questione analizzata anche in altre sentenze della Cassazione in particolare, nel senso della inammissibilità di quella richiesta, si sono espresse, tra le altre, Sez. 2, numero 53664 del 29/11/2016, Vaccina, Rv. 268709 Sez. 3, numero 8984 del 16/01/2015, G., Rv. 262923 Sez. 2, numero 1129 del 13/12/2007, dep. 2008, Mossuto, Rv. 238906 . In tali sentenze, dunque, non è stata propriamente esaminata la tematica della possibilità di applicare la disciplina delle c.d. ‘contestazioni a catenà nell'ipotesi di emissione di ordinanze in fasi diverse, una prima in quella delle indagini preliminari e una successiva durante il giudizio. 3.2. Vi sono valide ragioni che inducono il Collegio a rivisitare la soluzione interpretativa in passato accreditata dalle citate sentenze ‘Graziosò e ‘Prestà. Di certo non costituisce elemento dirimente per risolvere la questione la circostanza che, nell' articolo 297 c.p.p. , comma 3, vi sia un esplicito riferimento alla figura dell'imputato Se nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze in quanto è pacifico che in materia di misure cautelari il codice parla usualmente di ‘imputatò comprendendo la figura della persona sottoposta alle indagini o in alternativa a tale figura così, ad esempio, negli articolo 274 c.p.p. , comma 1, lett. b articolo 275 c.p.p. , commi 4, 4 bis, 4-ter e 4-quater articolo 275 bis c.p.p. articolo 276 c.p.p. articolo 281 c.p.p. e segg. , indipendentemente dalla fase procedimentale in cui l'autorità giudiziaria sia stata chiamata a adottare un provvedimento concernente tali misure. Va, invece, rimarcata la circostanza che la disposizione contenuta nella prima parte del comma 3 non presenta alcun dato letterale da cui poter desumere che la sua operatività sia limitata al solo caso di ordinanze applicative di misure custodiali emesse nella fase delle indagini preliminari e non anche nelle successive fasi del procedimento. Si tratta, come noto, di disposizione in tale prima parte improntata ad un criterio di assoluta automaticità, riguardante l'ipotesi della emissione di una ordinanza cautelare per reati commessi anteriormente all'adozione di altra precedente ordinanza inerente allo stesso fatto o a fatti di reato connessi ai sensi dell'articolo 12, comma prima, lett. b concorso formale o continuazione e lett. c connessione teleologica limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire altri . Al riguardo le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito come in tali casi, se le ordinanze cautelari siano state emesse nello stesso procedimento penale, la retrodatazione della decorrenza dei termini della misura disposta con la ordinanza posteriore opera appunto in maniera automatica, ovvero senza la necessità di alcuna verifica circa la desumibilità dagli atti, al momento dell'emissione della prima ordinanza, della esistenza degli elementi idonei a giustificare l'adozione della successiva così Sez. U, numero 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv. 235911 . Criterio di automaticità, quello appena illustrato, che non vi è alcun elemento normativo che autorizzi a ritenere debba riguardare l'emissione diacronica di provvedimenti cautelari nei confronti dello stesso soggetto, purché adottati nella sola fase delle indagini preliminari. A differenti conclusioni sembrerebbe potersi giungere leggendo la seconda parte del comma 3 dell'articolo 297 la disposizione non si applica relativamente alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto per il quale sussiste connessione ai sensi del presente comma , che si applica nel caso in cui le ordinanze cautelari adottate nello stesso procedimento concernono fatti di reato per i quali non sussiste la connessione innanzi indicata oppure se le ordinanze siano emesse in procedimenti diversi v. Sez. U, numero 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv. 235909, che indica gli ulteriori presupposti di cui è necessario accertare la sussistenza, in particolare per la retrodatazione nel caso di più ordinanze cautelari emesse in procedimenti diversi, ma pendenti dinanzi alla stessa autorità giudiziaria . Tale disposizione, che costituisce all'evidenza una eccezione rispetto alla regola generale dell'automaticità contenuta nella prima parte del comma, lascerebbe intendere - così come argomentato dalle menzionate sentenze ‘Graziosò e ‘Prestà - che anche l'emissione della seconda delle due ordinanze cautelari poste a raffronto debba necessariamente avvenire nella fase delle indagini. Tale risultato interpretativo è, però, il frutto di una lettura ‘forzatà della norma. Pur essendo richiesta, in tali ulteriori situazioni, la verifica della