La parte che si sia vista rigettare dal giudice le proprie richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle, in modo specifico, quando precisa le conclusioni senza limitarsi al richiamo generico dei precedenti atti difensivi poiché, diversamente, le stesse debbono ritenersi abbandonate e non potranno essere proposte in sede d’impugnazione.
Resta salva però la possibilità per il giudice di merito di ritenere superata tale presunzione qualora dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte o della connessione della richiesta non riproposta con le conclusioni rassegnate e con la linea difensiva adottata nel processo, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla richiesta pretermessa, attraverso l'esame degli scritti difensivi. La fattispecie. Nel caso in esame la Corte d'Appello, nel confermare la sentenza resa dal giudice di prime cure, aveva argomentato che la mancata reiterazione, in sede di precisazione delle conclusioni delle precise istanze istruttorie dedotte nella apposita memoria, e non ammesse dal Tribunale, ben era qualificabile come abbandono delle stesse con conseguente inammissibilità della loro riproposizione nella fase di gravame. La questione è, poi, giunta all'attenzione del Supremo Collegio. L'orientamento della Corte di legittimità. Secondo la giurisprudenza unanime della Corte di Cassazione la parte che si è vista rigettare le istanze istruttorie ha l'onere di reiterarle, in modo specifico, quando precisa le conclusioni senza limitarsi a un generico richiamo dei precedenti scritti difensivi poiché, in tal caso, dette debbono considerarsi rinunciate. Tale principio trova applicazione anche nella fase di gravame con il conseguente onere di ripresentare dette istanze in modo preciso sul foglio di precisazione delle conclusioni onde poter dedurre il vizio scaturente dalla pretesa illegittimità del diniego quale motivo di ricorso per cassazione. Il parziale revirement del principio di cui sopra alla luce dei principi della Carta Fondamentale dei Diritti. Tuttavia, la Corte, con un parziale revirement della propria posizione, sostiene che tale principio deve essere coordinato con gli altri principi in tema di interpretazione degli atti. Più precisamente se in sede di precisazione delle conclusioni non vengono precisate le domande dette non possono ritenersi rinunciate ma valgono quelle formulate nell'atto introduttivo o nella memoria 183, VI comma, numero 1, codice di rito per considerare una domanda abbandonata non è sufficiente che detta non venga riproposta in sede di precisazione delle conclusioni ma è necessario valutare complessivamente gli atti e la condotta processuale della parte se il procuratore della parte non si presenta all'udienza di precisazione delle conclusioni vale la presunzione che la parte abbia voluto tenere ferme le conclusioni già formulate in precedenza. In altre parole, la rinuncia e/o abbandono delle domande non riproposte nel foglio di precisazione delle conclusioni viene risolto dal diritto vivente non con un mero e rigoroso automatismo, l'omissione, ma con una ricerca ricostruttiva della effettiva volontà della parte. Ne consegue che tali principi debbano essere applicati anche alle istanze istruttorie che non possono ritenersi abbandonate solamente perché non riproposte in sede di precisazione delle conclusioni ma è necessario un approfondimento sul contegno processuale della parte. Nel caso di specie, la sentenza della Corte d'Appello deve essere cassata in quanto nella comparsa conclusionale la parte interessata aveva argomentato, in modo esaustivo, la pretesa illegittimità della non ammissione delle istanze istruttorie dedotte.
