Cartella di pagamento a seguito di sentenza passata in giudicato e obbligo di motivazione

Rimessa alle Sezioni Unite la questione relativa all’onere motivazionale della cartella di pagamento gravante sull’amministrazione finanziaria in ordine ai criteri di calcolo degli interessi.

Lo ha stabilito la Cassazione che, con l'ordinanza numero 31960 del 5 novembre 2021, ha rimesso gli atti al Primo Presidente. Cartella di pagamento e obbligo di motivazione. Sul punto si ricorda che secondo la giurisprudenza di legittimità, l'obbligo di motivazione della cartella di pagamento deve essere differenziato a seconda del contenuto prescritto per ciascuno tipo di atto, sicché, nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata emessa in seguito a liquidazione effettuata in base alle dichiarazioni rese dal contribuente ai sensi degli articolo 36-bis, d.P.R. 29 settembre 1973, numero 600, e 54-bis, d.P.R. 26 ottobre 1972, numero 633, l'obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a tali dichiarazioni perché, essendo il contribuente già a conoscenza delle medesime, non è necessario che siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa. Quanto al profilo motivazionale concernente il calcolo delle sanzioni e degli interessi, va osservato che, poiché il criterio di liquidazione degli interessi in materia tributaria è predeterminato ex lege articolo 20 d.P.R. numero 602/73 , risolvendosi calcolo in una mera operazione matematica, è sufficiente il riferimento contenuto in cartella alle dichiarazioni da cui scaturisce il debito di imposta cfr. Cass. 6812/2019 . Secondo questo orientamento, ai sensi dell'articolo 30 del d.P.R. numero 602 del 1973 Decorso inutilmente il termine previsto dall'articolo 25, comma 2, sulle somme iscritte a ruolo, esclusi le sanzioni pecuniarie tributarie e gli interessi, si applicano, a partire dalla data della notifica della cartella e fino alla data del pagamento, gli interessi di mora al tasso determinato annualmente con decreto del Ministero delle finanze con riguardo alla media dei tassi bancari attivi . Tali interessi non vengono calcolati nella cartella di pagamento proprio perché la loro applicazione inizia a decorrere solo una volta trascorsi infruttuosamente 60 giorni dalla notifica della medesima stessa. Peraltro, il tasso di interesse vigente di anno in anno è determinato anch'esso normativamente, ed è quindi conoscibile da ogni cittadino come qualsiasi altro dato normativo. Secondo la Corte di cassazione sentenza numero 8613, del 15 aprile 2011 , il tasso annuo degli interessi è noto e conoscibile perché determinato con provvedimento generale, e i limiti temporali di riferimento dies a quo e dies ad quem necessari per il calcolo sono anch'essi fissati in elementi cronologici ben individuati. Secondo l'altro orientamento, più garantista, con riferimento alla cartella di pagamento emessa per un debito riconosciuto in una sentenza passata in giudicato, il richiamo alla pronuncia giudiziale e all'atto impositivo su cui la stessa è intervenuta, risulta idoneo ad assolvere all'onere motivazionale solo limitatamente alla parte del credito erariale fatto valere interessato dall'accertamento, divenuto definitivo, compiuto dal giudice, ma non anche alle altre ulteriori voci di credito che non sono state in precedenza richieste. Infatti, relativamente a tali voci, è con la cartella di pagamento che, per la prima volta, viene esercitata la pretesa impositiva, con la conseguenza che il criterio utilizzato per la loro individuazione e quantificazione deve essere ivi esplicitato e posto a conoscenza del contribuente. In questi casi il contribuente dev'essere messo in grado di verificare la correttezza del calcolo degli interessi, tanto più che alle cartelle di pagamento notificate dopo l'entrata in vigore della legge numero 212 del 2002 dev'essere allegata la sentenza cfr. Cass. 27071/2017, 15554/2017 e 21851/2018 . In applicazione di tali principi, deve concludersi che la cartella di pagamento emessa per un debito riconosciuto in una sentenza passata in giudicato deve essere motivata in ordine al criterio utilizzato per la quantificazione degli interessi richiesti per la prima volta con tale atto, dal momento che il contribuente dev'essere messo in grado di verificare la correttezza del calcolo degli interessi medesimi Caso concreto. La vicenda trae origine da una cartella di pagamento emessa a titolo definitivo a seguito di passaggio in giudicato di controversia su imposta di registro per revoca delle agevolazioni della piccola proprietà