L’aggravante del metodo mafioso, in entrambe le forme in cui può atteggiarsi, è applicabile a tutti coloro che in concreto ne realizzino gli estremi, tanto se siano partecipi di qualche sodalizio criminoso, oppure ne siano estranei occorrendo in quest’ultimo caso un accertamento rigoroso da condurre in maniera oggettiva tenendo conto del contesto e del tipo di comportamento ‘mafioso’ posto in essere.
Nell'affermare tale principio di diritto, la pronuncia numero 38924 della Prima sezione di legittimità si pone nel solco della sua evoluzione giurisprudenziale sull' articolo 7, d.l. numero 152/1991 , convertito in l. numero 203/1991 , il quale descrive due ipotesi in grado di aggravare i delitti comuni a l'aver agito avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416- bis c.p. b l'aver agito al fine di agevolare l'associazione mafiosa. Il rapporto tra metodo mafioso nell' articolo 7 e nell'articolo 416- bis c.p Il comportamento punito in sede di aggravamento del quantum della colpevolezza fornita dalla circostanza ad effetto speciale – continuano gli ermellini – deve rapportarsi alla definizione dell'articolo 416- bis c.p Pertanto, il ricorso a metodologie mafiose deve essere idoneo ad esercitare una particolare coartazione psicologica sui soggetti passivi, rientrante nella tipologia di intimidazione derivante dall'organizzazione criminale, che comunque non è necessario sia in concreto presente e operante in quella realtà, potendo semplicemente essere menzionata o presumibile ed essendo sufficiente che la condotta in sé considerata, per le modalità attraverso cui si realizza, sia tale da evocare dietro quell'azione l'esistenza di consorterie amplificatrici della valenza criminale e della temibilità del singolo reato commesso. La fattispecie concreta. Il caso portato dinanzi alla Suprema Corte riguarda tre individui condannati in prime e seconde cure con un ridimensionamento dell'apparato sanzionatorio in appello per i delitti di tentata violenza privata, lesioni personali aggravate e detenzione illegale da armi da sparo commessi nei confronti di un uomo dopo che quest'ultimo aveva denunciato gravi irregolarità nella gestione delle pratiche di assegnazione di alloggi di edilizia popolare a Lecce. La persona offesa, dopo essere stato sollecitato a più riprese a ritirare la denuncia sporta contro un dipendente dell'I.A.C.P., aveva subito l'aggressione da parte di tre soggetti. Le doglienze sull'aggravante del metodo mafioso. Dichiarati inammissibili i motivi sulla violazione delle regole probatorie poste a fondamento dell'attendibilità delle dichiarazioni a carico degli imputati da parte della vittima, gli imputati in sede di ricorso lamentano la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all'articolo 7 d.l. . 152/1991 1 avendo la ricorsa sentenza ritenuto sussistente l'aggravante in relazione all'utilizzo del metodo mafioso, mentre la condotta ascritta al ricorrente sembra appartenere all'agire della criminalità comune, posto che egli non ha mai evocato l'appartenenza a clan criminali operanti sul territorio 2 che lo stesso soggetto passivo non ha fatto riferimento ad atteggiamenti particolarmente intimidatori e pesanti 3 l'aggravante ha natura soggettiva, non potendosi estendere a tutti i concorrenti inerendo ai motivi a delinquere come precisato dalle Sezioni Unite numero 8545/2020 per la condotta agevolativa, essa si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe e 4 non può essere applicata non ricorrendo nella vicenda criminale risvolti ‘patrimoniali'. Le risposte della Suprema Corte. Pure con riguardo al perimetro relativo alla riconosciuta gravante dell'articolo 7, il ricorso viene dichiarata inammissibile. La Corte territoriale, per i giudici di legittimità, ha giustificato l'utilizzo del metodo mafioso anche con riferimento al reato di detenzione di armi comuni da sparo e le modalità con le quali sono state esibite nella scena del crimine inserite nella cinta dei pantaloni in modo da consentirne la percezione da parte dell'aggredito nel contesto della violenta azione compiuta in suo danno e un atteggiamento tipico degli esponenti mafiosi. Inizia l'inafferrabilità del penalmente rilevante legata alle percezioni soggettive della vittima. Non c'è dubbio che il d.l. numero 152/1991 , ha introdotto, all'articolo 7, ormai trent'anni orsono, una circostanza a effetto speciale allo scopo di sanzionare più gravemente tutte quelle condotte “contigue”, penalmente rilevanti, di “manifesta criminosità”, ma connotate da una particolare inafferrabilità. La ratio di tale aggravante, elettivamente destinata ai soggetti estranei all'associazione, indica chiaramente la volontà legislativa di “coprire” penalmente, con l'applicazione di una sanzione più grave, i comportamenti dei “fiancheggiatori” dell'associazione. Si iniziano ad aprire varchi di inafferrabilità laddove, come nel caso di specie, per applicare l'aggravante si fa riferimento alla percezione del soggetto passivo del comportamento proprio ad un sodalizio criminoso. Un'associazione di stampo mafioso “ambientale”. Nella prassi, pertanto, non ritenendo necessario che sia stata dimostrata o contestata l'esistenza di un'associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia assumano veste tipicamente mafiosa Sez. V, numero 21530/2018 , si richiede unicamente la prova della consapevolezza, indotta nella persona offesa, che l'autore del reato appartenga o comunque sia “spalleggiato” da un'organizzazione criminale. Anche se molto spesso, in assenza di una prova di tale consapevolezza, ci si affida alla percezione della forza criminale dell'organizzazione, alla sua egemonia, così come avvertita nel territorio una sorta di associazione a delinquere di stampo mafioso ambientale, con tutte le perplessità di legittimità costituzionale connaturate a tale interpretazione. Chiari i deficit di determinatezza… Tale aggravante, pertanto, sembra essere stata introdotta per ottenere una più ampia repressione del fenomeno criminoso, ma soprattutto per “fronteggiare con particolare rigore qualsiasi concreta