È revocata la disposizione testamentaria a favore del legittimario se il de cuius conferisce al bene un’altra destinazione

Opera la presunzione di revoca quando sia accertata l’integrazione dei requisiti oggettivi posti dall’articolo 686 c.c. in relazione all’alienazione e trasformazione della cosa legata. La trasformazione può verificarsi anche in relazione a una disposizione impartita dal testatore ai sensi dell’articolo 733 c.c.

Il caso. Un uomo, con testamento pubblico, riconosceva, in parti uguali, a due figli, l'asse ereditario al netto dei legati e delle quote di legittima lasciate al coniuge e al terzo figlio. In particolare, con riferimento a quest'ultimo, la quota di legittima avrebbe dovuto formarsi mediante il distacco di una porzione dalla maggiore superficie di un fondo. Il de cuius , poi, aveva disposto in favore della moglie anche l'usufrutto di un terreno e sui mobili di arredo della casa di abitazione. Veniva proposta causa successoria dalla signora nei confronti dei tre figli dinanzi al Tribunale di Palermo. La decisione veniva poi impugnata davanti alla Corte d'Appello della stessa città, la quale confermava la pronuncia di prime cure nella parte relativa alla formazione della quota di legittima del figlio e riconosceva agli altri due figli, seguendo le volontà testamentarie, l'asse ereditario in parti uguali. Avverso la sentenza della Corte territoriale la figlia del de cuius proponeva ricorso per Cassazione, sulla base di sei motivi. Uno dei figli proponeva ricorso incidentale adesivo al ricorso principale, escludendo il quarto motivo. L'altro erede resisteva in giudizio con controricorso. Osservazioni. In particolare, con il quarto motivo di ricorso si lamenta il fatto che la Corte palermitana abbia operato una divisione ereditaria, conformemente all'istituzione testamentaria, non tenendo però conto delle donazioni di beni, di valore diverso, fatte ai discendenti dal de cuius . Una tale soluzione si ritiene legittima solo se le donazioni siano state elargite con dispensa da collazione. In assenza di dispensa, invece, le donazioni fatte in vita dal de cuius , al coniuge e ai discendenti, condizionano il riparto poiché il valore delle quote ereditarie si commisura anche sulle donazioni. La funzione della collazione, infatti, è quella di conservare tra gli eredi la proporzione stabilita nel testamento o nella legge, consentendo ai coeredi di calcolare il valore della quota non soltanto sui beni relitti ma altresì su quelli donati in vita a ciascuno di loro. Pertanto, se i coeredi sono stati gratificati con atti di liberalità di diversa entità, il coerede donatario che ha ricevuto di meno deve recuperare la differenza sui beni relitti, salvo il conferimento in natura da parte di chi ha ricevuto di più, se consentito. La Corte d'Appello ha proceduto a suddividere il relictum in parti uguali tra i due figli non perché ha riconosciuto che le donazioni fossero state fatte con dispensa, ma per il fatto che ciascuno dei coeredi donatari aveva avuto più della legittima. Orbene, la Suprema Corte ritiene questa considerazione irrilevante in quanto le donazioni, tra le parti di cui all' articolo 737 c.c. , sono soggette a collazione anche se non lesive della legittima. Nel caso in esame nessuno dei due coeredi donatari ha conferito in natura le donazioni e, quindi, ad avviso dei Supremi Giudici la sentenza va cassata in relazione a tale motivo e rinviata alla Corte d'Appello affinchè operi la divisione dei beni relitti, tenendo conto delle donazioni ricevute in vita dai coeredi senza dispensa, nella misura in cui il valore complessivamente donato a uno dei due superi il valore donato all'altro. Il coerede che ha ricevuto di meno, quindi, avrà diritto a concorrere alla ripartizione del relictum in misura maggiore, in modo che, una volta conteggiate le donazioni ricevute in vita, sia assicurata la proporzione stabilita dal testatore. Inoltre, con il quinto motivo di ricorso, si fa rilevare che la disposizione testamentaria relativa alla formazione della porzione del terzo figlio doveva intendersi revocata per effetto di successivi comportamenti del testatore. Infatti, nel lasso di tempo intercorso tra la formazione del testamento e l'apertura della successione, il de cuius aveva posto in essere una pluralità di atti di disposizione da cui risultava che aveva dato al fondo una destinazione incompatibile con la volontà espressa nella scheda testamentaria. Si ritiene significativo il raffronto con la disciplina dettata dall' articolo 686 c.c. per il legato, il quale deve intendersi revocato anche quando la cosa oggetto di legato sia stata trasformata dal testatore.  