Presidente D'Ascola – Relatore Orilia Ritenuto in fatto 1 La Corte d'Appello di Napoli, con sentenza numero 509/2016 resa pubblica il 5.2.2016, ha respinto, previa riunione, le impugnazioni proposte da T.E. contro due sentenze a lui sfavorevoli pronunciate dal locale Tribunale la numero 7099/2008 nel procedimento numero 12551/05 e la numero 11740/2011 nel procedimento numero 14369/05 con cui, in accoglimento delle domande proposte dalla A.O.R.N. S.P. in due separati giudizi promossi il 9.4.2005 e 21.4.2005 - era stata accertata l'inesistenza del diritto di passaggio carrabile del T. attraverso la rampa ed il viale dell'Ospedale per raggiungere la propria abitazione e l'inesistenza del diritto di utilizzo di tali aree per la sosta di autoveicoli con conseguente interdizione dal passaggio e dall'uso relativo e condanna alla chiusura del varco praticato nel muro divisorio nonché alla eliminazione del cancello aperto dal convenuto sentenza numero 7099/2008 nel giudizio numero 12551/2005 . - il T., rimasto contumace, era stato condannato all'immediato rilascio di una zonetta di terreno posta alle spalle del muro in prossimità del confine e alla immediata rimozione del cancello metallico installato lungo il muro in prossimità dei fondi sentenza numero 11740/2011 nel procedimento numero 14369/05 . La Corte partenopea ha motivato il rigetto delle impugnazioni osservando - che la mancata reiterazione in sede di conclusioni da parte del convenuto dell'istanza di ammissione di prova per testi nel giudizio di primo grado, già respinta dal giudice istruttore, comportava l'abbandono e di conseguenza l'inammissibilità della sua riproposizione in appello - che mancavano opere visibili e permanenti all'esercizio della servitù di passaggio e di parcheggio e pertanto, difettando il requisito dell'apparenza, doveva ritenersi assorbita ogni considerazione svolta dall'appellata circa il difetto degli elementi idonei a rivelare al titolare del fondo servente l'esistenza della servitù e circa l'assenza del requisito della continuità ininterrotta del possesso stante le plurime contestazioni mosse dapprima dal Comune di Napoli e poi dall'Azienda Ospedaliera giusta le missive in atti - che l'appellante non aveva censurato il ragionamento del primo giudice sulla titolarità del diritto di proprietà dell'attrice sulla zona in contestazione - che nel secondo giudizio nessuna domanda di acquisto per usucapione era stata formulata nel secondo giudizio, stante la contumacia del convenuto - che il custode dell'Ospedale, escusso all'udienza del 23.10.2008, aveva dichiarato che le opere apposizione del cancello e trasformazione di gradini in rampa erano state realizzate circa quindici anni prima - che la servitù di parcheggio non poteva riconoscersi sia per la natura personale della stessa sia per i già riferiti motivi ostativi legati all'apparenza. 2 Contro tale sentenza il T. ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi contrastati con controricorso dalla Azienda Ospedaliera. Il Procuratore Generale ha fatto pervenire conclusioni scritte insistendo per il rigetto del ricorso. In prossimità dell'udienza il ricorrente ha depositato una memoria ex articolo 378 c.p.c. . Considerato in diritto 1 Col primo motivo, denunziandosi violazione e falsa applicazione degli articolo 39 e 273 c.p.c. , in relazione all' articolo 360 c.p.c. , nnumero 3 e 5, si rileva che la Corte d'Appello, a fronte dell'identità di domande proposte nei due procedimenti, avrebbe dovuto riunirli applicando l' articolo 273 c.p.c. e operando una fusione dei processi, piuttosto che applicare l' articolo 274 c.p.c. . Il motivo è infondato. Ed infatti, sia la pluralità di procedimenti relativi alla stessa causa pendenti davanti allo stesso giudice articolo 273 c.p.c. , comma 1 che la pluralità di procedimenti relativi a cause connesse pendenti davanti allo stesso giudice articolo 274 c.p.c. , comma 1 conducono al medesimo risultato processuale, che è quello della riunione, con l'unica differenza che nel secondo caso, la riunione è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice può disporre la riunione . Nel caso di specie, la Corte d'Appello cfr. pagg. 5 e 9 della sentenza dà atto di avere riunito i procedimenti con ordinanza 23.10.2013 ai sensi dell' articolo 274 c.p.c. , ed ha quindi proceduto ad una valutazione contestuale di tutte le doglianze secondo un ordine di priorità logica da essa prescelto. In tal modo, il risultato che l'odierno ricorrente sperava di ottenere la trattazione simultanea dei processi e quindi l'esclusione del pericolo di pronunce contrastanti è stato raggiunto, per cui oggi non ha di che dolersi. 