manifestazione di mafiosità”, convogliando una sintesi di inafferrabilità del penalmente rilevante Reccia . Anche se la disposizione incriminatrice, oggetto di aggiustamenti giurisprudenziali, non deve sopire le forti perplessità legate alla circostanza che la circostanza, strutturata su una condotta tendenzialmente “inafferrabile”, accede a un'incriminazione “tipicamente imprecisa”, determinando così un duplice deficit di determinatezza, laddove sarebbe stato invece necessario un serio sforzo di tipizzazione lasciato come al solito alla giurisprudenza il ruolo di supplenza nel colmarlo . … che aumentano con interpretazioni dilatanti il perimetro oggettivo dell'aggravante. Le lacune di tassatività si ampliano, laddove per colmarle si intraprendono sentieri ermeneutici – come quello seguito dalla pronuncia in commento – che estendono l'applicazione dell'aggravante del metodo mafioso a situazioni fattuali in cui la condotta criminosa presentano risvolti diversi da quelli patrimoniali quali estorsioni, usura, ricettazioni . Ravvisando nella interpretazione letterale dell'articolo 7, che postula l'avvalersi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis c.p. e della considerazione della ratio dell'aggravamento punitivo, la possibilità di rinvenirla pure con riferimento ai delitti di detenzione e di porto illegale di armi da sparo. Senza neanche richiedere la dimostrazione di un qualsivoglia ingiusto profitto.
Presidente Iasillo – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1.Con sentenza del Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Lecce del 27 giugno 2019, resa all'esito del giudizio abbreviato, N.U., P.N. ed S.A. venivano ritenuti responsabili dei reati loro ascritti in concorso di tentata violenza privata, lesioni personali aggravate e detenzione illegale di armi da sparo, contestati al capo 27 dell'imputazione e condannati N. alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione ed Euro 6.000,00 di multa, P. alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 6.000,00 di multa, S. alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione ed Euro 4.800,00 di multa, oltre che al pagamento delle spese processuali e di quelle di mantenimento in carcere, alle pene accessorie di legge ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile, Sc.Pi., da liquidarsi in separata sede col riconoscimento della provvisionale di Euro 5.000,00. P.N. veniva assolto dal reato ascrittogli al capo 25 per non avere commesso il fatto. 2.Proposto appello da parte dei predetti imputati, la Corte di appello di Lecce con sentenza in data 17 giugno 2020 riformava parzialmente la sentenza di primo grado e, per l'effetto, ferma restando l'assoluzione dai reati di cui agli di cui alla L. numero 895 del 1967, articolo 4 e 7, riduceva la pena inflitta a P.N. ad anni due e mesi dieci di reclusione ed Euro 5.000,00 di multa, quella inflitta ad N.U. ad anni tre e mesi due di reclusione ed Euro 4.800,00 di multa, quella inflitta a S. ad anni due, mesi due e giorni venti di reclusione ed Euro 4.800,00 di multa. Eliminava là pena accessoria e confermava nel resto la sentenza impugnata. Gli addebiti riguardano l'aggressione portata contro Sc.Pi. in data 9 giugno 2015, allorché questi, dopo avere denunciato gravi irregolarità nella gestione delle pratiche di assegnazioni di alloggi di edilizia popolare, commessi nel comune di Lecce, ed essere stato già in altre occasioni sollecitato a ritirare la denuncia sporta contro G.R., dipendente dell'I.A.c.p., era stato attirato da N.U. presso l'abitazione del di lui padre G., sita in OMISSIS , quindi, una volta raggiunto il luogo, era stato colpito con reiterati pugni al volto ed alla testa dal predetto N., da P.N. e da altro giovane a nome F., questi ultimi armati di pistola, anche alla presenza di S.A., affinché ritirasse la denuncia sporta e gli era stato intimato di abbandonare Lecce con moglie e figli. Il giudizio di responsabilità è stato fondato sulle dichiarazioni di Sc., confermate da quelle della moglie R.S., sui referti medici relativi alle lesioni riportate, su conversazione intercettata il 24 settembre 2015 con l'amico M.T., sull'attività investigativa scaturita dalla denuncia sporta dallo Sc 3. Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori. 3.1. N.U. per il tramite dell'avv.to Giancarlo Dei Lazzaretti, ha dedotto a violazione di legge in relazione all' articolo 192 c.p.p. e articolo 56,610 e 612 c.p. e carenza e manifesta illogicità della motivazione per non avere la Corte di appello considerato che nell'atto di gravame si erano richiamate le dichiarazioni rese da Sc.Pi. nel verbale del 23 settembre 2015, dalle quali si potevano evincere i motivi di astio sia da parte del N., che dello Sc. medesimo nei riguardi di P.N., in quanto costui era ritenuto un confidente delle forze dell'ordine, circostanza non oggetto di sufficiente valutazione da parte della Corte territoriale, che ha ratificato la decisione del Gup, offrendo una lettura dell'episodio che appare sganciata dai dati probatori agli atti. Non è stata verificata la possibilità, segnalata dalla difesa, che l'episodio accaduto il 9/06/2015 fosse nato dall'esigenza di un chiarimento, reso necessario da quanto in precedenza Sc. aveva riferito a N., sicché risulta illogico il giudizio di attendibilità della narrazione della persona offesa e di ritenuta sussistenza dei reati di cui agli articolo 56,610 e 612 c.p. . b Carenza e/o illogicità della motivazione in relazione all' articolo 192 c.p.p. e L. numero 895 del 1967, articolo 2 e 7. La conferma del giudizio di responsabilità in ordine alla detenzione di arma da sparo è frutto di un ragionamento viziato poiché si è ritenuto che, secondo Sc., le armi non fossero mai state impugnate, ma soltanto intraviste in modo occasionale. Non è stato affrontato adeguatamente il tema dell'elemento psicologico del dolo in capo al ricorrente, né quello della qualità e tipologia delle armi oggetto di imputazione, avendo la Corte di appello aderito all'ipotesi accusatoria senza offrire congrua