desumibilità, prima del rinvio a giudizio per i fatti oggetto della precedente ordinanza, degli elementi valorizzati ai fini della adozione della ordinanza cautelare posteriore, nulla è detto in ordine al momento in cui tale secondo provvedimento deve essere emesso nè la disposizione in esame impone, ai fini della operatività del ‘meccanismò della retrodatazionè, che esso debba necessariamente essere adottato nella fase delle indagini preliminari. Invero, se la ratio dell'istituto delle c.d. ‘contestazioni a catenà è di evitare che, nell'ipotesi di provvedimenti custodiali emessi nello stesso procedimento , vi possa essere una ingiustificata diluizione dei termini di durata della custodia cautelare dovuta ad un ‘artificioso ritardò o una ‘colpevole inerzià nell'applicazione della misura cautelare da parte dell'autorità giudiziaria , non si vede perché la disposizione dell' articolo 297 c.p.p. , comma 3, che ha oggettivato alcune ipotesi di retrodatazione così, in motivazione, Sez. U, numero 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, cit. , non possa trovare applicazione anche nel caso in cui la seconda delle ordinanze cautelari poste a raffronto sia stata emessa in una fase successiva a quella delle indagini preliminari. Finisce per essere fuorviante il richiamo - contenuto nella motivazione delle più volte citate sentenze ‘Graziosò e ‘Prestà - al ruolo del Pubblico Ministero di dominus del procedimento, che caratterizza la sola fase delle indagini preliminari e ciò per l'ovvia considerazione che pure nella fase del giudizio l'emissione di una nuova ordinanza cautelare richiede, in ogni caso, la presentazione di una richiesta da parte del rappresentante della pubblica accusa. Nè conduce a differenti conclusioni la circostanza - anch'essa valorizzata negli anzidetti precedenti - che l' articolo 303 c.p.p. , stabilisce i termini massimi di durata della custodia cautelare per ogni singola fase del giudizio, con la conseguenza che, in fase dibattimentale, la retrodatazione non potrebbe mai collocarsi ad una data anteriore a quella dalla quale viene fatto decorrere il termine di fase e cioè dalla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado o comunque dalla sopravvenuta esecuzione della custodia ex articolo 303 c.p.p. , comma 1, lett. c , così, in particolare, in Sez. 6, numero 12752 del 23/02/2017, Presta, cit. . Ed infatti, anche tale argomento non è decisivo, come si avrà modo di chiarire più avanti a proposito delle modalità di calcolo dei termini di durata per effetto della retrodatazione della loro decorrenza. Deve, perciò, concludersi - diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale di Catanzaro nella ordinanza impugnata - che alla operatività della disciplina dettata dall' articolo 297 c.p.p. , comma 3, non è di ostacolo la circostanza che il secondo dei due provvedimenti applicativi della misura cautelare sia stato adottato in una fase successiva a quella delle indagini preliminari. 3.3. L'opzione interpretativa appena indicata appare quella più rispettosa dei parametri fissati dalla Carta costituzionale. Escludere la applicabilità della regola della retrodatazione fissata dal comma 3 dell' articolo 297 c.p.p. , nei casi di emissione della seconda ordinanza cautelare in una fase successiva a quella delle indagini preliminari, comporterebbe un vulnus al principio di uguaglianza di cui all' articolo 3 Cost. . Una siffatta impostazione finisce per provocare una ingiustificata disparità di trattamento tra soggetti che versano in situazioni sostanzialmente eguali, dato che imputati dei medesimi reati si vedrebbero riconosciuto o negato il diritto alla retrodatazione della decorrenza dei termini di durata della misura a seconda che il Pubblico Ministero abbia deciso di formulare la seconda richiesta di applicazione della misura custodiale nella fase delle indagini preliminari o durante l'udienza preliminare ovvero nel corso del giudizio di primo grado o in quello di secondo grado. In simile evenienza, difatti, la durata della custodia verrebbe a dipendere non da un fatto obiettivo rispettoso, dunque, del canone dell'uguaglianza e della ragionevolezza , quale quello dell'acquisizione di elementi idonei e sufficienti per adottare i diversi provvedimenti cautelari, ma da una imponderabile valutazione soggettiva degli organi titolari del potere cautelare così in Corte Cost., sent. numero 408 del 2005 . Inoltre, non va trascurato come il nucleo di disvalore del fenomeno delle ‘contestazioni a catenà risieda nell'impedimento, ad esso conseguente, al contemporaneo decorso dei termini relativi a plurimi titoli custodiali nei confronti del medesimo