2 Col secondo motivo il T. deduce la violazione e falsa applicazione degli articolo 39 e 274 c.p.c. , nonché articolo 279 c.p.c. , numero 5 e articolo 295 c.p.c. , in relazione all' articolo 360 c.p.c. , nnumero 3 e 5, dolendosi della mancata sospensione del secondo giudizio numero 14369/2005 fino alla definizione dell'altro il numero 12551/05 . Ravvisa il ricorrente un rapporto di pregiudizialità incontrovertibile tra le due cause, osservando che il rigetto della domanda di inesistenza di alcun titolo legittimamente formulata nel primo giudizio, unitamente all'accoglimento della riconvenzionale di accertamento della servitù di passaggio per usucapione, avrebbe comportato il rigetto anche della domanda proposta nel giudizio pregiudicato malamente, quindi, la Corte d'Appello avrebbe disposto la mera riunione formale dei procedimenti, di fatto decidendoli in maniera separata. Chiede pertanto a questa Corte di rimettere gli atti alla Corte d'appello perché disponga la separazione dei giudizi e la sospensione del giudizio numero 14369/2005 pregiudicato fino alla definizione del giudizio numero 12551/05 pregiudicante. Anche tale motivo è infondato. A parte la palese contraddittorietà tra questa censura e quella precedentemente esaminata, riguardante, la prima, la mancata riunione dei due giudizi ex articolo 273 c.p.c. e la seconda la mancata sospensione del secondo giudizio quello numero 14369/05 avente ad oggetto l'appropriazione della zonetta di terreno, la creazione abusiva di un cancello e la modifica dello stato dei luoghi in attesa della definizione del primo il numero 12551/05 avente ad oggetto l'accertamento di inesistenza di servitù di passaggio sulla rampa e vicoli di proprietà dell'Azione da Ospedaliera , osserva il Collegio che il ricorrente mostra di confondere istituti completamente diversi, cioè la figura della sospensione necessaria del processo ex articolo 295 c.p.c. , per ragioni di pregiudizialità con quella della connessione dei procedimenti per l'oggetto o il titolo, ma che possono senz'altro essere decisi nello stesso processo secondo un ordine di priorità logica delle questioni. Del resto questa Corte ha più volte affermato che ove tra due procedimenti, pendenti dinanzi al medesimo ufficio o a sezioni diverse di quest'ultimo, esista un rapporto di identità o di connessione, il giudice del giudizio pregiudicato non può adottare un provvedimento di sospensione ex articolo 295 c.p.c. , ma deve rimettere gli atti al capo dell'ufficio, secondo le previsioni degli articolo 273 o 274 c.p.c. , a meno che il diverso stato in cui si trovano i due procedimenti non ne precluda la riunione Sez. 6 - 3, Ordinanza numero 12441 del 17/05/2017 Rv. 644294 Sez. 6 - 1, Ordinanza numero 13330 del 26/07/2012 Rv. 623609 . Nel caso di specie, quindi, non merita alcuna censura la scelta della Corte d'Appello di riunire direttamente i procedimenti, senza ovviamente investire il capo dell'Ufficio, non vertendosi nelle ipotesi previste dall' articolo 274 c.p.c. , comma 2 di pendenza davanti ad altro giudice o ad altra sezione dello stesso ufficio giudiziario. 3 Col terzo motivo, anch'esso di natura procedurale, si denunzia la violazione e falsa applicazione degli articolo 112,183,184 e 189 c.p.c. , nonché articolo 24 Cost. , rimproverandosi il giudizio di inammissibilità del secondo motivo di appello con cui si reiterava la richiesta di prova testimoniale non ammessa dal primo giudice. Osserva al riguardo il ricorrente che contrariamente a quanto affermato in sentenza - non vi era stata nessuna rinunzia alla richiesta di prova per testi, la cui rilevanza era stata peraltro riconosciuta dalla stessa Corte partenopea. Richiama a sostegno della censura una serie di pronunce di legittimità in tema di omessa precisazione delle conclusioni in udienza. 