motivazione. c Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla D.L. numero 152 del 1991, articolo 7 ed omessa ed illogicità della motivazione. La sentenza impugnata ha ravvisato la circostanza aggravante in relazione all'utilizzo del metodo mafioso, ma la condotta ascritta al ricorrente sembra appartenere all'agire della criminalità comune, posto che egli non ha mai evocato la propria appartenenza a clan criminali operanti nel territorio salentino, mentre il sodalizio indicato a pag. 18 della motivazione si identifica in una formazione attiva soltanto sino al 2003 allorché la collaborazione con la giustizia di C.F. e le successive decisioni giudiziarie ne avevano comportato lo scioglimento. Inoltre, lo stesso Sc. non ha mai fatto riferimento all'appartenenza del ricorrente ad organizzazioni mafiose, avendo riferito di rapporti di amicizia e colleganza con lo stesso N., circostanze sulle quali la Corte di appello non ha offerto risposta. 3.2 P.N. per il tramite dell'avv.to Ladislao Massari, ha dedotto a nullità della sentenza per inosservanza di norme processuali e per mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione per la violazione del principio dell' oltre ogni ragionevole dubbio . La Corte territoriale ha attribuito al narrato della parte civile piena credibilità, incorrendo nei medesimi errori valutativi, commessi dal primo giudice ed omettendo di giustificare il proprio giudizio alla luce della segnalazione delle incongruenze dichiarative e dell'inaffidabilità contenute nell'atto di gravame. In particolare, si è ritenuto irrilevante che Sc. avesse denunciato le irregolarità nelle assegnazioni degli alloggi di edilizia popolare solo dopo che da quel sistema non aveva più potuto trarre alcun personale beneficio, posto che l'avvio del procedimento penale aveva condotto a svelare un effettivo sistema deviato nella gestione delle assegnazioni come dallo stesso denunciato e che la difesa non aveva indicato quale vantaggio egli avesse conseguito dalle denunce sporte. Con riferimento ai fatti occorsi il OMISSIS non può trascurarsi la ragione per la quale P.N. si era trovato presso l'abitazione del N., che non era legata alla vicenda case popolari ed alla denuncia di Sc., ma a quanto occorso nei giorni antecedenti allorché egli aveva riferito a N. che P. era un infame e confidente dei Carabinieri, sicché non può negarsi che P. si fosse trovato da Sc. a ragione di tali affermazioni, il che non rende plausibile che egli lo avesse invitato a ritirare la denuncia sporta per la vicenda degli alloggi popolari, richiesta più volte rivoltagli da N.R., figlio di U Per la Corte di appello l'accusa di infamità avrebbe costituito soltanto un pretesto per aggredire la vittima e dare avvio al violento pestaggio, finalizzato in realtà ad indurla con violenza e minaccia a ritirare le denunce sporte. Se è maggiormente credibile chi accusi con foga rispetto a chi agisce con compostezza e con cautela perché la veemenza è sintomo di rabbia, disperazione e sete di giustizia, l'enfasi dello Sc. nella descrizione dei fatti e nella volontà di attingere contemporaneamente tutti gli imputati autorizza dubbi sulla veridicità di quanto denunciato. Anche la descrizione del pestaggio non appare lineare quanto alla presenza di armi, non verificate nella loro tipologia e nel numero, il che non consente di escludere si trattasse di armi giocattolo ed è illogica la motivazione sul punto, che indica la natura reale dei dispositivi per l'intento di intimidire la vittima e di contrastarne eventuali reazioni. b Violazione dell' articolo 521 c.p.p. e D.L. numero 152 del 1991, articolo 7 e motivazione illogica e contraddittoria nella contestazione dell'aggravante del metodo mafioso. La Corte di appello si è limitata a richiamare il precedente penale specifico di N.U. per il reato p. e p. dall'articolo 416-bis c.p. ed a valorizzare la presenza della pistola in bella mostra pa.g. 19 da parte del P E' stato violato il disposto dell' articolo 521 c.p.p. , atteso che il metodo mafioso risulta chiaramente contestato rispetto alla condotta di violenza privata e minaccia e non anche per il reato in materia di armi ed è illogico estendere anche al reato in materia di armi la circostanza aggravante, quando sia stata esclusa per il delitto di tentata violenza privata. Inoltre, la Corte ritiene che l'aggravante ad effetto speciale abbia natura oggettiva e possa trasmettersi automaticamente in caso di concorso di persone nel reato in contrasto con l'insegnamento delle Sezioni Unite numero 8545 del 19/12/2019, Chioccini, per le quali il metodo mafioso ha natura soggettiva e non può essere implicito. Ne' può dirsi che il P. si sia avvalso della forza di intimidazione e delle consequenziali condizioni di assoggettamento. e di omertà che ne derivano. c Violazione dell' articolo 62-bis c.p. e motivazione illogica nel mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, negate per l'assenza di elementi giustificativi. 3.3 S.A. a mezzo dell'avv.to Pantaleo Cannoletta ha dedotto a erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione per avere la Corte di appello confermato il giudizio di responsabilità concorsuale di tipo morale nei confronti del ricorrente perché la sua presenza aveva rafforzato l'altrui proposito criminoso, senza considerare l'assenza di riscontri probatori che consentissero di escludere la mera connivenza non punibile. Non tiene conto di quanto evidenziato nei motivi di appello e cioè che la presenza di S. era giustificata dal rapporto di amicizia che lo legava a N., al quale era solito accompagnarsi se ad aggredire Sc. erano stati materialmente tre soggetti mentre F., che pure sarebbe stato armato, aveva chiuso il portone di accesso al giardino della villetta, se ne deve dedurre che la presenza del ricorrente non può essere automaticamente ritenuta rafforzativa o agevolatrice del proposito degli altri, già in numero più che sufficiente, oltre che armati, per lo scopo da raggiungere sfugge alla Corte che, se egli era il braccio destro di N., non si può poi ritenere che a compiere materialmente