Vessazioni, violenze e offese ai danni della compagna: condannato per maltrattamenti

Evidente la responsabilità penale dell’uomo sotto processo. Ricostruito, grazie ai racconti della vittima e di una vicina di casa, il pessimo regime di vita imposto alla donna. Rilevante anche la condizione di sudditanza psicologica e timore in cui la donna è stata indotta dai comportamenti del convivente.

Minacce, ingiurie e violenze alternate a periodi di quiete tra le mura domestiche. Va comunque condannato per maltrattamenti l'uomo che ha imposto alla compagna un sistema di vita fatto di prevaricazioni e di sofferenze fisiche e psichiche Cass. penumero , sez. VI, 11 novembre 2021, numero 41053 . Ricostruiti, grazie alle parole della vittima e di una vicina di casa, i comportamenti tenuti dall'uomo durante la convivenza, i giudici di merito ritengono sacrosanta la condanna per il reato di maltrattamenti in famiglia. In Appello la pena viene rideterminata diciassette mesi di reclusione. E l'uomo decide di proporre ricorso in Cassazione per mettere in discussione l'esistenza dei maltrattamenti ai danni della oramai ex compagna. Obiettivo della difesa è porre dubbi sulla attendibilità della donna. I giudici di terzo grado spazzano però subito ogni obiezione sulla veridicità del racconto fatto dalla donna. In particolare, vengono poste in evidenza le dichiarazioni di una vicina di casa, la quale ha raccontato di «avere ricevuto le confidenze della donna sul sistema di vita impostole dal convivente», e le certificazioni mediche riguardanti «la presenza di contusioni al volto della donna». Dato di partenza è la decisione presa dalla donna di «interrompere il rapporto di convivenza», decisione arrivata, sottolineano i giudici, «all'esito di un doloroso percorso di consapevolezza del fallimento del rapporto familiare». E in questa ottica si colloca la circostanza che «le condotte» addebitate all'uomo «sono avvenute nell'abitazione e senza caratteristiche eclatanti» ma comunque con caratteristiche «vessatorie e prevaricanti nei confronti della donna». In sostanza, la donna «ha descritto un menage contrassegnato da ogni sorta di prevaricazioni morali e fisiche a bassa intensità» ma, sottolineano i giudici, «quotidiane e sistematiche» e culminate nell'aggressione fisica che l'ha indotta a denunciare il compagno. E in questo quadro si inseriscono anche «l'esistenza di una forma di dipendenza della donna verso il compagno» e la realizzazione da parte dell'uomo di «comportamenti costrittivi e minacciosi» dell'uomo, arrivato a minacciare la compagna con un coltello e a «privarla del telefono cellulare». Evidente, quindi, secondo i giudici «la condizione di sudditanza psicologica e timore nel quale la donna è stata indotta dai comportamenti abusanti del convivente». Tirando le somme, «le condizioni di vita descritte dalla donna, protrattesi per un apprezzabile periodo temporale, sono state caratterizzate, secondo un racconto fermo e costante nei tratti essenziali, da plurimi e ricorrenti episodi di violenza fisica», e, allo stesso tempo, «il rapporto comunicativo con l'uomo è stato caratterizzato da un sistema di ingiurie e minacce che appaiono unificati da un vincolo di abitualità e da un'unica intenzione criminosa, quella cioè di prevaricare progressivamente la donna, facendo ricorso anche alla violenza fisica, per costringerla alla protrazione della convivenza». Sacrosanta, quindi, la condanna dell'uomo, anche tenendo presente, concludono i giudici, «non è necessario un comportamento vessatorio continuo e ininterrotto, giacché è possibile che gli atti lesivi si alternino con periodi di normalità nei rapporti di convivenza o familiari, poiché l'intervallo di tempo tra una serie e l'altra di episodi offensivi non fa venir meno l'esistenza del delitto, venendo escluso l'elemento oggettivo del reato solo qualora, dal quadro probatorio, emergano la episodicità e l'occasionalità degli atti di maltrattamento».