soggetto. Il ritardo nell'adozione della seconda ordinanza cautelare non vale, ovviamente, a prolungare i termini di durata massima della prima misura - essendo gli stessi predeterminati per legge, ai sensi dell' articolo 303 c.p.p. , - ma, in difetto di adeguati correttivi, avrebbe l'effetto di espandere la restrizione complessiva della libertà personale dell'imputato, tramite il ‘cumulo materialè, totale o parziale, dei periodi custodiali afferenti a ciascun reato. Ciò, col risultato di porre l'interessato in situazione deteriore rispetto a chi, versando nella medesima situazione sostanziale, venga invece raggiunto da provvedimenti cautelari coevi, e di rendere, al tempo stesso, aggirabile la predeterminazione legale dei termini di durata massima delle misure, imposta dall' articolo 13, comma 5, Cost. così in Corte Cost., sent. 233 del 2011 . Nucleo di disvalore , giustificativo della operatività della disciplina dettata dall' articolo 297 c.p.p. , comma 3, che è riconoscibile tanto se la ordinanza cautelare posteriore venga emessa nei riguardi dello stesso soggetto nella fase delle indagini preliminari, quanto se venga emessa in una fase procedimentale successiva. Va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto Quando sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura cautelare personale nei confronti dello stesso imputato per fatti di reato connessi, la regola della retrodatazione della durata dei termini di custodia cautelare, prevista dall' articolo 297 c.p.p. , comma 3, opera anche nel caso in cui ad un'ordinanza pronunciata nel corso delle indagini preliminari segua una seconda ordinanza emessa in fase dibattimentale . 3.4. Resta da chiarire quali siano, nelle situazioni innanzi indicate, gli effetti della retrodatazione dei termini di durata della misura cautelare. È indubbio che tale meccanismo di retrodatazione imponga, nella sostanza, di ‘riallinearè la durata della misura cautelare applicata con la seconda ordinanza alla durata della misura applicata con il precedente provvedimento. In generale va, perciò, riaffermato che l' articolo 297 c.p.p. , comma 3, delinea un sistema che si sostanzia nella mera sostituzione del termine iniziale di durata della misura adottata per ultima, sicché per calcolare il relativo termine di fase sarà sufficiente far riferimento al dies a quo della prima misura così Sez. U, numero 23166 del 28/05/2020, Mazzitelli, non massimata sul punto . Ora, nel caso - analogo a quello esaminato dalla impugnata ordinanza del Tribunale di Catanzaro - in cui le due ordinanze cautelari siano state emesse nello stesso procedimento, al ‘riallineamentò consegue di dover ritenere come se il secondo provvedimento, pur adottato nella fase del giudizio di primo o di secondo grado, fosse stato eseguito nello stesso giorno in cui era stata applicata la misura oggetto del primo provvedimento dunque, è necessario verificare ovviamente tenendo conto solo dei periodi in cui la prima misura sia rimasta efficace, escludendo cioè eventuali periodi intermedi di non detenzione - se per la seconda misura sarebbero o meno scaduti i termini previsti dall' articolo 303 c.p.p. , comma 1, per ciascuna fase e se, sommando i periodi di efficacia della prima misura anche in fasi non omogenee, siano o meno scaduti i termini di durata complessiva e di durata massima previsti per la seconda misura rispettivamente dagli articolo 303 c.p.p. , comma 4, e articolo 304 c.p.p. , comma 6. Risulta, perciò, errato il metodo di calcolo utilizzato nel caso del C. nel quale, con riferimento alla ordinanza cautelare emessa dalla Corte di appello per il reato di cui al D.P.R. numero 309 del 1990, articolo 74, il Tribunale del riesame ha ritenuto scaduto il termine di durata di fase di un anno e sei mesi, previsto dall' articolo 303 c.p.p. , comma 1, decorrente dalla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado. Il computo non è stato operato in maniera corretta sia perché il termine di durata di fase della custodia cautelare, in ragione della entità della pena detentiva inflitta con la sentenza di condanna di primo grado per quel delitto associativo, è di un anno, ai sensi del numero 2 della lett. b del predetto articolo 303 c.p.p., comma 1, e non di un anno e sei mesi sia perché è sbagliato imputare tutto il periodo di efficacia della prima misura, maturato anche nelle fasi precedenti oramai esaurite, per intero alla sola fase decorrente dalla pronuncia di tale sentenza di condanna, tenuto conto che, per effetto della fictio furis della retrodatazione delle decorrenza della seconda misura, si realizza una piena coincidenza di sviluppo procedimentale riferibile