l'agguato sia stato N. sotto la supervisione di S Anche la deduzione per la quale S., se non concorrente morale, sarebbe stato uno scomodo testimone della condotta illecita, è solo suggestiva poiché trascura che egli è stato ritenuto il braccio destro del primo aggressore materiale. b Erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione alla L. numero 895 del 1967, articolo 2 e 7. Il reato di detenzione illegale di arma comune da sparo è stato ritenuto sussistente sebbene le armi non fossero state brandite, ma solo infilate nella cintura dei pantaloni di due aggressori, ma non è stato accertato la loro tipologia, sicché le stesse avrebbero potuto essere anche un giocattolo, il che spiega anche le ragioni per le quali non erano state impugnate o esibite. Non sussiste dunque la circostanza aggravante di cui all' articolo 585 c.p. , che richiede l'uso di armi vere e reali. c Erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione all'aggravante di cui al D.L. numero 152 del 1991, articolo 7. L'agguato teso alla persona offesa da più soggetti, due armati, nel giardino antistante la villetta di uno di esse, non è stato commesso con modalità mafiose, poiché lo stesso Sc. non ha fatto cenno ad atteggiamenti particolarmente intimidatori e pesanti, tipici della condotta del mafioso, né ai precedenti penali di N., probabilmente a lui ignoti, tanto da avere risposto con un pugno alla prima aggressione di P. e di avere poi evitato di reagire per paura dell'utilizzo dell'arma. Anche le espressioni minacciose, rivoltegli da P., in realtà non è riconducibile alla condotta dalle tipiche modalità mafiose, ma appaiono mere minacce. Inoltre, Sc. nelle sue denunce ha spiegato il rapporto di amicizia che lo legava a N., al quale aveva confidato che P. era un confidente dei Carabinieri e non ha mai fatto riferimento ai suoi trascorsi penali o alla sua mafiosità , che probabilmente non conosceva così non ha mai associato agli aggressori ad un qualche gruppo criminale mafioso o di tipo mafioso. L'amico a nome T., che emerge dalle conversazioni riportate in motivazione, è M.T., agente della DIA, col quale Sc. è stato sempre in contatto e dal quale era stato accompagnato al pronto soccorso dell'ospedale il giorno dell'aggressione, ma al quale non aveva rivelato sospetti di atteggiamenti mafiosi da parte degli aggressori, tanto che questi non aveva assunto nessuna iniziativa, indipendentemente dal timore di ritorsioni che non è sufficiente a dare al fatto di reato i tratti caratteristici del metodo mafioso. Considerato in diritto I ricorsi sono inammissibili. 1.Per ragioni di ordine logico, prima ancora che giuridico, s'impone la disamina del primo comune motivo dei ricorsi proposti da N.U. e da P.N., che riveste un rilievo trascendente la loro posizione individuale e potenzialmente dirimente. 1.1. Si contesta il giudizio di attendibilità espresso dai giudici di merito in ordine alla rievocazione, operata da Sc.Pi., dell'episodio criminoso da questi subito in data OMISSIS , in quanto acriticamente ed irragionevolmente accomodante e non supportata da adeguata giustificazione. L'assunto difensivo è smentito dalla ampia disamina dedicata al tema dalla sentenza impugnata, che con lineare percorso giustificativo ha esposto le ragioni della ritenuta piena affidabilità della narrazione di Sc., ritenendo che non residuassero dubbi di sorta sull'effettiva verificazione dell'episodio riferito, né sull'identità degli autori. 1.2. La Corte di appello ha riscontrato che gli atti di gravame non erano rivolti a negare il fatto storico nella sua verificazione, ossia l'avvenuta convocazione di Sc. da parte di N.U., l'incontro con questi, P., S. ed una quarta persona rimasta non identificata, le percosse ricevute da costoro, ma, piuttosto, si concentra sulle motivazioni del gesto aggressivo e sugli elementi circostanziali. La correttezza dell'osservazione riceve conferma dalla struttura argomentativa dei ricorsi all'odierno esame, che, pur denunciando carenze motivazionali ed errori di metodo nella valutazione della testimonianza della persona offesa, non si spingono a dedurne la radicale falsità, ma si appuntano sulle ragioni della denuncia presentata dalla persona offesa per l'illecita gestione delle assegnazioni degli alloggi I.A.c.p., sul motivo della convocazione di Sc. il OMISSIS asseritamente per chiedergli conto delle accuse di infamità rivolte a P.N. sulla provenienza da N., e non da P., dell'intimazione di ritirare la denuncia sporta, sull'effettiva presenza di armi sulle persone di P. e di altro astante. In altri termini, nell'assunto difensivo si coglie, non la negazione del pestaggio ad opera degli imputati, ma il tentativo di attribuirlo ad una diversa e più personale causale e di depotenziare la carica accusatoria delle dichiarazioni della vittima, che, invece, lo collocano in un contesto più ampio e complesso di illeciti penali. Al contrario, nel giudizio ricostruttivo degli eventi, leggibile nelle due sintoniche sentenze di merito, si evidenzia l'interesse di P.N. alla vicenda delle assegnazioni pilotate di alloggi I.A.c.p. per averne beneficiato la moglie convivente, C.A Costei, infatti, secondo i giudici di merito, aveva ottenuto di essere ammessa ad un procedimento di sanatoria, cui non avrebbe avuto diritto, grazie alla complicità di funzionari infedeli dell'ente pubblico e nei suoi confronti è stata elevata l'accusa di occupazione abusiva ai sensi dell' articolo 633 c.p. , condotta dalla quale P. è stato mandato assolto soltanto per avere contratto matrimonio con la predetta nel 2012 a fronte di una condotta occupativa della moglie antecedente di anni, la cui illiceità è rimasta comunque accertata, così come è stato provato anche il coinvolgimento nei medesimi fatti. del funzionario G.R Il rilievo è aderente all'esito delle investigazioni condotte, riportate più analiticamente alle pagg. 2-5 della sentenza di primo grado, nelle quali è stato anche evidenziato come l'intesa criminosa fra G.R. e E.C. avesse consentito al gruppo criminale riconducibile a costui ed a P.N., già