Presidente Ricciarelli – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Torino, rideterminata la pena in quella di anni uno e mesi cinque di reclusione, ha confermato la condanna di P.C. per i reati di cui agli articolo 572,582-585 c.p., in riferimento all'articolo 577, comma 2, 61 numero 11 quinquies c.p., confermando nel resto la sentenza di primo grado anche sul punto delle statuizioni in favore della parte civile. 2. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., il ricorrente denuncia violazione di legge, processuale e sostanziale, ai fini della ritenuta sussistenza del reato. Sono, sostiene, parziali, perché non hanno compiutamente esaminato i motivi di gravame, le argomentazioni che la Corte di merito ha posto a fondamento del giudizio di responsabilità dal momento che la persona offesa non aveva saputo contestualizzare specifici episodi aggressivi consumati ai suoi danni durante l'intera durata della convivenza e che aveva, comunque, fortemente ridimensionato le accuse nel corso delle dichiarazioni rese al Tribunale per i Minorenni, in sede di affido dei figli minori. Sono, inoltre, inconcludenti le valutazioni espresse dalla Corte in merito alla esistenza di riscontri rivenienti dalle dichiarazioni dei testi che, in buona sostanza, nulla hanno potuto riferire sui rapporti di coppia se non le postume confidenze ricevute dalla persona offesa. La Corte, infine, non aveva esaminato il motivo di appello relativo al rigetto della richiesta, avanzata ai sensi dell'articolo 507 c.p.p., di escussione della madre della persona offesa che questa aveva sostenuto essere presente ai fatti del 16 luglio e destinataria di una telefonata durante la quale l'imputato aveva minacciato la persona offesa dicendo alla madre che, se lo avesse denunciato, l'avrebbe riportata morta in Romania , avendo, invece, l'imputato escluso tale circostanza. 3. Con tempestiva memoria il difensore del ricorrente ha chiesto di dichiarare la nullità dell'odierno avviso di fissazione non essendo stato reso edotto della facoltà di chiedere la trattazione orale. Considerato in diritto 1.Il ricorso è inammissibile. 2. È manifestamente infondata l'eccezione in rito in relazione alle modalità di partecipazione all'odierna udienza, tenuta con la forma della trattazione scritta prevista, per ultimo, dal D.L. 105 del 2021 dal momento che non è previsto, a pena di nullità, l'avviso al difensore sulla possibilità di chiedere la trattazione orale del ricorso. L'avviso di fissazione del ricorso dinanzi alla Corte di cassazione è notificato al difensore che, per le sue qualità professionali, si presume a conoscenza delle regole che presidiano lo svolgimento dell'attività difensiva e oggetto di specifica disciplina legislativa. 3.Generico e manifestamente infondato è anche l'ulteriore motivo di ricorso, di natura processuale, con il quale il ricorrente censura il mancato esame delle deduzioni difensive che, nell'atto di appello, avevano riguardato l'ordinanza con la quale il Tribunale aveva respinto la richiesta, ai sensi dell'articolo 507 c.p.p., di procedere alla escussione della madre della persona offesa in relazione all'episodio del 16 luglio 2017, che sarebbe avvenuto in presenza di costei destinataria, altresì, di una successiva minaccia telefonica dell'imputato che, nel corso di una telefonata, le avrebbe detto che, se la figlia l'avesse denunciato, l'avrebbe riportata morta in Romania. È noto, in punto di diritto, che il giudice di primo grado può procedere all'assunzione ex officio delle prove ove tale adempimento risulti assolutamente necessario , dovendosi intendere con tale locuzione, il caso in cui non sia possibile decidere se non dopo l'assunzione di una determinata prova e, quindi, quando la prova sia decisiva. Si tratta di una scelta discrezionale soggetta ad obbligo specifico di motivazione che, in quanto tale, può essere sottoposto al controllo di legittimità, oltre che al controllo del giudice di appello. Rileva il Collegio che, a fronte della specifica motivazione con la quale il Tribunale aveva respinto la richiesta di assumere le dichiarazioni della madre della persona offesa perché generica e affatto esplicativa della sua rilevanza e decisività , e della generica richiesta di rinnovazione, in appello, di detta assunzione cfr. pag. 9 e 10 dell'atto di appello anche il motivo di ricorso - che si risolve nel rilievo della mancata risposta ad un motivo di appello - risulta generico perché il ricorrente