a tutti i reati tanto per quelli oggetto della prima quanto per quello oggetto della seconda ordinanza cautelare . Non è condivisibile, a questi fini, l'acritico richiamo operato dal Tribunale catanzarese al principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo il quale la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, di cui all' articolo 297 c.p.p. , comma 3, deve essere effettuata computando l'intera durata della custodia cautelare subita, anche se relativa a fasi non omogenee Sez. U, numero 23166 del 28/05/2020, Mazzitelli, Rv. 279347 . Le Sezioni Unite si sono occupate degli effetti della retrodatazione della decorrenza dei termini di durata della custodia cautelare in un caso di due ordinanze emesse entrambe nella fase delle indagini, ma in procedimenti diversi, pendenti dinanzi a differenti autorità giudiziarie, che avevano avuto distinti sviluppi procedimentali. Le Sezioni Unite si sono, cioè, interessate delle conseguenze dell'applicazione dell'istituto delle ‘contestazioni a catenà in una vicenda nella quale il procedimento in cui era stata emessa la prima ordinanza era proseguito transitando alla fase del giudizio, mentre la seconda ordinanza era stata adottata in altro distinto procedimento rimasto ancora nella fase delle indagini in una siffatta situazione il problema era comprendere se, retrodatando il termine iniziale di decorrenza della seconda misura alla data di esecuzione della prima, si dovesse tenere conto solo del periodo di detenzione patita nella fase delle indagini preliminari del primo procedimento, vale a dire della fase ‘omogeneà a quella in cui nel secondo procedimento era stata adottata l'ordinanza posteriore, o anche dei periodi di custodia sofferta nelle fasi successive di quel medesimo primo procedimento. La soluzione privilegiata dalle Sezioni Unite risponde alle peculiarità di quella situazione processuale, nella quale il ‘riallineamentò dei termini di durata della misura disposta con la seconda ordinanza è stato operato con riferimento a quanto accaduto in altro procedimento penale che, nel frattempo, si era sviluppato con il passaggio dalla fase delle indagini a quello del giudizio. Passaggio di fase che l' articolo 297 c.p.p. , comma 3, considera esclusivamente nella seconda parte di tale comma, nei limiti della operatività del menzionato criterio della desumibilità, da cui non è possibile far derivare alcuna anomala diluzione dei termini di durata della custodia cautelare disposta in altro procedimento, ancora nella fase delle indagini, che avrebbe dovuto avere uno sviluppo simultaneo a quello del primo procedimento, a questi fini considerato nella sua interezza. Il ‘riallineamentò dei termini di durata della custodia disposta con la seconda ordinanza emessa in un procedimento ancora nelle fase delle indagini preliminari, è stato, perciò, effettuato, per così dire, guardando in avanti , tenendo conto dell'intero sviluppo che l'altro procedimento ‘parallelò aveva già avuto e considerando l'intero periodo di custodia sofferto dall'imputato in tale diverso procedimento, indipendentemente dalla durata della fase delle indagini preliminari e dal passaggio ad una fase successiva. Tale criterio di computo non è propriamente applicabile alla fattispecie in questa sede esaminata, per la quale il discorso si pone in maniera differente, in quanto, come si è chiarito, le due ordinanze cautelari sono state emesse, in relazione a reati connessi, ciascuna in fasi diverse, ma nell'ambito dello stesso procedimento penale, sviluppatosi in maniera uniforme per tutti i reati oggetto dei due addebiti per il calcolo della durata della seconda misura è evidentemente sbagliato imputare alla fase in corso - quella decorrente dalla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado - nella quale è stata emessa la seconda ordinanza, i periodi di custodia sofferti dall'imputato nelle fasi precedenti. In questo caso il ‘riallineamentò va operato guardando indietro , cioè ricostruendo i passaggi del procedimento come se l'applicazione della seconda misura fosse avvenuta in epoca coeva a quella della prima misura sommare tutti i periodi di detenzione sofferti dall'imputato nelle precedenti fasi ‘disomogeneè ed imputare il risultato finale alla sola fase in cui la seconda ordinanza cautelare è stata adottata, finirebbe irragionevolmente per avvantaggiare l'interessato, favorendolo rispetto al coimputato nel medesimo procedimento che, per quello stesso reato associativo, fosse stato, per ipotesi, destinatario di un provvedimento cautelare emesso fin nella fase delle indagini preliminari. La valorizzazione dei pregressi periodi di custodia