4 Col quarto motivo il ricorrente denunzia violazione degli articolo 115,116 c.p.c., articolo 1027,1155,1158,1165 e 1167 c.c. , per avere la Corte d'Appello individuato un motivo di sospensione del possesso ad usucapionem nella missiva a firma di un, terzo estraneo al processo, tale T.L Critica, inoltre, la Corte d'Appello per avere negato l'esistenza dell'apparenza della servitù contestando il relativo giudizio. 5 Col quinto ed ultimo motivo il ricorrente denunzia violazione degli articolo 132,115 e 116 c.p.c. , nonché articolo 111 Cost. , rilevando che la sentenza impugnata è priva di motivazione attesa la manifesta illogicità sulla data delle opere. Deduce ancora una volta l'irrilevanza della missiva a firma del terzo estraneo. 6 Il terzo motivo è fondato. Secondo l'orientamento di questa Corte, la parte che si sia vista rigettare dal giudice le proprie richieste istruttorie ha l'onere di reiterarle, in modo specifico, quando precisa le conclusioni, senza limitarsi al richiamo generico dei precedenti atti difensivi, poiché, diversamente, le stesse devono ritenersi abbandonate e non potranno essere riproposte in sede di impugnazione. Tale principio deve essere esteso anche all'ipotesi in cui sia stato il giudice di appello a non ammettere le suddette richieste, con la conseguenza che la loro mancata ripresentazione al momento delle conclusioni preclude la deducibilità del vizio scaturente dall'asserita illegittimità del diniego quale motivo di ricorso per cassazione. tra le varie, Sez. 2 -, Sentenza numero 5741 del 27/02/2019 Rv. 652770 v. anche Sez. 2, Ordinanza numero 15029 del 31/05/2019 Rv. 654190, Sez. 3 -, Ordinanza numero 19352 del 03/08/2017 Rv. 645492 Sez. 6 - 3, Ordinanza numero 3229 del 05/02/2019 Rv. 653001 . Occorre però, per ragioni di coerenza sistematica e nell'ottica di una interpretazione costituzionalmente orientata sull'effettività del diritto di difesa articolo 24 e 111 Cost. , coordinare tale principio con gli altri principi, pure rinvenibili nella giurisprudenza di legittimità in tema di interpretazione del contegno processuale del difensore in sede di precisazione delle conclusioni e cioè - con il principio secondo cui quando la causa viene trattenuta in decisione senza che il giudice istruttore si sia pronunciato espressamente sulle istanze istruttorie avanzate dalle parti, il solo fatto che la parte non abbia, nel precisare le conclusioni, reiterato le dette istanze istruttorie, non consente al decidente di ritenerle abbandonate, ove la volontà in tal senso non risulti in modo inequivoco cfr. Sez. 1 -, Ordinanza numero 4487 del 19/02/2021 Rv. 660569 - con il principio secondo cui, affinché una domanda possa ritenersi abbandonata della parte, non è sufficiente che essa non venga riproposta nella precisazione delle conclusioni, costituendo tale omissione una mera presunzione di abbandono, in quanto invece è necessario accertare se, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte o dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle esplicitamente reiterate, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla domanda pretermessa Sez. 3, Sentenza numero 1603 del 03/02/2012 Rv. 621711 Sez. 1, Sentenza numero 15860 del 10/07/2014 Rv. 632116 Sez. 2 Sentenza numero 17582 del 14/07/2017 Rv. 644854 Sez. 1 -, Ordinanza numero 31571 del 03/12/2019 Rv. 656277 - con il principio secondo cui nell'ipotesi in cui il procuratore della parte non si presenti all'udienza di precisazione delle conclusioni o, presentandosi, non precisi le conclusioni o le precisi in modo generico, vale la presunzione che la parte