Ad avviso dei giudici di legittimità la disposizione in esame viene intesa dalla parti e dalla Corte territoriale come norma impartita dal testatore, ex articolo 733 c.c. , ossia come assegno divisionale semplice.  In particolare, per assegno divisionale semplice deve intendersi un legato obbligatorio a carico degli altri coeredi, i quali sono obbligati a lasciare che il bene, o la categoria di beni indicati dal testatore, siano inclusi nella porzione ereditaria dell'onorato. Orbene, l' articolo 686 c.c. prevede la presunzione di revoca non soltanto nel caso di alienazione ma altresì in quello di trasformazione della cosa legata, che ricorre quando essa ha perduto la precedente forma e la primitiva denominazione. Trattasi di una presunzione iuris tantum che può essere vinta da prova contraria. Per la Cassazione la trasformazione così intesa può verificarsi anche in relazione a una disposizione testamentaria, ai sensi dell' articolo 733 c.c. , e rileva se sia riconducibile alla volontà del testatore. Per i giudici di piazza Cavour è ammessa dunque la revoca tacita. Conclusione. La Seconda Sezione civile della Corte di Cassazione, con l'ordinanza in oggetto, accoglie il quarto e quinto motivo del ricorso principale, rigetta i primi tre, dichiara inammissibile il sesto motivo e, in quanto tardivo, il ricorso incidentale adesivo a quello principale proposto da un controricorrente. Cassa il provvedimento impugnato in relazione ai motivi accolti, rinviando la causa alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione, la quale deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Presidente Di Virgilio – Relatore Tedesco Fatti di causa La presente causa riguarda la successione testamentaria di Pi.Fr., deceduto l' OMISSIS , proposta dinanzi al Tribunale di Palermo dal coniuge del de cuius C.P. nei confronti dei figli del medesimo P.F., V.M. e N Il de cuius, con il testamento pubblico del 7 dicembre 1944, aveva istituito eredi in parti uguali i figli F. e V.M., lasciando al coniuge e al figlio N. la quota di legittima. Il testamento prevedeva che la quota di legittima di N. avrebbe dovuto formarsi mediante distacco di una porzione dalla maggiore superficie del fondo denominato OMISSIS . In aggiunta alla quota di legittima il testatore aveva disposto in favore del coniuge dell'usufrutto di un terreno e dell'usufrutto sui mobili che arredavano la casa di abitazione del testatore. Per quanto rileva ancora in questa sede, la Corte d'appello, adita con appello principale da P.F. e con appello incidentale da P.V.M. a riconosceva l'inefficacia della rinuncia all'eredità fatta dalla C. con atto del 29 settembre 1994. Essa osservava che la rinuncia era intervenuta quando la chiamata aveva già tenuto una pluralità di comportamenti che integravano tacita accettazione di eredità aggiungeva che, ad ogni modo, spettava a coloro che negavano la qualità di erede della C. dimostrare che gli stessi atti, implicanti in ipotesi accettazione, fossero intervenuti dopo la rinuncia b affermava che non si dovevano includere nel relictum i terreni siti in OMISSIS denominati OMISSIS c escludeva che il primo giudice fosse incorso in errore nel determinare le quote spettanti ai due eredi istituiti P.F. e P.V.M. in base al testamento. A costoro, infatti, era stato riconosciuto in parti uguali, secondo l'istituzione testamentaria, l'asse relitto al netto dei legati e delle quote di legittima lasciate al coniuge e al figlio N La differenza del valore complessivo era dovuta solamente al diverso valore delle donazioni ricevute dai due eredi d confermava la decisione di primo grado pure nella parte relativa alla formazione della quota di legittima di P.N Al riguardo essa poneva in luce che il tribunale aveva dato seguito all'indicazione contenuta nel testamento, in assenza di disposizione di revoca o modifica proveniente dal testatore. Per la cassazione della sentenza P.F. ha proposto ricorso affidato a sei motivi. P.V.M. ha depositato controricorso contenente ricorso incidentale adesivo al ricorso principale, tranne che per il quarto motivo relativo alla collazione . P.N. ha resistito con controricorso. P.V.M. e P.F. hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 1. In via preliminare deve essere dichiarata l'inammissibilità, in quanto tardivo, del controricorso di P.V.M., con il quale costui ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale tranne che per il quarto motivo . Qualora un atto, anche se denominato controricorso, non contesti il ricorso principale ma aderisca ad esso, deve qualificarsi come ricorso incidentale di tipo adesivo, con conseguente inapplicabilità dell' articolo 334 c.p.c. , in tema di impugnazione incidentale tardiva Cass. numero 24155/2017 numero 25505/2009 . 