noto agli inquirenti per essere dedito al traffico di stupefacenti, di controllare le assegnazioni degli alloggi dell'I.A.c.p. attraverso criteri clientelari e grazie a patti corruttivi. In relazione a tali emergenze proprio l'8 giugno 2015 erano state condotte perquisizioni presso le abitazioni e gli uffici di assessori comunali e funzionari amministrativi del settore con grande risonanza dell'indagine sugli organi di stampa, anche locali. Il collegamento tra il progredire delle investigazioni e la diffusione della notizia della loro origine dalla denuncia sporta da Sc., più volte richiesto di ritirarla e sempre sottrattosi a tali ingiunzioni, è stato operato in termini perfettamente logici, fedeli ai dati probatori ed idonei a fornire congrua giustificazione al movente delle azioni criminose contestate. Del resto nessuna delle difese si è curata di confutare il rilievo assegnato all'interesse di P. alle indagini in corso, che coinvolgevano la moglie ed i complici negli illeciti connessi al sistema pilotato delle assegnazioni ed il nesso consequenziale, cronologico ed in termini di spinta motivazionale, tra le perquisizioni ed il pestaggio, sicché sotto tale profilo le impugnazioni non si confrontano con dati probatori di sicura acquisizione, anche documentale per quanto attiene alla posizione di C.A., e finiscono per risultare aspecifiche. In sentenza si è affrontato anche il punto dell'intrinseca attendibilità del narrato di Sc. con osservazioni allineate al giudizio espresso in tutte le sedi processuali, già occupatesi della vicenda, comprese quelle cautelari sino al grado di legittimità Sez. 1, numero 10588 del 2019 , dalle quali era emerso il riscontro della sicura affidabilità della fonte dichiarativa. Resta poi oscura la pretesa massima di esperienza che consente di assegnare maggiore credibilità a chi riveli vicende con veemenza rispetto a chi lo faccia con compostezza e misura nell'eloquio , secondo le caratteristiche che il ricorso di P. evoca e prospetta in base ad un personale ed opinabile criterio di valutazione, privo di qualsiasi oggettiva validità. L'assunto difensivo prescinde, inoltre, dal considerare la genesi delle dichiarazioni di Sc. sul pestaggio nella sentenza impugnata si posto in evidenza che la sua denuncia sullo specifico episodio non era stata spontanea per il timore di ritorsioni, ma era stata sporta all'esito della convocazione da parte degli inquirenti, informatine a seguito delle operazioni captative, quindi a distanza di tempo dal fatto quando la foga e l'emotività iniziale erano state superate. Anche il tema della causale alternativa della convocazione di Sc. presso l'abitazione di N. è stato affrontato e risolto con argomentazioni di ineccepibile tenuta logica. Nella sentenza in verifica si è escluso che l'incontro fosse riconducibile all'intento di verificare se P. fosse o meno un confidente dei Carabinieri posto che, secondo Sc., i sospetti su P. erano stati esternati in un colloquio con N. risalente al periodo di febbraio/marzo, ossia a tre mesi prima, sicché si è ritenuto inverosimile che, per verificare la fondatezza della diceria, N. avesse atteso tutto quel tempo per convocare P. e Sc. e lo avesse fatto al cospetto anche di altre persone estranee all'esigenza di chiarimento e in immediata consecuzione con le operazioni di polizia del giorno precedente. Con corretto ed ampiamente giustificato procedimento inferenziale si è dedotto che le accuse di infamità erano state soltanto il pretesto per organizzare il pestaggio, in realtà finalizzato a costringere la vittima a ritirare la denuncia ed a non rendere dichiarazioni compromettenti in danno dei sodali e dei familiari di P., tant'e' che nessun confronto vi era stato, ma solo la brutale aggressione in danno di Sc., che doveva essere intimidito anche grazie alla presenza di soggetti quali S., tale F. ed altro soggetto rimasto ignoto, formalmente estranei alla discussione. Oggetto di coerente rilievo è il rilievo sulla coincidenza di interessi di P. e N. nell'aggredire Sc. in quanto entrambi in affari illeciti con G.R. e pregiudicati dalle indagini in corso, scaturite dalle segnalazioni della vittima. Nello stesso contesto valutativo la questione delle ragioni che avevano indotto Sc. a denunciare gli illeciti è stato sondato e risolto con motivazione logica e coerente, che ha valorizzato a fondamento del giudizio di piena affidabilità della fonte anche l'effettivo riscontro che aveva ricevuto gran parte dei fatti riferiti e la mancata dimostrazione dei benefici che egli aveva potuto ricavare dalla collaborazione con gli inquirenti. Non si ravvisa la denunciata illogicità della motivazione nemmeno in riferimento al particolare, riferito da Sc., del possesso di armi da parte di P. e del soggetto a nome F., non meglio identificato. La Corte di appello ha ritenuto che, in relazione al contesto aggressivo, alle finalità dell'incontro, alla premeditazione dell'agguato, non avrebbe avuto alcun senso condurre sulle persone dei partecipanti delle armi giocattolo sia nell'ottica di realizzare un'intimidazione efficace, che di reagire ad eventuali contromisure dell'aggredito, portare un oggetto inoffensivo sarebbe stato inutile ed illogico. L'argomentazione, che esplicita chiaramente il ragionamento valutativo seguito, è immune da vizi logici perché rispettosa delle acquisizioni probatorie sul contesto del confronto violento, sul suo scopo e sulla personalità dei partecipanti, soggetti dediti ad attività illegali ed operanti negli ambienti della criminalità organizzata locale. 