Aggredisce il collega, legittimo il licenziamento

Impossibile la prosecuzione del rapporto col datore di lavoro. Evidente, secondo i Giudici, la gravità della condotta. Per il lavoratore finito nel mirino riconosciuta solo l’indennità risarcitoria, esclusa invece la reintegrazione in fabbrica.

Aggredire il collega di lavoro rende impossibile la prosecuzione del rapporto con l’azienda. Ciò significa che il dipendente, finito nel mirino per l’aggressività manifestata, può ottenere solo un’indennità risarcitoria e non la reintegrazione in fabbrica, pur essendo sproporzionato il licenziamento per giusta causa adottato dalla società datrice di lavoro Cass. civ., sez. lav., 28 ottobre 2021, numero 30510 . Casus belli è l’episodio contestato dall’azienda a un dipendente, cioè «l’aggressione verbale e fisica nei confronti di un collega di lavoro», episodio ritenuto sufficiente per legittimare un «licenziamento per giusta causa». Questa valutazione non è condivisa però dai giudici di merito, i quali, sia in primo che in secondo grado, ritengono sproporzionato il provvedimento adottato dall’azienda, ma, tuttavia, riconoscono solo il diritto del lavoratore all’indennità risarcitoria. Respinta, invece, la richiesta del dipendente di riavere il proprio posto in fabbrica. In particolare, i giudici d’Appello sottolineano che la condotta tenuta dal lavoratore è comunque «da ritenersi di particolare gravità» e tale da «legittimare l’adozione di un licenziamento disciplinare», essendo la fattispecie del «diverbio litigioso tra colleghi con passaggio alle vie di fatto» espressamente prevista da molti contratti collettivi tra «le infrazioni specifiche passibili di sanzione espulsiva». Impossibile, di conseguenza, contrariamente a quanto sostenuto dal lavoratore, applicare come sanzione «una misura conservativa». Allo stesso tempo, i giudici d’Appello, confermando le valutazioni compiute in Tribunale, riconoscono anche come «sproporzionato» il licenziamento deciso dall’azienda, poiché, osservano, «l’aggressione si era verificata a seguito di continue provocazioni da parte del collega di lavoro, come emerso dalle deposizioni testimoniali». Col ricorso in Cassazione il lavoratore a rischio mette in discussione la gravità della condotta da lui tenuta, e osserva, in questa ottica, che «l’aggressione è avvenuta non solo al di fuori dell’orario di lavoro ma anche al di fuori dei reparti di lavorazione», e aggiunge che comunque è impossibile parlare di una vera e propria rissa, catalogata dal contratto come «comportamento passibile di licenziamento». Per smentire la tesi difensiva proposta dal lavoratore i Giudici della Cassazione ribattono ricordando che il magistrato può compiere «un’autonoma valutazione in ordine all’idoneità di un grave inadempimento, o di un grave comportamento del lavoratore, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e dipendente». E in questa vicenda, aggiungono i magistrati di terzo grado, correttamente è stata sottolineata la gravità della condotta del lavoratore, reo, come detto, di avere aggredito verbalmente e fisicamente un collega, e quindi meritevole della sanzione espulsiva adottata dall’azienda.