2. Il primo motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 102 e 784 c.p.c. . Uno dei fondi oggetto di divisione apparteneva, per la metà indivisa, a Cr.Se., che pertanto avrebbe dovuto essere evocata nel presente giudizio nella veste di litisconsorte necessaria. Nonostante tale dato obiettivo il giudice istruttore aveva omesso di disporre l'integrazione del contraddittorio, derivandone da ciò la nullità dell'intero giudizio. Il motivo è infondato. I beni di una comunione ben possono provenire da titoli diversi, costituenti, essi stessi, distinte comunioni, da considerare come entità patrimoniali a sé stanti quindi, in sede di divisione giudiziale ben può essere assegnata ad uno dei condividenti la quota indivisa di un bene in comunione Cass. numero 15764/2020 numero 471/1976 . In tal caso non è necessaria la partecipazione del terzo in giudizio, qualora non sia stato chiesto lo scioglimento della diversa comunione relativa a quel singolo bene. La ricorrente lamenta la violazione del litisconsorzio necessario, ma neanche deduce che fu richiesto lo scioglimento della comunione relativamente allo specifico bene in comunione fra gli eredi e Cr.Se 3. Il secondo motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 460 e 476 c.c. . I comportamenti tenuti dalla C., assunti dalla Corte d'appello come atti di accettazione tacita dell'eredità, non erano affatto univoci in tal senso, trattandosi di atti di amministrazione che il chiamato avrebbe potuto compiere in quanto tale ai sensi dell' articolo 460 c.c. . In ogni caso la prova che i medesimi atti, in ipotesi comportanti accettazione tacita, fossero intervenuti prima della rinuncia, era a carico del chiamato rinunciante e non di coloro che avevano fatto valere la formale rinuncia. Il motivo è infondato. Fra gli atti che la Corte d'appello ha imputato alla C., c'e' anche la vendita di prodotti dei terreni facenti parte dell'asse ereditario. L' articolo 460 c.c. , comma 2, in aggiunta agli atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea dei beni ereditari, legittima il chiamato a procedere alla vendita delle cose che non si possono conservare o la cui conservazione importi grave dispendio. La procedura relativa è stabilita dagli articolo 747,748 c.p.c Il chiamato deve chiedere l'autorizzazione al tribunale, il quale provvede con decreto. Si osserva che l'autorizzazione ha lo scopo di impedire che l'atto di vendita possa costituire accettazione tacita di eredità pertanto, la vendita compiuta senza l'autorizzazione non è invalida, ma produce l'effetto di rendere il chiamato erede. Ora il positivo riscontro, da parte della Corte di merito, di un atto certamente idoneo a determinare l'acquisto della qualità di erede, fa degradare la menzione degli altri atti a ulteriori considerazioni secondarie, prive di effettiva incidenza sulla decisione. Lo stesso dicasi per le considerazioni di principio sulla ripartizione dell'onere probatorio. Le stesse, infatti, sono state proposte quale argomento ad abundantiam Va peraltro considerato . , all'esito di una ricostruzione in base alla quale la Corte d'appello ha riconosciuto che i comportamenti in questione, compresa la vendita, erano stati tenuti dalla chiamata prima della rinuncia. Si sa che la censura che investa una considerazione della sentenza impugnata che non abbia spiegato alcuna rilevanza sul dispositivo è inammissibile per difetto di interesse Cass. numero 10420/2005 numero 8087/2007 . 