1.3 In definitiva tutti gli aspetti segnalati nel ricorso di P. come incoerenti o acritici nella valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, tacciate genericamente di gravi discrasie , hanno già ricevuto congrua e ampia replica nella sentenza impugnata, che non presenta nessun profilo di illegittimità o di illogicità manifesta. Inoltre, il preteso accesso al fondo antiracket ed antiusura da parte della stessa, segnalato quale vantaggio conseguito dalla collaborazione con la giustizia e, quindi, nell'ottica difensiva, sintomo di un intento accusatorio per scopi personali, è affermato in termini privi di qualsiasi dimostrazione, che il ricorso non si cura nemmeno di indicare, prima ancora che di offrire. Per contro, in sentenza si è evidenziato come Sc., a causa della denuncia sporta, avesse perso il lavoro, fosse stato pesantemente minacciato anche da pubblici ufficiali e fosse stato costretto ad emigrare a Malta, lasciando a Lecce moglie e figli, esposti al pericolo di ritorsioni da parte di quanti aveva accusato. Si tratta di osservazioni ignorate nell'impugnazione, ma in grado di corroborare in modo efficace il giudizio di affidabilità espresso dai giudici di merito, che supera indenne il vaglio conducibile in sede di legittimità. 2. Quanto esposto indica la palese infondatezza delle censure sviluppate dalle difese, in specie nel secondo motivo proposto, sia da N., che da S Risulta inammissibile, per la sua genericità, l'obiezione, mossa dalla difesa di N., circa la mancata verifica sulla ricorrenza dell'elemento psicologico del dolo in capo al ricorrente in sentenza si legge che Sc. aveva chiaramente percepito la presenza delle armi infilate attraverso la cintura dei pantaloni di P. e di F., posizione che le aveva rese percepibili da chiunque si fosse trovato in quel frangente, consentendo anche a N., che aveva organizzato l'incontro e l'aggressione e ne aveva decretato anche la conclusione, di comprenderne la detenzione e l'esibizione durante l'incontro. In ordine alla quantità delle armi, la persona offesa ha sempre indicato essersi trattato di due pistole, mentre la loro identificazione in armi comuni da sparo costituisce l'ipotesi più favorevole per gli imputati, che non hanno nessun interesse a prospettare la possibilità che si trattasse di armi da guerra o clandestine, fermo restando quanto già osservato sulla non plausibilità di condurre all'incontro armi giocattolo quando tutto il contesto indica l'impiego della violenza e la determinazione a sopraffare la vittima, nonché la prevista possibilità di fronteggiarne la reazione altrettanto violenta. Rispetto a questa previsione si è ritenuto non coerente ed inverosimile la ostentazione di armi del tutto inoffensive, perché inidonee ed insufficienti allo scopo. 3.Col secondo motivo il ricorso di P. assume che la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui al D.L. numero 152 del 1991, articolo 7 sarebbe stata ritenuta in sentenza in difetto di previa contestazione, quindi in violazione del divieto di correlazione posto dall' articolo 521 c.p.p. . 3.1 In primo luogo, osserva il Collegio che l'accusa come delineata nell'imputazione consente di ritenere che la circostanza aggravante nella forma dell'utilizzo del metodo mafioso sia stata ritualmente contestata anche in riferimento al delitto di detenzione delle armi da fuoco nella descrizione in fatto ed in diritto dell'agguato del OMISSIS si legge chiaramente con le aggravanti di aver commesso il fatto con premeditazione, con l'uso di armi, in cinque persone riunite e con metodo mafioso e la rubrica riporta l'indicazione del D.L. numero 152 del 1991, articolo 7 dopo gli articoli di legge che incriminano le singole fattispecie, compresa quella di cui alla L. numero 895 del 1967, articolo 2 e 7 . Non risulta poi che l'aggravante in questione sia stata esclusa per il delitto di tentata violenza privata, al contrario ritenuta operante anche per tale ipotesi di reato come può leggersi a pag. 20 della sentenza di primo grado, confermata sul punto da quella di appello. Deve, dunque, escludersi che la circostanza aggravante in questione sia stata ritenuta sussistente, pur in difetto di testuale contestazione, sulla base di una interpretazione contenutistica dell'accusa o di un'estensione dell'elemento aggravatore, contestato per altri reati, non ravvisandosi la violazione del divieto di cui all' articolo 521 c.p.p. . 3.2 Pienamente idonea e congrua è la motivazione con la quale si è giustificato il giudizio di sussistenza della circostanza in questione. Si è osservato che l'utilizzo del metodo mafioso riceve dimostrazione dalle modalità dell'aggressione violenta portata da più persone, alcune armate di pistole, dalle finalità perseguite, dalle accuse di infamità rivolte a Sc. per aver portato a conoscenza dell'autorità di polizia i fatti denunciati e dalla caratura criminale dei soggetti coinvolti. Si è anche evidenziato che la vittima era stata perfettamente a conoscenza dei trascorsi giudiziari di N. e di quelli del di lui genitore, già condannati come affiliati alla Sacra Corona Unita, nonché dell'avversione mostrata da N. verso gli infami , tanto da averne ricevuto le confidenze sull'intento di sparare a P.N. perché delatore e l'ordine reiterato di ritirare la denuncia. Inoltre, la Corte di appello ha rimarcato che l'intimazione all'omertà nel tipico agire degli esponenti mafiosi, violento e minatorio, all'abbandono della città con i familiari qualora la vittima non avesse ritirato la denuncia, le percosse inferte da un gruppo di aggressori la cui azione era stata improvvisamente interrotta per ordine di N., avevano sortito effetti realmente coartanti, tanto che Sc. non aveva denunciato il pestaggio, ne aveva confermato la verificazione a distanza di mesi, ma soltanto perché richiesto di fornire spiegazione dagli investigatori dopo l'acquisizione del referto medico dall'ospedale ove aveva ricevuto le cure necessarie e delle informazioni sull'accaduto ricavate da attività captativa. 3.2.1 La pretesa difensiva dell'esclusione della circostanza per i reati diversi dalla violenza privata era stata già disattesa anche nella fase cautelare del procedimento a carico di P., conclusasi con la sentenza di questa Sezione, numero 10589 del'8/02/2019, nella quale si era riscontrato come l'episodio, inseritosi in una serie di antecedenti avvertimenti e minacce nei confronti di Sc., era stato in sé idoneo ad evocare la forza di intimidazione dell'associazione di cui era noto N. fosse partecipe e ad incutere nello Sc. il forte timore di essere ucciso o che i suoi familiari potessero essere oggetto di violente ritorsioni, il che dava conto del giudizio di incrementata offensività dei fatti criminosi commessi. A tali conclusioni, cui hanno aderito i giudici di merito, non si ritiene di potersi discostare. 