Presidente Berrino – Relatore Della Torre Fatto e diritto Premesso che con sent. numero 278/2018, pubblicata il 19 luglio 2018, la Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale di Savona aveva ritenuto sproporzionato il licenziamento per giusta causa intimato a G.R. dalla Piaggio Aero Industries S.p.A. in relazione ad un episodio di aggressione verbale e fisica commessa nei confronti di un collega di lavoro, conseguentemente applicando la tutela di cui alla L. numero 300 del 1970, articolo 18, comma 5, come riformulato dalla L. 28 giugno 2012, numero 92 - che la Corte di appello, nel respingere il gravame del lavoratore, che richiedeva la tutela di cui dell'articolo 18, comma 4 a ha considerato che la condotta allo stesso ascritta, pur non rientrando tra quelle indicate a titolo esemplificativo dal contratto collettivo di settore per l'applicazione della misura espulsiva, era comunque da ritenersi di particolare gravità e tale da legittimare l'adozione di un licenziamento disciplinare, integrando la fattispecie del diverbio litigioso tra colleghi con passaggio alle vie di fatto espressamente prevista da molti contratti collettivi tra le infrazioni specifiche passibili di punizione in tal senso b ha escluso che la condotta potesse essere sanzionata con una misura conservativa, l'articolo 9 del Codice disciplinare riguardando comportamenti colposi o, se dolosi, di lieve entità, e soprattutto inidonei a provocare danni alla persona, e neppure potendo la medesima ricondursi alla norma di chiusura di cui alla lett. L di tale disposizione relativa a qualsiasi mancanza che porti pregiudizio alla disciplina, alla morale, all'igiene e alla sicurezza dello stabilimento , nella quale potevano rientrare solo infrazioni di pari gravità rispetto a quelle indicate nelle lettere precedenti c ha peraltro, condividendo la valutazione del primo giudice, considerato sproporzionata la sanzione del licenziamento, posto che l'aggressione si era verificata a seguito di continue provocazioni da parte del collega di lavoro, secondo ciò che era emerso dalle deposizioni testimoniali - che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore con unico motivo, assistito da memoria, cui ha resistito la società con controricorso rilevato che il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell'articolo 2106 c.c., L. numero 300 del 1970, articolo 7 e 18, nonché degli articolo 9 e 10 c.c.numero l. per i dipendenti delle aziende del settore metalmeccanico, censura la sentenza impugnata per avere ritenuto la gravità del fatto, senza considerare che esso era avvenuto non solo al di fuori dell'orario di lavoro ma anche al di fuori dei reparti di lavorazione e che comunque, per le sue modalità, non poteva essere ricondotto alla fattispecie della rissa prevista dal c.c.numero l. articolo 10 tra i comportamenti passibili di licenziamento con o senza preavviso per non avere inoltre considerato che le altre ipotesi di licenziamento per giusta causa previste dall'articolo 10, alle quali doveva necessariamente rapportarsi la valutazione del caso concreto, erano tali da integrare comportamenti ben più gravi di quello contestato, in quanto contraddistinti dalla volontarietà dell'azione e, soprattutto, dall'essere tale azione rivolta direttamente e dolosamente contro l'ordine e i beni aziendali, con conseguente riferibilità della condotta ascritta all'ambito di applicazione dell'articolo 9 del contratto collettivo osservato che il motivo è infondato - che la Corte territoriale ha fatto correttamente applicazione del principio, per il quale l'elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, valenza meramente esemplificativa, sicché non preclude un'autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all'idoneità di un grave inadempimento, o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore - che il principio è stato ribadito da Cass. numero 13412/2020 La previsione, nel contratto collettivo, di fattispecie integranti giusta causa di licenziamento rappresenta uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di cui all'articolo 2119 c.c., ma non è vincolante per il giudice, il quale può ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o un grave comportamento del lavoratore contrario alle regole dell'etica o del comune vivere civile, ovvero, al contrario, può escludere che il contegno del lavoratore integri una giusta causa, pur essendo qualificato come tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato in tal senso, fra le più pronunce più recenti, anche Cass. numero 3283/2020 In tema di licenziamento disciplinare, la tipizzazione delle cause di recesso contenuta nella contrattazione collettiva non è vincolante, potendo il catalogo delle ipotesi di giusta causa e di giustificato motivo essere esteso, in relazione a condotte comunque rispondenti al modello di giusta causa o giustificato motivo, ovvero ridotto, se tra le previsioni contrattuali ve ne sono alcune non rispondenti al modello legale e, dunque, nulle per violazione di norma imperativa ne consegue che il giudice non può limitarsi a verificare se il fatto addebitato sia riconducibile ad una previsione contrattuale, essendo comunque tenuto a valutare in concreto la condotta addebitata e la proporzionalità della sanzione e, in precedenza, Cass. numero 4060/2011 La giusta causa di licenziamento è nozione legale e il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo ne deriva che il giudice può ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile ove tale grave inadempimento o tale grave comportamento, secondo un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore per altro verso, il giudice può escludere altresì che il comportamento del lavoratore costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato - che, d'altra parte, la valutazione di gravità del fatto, tale da ricondurlo nel novero delle condotte punibili con la sanzione espulsiva e da determinarne l'esclusione dall'area di applicazione delle misure conservative, risulta adeguatamente compiuta dalla Corte di merito anche attraverso un esame delle circostanze del caso concreto e, in linea con l'arresto da ultimo richiamato, sorretta da congrua motivazione ritenuto pertanto che il ricorso deve essere respinto - che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.