4. Il terzo motivo del ricorso principale denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 5. La Corte d'appello, nel motivare circa l'esclusione dal relictum dei terreni in Monreale, denominati OMISSIS , aveva basato la decisione sulla relazione del notaio c., in presenza di relazione notarile del notaio M. che attestava cosa diversa e nonostante tale ultima relazione fosse stata poi presa in considerazione per risolvere il problema dell'appartenenza di una diversa porzione. Il motivo è infondato. Non si denuncia un omesso esame di un fatto, nel senso chiarito da questa Suprema Corte Cass., S.U., numero 8053/2014 , ma la ricorrente si duole che sia stata preferita una relazione notarile ad un'altra, che evidenziava una cosa diversa. Il che non integra la denuncia del vizio di cui all' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 5, dal cui ambito esula qualsiasi contestazione volta a criticare il convincimento che il giudice di merito si è formato, ex articolo 116 c.p.c. , commi 1 e 2, in esito all'esame del materiale probatorio ed al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, essendo esclusa, in ogni caso, una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità Cass. numero 15276/2021 numero 91/2004 . Il vizio di omesso esame deve poi inerire a un fatto decisivo è tale il fatto il quale, qualora considerato, avrebbe determinato con certezza un diverso esito della lite Cass. numero 27415/2018 . La ricorrente invece solleva una pura questione di motivazione, rimproverandosi alla Corte d'appello di non avere dato ragione della preferenza data alla relazione del notaio c. rispetto a quella del notaio M Una simile censura, però, investendo la mera sufficienza della motivazione, non è proponibile in cassazione Cass. S.U. numero 8053/2014 . Al fine di assolvere l'onere di adeguatezza della motivazione, il giudice di appello non è tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione, così da doversi ritenere implicitamente rigettate le argomentazioni logicamente incompatibili con esse Cass. numero 15276/2021 numero 91/2014 . Si deve aggiungere che la Corte d'appello ha dato adeguata ragione del proprio convincimento, chiarendo che i beni appartenevano al padre del de cuius, il quale li aveva lasciati con testamento al nipote N 5. Il quarto motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 737 c.c. e segg La Corte d'appello ha attribuito ai due coeredi istituiti P.F. e P.V.M. quote uguali, nonostante i due figli avessero ricevuto in donazione beni di valore diverso. Il motivo è fondato. La Corte d'appello menziona l'esistenza di donazioni ricevute dai due figli nondimeno, poi divide il relictum in parti uguali, in conformità alla istituzione testamentaria, pur dando atto che i figli erano stati gratificati in misura diversa. In questo modo la divisione è stata operata senza tenere conto delle donazioni fatte ai discendenti. Una simile conclusione può ritenersi legittima a patto che le donazioni fossero state elargite con dispensa da collazione. La dispensa opera in modo tale che la successione si svolge e la determinazione delle quote di eredità si attua come se la donazione non fosse stata fatta e il bene, che ne fu oggetto non fosse uscito dal patrimonio del de cuius a titolo liberale Cass. numero 711/1966 numero 3045/1975 . In assenza di dispensa, le donazioni fatte al coniuge e ai discendenti condizionano il riparto, perché, nei rapporti indicati nell' articolo 737 c.c. , il valore delle quote si commisura anche sulle donazioni. Si insegna infatti che funzione della collazione è di conservare fra gli eredi la proporzione stabilita nel testamento o nella legge, permettendo ai coeredi, che siano il coniuge o il discendente, di conteggiare il valore della quota non solo sui beni relitti, ma anche sui beni donati a taluno di loro Cass. numero 3540/1971 . Può anche avvenire che un medesimo soggetto si trovi a ricoprire, nello stesso tempo, la posizione di colui che ha diritto di pretendere la collazione delle donazioni altrui e la posizione di colui che sia tenuto a farla in relazione alle donazioni fatte dal defunto in proprio favore. In questi casi, se i donatari conferiscono per imputazione, potrà anche avvenire che le reciproche posizioni, attive e passive, si elidano a vicenda. L'ipotesi si verifica non quando le donazioni sono di pari valore, ma quando i coeredi sono stati gratificati nella stessa misura in proporzione della rispettiva quota. E' ovvio che se le quote sono uguali, vantaggi e sacrifici saranno equivalenti quando di valore uguale sono le donazioni. Consegue che se i coeredi sono stati gratificati con donazione di diverso valore, il coerede donatario che ha ricevuto di meno, salvo qualora consentito il conferimento in natura da parte di chi ha ricevuto di più, deve recuperare la differenza sui beni relitti articolo 724,725 c.c. Cass. numero 28196/2020 . La Corte d'appello ha suddiviso il relictum in parti uguali fra