3.2.2. L'impiego da parte dei ricorrenti del metodo mafioso è stato adeguatamente giustificato anche in riferimento al reato di detenzione di armi comuni da sparo si evince dalla sentenza impugnata che le modalità con le quali erano state presenti sulla scena dell'aggressione e la loro ostentazione, perché inserite nella cinta dei pantaloni in modo da consentirne la percezione da parte dell'aggredito nel contesto della violenta azione compiuta in suo danno, avevano evocato il comportamento sfrontato, arrogante e minatorio tipico degli esponenti mafiosi, il cui agire è connotato dall'uso della forza per sopraffare antagonisti e vittime sino alla loro soppressione mediante le armi da fuoco. Il comportamento è stato accertato come tale da richiamare alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga ad un sodalizio mafioso, notoriamente avente a disposizione armi e pronto a farne uso per la realizzazione dei fini antigiuridici dell'associazione Sez. 2, numero 38094 del 05/06/2013, P.M. in proc. De Paola, Rv. 257065 . 3.3.3. Tali argomentazioni rispettano perfettamente i criteri interpretativi, offerti dalla giurisprudenza di questa Corte Sez. U, numero 10 del 22/01/2001, Cinalli ed altri, rv. 218378 sez. 6, numero 21342 del 2/4/2007, Mauro rv. 236628 sez. 6, numero 19802 del 22/1/2009, Napolitano, rv. 244261 sez. 6, numero 28017 del 26/5/2011, Mitidieri, rv. 250541 sez. 1, numero 17532 del 2/4/2012, Dolce, rv. 252649 Sez. 2, numero 38094 del 05/06/2013, P.M. in proc. De Paola, Rv. 257065 Sez. 2, numero 16053 del 25/03/2015, Campanella, Rv. 263525 la circostanza aggravante di cui al D.L. numero 152 del 1991, articolo 7, in entrambe le forme in cui può atteggiarsi, è applicabile a tutti coloro che, in concreto, ne realizzano gli estremi, tanto se siano partecipi di un qualche sodalizio mafioso, oppure ne siano estranei. Pertanto, la possibilità di riferire l'aggravante anche nei confronti di chi, pur non organicamente inserito in associazioni mafiose, agisca con metodi mafiosi, è subordinata ad accertamento rigoroso da condurre in maniera oggettiva, tenendo conto del contesto in cui si svolge l'azione, ma soprattutto analizzando il tipo di comportamento posto in essere alla luce della definizione fornita dall'articolo 416-bis c.p., espressamente richiamato dal citato articolo 7. In altri termini, il ricorso a metodologie mafiose deve essere idoneo ad esercitare una particolare coartazione psicologica sui soggetti passivi, rientrante nella tipologia di intimidazione derivante dall'organizzazione criminale, che comunque non è necessario sia in concreto presente ed operante in quella realtà, potendo anche essere semplicemente menzionata o presumibile ed essendo sufficiente che la condotta in sé considerata, per le modalità attraverso cui si realizza, sia tale da evocare dietro quell'azione l'esistenza di consorterie amplificatrici della valenza criminale e della temibilità del singolo reato commesso. 3.3.4. Risponde al vero che la circostanza aggravante in questione è stata ravvisata più di frequente in situazioni fattuali in cui la condotta criminosa presenta risvolti patrimoniali, quali le estorsioni o l'usura, ma a stretto rigore, sulla scorta dell'interpretazione letterale dell'articolo 7, che postula l'avvalersi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis c.p. e della considerazione della ratio dell'aggravamento punitivo, nulla esclude che sia ravvisabile anche in riferimento ai delitti di detenzione e porto illegale di armi da sparo. In altri termini, la condotta delittuosa circostanziata tipica non è legata alla struttura ed alla natura del delitto, cui la circostanza accede, quanto alle caratteristiche oggettive dell'azione che devono essere evocative della forza intimidatrice del vincolo associativo. In tal senso è significativo che per le pronunce di legittimità più recenti la circostanza aggravante del metodo mafioso sia ravvisabile anche a fronte dell'utilizzo di un messaggio intimidatorio silente , cioè privo di una esplicita manifestazione verbale direttamente evocativa della presenza e dell'operato di associazione mafiosa, quando l'agire riproduca in concreto atteggiamenti ed iniziative proprie di quel tipo di consorteria Sez. 3, numero 44298 del 18/06/2019 Di Caprio, Rv. 277182 Sez. 2, numero 26002 del 24/05/2018, Pizzimenti ed altri, Rv. 272884 . A tal fine, ma solo a livello esemplificativo, si è segnalato che il metodo mafioso può essere ritenuto sussistente in presenza di dati oggettivi, quali ulteriori espressioni minacciose spese in danno delle persone offese, il contesto e le modalità della condotta ed, in particolare, l'atteggiamento e la gestualità dell'agente al momento dei fatti, il suo coinvolgimento in un procedimento per criminalità organizzata, i suoi rapporti intimi con esponenti della consorteria criminale e, dunque, l'eventuale conoscenza da parte delle vittime della vicinanza del prevenuto rispetto ai locali clan mafiosi, il contesto ambientale nel quale avvenivano i fatti e le infiltrazioni mafiose nel tessuto economico sociale e qualunque ulteriore elemento atto a conferire al comportamento l'idoneità ad evocare, con efficienza causale, l'esistenza di un sodalizio ed incutere un timore aggiuntivo di una ritorsione mafiosa, così da giustificare l'applicazione dell'elemento circostanziale suscettibile di comportare un significativo aumento di pena Sez. 6, numero 14249 dell'1/03/2017, Barbieri, numero m. . Il tema specifico della riferibilità ai reati in materia di armi dell'aggravante prevista dal D.L. 13 maggio 1991, numero 152, articolo 7, nelle due differenti forme dell'impiego del metodo mafioso nella commissione dei singoli reati e della finalità di agevolare, con il delitto posto in essere, l'attività dell'associazione per delinquere di stampo mafioso, ha già trovato risposta positiva nella giurisprudenza di questa Corte con la sentenza Sez. 6, numero 9956 del 17/06/2016, dep. 2017, Accurso ed altri, Rv. 269717, seppur relativa ad una fattispecie molto diversa in punto di fatto. 