non spiega, in questa sede, la decisività delle dichiarazioni della madre della persona offesa e posto che la necessità di procedere alla escussione della madre della persona offesa non si confronta con la ricostruzione della sentenza impugnata che, in merito ai fatti del 16 luglio 2017, ha sia pure implicitamente, ritenuto che la prova richiesta non fosse assolutamente necessarie - cioè avesse una valenza tale che, ove assunta, avrebbe determinato una diversa conclusione del processo inficiando il giudizio di colpevolezza, ritenuto da entrambi i giudici di merito con una motivazione, come si dirà, del tutto logica e concludente il giudizio di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, smentito, secondo il ricorrente, da una diversa causale e dinamica dei fatti occorsi quella sera. 3.La Corte di appello, richiamata la motivazione della sentenza di primo grado, ha valorizzato a carico dell'imputato le dichiarazioni rese dalla persona offesa, la convivente, T.G. quelle dei testi, F.M. , e P. le risultanze delle certificazioni mediche, in relazione all'episodio di lesioni del 16 luglio 2017, che aveva coinvolto anche il figlio minore della coppia, colpito da uno schiaffo del padre. Sono generici e manifestamente infondati i rilievi, sviluppati con il primo motivo di ricorso, con i quali il ricorrente denuncia vizi di motivazione della prova dichiarativa poiché le argomentazioni difensive risultano meramente reiterative di censure già sviluppate contro la sentenza di primo grado, debitamente esaminate dai Giudici di appello i e si risolvono, a ben vedere, nella richiesta alla Corte di legittimità di rivalutazione dei fatti ricostruiti valorizzando il compendio probatorio costituito non solo dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa, apprezzate come credibili e coerenti, ma anche da terzi e, in particolare, da quelle rese dalla vicina, relative all'episodio del 16 luglio 2017, che si era determinata a recarsi casa della coppia avendo sentito la G. piangere fortissimo , e da un altro teste che aveva ricevuto le confidenze della donna sul sistema di vita impostole dal convivente. L'episodio del 16 luglio 2017 ha, inoltre, trovato riscontro nelle certificazioni mediche che certificavano la presenza di contusioni al volto sia della persona offesa che del figlio minore. L'attendibilità della teste è stata ampiamente valutata da entrambi i giudici di merito i quali, all'unisono, sulla base dei descritti indici di natura fattuale e logica, hanno concluso sostenendo che la teste aveva reso dichiarazioni attendibili in quanto non ispirate da alcun intento calunniatorio o vendicativo nei confronti dell'imputato e determinatasi alla interruzione del rapporto di convivenza all'esito di un doloroso percorso di consapevolezza del fallimento del rapporto familiare. La Corte ha ampiamente analizzato anche la spiegazione alternativa fornita dall'imputato sulla unicità e occasionalità dell'episodio del OMISSIS e, dunque, sulla sua irrilevanza ai fini dell'abitualità del reato - e, soprattutto, della tesi secondo la quale non valgono ad integrare il delitto di cui all'articolo 572 c.p., meri maltrattamenti psicologici , nei quali, secondo il ricorrente, si sarebbe risolto il racconto della convivente dal momento che la donna non era stata in grado di contestualizzare gli episodi di percosse di cui sarebbe stata vittima i vicini non erano stati in grado di sentire litigi provenienti dall'abitazione, e, soprattutto, che, nel corso delle dichiarazioni rese al Tribunale per i Minorenni, in sede di affido dei figli, la persona offesa avesse ridimensionato le accuse al convivente. Rileva il Collegio che anche tali aspetti sono stati esaminati dalla Corte di merito che ne ha rilevato la inidoneità a scalfire il giudizio di attendibilità della dichiarante la circostanza che le condotte avvenissero nell'abitazione, anche senza caratteristiche eclatanti ma cionondimeno vessatorie e prevaricanti nei confronti della persona offesa la conclusione che l'imputato fosse stato dichiarato decaduto dalla potestà genitoriale sono state apprezzate, in una con i dati di generica relativi all'episodio del OMISSIS , come particolarmente significativi del giudizio di attendibilità della persona offesa che ha descritto un mènage contrassegnato da ogni sorta di prevaricazioni morali e fisiche a bassa intensità , ma quotidiane e sistematiche, rispetto alle quali si erano, infine, distinti per la maggiore intensità gli