contadina. Sia la CTP che la CTR rigettavano le doglianze dei contribuenti ritenendo congruamente motivata la cartella anche con riferimento ai pretesi interessi dovuti per legge e calcolati al tasso legale. Col successivo ricorso in Cassazione il contribuente denunciava violazione dell'articolo 3 della legge numero 241/1990 e 7 della legge numero 212/2000 ritenendo l'atto impugnato carente sul piano della motivazione in quanto non erano chiare le modalità di calcolo degli interessi. La cartella non recherebbe indicazioni sufficienti essendo riportato solo il totale degli interessi applicati e non un prospetto analitico con spiegazione di modalità, tassi e criteri seguiti nella loro determinazione. Secondo la CTR è legittimo il riferimento al calcolo degli interessi maturati ex lege, ove sia incontestata la sorte capitale e il periodo di maturazione, risolvendosi la determinazione degli accessori in una mera operazione matematica per cui non ricorre l'obbligo di specifica motivazione. La Cassazione è consapevole dell'esistenza di tale indirizzo giurisprudenziale. Ricorda altresì che, secondo un indirizzo più garantista, la cartella esattoriale fondata su sentenza passata in giudicato deve essere motivata nella parte in cui venga chiesto per la prima volta il pagamento di crediti diversi da quelli oggetto dell'atto impositivo oggetto del giudizio, come quelli afferenti gli interessi per i quali deve quindi essere indicato il criterio di calcolo seguito cfr. Cass. 21851/2018 . Di conseguenza sono stati ritenuti sussistenti le condizioni per la rimessione della causa al Primo Presidente per la valutazione dell'eventuale assegnazione della questione alle Sezioni Unite.

Presidente Chindemi – Relatore De Masi Ritenuto che C.A. , C.M. e Co.Ma. impugnavano, dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, la cartella di pagamento con la quale era stata loro richiesta la somma di Euro 55.343,22, a titolo di imposta di registro, ipotecaria e catastale nonché di interessi, credito iscritto a ruolo sulla base di un avviso di liquidazione emesso e notificato in precedenza, con cui l'Ufficio del Registro di Tivoli aveva revocato i benefici fiscali per la piccola proprietà contadina dei quali i contribuenti avevano usufruito in relazione ad atto di compravendita immobiliare stipulato in data 11/11/1980, provvedimento impositivo anch'esso impugnato dai contribuenti con giudizio conclusosi, nonostante l'esito favorevole dei primi due gradi dello stesso, con decisione sfavorevole della Commissione Tributaria Centrale sentenza numero 5034/2009, depositata il 13/10/2009 . Il ricorso venne respinto dall'adito giudice di primo grado, con sentenza confermata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, meglio indicata in epigrafe, sul rilievo che la cartella impugnata era adeguatamente motivata anche con riferimento ai pretesi interessi, dovuti per legge e calcolati al tasso legale. Avverso tale sentenza i contribuenti propongono ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. L'Agenzia delle Entrate ed Equitalia Sud s.p.a. non hanno svolto attività difensiva. La pubblica udienza del 7 ottobre 2021 è stata tenuta in Camera di consiglio ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, numero 137, articolo 23, comma 8-bis, conv. con modif. dalla L. 18 dicembre 2020, numero 176, nonché del D.L. 23 luglio 2021 numero 105, articolo 7, conv. con modif. dalla L. 16 settembre 2021, numero 126. Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso. Considerato che Col primo motivo i ricorrenti deducono, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5, l'insufficiente motivazione della sentenza della CTR in relazione alla prospettata violazione degli articolo 11,24 e 3 Cost., stante la eccessiva durata della controversia fiscale, nonché alla quantificazione degli interessi richiesti con la impugnata cartella di pagamento. Col secondo motivo deducono, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, violazione della L. numero 241 del 1991, articolo 3, e della L. numero 212 del 2000, articolo 7, stante la nullità della cartella di pagamento priva di adeguata motivazione in quanto non esplicita le modalità di calcolo degli interessi richiesti sulla somma dovuta a titolo di imposta. Col terzo motivo deducono, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, violazione dell'articolo 2697 c.c., in quanto la CTR non ha considerato che l'Amministrazione finanziaria, assumendo la veste di attore, è tenuta a dimostrare l'esistenza dei fatti costitutivi del credito