3.2.5. Diversamente da quanto sostenuto dalla difesa di P., nella condotta consistente nel tenere sulla propria persona delle pistole -per come in concreto verificatasi e ricostruita probatoriamente nelle sentenze di merito non sono riscontrabili modalità esecutive coincidenti con quelle consuete e proprie della generalità delle situazioni di disponibilità illegale di un'arma da sparo, ragione per la quale non sarebbe riconoscibile quanto necessario a ravvisare l'aggravante. Al contrario, l'ostentata disponibilità di due pistole in quel contesto operativo specifico ha assunto una autonoma valenza evocativa del loro possibile utilizzo contro Sc. ed i suoi familiari, qualora egli non si fosse piegato al volere dei soggetti agenti, in coerenza con i moduli comportamentali di esponenti mafiosi, quali N 3.2.6. E' poi oggetto di fraintendimento anche il principio di diritto, affermato. dalle Sezioni Unite di questa Corte, che hanno sì riconosciuto la natura soggettiva della circostanza aggravante di cui al D.L. numero 152 del 1991, articolo 7, non comunicabile al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe, ma hanno raggiunto tale conclusione esclusivamente in riferimento alla forma dell'aver agito per agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso in quanto attinente ai motivi a delinquere Sez. U, numero 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, Chioccini, Rv. 278734 . Hanno, invece, confermato la natura oggettiva dell'altra manifestazione dell'aggravante, quella dell'utilizzo del metodo mafioso, che prescinde dall'effettivo intervento quale agente di esponente di organizzazione mafiosa la stessa si trasmette a tutti i concorrenti nel reato, anche nel caso in cui il comportamento intimidatorio sia stato posto in essere da un solo soggetto, non essendo richiesto l'intervento contestuale di una pluralità di agenti, dal momento che anche l'azione di un singolo che faccia percepire l'esistenza di un gruppo organizzato di altre persone coinvolte esplica una maggiore efficacia coartante Sez. 6, numero 19802 del 22/01/2009, rv. 244261, Napolitano . Va dunque formulato il seguente principio di diritto la circostanza aggravante del c.d. metodo mafioso, prevista dal D.L. numero 152 del 1991, articolo 7, ora dall'articolo 416-bis.1 c.p., è ravvisabile anche in riferimento al delitto di detenzione illegale di arma da sparo in quanto la sua sussistenza non dipende dalla natura o dalla struttura del reato in relazione al quale è contestata, ma dalle modalità oggettive dell'azione e dalla loro idoneità ad evocare la forza intimidatrice di associazione di stampo mafioso . Nessun vizio e', dunque, dato cogliere nel percorso motivazionale della sentenza impugnata, che anche sul punto supera indenne le censure difensive, generiche e infondate. 4. P.N. si duole, infine, del diniego delle circostanze attenuanti generiche, ma la doglianza soffre di generica ed astratta formulazione, perché è affidata al richiamo di principi generali sul valore e sulla funzione dell'istituto senza indicare anche un solo elemento favorevole di valutazione, già rappresentato ai giudici di merito e da costoro ignorato o frainteso. 5. Il ricorso di S.A. col primo motivo contesta il giudizio di responsabilità, sostenendo di non avere offerto nessun contributo, morale o materiale, all'aggressione portata ai danni di Sc.Pi. per essersi limitato a presenziare quale mero connivente. 5.1. Non risponde al vero che la partecipazione concorsuale del ricorrente sia stata giustificata a ragione della sua mera presenza sul luogo del pestaggio. La ragione della sua convocazione e', statà logicamente ricostruita dalle sentenze di merito in base al contesto in cui si è svolto l'episodio ed alle finalità dell'incontro con Sc., non funzionale ad un chiarimento sulla diceria riguardante P., ma a costringerlo a ritirare la denuncia sporta per gli illeciti legati all'assegnazione degli alloggi di edilizia popolare. Si è sostenuto dai giudici di merito che la forza preponderante e intimidatoria degli assalitori si è avvalsa anche della presenza di S., che, pur senza avere costui materialmente percosso o minacciato esplicitamente la vittima, ha offerto un contributo morale per avere rafforzato l'altrui proposito criminoso ed averne agevolato la realizzazione, in quanto ha rappresentato un elemento sul quale contare in caso di bisogno, ossia di un'eventuale reazione di fuga o di risposta violenta da parte di Sc Del resto le argomentazioni sviluppate in ricorso sulla sufficienza degli assalitori armati ad attuare il piano criminoso e sul rapporto di complicità e collaborazione del ricorrente con N. non escludono che la sua presenza abbia avuto il solo significato, secondo quanto ritenuto anche nella sentenza impugnata, di intimorire ulteriormente la vittima per farle comprendere di dover affrontare un numero ancora maggiore di soggetti rispetto agli aggressori materiali che lo stavano affrontando in quel momento in caso avesse insistito nella propria linea di condotta, loro non gradita. 5.2 Il secondo e terzo motivo articolati nell'interesse di S. sollevano questioni comuni anche alle posizioni degli altri ricorrenti e che sono state esaminate rispettivamente ai punti 2. e 3., cui si rinvia per evitare inutili ripetizioni. In definitiva, tutti i ricorsi sono inammissibili perché basati su motivi manifestamente infondati e ripropositivi di censure già poste alla Corte di appello e respinte con congrui ed esaurienti rilievi. Ne discende la condanna dei proponenti al pagamento delle spese processuali e, in relazione ai profili di colpa insiti nella proposizione di siffatta impugnazione, anche al versamento di sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, che si reputa equo determinare in Euro 3.000 per ciascun ricorrente. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.