episodi del OMISSIS - con aggressioni fisiche sia alla sua persona che a quella del figlio minore - che l'avevano indotta alla denuncia. La sentenza impugnata ha dato conto della esistenza di una forma di dipendenza della persona offesa verso il compagno e dei comportamenti costrittivi e minacciosi dell'imputato - in occasione dell'episodio del 16 luglio, il convivente aveva minacciato la G. anche con un coltello e l'aveva privata del telefono cellulare - tanto che la persona offesa era stata costretta a rivolgersi all'addetto alla sicurezza del supermercato, in cui si era recata con l'imputato, chiedendo aiuto e invocando l'intervento dei Carabinieri. Si tratta, quanto a quest'ultima evenienza, processualmente acclarata, di un dato di tutto rilievo a conforto della condizione di sudditanza psicologica e timore nel quale la vittima era stata indotta dai comportamenti abusanti del convivente e che avevano, alfine, attinto una soglia di allarme in ragione della violenza della condotta agìta dall'imputato la notte del OMISSIS . Le condizioni di vita descritte dalla persona offesa, protrattesi per un apprezzabile periodo temporale, sono state caratterizzate - secondo un racconto fermo e costante nei tratti essenziali - da plurimi e ricorrenti episodi di violenza fisica, non meglio precisati vista la loro ricorrenza e sistematicità che caratterizzavano il rapporto comunicativo con l'imputato da un sistema di ingiurie e minacce che appaiono unificati da un vincolo di abitualità e da un'unica intenzione criminosa, quella cioè di prevaricarla progressivamente, facendo ricorso anche alla violenza fisica, per costringerla alla protrazione della convivenza. La persona offesa ha descritto, quindi, un sistema di vita impostole dal compagno, protrattosi per anni e caratterizzato da sofferenze e lesioni dell'integrità fisica e psichica che i Giudici del merito, basandosi su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede, correttamente sussunti nella fattispecie di maltrattamenti, venendo, così escluso il vizio di violazione di legge. Sulla scorta delle dichiarazioni acquisite, la sentenza ha, infatti, ricostruito le condotte di maltrattamenti facendo corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità a stregua della quale il concetto di maltrattamenti, pure non definito dalla legge, è integrato da una condotta abituale, che si estrinseca in più atti lesivi, realizzati in tempi successivi, dell'integrità, della libertà, dell'onore, del decoro del soggetto passivo o più semplicemente in atti di disprezzo, di umiliazione, di asservimento che offendono la dignità della vittima. Con la previsione in esame, il legislatore penale ha inteso attribuire particolare disvalore soltanto alla reiterata aggressione all'altrui personalità, assegnando autonomo rilievo penale all'imposizione di un sistema di vita caratterizzato da sofferenze, afflizioni, lesioni dell'integrità fisica o psichica, le quali incidono negativamente sulla personalità della vittima e su valori fondamentali propri della dignità e della condizione umana. Risultano, dunque, esclusi dalla nozione di maltrattamenti, in quanto non connotati da abitualità, soltanto gli atti episodici, pur lesivi dei diritti fondamentali della persona, che non siano riconducibili nell'ambito della descritta cornice unitaria, perché traggono origine da situazioni contingenti e particolari, che possono verificarsi nei rapporti interpersonali di una convivenza familiare, che conservano eventualmente, se ne ricorrono i presupposti, la propria autonomia come delitti contro la persona ingiurie, percosse, lesioni , già di per sé sanzionati dall'ordinamento giuridico Sez. 6, numero 37019 del 27/05/2003, C., Rv. 226794 . Nè è necessario, ai fini della sussistenza del reato, un comportamento vessatorio continuo e ininterrotto giacché è ben possibile che gli atti lesivi si alternino con periodi di normalità nei rapporti di convivenza o familiari poiché l'intervallo di tempo tra una serie e l'altra di episodi offensivi non fa venir meno l'esistenza del delitto, venendo escluso l'elemento oggettivo del reato solo qualora, dal quadro probatorio, emerga la episodicità ed occasionalità degli atti di maltrattamento. 5.Dalle considerazioni svolte consegue che il ricorso non si salva dalla dichiarazione di inammissibilità alla quale si accompagna la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo liquidare come in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.