vantato. Col quarto motivo deducono, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, violazione dell'articolo 24 Cost., in quanto, mancando un prospetto analitico degli interessi applicati, non è dato ai contribuenti verificare e, quindi, contestare la correttezza della somma a tale titolo richiesta. La prima censura è inammissibile prima che infondata. Va anzitutto considerato che In seguito alla riformulazione dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5, disposta dal D.L. numero 83 del 2012, articolo 54, conv., con modif., dalla L. numero 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all'obbligo di motivazione previsto in via generale dall'articolo 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall'articolo 132 c.p.c., comma 2, numero 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 4 Cass., numero 22598/2018, nonché Cass. numero 23940/107 . La sentenza di appello riconduce la controversia insorta tra i contribuenti e l'Amministrazione finanziaria, conclusasi con la sentenza numero 5034/2009 della Commissione Tributaria Centrale, nell'area di applicazione della disciplina del diritto all'equa riparazione per mancato rispetto del termine ragionevole previsto dalla L. numero 89 del 2001, articolo 2. Tuttavia, i ricorrenti non si dolgono dell'erroneità in parte qua della decisione sulla giurisdizione, negata dal primo giudice per l'estraneità di tali vertenze rispetto alla categoria delle liti in materia civile Cass. numero 19367/2008 e numero 16212/2012 , ma del fatto che il giudice di appello non ha compreso la critica rivolta all'operato dell'Amministrazione finanziaria, che fa gravare sui contribuenti le conseguenze del tempo trascorso per l'accertamento, in via giudiziaria, della legittimità dell'originaria pretesa tributaria. Ad ogni modo, nessun fondamento giuridico trova l'affermazione che siffatta pretesa tributaria, quella cioè recata dal prodromico avviso di liquidazione, fosse improduttiva di ulteriori interessi a causa della durata in tesi eccessiva del relativo giudizio d'impugnazione. Nel caso in cui l'obbligazione tributaria - quella di cui all'avviso di liquidazione a suo tempo impugnato dagli odierni ricorrenti - non sia assolta nel termine stabilito dal legislatore, essendo venuta l'obbligazione a scadenza, deve considerarsi sorto il diritto dell'Amministrazione agli interessi di mora che, per quanto concerne tasse e imposte indirette, il D.P.R. numero 131 del 1986, articolo 55, disciplina, per misura e decorrenza, attraverso il richiamo alla L. numero 29 del 1961, autenticamente interpretata dalla L. numero 147 del 1962, delineando così un sistema che esclude ogni margine di discrezionalità. Del resto, la L. numero 212 del 2000, articolo 10, nello stabilire al comma 1, che i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria siano improntati al principio della collaborazione e della buona fede, chiarisce al successivo comma 2, le condizioni - neppure allegate dai ricorrenti - in presenza delle quali non debbano essere irrogate sanzioni, nè richiesti interessi moratori al contribuente quanto agli interessi, la norma ne limita espressamente l'applicazione ai soli interessi moratori cfr. Cass. nnumero 14216/2015 4522/2013 21070/2011 e la ragione è coerente, nei casi de quibus, all'esclusione dell'elemento soggettivo della colpa che è alla base dell'irrogazione della sanzione amministrativa tributaria e della mora debendi nell'obbligazione pecuniaria, di cui quella tributaria è una species Cass. numero 29579/2018, numero 16147/2017, numero 9536/2013 . La terza censura è infondata. La questione dell'onere della prova è mal posta atteso il principio secondo cui la violazione del precetto di cui all'articolo 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, è configurabile soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni Cass. numero 13395/2018 . Nel caso di specie, la pretesa tributaria, quanto alla originaria sorte capitale, non è in discussione essendo oggetto di contrasto solo la quantificazione degli accessori che seguono il credito per legge. La seconda e quarta censura, scrutinabili congiuntamente in quanto connesse, pongono entrambe, sia pure sotto prospettive differenti, la questione dell'obbligo di motivazione della cartella di pagamento, ai sensi della L. numero 212 del 2000, articolo 7, relativamente ad interessi richiesti per ritardato pagamento di tributi. La cartella non recherebbe indicazioni sufficienti giorni, tassi d'interesse, imponibile, aliquote, ecc. al fine di verificare la