Reddito di cittadinanza: condannata la moglie che omette di segnalare il marito mafioso

Commette il reato di cui all'articolo 7 d.l. numero 4/2019, convertito dalla l. numero 26/2019, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio del reddito di cittadinanza, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute.

Il Tribunale del Riesame di Napoli confermava il sequestro preventivo della carta prepagata di Poste Italiane, di somme di denaro e libretti postali riconducibili a una donna che, da aprile a ottobre 2020, aveva ottenuto il reddito di cittadinanza incassando circa 8.000 euro, pur avendo omesso di segnalare che il coniuge era stato condannato per reati ai quali era stata ascritta l'aggravante mafiosa, ai sensi dell'articolo 416-bis 1 c.p. La donna ricorre in Cassazione, lamentandosi del fatto che nella domanda necessaria al fine di accedere al reddito di cittadinanza non era specificato il riferimento all'aggravante di cui all'articolo 416-bis 1 c.p., essendo richiamati solo gli articolo 270-bis, 280,289-bis, 416-bis, 416-ter422 e 640-bis c.p. Il ricorso è infondato. La Corte di Cassazione, infatti, ha ritenuto integrato il fumus del reato di cui all'articolo 7 d.l. numero 4/2019, convertito dalla l. numero 26/2019, che punisce la condotta di chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio del reddito di cittadinanza, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute. L'assenza di riferimento alla circostanza aggravante, infatti, non è determinante, in quanto l'indicazione di reati nella modulistica Inps ha una funzione solo esemplificativa e «di certo non può superare o limitare il tenore delle previsioni normative volte a disciplinare i presupposti per il conseguimento del reddito di cittadinanza» gli oneri dichiarativi, infatti, a prescindere da quanto esposto dal modulo, erano sempre quelli indicati dal dl. numero 4/2019, non potendosi sostenere che fosse derogato o limitato il dovere del soggetto richiedente di riferire alla P.A. non solo l'entità della situazione reddituale familiare, ma anche l'esistenza e la tipologia dei precedenti penali riportati dai familiari del richiedente. Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.

Presidente Liberati – Relatore Zunica   Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 29 marzo 2021, il Tribunale del Riesame di Napoli confermava il decreto del 2 febbraio 2021, con cui il G.I.P. presso il Tribunale di Torre Annunziata aveva disposto il sequestro preventivo della carta prepagata Poste Italiane RDC, di denaro e altri libretti postali privi di provvista nei confronti di G.S. , indagata del reato di cui alla L. numero 26 del 2019, articolo 7, a lei contestato perché, al fine di percepire il reddito di cittadinanza, ometteva di dichiarare che un componente del suo nucleo familiare era stato condannato in ordine a un reato aggravato ai sensi dell'articolo 416 bis.1 c.p 2. Avverso l'ordinanza del Tribunale campano, la G. , tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con cui la difesa eccepisce la violazione della L. numero 26 del 2019, articolo 7 in relazione all'articolo 5 c.p., evidenziando che nella domanda necessaria al fine di accedere al reddito di cittadinanza, non era affatto specificato il riferimento all'aggravante di cui all'articolo 416 bis.1 c.p., nel senso che nella domanda erano richiamati solo gli articolo 270 bis, 280, 289 bis, 416 bis, 416 ter, 422 e 640 bis, senza appunto alcun cenno alla predetta circostanza, per cui l'errore compiuto dall'indagata doveva qualificarsi come scusabile e invincibile. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato. 1. In via preliminare, occorre richiamare la costante affermazione di questa Corte cfr. Sez. 2, numero 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656 , secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, ai sensi dell'articolo 325 c.p.p., è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo , sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice. Non può invece essere dedotta l'illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di cui alla lett. E dell'articolo 606 c.p.p. in tal senso cfr. Sez. Unumero , numero 5876 del 28/01/2004, Rv. 226710 . Tanto premesso, deve ritenersi che nel caso di specie non sia configurabile nè una violazione di legge, nè un'apparenza di motivazione, avendo il Tribunale del Riesame illustrato adeguatamente le ragioni poste a fondamento della propria decisione, operando una valutazione critica degli elementi indiziari disponibili. In particolare, è stato evidenziato che risulta pacifico che l'indagata, nella domanda volta al conseguimento del reddito di cittadinanza, abbia omesso di dichiarare che il coniuge P.G. , nell'anno 2017, era stato condannato, tra l'altro, per delitti aggravati ai sensi dell'articolo 416 bis.1 c.p. Omettendo tale dichiarazione, la G. ha ottenuto il beneficio economico richiesto, percependo la somma di 7.850,42 Euro dall'aprile all'ottobre 2020. È stato dunque ritenuto integrato, in maniera non illogica, il fumus del reato di cui al D.L. numero 4 del 2019, articolo 7, convertito dalla L. numero 26 del 2019, che punisce la condotta di chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio del reddito di cittadinanza, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute. Quanto all'obiezione difensiva secondo cui nel modulo dell'Inps non erano indicati, tra i reati ostativi, del richiedente o del coniuge, quelli aggravati ai sensi dell'articolo 416 bis.1 c.p., i giudici dell'impugnazione cautelare hanno replicato richiamando il principio ignoratia legis non excusat, richiamo questo pertinente, atteso che la modulistica utilizzata aveva una funzione solo esemplificativa e di certo non poteva superare o circoscrivere il tenore delle previsioni normative volte a disciplinare i presupposti per il conseguimento del reddito di cittadinanza. Gli oneri dichiarativi a carico della richiedente, in definitiva, a prescindere dal tenore letterale del modulo dalla stessa adoperato, erano pur sempre quelli imposti dal D.L. numero 4 del 2019, convertito dalla L. numero 26 del 2019, non potendosi sostenere che fosse in qualche modo derogato o limitato il dovere del soggetto richiedente di riferire alla P.A., in maniera chiara e trasparente, non solo l'entità della situazione reddituale familiare, ma anche l'esistenza e la tipologia dei precedenti penali riportati dalla richiedente e dal proprio coniuge. In definitiva, fatti salvi gli eventuali sviluppi probatori nelle successive evoluzioni del procedimento penale in corso, deve ribadirsi che il provvedimento impugnato risulta sorretto da un apparato argomentativo non illogico, concernendo le censure difensive aspetti che ruotano nell'orbita non tanto della violazione di legge, ma piuttosto della manifesta illogicità o dell'erroneità della motivazione, profilo questo che, come detto, non è deducibile con il ricorso per cassazione proposto contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo. 3. In conclusione, stante la manifesta infondatezza della doglianza sollevata, il ricorso della G. va dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ex articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto poi della sentenza della Corte costituzionale numero 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata equitativamente, di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.