i due figli, secondo l'istituzione testamentaria, non perché abbia riconosciuto che le donazioni fossero state fatte con dispensa, ma in base al rilievo che ciascuno dei coeredi donatari aveva avuto più della legittima. La considerazione è irrilevante, perché, fra i soggetti di cui all' articolo 737 c.c. , le donazioni sono soggette a collazione anche se non siano esse stesse lesive della legittima Cass. numero 1481/1978 numero 28196/2020 . Costituisce principio acquisito che per la collazione non esiste differenza tra disponibile e indisponibile e il riferimento che a tali concetti fa l' articolo 737 c.c. , non rende rilevante la distinzione ai fini della collazione, ma costituisce applicazione del principio stabilito dall' articolo 556 c.c. , giacché la dispensa da collazione non può mai risolversi in una lesione dell'altrui legittima il che peraltro non significa che se il valore della donazione dispensata eccede la disponibile, l'eccedenza è soggetta a collazione, ma piuttosto che il donatario è esposto, per l'eccedenza, all'azione di riduzione Cass. numero 12317/2019 Cass. numero 711/1966 . E' acquisito che, nel caso in esame, nessuno dei due coeredi donatari si è avvalso della facoltà di conferire in natura le donazioni. La sentenza, pertanto, deve essere cassata in relazione a tale motivo e la Corte di rinvio dovrà operare la divisione dei beni relitti, tenuto conto delle donazioni ricevute in vita dai coeredi senza dispensa, nella misura in cui il valore complessivamente donato a uno dei due superi il valore donato all'altro. Il coerede, il quale abbia avuto di meno, avrà diritto di concorrere alla ripartizione del relictum misura maggiore, in modo che, conteggiate le donazioni già ricevute, sia assicurata la proporzione stabilita dal testatore. 6. Il quinto motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 667,686 e 733 c.c. . La disposizione testamentaria, riguardante la formazione della porzione del legittimatio N., doveva intendersi revocata per effetto di successivi comportamenti del testatore. Si sottolinea che non è privo di significato il raffronto con la disciplina dettata in materia di legato dall' articolo 686 c.c. , che deve intendersi revocato anche quando la cosa oggetto del legato sia stata trasformata dal testatore. Nella specie esistevano una pluralità di atti di disposizione, posti in essere dal de cuius nell'ampio lasso di tempo intercorso fra la formazione della scheda e l'apertura della successione, da cui risultava che il de cuius aveva dato al fondo una destinazione incompatibile con la volontà espressa nel testamento. Il motivo è fondato. Si può dare per acquisito che la disposizione in esame è stata intesa dalle parti e dalla Corte d'appello quale norma impartita dal testatore ex articolo 733 c.c. c.d. assegno divisionale semplice. In questa ipotesi, tutti i beni, inclusi quelli espressamente indicati dal testatore, cadono nella comunione ereditaria Cass. numero 10761/2019 Cass. numero 4131/1986 , e solo in sede di formazione delle porzioni divisorie gli eredi o il giudice nella divisione giudiziale sono tenuti a rispettare le indicazioni del testatore. Nel tentativo di attribuire al vincolo obbligatorio la sua esatta configurazione, si è fatto ricorso al concetto di legato obbligatorio o a quello di modus. Si registrano anche opinioni diverse, che qualificano la norma data dal testatore come disposizioni sui generis a contenuto normativo e preparatorio del riparto divisionale. Appare ancora oggi preferibile l'opinione secondo la quale le norme date dal testatore ai sensi dell' articolo 733 c.c. , devono inquadrarsi nella categoria dei legati obbligatori. Più precisamente l'assegno divisionale semplice è un legato obbligatorio a carico degli altri coeredi, i quali sono obbligati a lasciare che il bene, o la categoria di beni, indicati dal testatore, siano inclusi nella porzione ereditaria dell'onorato, anziché ripartiti fra tutti i condividenti o assegnati a sorte. La dottrina riconosce che la norma dell' articolo 686 c.c. , benché sia immediatamente riferita al legato di proprietà, deve trovare applicazione anche ai legati di credito aventi ad oggetto una cosa ereditaria. La giurisprudenza ammette l'applicabilità della norma ai legati di debito Cass. numero 3101/1968 e alle disposizioni a titolo particolare in genere Cass. numero 8780/1987 , esclusi i legati di somme di denaro o di quantità o di cose indicate solo nel genere Cass. numero 