correttezza delle somme iscritte a ruolo e si appunta sul fatto che nell'atto impugnato viene riportato solo l'importo totale degli interessi applicati e non un prospetto analitico anche sintetico, che spieghi modalità, tassi e criteri seguiti nella loro determinazione . Riguardo a siffatto obbligo, la C.T.R. del Lazio afferma che le somme indicate in cartella corrispondono a quelle riportate nell'originario avviso di liquidazione, convertite in Euro e maggiorate degli interessi dovuti per legge, quindi, al tasso legale ed inoltre che non risulta dimostrato che l'ufficio abbia richiesto un tasso superiore a quello di legge, o abbia calcolato interessi su interessi cd. anatocismo , come adombrato dal ricorrente in udienza . Nel ricorso pag. 3 si legge che alla sentenza numero 5034/2009 della Commissione Commissione Tributaria Centrale ha fatto seguito l'iscrizione a ruolo a titolo definitivo, recata dall'atto di riscossione oggetto di causa, che, come detto, reca la pretesa complessiva pari ad Euro 55.343,22, è esattamente così composta Registro trasf. Terreni proporzionale Euro 15.551,73. Registro imposte ipotecarie Euro 1.706,56. Registro interessi tasse e imp. Ind. Euro 35.168,21. Registro diritti catastali iscrit. Euro 426,64. Costo della notifica degli atti Euro 30,96. Il tutto, oltre ai rispettivi compensi esattoriali, pari, entro la scadenza dell'atto, ad Euro 2.495,12 e ad Euro 4.759,58 oltre la scadenza . La decisione impugnata ha ritenuto legittima la cartella di pagamento perché il metodo seguito dall'Amministrazione finanziaria per la liquidazione degli accessori risulta agevolmente controllabile dal contribuente, essendo la misura degli interessi applicati predeterminata dalla legge, per cui la liquidazione stessa si risolve in una operazione matematica, di natura tipicamente riscossiva. Inoltre, osserva il giudice di appello, la cartella di pagamento, versata in atti dai ricorrenti a corredo delle proprie doglianze, riproduttiva del ruolo Cass. numero 8329/2020 , richiama l'avviso di liquidazione prodromico, esplicita le ragioni della debenza dei tributi revoca benefici fiscali L. 6 agosto 1954, numero 604 , ed indica l'atto notarile presentato alla registrazione atto notaio C. del OMISSIS numero XXXX cui la pretesa fiscale si riferisce, in tal modo rendendone conoscibili i presupposti di fatto e di diritto. La cartella informa pure che Per ogni giorno di ritardo vanno aggiunti gli interessi di mora calcolati a partire dalla data di notifica della presente cartella e i maggiori costi del servizio di riscossione , che le spese di notifica rappresentano il costo del servizio di notifica della cartella di pagamento svolto dall'Agente della riscossione normativa di riferimento D.Lgs. numero 112 del 1999, articolo 17, comma 7 ter , che sono dovuti dal destinatario dell'atto anche i compensi del servizio di riscossione o aggio di riscossione in misura diversa 4,65% e 9% a seconda che il pagamento intervenga entro la scadenza o in ritardo, ed ancora che gli interessi di mora sono dovuti dal contribuente, in aggiunta alle somme iscritte a ruolo, qualora non effettui il pagamento entro SESSANTA giorni dalla data di notifica e fino al giorno dell'effettivo pagamento, ed infine che il tasso di interesse applicato viene determinato con apposito atto normativo normativa di riferimento D.P.R. numero 602 del 1973, articolo 30, e norme correlate . Giova evidenziare che la materia del contendere investe unicamente gli interessi applicati nella misura di Euro 35.168,21 sui tributi dovuti imposta di registro e ipocatastali , stante l'incontestabilità del relativo accertamento per effetto del giudicato tributario sul prodromico avviso di liquidazione, che ha revocato i benefici della piccola proprietà contadina, in relazione all'atto di compravendita stipulato in data OMISSIS . La stabilizzazione del rapporto con il fisco, in esito al processo instauratosi dinanzi al giudice tributario, mediante la formazione della res iuducata, infatti, è idonea a conferire all'accertamento dell'an e del quantum debeatur il carattere della definitività, cosa che preclude alle parti del rapporto di metterlo nuovamente in discussione. Le argomentazioni svolte dal giudice di appello appaiono riconducibili all'indirizzo giurisprudenziale di legittimità secondo il quale è legittimo il riferimento al calcolo degli interessi maturati ex lege ove sia incontestata la sorte capitale proveniente dal precedente atto impositivo o da dichiarazione dello stesso contribuente e il periodo per il quale sono