abbia voluto tenere ferme le conclusioni precedentemente formulate Sez. 6 - 1, Ordinanza numero 22360 del 30/09/2013 Rv. 627928 Sez. 3, Sentenza numero 10027 del 09/10/1998 Rv. 519576 nello stesso senso, Sez. 3 Sentenza numero 26523 del 20/11/2020 Rv. 659790 secondo cui in caso di mancata partecipazione del procuratore di una parte all'udienza di precisazione delle conclusioni, debbono intendersi richiamate le richieste precedentemente formulate, ivi comprese le istanze istruttorie che la parte abbia reiterato dopo che ne sia stata rigettata l'ammissione - con il principio secondo cui quando la causa viene trattenuta in decisione perché sia decisa immediatamente una questione pregiudiziale di rito o preliminare di merito, ai sensi dell' articolo 187 c.p.c. , il solo fatto che la parte non abbia, nel precisare le conclusioni, reiterato le istanze istruttorie già formulate non consente al giudice di ritenerle abbandonate, se una volontà in tal senso non risulti in modo inequivoco Sez. 3, Sentenza numero 8576 del 29/05/2012 Rv. 622631 . Come si vede, il tema della presunzione di rinuncia/abbandono delle domande o eccezioni non riproposte in sede di precisazione delle conclusioni viene prevalentemente risolto dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso di una ricerca ricostruttiva dell'effettiva volontà della parte. E, quanto all'assenza del difensore della parte all'udienza di precisazione delle conclusioni, si è precisato che essa non implica alcuna volontà di rinuncia alle domande e alle eccezioni in precedenza proposte, dovendosi invece presumere che la parte stessa abbia inteso tenere ferme, senza variarle/le conclusioni formulate in precedenza formulate negli atti tipici a ciò destinati e, quindi, nell'atto introduttivo del giudizio o nella comparsa di risposta, come anche nell'udienza o nei termini ex articolo 183 c.p.c. così Sez. 3, Sentenza numero 5018 del 2014 non massimata . Anche nella giurisprudenza di legittimità più risalente si rinvengono principi improntati ad una valutazione globale della volontà della parte in sede di conclusioni disancorata da rigidi formalismi. Ad esempio, secondo Sez. 3, Sentenza numero 1480 del 14/06/1962 Rv. 252362, il principio che la precisazione delle conclusioni ha lo scopo di fissare definitivamente la volontà delle parti in relazione all'oggetto della controversia, per cui si debbono considerare rinunciate tutte le domande ed eccezioni che non siano state espressamente ribadite e richiamate in tale sede, presuppone che la parte abbia specificamente formulato ex novo tutte le conclusioni, mentre l'espressione di rigetto della domanda o delle eccezioni del convenuto, comprendendo, per la sua assoluta genericità tutte le ragioni già fatte valere in ordine ai presupposti ed alle condizioni dell'azione, non consente di ritenere abbandonata alcuna delle conclusioni precedentemente adottate dalla parte al fine di ottenere una pronuncia ad essa favorevole. E analogamente, secondo Sez. 3, Sentenza numero 136 del 26/01/1962 Rv. 250210 si deve ritenere rinunziata e quindi estranea al thema decidendum qualsiasi domanda ed eccezione che non sia stata espressamente ribadita o richiamata nelle nuove e definitive conclusioni precisate dalle parti all'udienza all'uopo fissata. Tale principio, tuttavia, non si applica quando manchi una nuova e completa enunciazione delle conclusioni, nel qual caso si presume che le parti abbiano inteso riportarsi senza varianti a quelle formulate in precedenza. Si segue dunque sempre un criterio meno rigoroso e improntato alla ricerca della volontà della parte. Così ricostruito il panorama giurisprudenziale, ritiene il Collegio che anche una presunzione di abbandono di istanze istruttorie in sede di precisazione delle conclusioni non possa, in taluni casi, prescindere da una doverosa indagine volta ad accertare se, effettivamente, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte o dalla connessione della richiesta non riproposta con le conclusioni rassegnate e con la linea difensiva adottata nel processo, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla richiesta pretermessa, attraverso l'esame degli scritti difensivi quali la comparsa di costituzione, le memorie di cui all' articolo 183 c.p.c. o articolo 184 c.p.c. , nella formulazione ratione temporis applicabile , e poi con la comparsa conclusionale di cui all' articolo 190 c.p.c. , la cui funzione tipica - è bene rimarcarlo - è proprio quella di illustrare le domande e le questioni già proposte e che la parte intende sottoporre al giudice. E un caso classico può essere proprio quello che ricorre nella fattispecie in esame, in cui all'udienza del 12.3.2008 fissata per la precisazione delle conclusioni nel giudizio numero 12551/05 in cui si discuteva della inesistenza di servitù di passaggio e sosta di veicoli e, in riconvenzionale, dell'esistenza della relativa servitù acquistata per usucapione , non si presentò il dominus, ma un suo delegato, che si riportò ai propri scritti e atti , omettendo però di reiterare espressamente la richiesta di ammissione di prova che però era già stata formulata nella comparsa di costituzione e nella memoria ex articolo 184 c.p.c. cioè negli atti processuali e, successivamente, venne ribadita dal difensore nella comparsa conclusionale e nell'atto di appello. Ritorna insomma anche in tal caso il problema della significatività da attribuire a quello che la dottrina ha chiamato un silenzio di pochi minuti per riprendere un'efficace espressione delle sezioni unite in tema di mero silenzio della parte in sede di precisazione delle conclusioni nel vecchio rito a fronte della introduzione di una domanda nuova cfr. Sez. U, Sentenza numero 4712 del 22/05/1996 Rv. 497727 . Sarebbe stato allora necessario, proprio nell'ottica di una effettività del diritto di difesa in giudizio, svolgere un approfondimento sul contegno processuale della parte convenuta, che aveva imperniato tutta la sua linea difensiva sull'apparenza della servitù e sul concreto esercizio del passaggio, cioè su circostanze la cui prova la stessa Corte d'Appello aveva ritenuto indispensabile, ma comunque preclusa cfr. pag. 8 sentenza impugnata . Del resto, se all'udienza di precisazione delle conclusioni, il difensore impedito non si fosse ugualmente presentato, senza però nominare un delegato in sua vece tenendo così un comportamento meno diligente , avrebbero potuto trovare applicazione i principi, meno rigorosi, sulla omessa partecipazione del difensore all'udienza. Tirando le fila del discorso, il Collegio ritiene di affermare il seguente principio di diritto la parte che si sia vista rigettare dal giudice le proprie richieste istruttorie ha l'onere di reiterarle, in modo specifico, quando precisa le conclusioni, senza limitarsi al richiamo generico dei precedenti atti difensivi, poiché, diversamente, le stesse devono ritenersi abbandonate e non potranno essere riproposte in sede di impugnazione resta salva però la possibilità per il giudice di merito di ritenere superata tale presunzione qualora dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte o dalla connessione della richiesta non riproposta con le conclusioni rassegnate e con la linea difensiva adottata nel processo, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla richiesta pretermessa, attraverso l'esame degli scritti difensivi. La sentenza va pertanto cassata per nuovo esame sulla scorta del citato principio, restando così logicamente assorbito l'esame delle restanti doglianze. Il giudice di rinvio, che si individua nella Corte d'Appello di Napoli in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. la Corte rigetta il primo e secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo e dichiara assorbiti i restanti cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d'Appello di Napoli in diversa composizione.