1768/2007 . L' articolo 686 c.c. , prevede la presunzione di revoca non solo nel caso di alienazione, ma anche nel caso della trasformazione della cosa legata. Ex articolo 686 c.c. , comma 2, si ha trasformazione quando la cosa abbia perduto la precedente forma e la primitiva denominazione. Secondo la dottrina l'espressione legislativa va intesa nel senso che, per aversi presunzione di revoca, è necessario che la cosa legata abbia perso la sua individualità, anche nel senso del mutamento della sua funzione economico-sociale. Si fa l'esempio dell'edificazione di un'area fabbricabile o la trasformazione di un fondo rustico. La funzione economico-sociale deve essere valutata in relazione all'intento del testatore. Se il fondo rustico è stato legato in quanto tale, il mutamento della cultura non importerà revoca del legato se invece è stato legato il vigneto, il mutamento della cultura importerà presunzione di revoca. La trasformazione deve essere riconducibile alla volontà del testatore, non a cause naturali o ad opera di persona diversa dal testatore, senza mandato di costui o sua ratifica. Quando sia accertata l'integrazione dei requisiti oggettivi posti dall' articolo 686 c.c. , in relazione all'alienazione e trasformazione della cosa legata, opera la presunzione di revoca. Si tratta di presunzione iuris tantum, che può essere vinta da prova contraria. L'onere di provare una tale volontà viene ad incombere su chi voglia beneficiare del legato Cass. numero 3129/1973 . Non sembrano esserci ragioni per dubitare che l'ipotesi della trasformazione, intesa nel senso sopra indicato, possa verificarsi anche in relazione a una disposizione impartita dal testatore ai sensi dell' articolo 733 c.c. sempre che la trasformazione sia riconducibile alla volontà del testatore, di essa occorre tenere conto. Sotto questo profilo, pertanto, il rilievo, già proposto dal giudice di primo grado e nella sostanza ribadito dalla Corte d'appello, che non c'era stata una contraria espressa disposizione pag. 18 controricorso P.N. , non è decisivo, essendo ammissibile la revoca tacita. E' vero piuttosto che la sopravvenienza non vale in sé e per sé considerata, ma è configurata dalla legge causa di revocazione ex lege delle disposizioni testamentarie solo in casi tassativamente determinati ex articolo 686 e 687 c.c. , fuori dei quali le disposizioni conservano piena efficacia, ad onta dei mutamenti verificatisi nella situazione tenuta presente dal testatore Cass. numero 1950/1962 . Segue dalle considerazioni fin qui esposte, che le obiezioni di P.F., condivise dal consulente tecnico, il quale aveva opinato che le successive scelte del testatore avessero sottratto il fondo alla sua originaria destinazione, imponevano primariamente un'indagine su questo specifico aspetto. Si doveva cioè verificare se il complesso degli atti materiali e giuridici realizzati dal testatore nel lasso di tempo, nella specie particolarmente lungo, intercorrente fra la redazione del testamento e l'apertura della successione, avessero comportato la trasformazione del fondo intesa la nozione nel senso sopra indicato . Tale indagine è invece mancata. E' appena il caso di avvertire che la questione riguarda esclusivamente la sorte della norma impartita dal testatore per la composizione della quota di riserva di P.N., senza minimamente incidere sulla disposizione istitutiva. 6. Con il sesto motivo si chiede l'annullamento del capo relativo alle spese in conseguenza dell'accoglimento del ricorso. Il motivo è inammissibile perché non contiene alcuna censura. Si critica il regolamento delle spese in ragione delle critiche mosse alla decisione. 7. In conclusione, quanto al ricorso principale, sono accolti il quarto e il quinto motivo sono rigettati i primi tre motivi è inammissibile il sesto motivo. 8. La sentenza deve essere cassata in relazione ai motivi del ricorso principale accolti e la causa rinviata alla Corte d'appello di Palermo in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità. 9. Ci sono le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto . P.Q.M. accoglie il quarto e il quinto motivo rigetta i primi tre motivi dichiara inammissibile il sesto motivo dichiara inammissibile il ricorso incidentale di P.V.M. cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti rinvia alla Corte di appello di Palermo in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13 , comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.