maturati gli interessi, risolvendosi la determinazione degli accessori in una mera operazione matematica, che consente il raffronto con i tassi determinati ex lege, per la quale non ricorre l'obbligo di specifica motivazione. In tal senso si è espressa la Corte, in tema di riscossione delle imposte sul reddito, allorquando osserva che la cartella di pagamento deve ritenersi congruamente motivata, quanto al calcolo degli interessi, mediante il richiamo alla dichiarazione dalla quale deriva il debito di imposta ed al conseguente periodo di competenza, essendo il criterio di liquidazione degli stessi predeterminato ex lege e risolvendosi, pertanto, la relativa applicazione in un'operazione matematica Cass., Sez. V, 27 marzo 2019, numero 8508 Cass., Sez. V, 8 marzo 2019, numero 6812 Cass., Sez. VI, 7 giugno 2017, numero 14236 . Sicché in questo caso il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l'effetto che l'onere di motivazione può considerarsi in questi casi assolto dall'Ufficio mediante mero richiamo alla dichiarazione medesima. Tale principio, mutatis mutandis, è valido anche per la specie in quanto il richiamo contenuto nella cartella all'atto impositivo divenuto definitivo svolge la stessa funzione della dichiarazione quanto alla condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale , anche ai fini del controllo meramente aritmetico della esattezza delle somme richieste come nel caso per interessi , per ritardato o omesso pagamento sulle imposte indicate in detto atto impositivo Cass., Sez. V, 15 aprile 2011, numero 8613 . Persino ove manchi l'emissione del decreto ministeriale che determina annualmente la misura degli interessi di mora computabili dalla notifica della cartella fino alla data del pagamento, il tasso viene determinato ex lege sulla base del tasso fissato dall'ultimo decreto pubblicato, che resta efficace fino alla deliberazione del nuovo provvedimento Cass., Sez. V, 6 agosto 2020, numero 16778 , così consentendo in ogni caso al contribuente di controllare quale sia il tasso di interesse applicato . Cass. numero 9764/2021 . La Corte ha anche affermato che per il D.P.R. numero 602 del 1973, articolo 20 . sulle maggiori imposte dovute in base . all'accertamento d'ufficio si applicano, a partire dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento e fino alla data di consegna ai concessionario dei ruoli nei quali tali imposte sono iscritte, gli interessi al tasso , inizialmente indicato in misura del cinquepercento annuo dallo stesso legislatore per l'anno 1994, dall'articolo 13 infra indicato, primi commi e, di poi a decorrere dal 1 gennaio 1995 , determinato giusta il D.L. 30 dicembre 1993, numero 557, articolo 13, comma 3, convertito in L. 26 febbraio 1994, numero 133 con decreto dell'allora operante Ministro delle Finanza da adottare di concerto con il Ministro del Tesoro . Dalla riprodotta disposizione si ricava 1 che il tasso . annuo degli interessi è noto e conoscibile perché determinato con provvedimento generale, e 2 che i limiti temporali di riferimento dies a quo e dies ad quem necessari per il calcolo sono anch' essi fissati in elementi cronologici ben individuati giorno successivo a quello di scadenza del pagamento e data di consegna . dei ruoli , rispettivamente . Va, quindi, ribadito il principio, specificamente affermato con riferimento all'obbligo di motivazione degli atti tributari, previsto .per la cartella di pagamento D.P.R. numero 602 del 1973, articolo 12 e 25 , secondo cui Cass., trib., 18 dicembre 2009 numero 26671 nell'ipotesi in cui vengano richiesti gli interessi e le sovrattasse per ritardato o omesso pagamento il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l'effetto che l'onere di motivazione può considerarsi in questi casi assolto dall'Ufficio mediante mero richiamo alla dichiarazione medesima . Cass. numero 8613/2011 . Ed in tema di riscossione delle imposte sul reddito, la Corte ha espresso il principio per cui la cartella di pagamento, nell'ipotesi di liquidazione dell'imposta ai sensi del D.P.R. numero 600 del 1973, articolo 36-bis, costituisce l'atto con il quale il contribuente viene a conoscenza per la prima volta della pretesa fiscale e come tale deve essere motivata tuttavia, nel caso di mera liquidazione dell'imposta sulla base dei dati forniti dal contribuente medesimo nella propria dichiarazione, nonché qualora vengano richiesti interessi e sovrattasse per ritardato od omesso pagamento, il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l'effetto che l'onere di motivazione può