«Il danno risarcibile può essere determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, purché sia stato allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato e siano state indicate le ragioni che hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore».
La Corte d'Appello di Roma, in totale riforma della sentenza di primo grado, condannava l'amministratrice di fatto di una s.r.l., dichiarata fallita, al risarcimento del danno per atti di mala gestio nello specifico, la Corte territoriale ravvisava in capo all'amministratrice de facto una pluralità di gravi condotte omissive e riteneva sussistente una situazione di abbandono gestionale e di inadempimento di ogni norma di corretta amministrazione, tali da giustificare il collegamento causale con il deficit patrimoniale della società. La donna ricorre in Cassazione, lamentandosi, tra i vari motivi, del fatto che la Corte d'Appello avesse liquidato il danno a suo carico utilizzando il criterio della differenza tra attivo e passivo fallimentare. Il ricorso è infondato. La Corte di Cassazione, infatti, afferma che il danno risarcibile può essere determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l'attivo liquidato in sede fallimentare, purché sia stato allegato un inadempimento dell'amministratore «almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato» e siano state indicate le ragioni che hanno impedito l'accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell'amministratore Cass. civ., sez. unite, numero 9100/2015 . Nel caso di specie, pertanto, la Corte d'Appello ha applicato correttamente tale principio, accertando una situazione di totale abbandono gestionale e di inadempimento di ogni norma di corretta amministrazione, fra cui il mancato invio delle dichiarazioni fiscali, nonché la corrispondenza integrale tra il riscontrato deficit patrimoniale e le conseguenze delle violazioni degli obblighi gestori degli amministratori. Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Presidente Bisogni – Relatore Scotti Fatti di causa e ragioni della decisione La Corte rilevato che con sentenza del 21/10/2019 la Corte di appello di Roma - sezione specializzata in materia di impresa, in integrale riforma della sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Roma - sezione specializzata in materia di impresa in data 11/9/2017, ha condannato P.C. , quale amministratore di fatto della società, dichiarata fallita il 31/7/2012, al risarcimento dei danni, quantificati nella somma di Euro 2.433.987,90 in favore del Fallimento della s.r.l.[…], per atti di mala gestio oltre alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio la Corte di appello, ritenuta preliminarmente legittima la produzione di ulteriori documenti prodotti nel giudizio di appello perché di formazione o acquisizione incolpevole successiva al giudizio di primo grado, ha rivalutato gli elementi di prova, documentale e testimoniale, forniti dall'appellante e ha ritenuto in capo a P.C. , socia e legale rappresentante della società proprietaria dell'azienda, lo svolgimento del ruolo di amministratore di fatto della società fallita e non già di mera dipendente e capo-reparto della società affittuaria, a ciò non ostando il concorrente ruolo gestorio espletato dalla sorella o da altri familiari la Corte di appello ha ravvisato in capo all'amministratrice de facto così individuata una pluralità di gravi condotte omissive e ha ritenuto sussistente una situazione di abbandono gestionale e di inadempimento di ogni norma di corretta amministrazione, tali da giustificare il collegamento causale con l'intero deficit patrimoniale della società fallita avverso la predetta sentenza, notificata il 24/10/2019, con atto notificato il 20/12/2019 ha proposto ricorso per cassazione P.C., svolgendo due motivi di ricorso, al quale ha resistito il Fallimento […] s.r.l. con controricorso notificato il 28/1/2020, chiedendone l'inammissibilità o il rigetto è stata proposta ai sensi dell'articolo 380-bis c.p.c. la trattazione in camera di consiglio non partecipata la parte controricorrente ha illustrato con memoria ex articolo 380 bis c.p.c., comma 2, le proprie difese ritenuto che con il primo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., numero 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli articolo 2392 e 2639 c.c., nonché dell'articolo 2697 c.c., non sussistendo in capo alla ricorrente il ruolo di amministratore, neppure di fatto il motivo appare inammissibile perché, sotto l'apparente egida della dedotta violazione degli articolo 2392,2639 e 2697 c.c. e dei criteri di accertamento della qualità di amministratore di fatto di una società, tende a chiedere alla Corte di legittimità la rivalutazione delle risultanze istruttorie e la revisione dell'accertamento di fatto compiuto dalla Corte di appello, con indebita invasione del giudizio di merito la Core capitolina, con ampia motivazione, ben più che idonea a soddisfare lo standard del cosiddetto minimo costituzionale , ha puntualmente e specificamente criticato le valutazioni, ritenute riduttive e atomistiche, espresse dal Tribunale e ha dato conto, in modo articolato e dettagliato, dei convergenti elementi che suffragavano le sue difformi conclusioni con riferimento a elementi presuntivi, deposizioni testimoniali, risultanze documentali, indagini di polizia giudiziaria, intercettazioni telefoniche e elementi indiziari provenienti da notizie di stampa con il secondo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., numero 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli articolo 2392,2393,2394,2394 bis e 2697 c.c. e si duole del fatto che la Corte di appello abbia liquidato il danno a suo carico utilizzando il criterio della differenza tra attivo e passivo fallimentare il motivo è manifestamente infondato e quindi inammissibile ai sensi dell'articolo 360 bis c.c., numero 1, perché il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l'esame dei motivi non offre elementi per mutare orientamento nel procedere alla liquidazione del danno in misura pari alla differenza fra attivo e passivo fallimentare, la Corte capitolina, infatti, si è attenuta alle indicazioni della sentenza delle Sezioni Unite numero 9100 del 6/5/2015 secondo tale pronuncia, il danno risarcibile può essere determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l'attivo liquidato in sede fallimentare, quale plausibile parametro per una liquidazione equitativa, purché sia stato allegato un inadempimento dell'amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato e siano state indicate le ragioni che hanno impedito l'accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell'amministratore nella fattispecie la Corte di appello ha puntualmente soddisfatto tali presupposti, motivando ampiamente al proposito e accertando una situazione di totale abbandono gestionale e di inadempimento di ogni norma di corretta amministrazione, fra cui il mancato invio delle dichiarazioni fiscali, con accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità circa la corrispondenza integrale tra il riscontrato deficit patrimoniale e le conseguenze delle generalizzate violazioni degli obblighi gestori degli amministratori ritenuto pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate nella somma di Euro 11.300,00 per compensi, Euro 100,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, ove dovuto.