cautelare già patita potrebbe, invece, acquisire rilevanza per effetto della retrodatazione della decorrenza iniziale della misura solamente se, in relazione al reato oggetto della seconda ordinanza, i precedenti termini di durata di fase fossero scaduti in questa ipotesi, infatti, non sarebbe possibile realizzare la fictio iuris imposta dall' articolo 297 c.p.p. , comma 3, per la quale occorre necessariamente una continuità con l'applicazione della misura disposta nella fase successiva, e resterebbe frustrata quella esigenza di rigorosa predeterminazione dei termini di durata massima delle misure cautelari che costituisce la ratio dell'istituto in parola termini di fase che, se scaduti, imporrebbero una declaratoria di perdita di efficacia della misura ora per allora . Analogamente i periodi di custodia cautelare sofferta nelle fasi oramai esaurite potrebbero acquisire rilevanza per effetto della retrodatazione della decorrenza iniziale della seconda misura se, in relazione al titolo del reato oggetto della relativa ordinanza posteriore, dovesse risultare superato il termine complessivo di cui all' articolo 303 c.p.p. , comma 4, o il termine massimo di cui all' articolo 304 c.p.p. , comma 6. Va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto Nel caso in cui sono emesse più ordinanze, una prima nella fase delle indagini e una seconda nel corso del giudizio, che dispongono la medesima misura cautelare personale nei confronti dello stesso imputato per fatti di reato connessi oggetto dello stesso procedimento, la regola della retrodatazione opera sostituendo il termine iniziale di durata della misura adottata per ultima con il termine iniziale di efficacia della prima misura. In tale situazione, avendo il procedimento avuto uno sviluppo simultaneo per tutti i reati, è necessario verificare se, retrodatato il dies a quo della decorrenza, per il reato della seconda ordinanza cautelare i termini di durata di fase sarebbero scaduti o se, considerato l'intero periodo di custodia già sofferto dall'imputato per la prima ordinanza cautelare, risulti superato il termine di durata complessivo di cui all' articolo 303 c.p.p. , comma 4, o il termine di durata massimo di cui all' articolo 304 c.p.p. , comma 6 . 4. Il secondo motivo del ricorso è, invece, infondato. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio per cui, ai fini della retrodatazione dei termini di decorrenza della custodia cautelare ai sensi dell' articolo 297 c.p.p. , comma 3, il presupposto dell'anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza coercitiva, rispetto all'emissione della prima, non ricorre allorché il provvedimento successivo riguardi un reato di associazione e la condotta di partecipazione alla stessa si sia protratta dopo l'emissione della prima ordinanza Sez. U, numero 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv. 235910 . Di tale regula iuris il Tribunale di Catanzaro ha fatto corretta applicazione rilevando come non vi fosse alcun concreto elemento da cui poter desumere che il C. , dopo il fermo risalente all'8 marzo 2028 e la sua successiva sottoposizione alla misura cautelare della custodia in carcere in esecuzione della prima ordinanza cautelare, avesse continuato a partecipare attivamente alla vita dell'associazione dedita al narcotraffico, di cui al reato addebitatogli ai sensi del D.P.R. numero 309 del 1990, articolo 74, con la seconda ordinanza custodiale emessa il 25 giugno 2021. Con motivazione congrua, nella quale non è riconoscibile alcun vizio di motivazione, i giudici di merito hanno ritenuto che non potesse essere valorizzato il contenuto delle lettere che, tra il maggio del 2018 e il luglio del 2019, L.S. , capo di quel sodalizio criminale, aveva inviato alla figlia, in quanto missive nelle quali non vi era presente alcun riferimento alla figura del C. , pur essendo questi il genero del L. e neppure il tenore delle dichiarazioni rese nell'ottobre del 2019 dal collaboratore di giustizia B.A. , il quale - come si evince dalla documentazione allegata al ricorso - aveva menzionato il C. genericamente come soggetto che traffica stupefacente con la famiglia Soriano , senza alcun preciso riferimento cronologico che potesse consentire di affermare che l'imputato aveva effettivamente proseguito la partecipazione alle iniziative di quel gruppo delinquenziale anche in epoca successiva all'esecuzione della prima ordinanza cautelare. 5. L'ordinanza impugnata va, dunque, annullata con rinvio al Tribunale di Catanzaro che, nei limiti indicati, nel nuovo esame si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro competente ai sensi dell 'articolo 309 c.p.p ., comma 7.