considerarsi assolto dall'Ufficio mediante mero richiamo alla dichiarazione medesima . Cass. numero 26671/2009 . Secondo altro indirizzo giurisprudenziale, La cartella esattoriale fondata su una sentenza passata in giudicato deve essere motivata nella parte in cui mediante la stessa venga anche richiesto per la prima volta il pagamento di crediti diversi da quelli oggetto dell'atto impositivo oggetto del giudizio, come quelli afferenti gli interessi per i quali deve essere indicato, pertanto, il criterio di calcolo seguito. Cass. numero 21851/2018, numero 28276/2013 . La Corte ha osservato, in particolare, che, con riferimento alla cartella di pagamento emessa per un debito riconosciuto in una sentenza passata in giudicato, il richiamo alla pronuncia giudiziale e all'atto impositivo su cui la stessa è intervenuta, risulta idoneo ad assolvere all'onere motivazionale solo limitatamente alla parte del credito erariale fatto valere interessato dall'accertamento, divenuto definitivo, compiuto dal giudice, ma non anche alle altre ulteriori voci di credito che non sono state in precedenza richieste - infatti, relativamente a tali voci, è con la cartella di pagamento che, per la prima volta, viene esercitata la pretesa impositiva, con la conseguenza che il criterio utilizzato per la loro individuazione e quantificazione deve essere ivi esplicitato e posto a conoscenza del contribuente - in applicazione di tali principi, deve concludersi che la cartella di pagamento emessa per un debito riconosciuto in una sentenza passata in giudicato deve essere motivata in ordine al criterio utilizzato per la quantificazione degli interessi richiesti per la prima volta con tale atto, dal momento che il contribuente dev'essere messo in grado di verificare la correttezza del calcolo degli interessi medesimi cfr. Cass., ord., 22 giugno 2017, numero 15554 Cass. 21 marzo 2012, numero 4516 Cass. 9 aprile 2009, numero 8651 Cass. numero 21851/2018 cit. . Nello stesso senso si è espressa la Corte con la sentenza numero 17767/2018, con la quale si evidenzia che, nel caso allora esaminato, il debito scaturiva da una sentenza definitiva della Commissione tributaria centrale vedi l'incipit della sentenza impugnata , e secondo il superiore principio di diritto la semplice pubblicazione dei tassi d'interesse secondo le modalità previste nel lungo periodo considerato 28 anni non consentiva al contribuente di comprendere i diversi metodi di calcolo applicati negli anni, ovvero i tassi d'interesse operanti nei periodi considerati, così obbligando il medesimo contribuente ad attingere aliunde le nozioni giuridiche necessarie per ricostruire il metodo seguito dall'ufficio . In analoga controversia, la Corte ha confermato la decisione del giudice d'appello, favorevole alla tesi del contribuente, sul rilievo che nella cartella viene riportata solo la cifra globale degli interessi dovuti, senza essere indicato come si è arrivati a tale calcolo, non specificando le singole aliquote prese a base delle vane annualità, essendo l'accertamento riferito all'anno d'imposta 1976, concernendo dunque un periodo di 35 anni, ed hanno ritenuto, perciò, che l'operato dell'ufficio era ricostruibile attraverso difficili indagini dovute anche alla vetustà della questione che non competevano ai contribuente che vedeva così, violato il suo diritto di difesa. Tale ratio decidendi, secondo cui il computo degli interessi è criptico e non comprensibile anche in ragione del lungo periodo considerato, non è incisa dal solo richiamo al D.P.R. numero 602 dei 1973, articolo 20, venendo in rilievo non la spettanza degli interessi, ma, proprio, il modo con cui è stato calcolato il totale riportato nella cartella . Cass. numero 15554/2017, ma anche numero 5416/2021 e numero 8611/2009 . Pur considerando le peculiarità delle fattispecie scrutinate e quindi la necessità di differenziare l'obbligo di motivazione a seconda del contenuto prescritto per ciascun tipo di atto, il Collegio è portato a ritenere sussistenti le condizioni per la rimessione della causa al Primo Presidente di questa Corte, affinché valuti l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, stante l'esigenza di rendere effettiva e incisiva la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, attraverso l'enunciazione di un principio di diritto, rispetto a questione variamente risolta dalla Sezione, questione che è destinata a riproporsi in numerose controversie. P.Q.M. La Corte rimette la causa al Primo Presidente per eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.