Accertamento analitico induttivo all’avvocato attraverso le sentenze depositate

Legittimo l’accertamento analitico induttivo all’avvocato con cui si recuperano induttivamente ricavi in nero sulla base delle cause patrocinate alla luce delle sentenze depositate presso le cancellerie degli uffici giudiziari.

È quanto affermato dalla Corte di cassazione che, con l'ordinanza numero 24255 del 9 settembre 2021, ha accolto il ricorso dell'Agenzia delle Entrate. Accertamento analitico induttivo e utilizzo delle metodologie. La possibilità di ricostruire i maggiori ricavi di un avvocato alla luce dei provvedimenti giudiziari depositati rientra nell'ambito delle metodologie di accertamento induttivo utilizzabili dall'amministrazione finanziaria. I provvedimenti giurisdizionali rappresentano infatti gli “ingredienti” o comunque gli elementi fondamentali utilizzati nell'attività dell'avvocato. Su quest'ultimo aspetto la giurisprudenza di legittimità si è spesso pronunciata sull'idoneità di una specifica metodologia utilizzata dall'Ufficio per la ricostruzione induttiva dei maggiori ricavi derivanti dall'attività d'impresa, ritenendo tale metodologia un «elemento sufficientemente grave e preciso di rettifica anche in presenza di contabilità regolarmente tenuta» Cass. numero 29342/2005 e numero 11686/2002 . Ad esempio, nel settore della ristorazione sono stati ritenuti validi elementi il numero dei tovaglioli utilizzati, risultanti dai lavaggi effettuati, piuttosto che il consumo di caffè o di acqua minerale cd. “bottigliometro” , in quanto ingredienti fondamentali, se non indispensabili, nelle consumazioni effettuate. Sul punto la Cassazione ha più volte ribadito che tali elementi rappresentano un fatto noto, capace di per sé solo di lasciare ragionevolmente presumere il numero di pasti effettivamente forniti, così da risalire attraverso il prezzo medio dei coperti, all'ammontare effettivo dei ricavi conseguiti cfr. Cass. sent. numero 17408/2010, 18475/2009 e 9884/2002 . Altri esempi di ricostruzione indiretta dei ricavi si sono avuti col cd. “farinometro” in relazione ad un'attività di pizzeria cfr. Cass. sent. 15580 del 2011 , con il “lenzuolometro” per un'affittacamere, Cass. sent. 30402 del 2011 e persino con il “barometro” per ricostruire l'attività di un'impresa funebre. I risultati cui conducono tali ricostruzioni devono essere quanto meno “verosimili” in riferimento alle caratteristiche ed alle concrete condizioni di esercizio dell'attività svolta non sono mancati casi in cui la giurisprudenza soprattutto di merito ha dovuto annullare avvisi di accertamento basati ad esempio sul cd. “tovagliometro” in quanto tale metodologia risultava in contraddizione con altri elementi facilmente riscontrabili, come i consumi medi delle materie prime o l'effettiva capacità di posti a sedere del ristorante. Tali inconvenienti possono essere superati solo attraverso il confronto con il contribuente, utile a comprendere le peculiarità dell'attività controllata. Il caso concreto. In particolare, l'ufficio aveva acquisito presso la cancelleria molte sentenze che facevano presumere l'incasso di compensi in nero da parte dello studio legale. Nei gradi di merito gli avvisi di accertamento allo studio associato ed ai soci venivano annullati. Col ricorso in Cassazione l'Agenzia delle Entrate denuncia violazione di legge ritenendo legittimo l'accertamento analitico induttivo di maggiori ricavi, mentre dal canto loro i contribuenti non avevano fornito alcuna prova contraria. Secondo la Cassazione, contrariamente al parere della CTR, tale presunzione è abbastanza grave da sorreggere l'accertamento. Ad avviso dei giudici di legittimità, infatti, in tema d'imposte sui redditi, il corrispettivo della prestazione del professionista legale e la relativa spesa si considerano rispettivamente conseguiti e sostenuti quando la prestazione è condotta a termine per effetto dell'esaurimento o della cessazione dell'incarico professionale cfr. Cass. 16969/2016 . Ne consegue, pertanto, che il corrispettivo della prestazione del professionista legale si debba presumere conseguito quando la prestazione e condotta a termine per effetto dell'esaurimento o della cessazione dell'incarico professionale. Nel caso la prestazione professionale risulta proprio dalle sentenze acquisite. La pronuncia censurata, pertanto, è viziata per violazione di legge per avere ritenuto che i compensi non risultavano effettuati. Il fatto che l'ufficio abbia utilizzato una presunzione per individuare il momento della effettiva percezione del reddito è legittimo, in quanto conforme al criterio generale posto dall'articolo 2727 c.c., mentre era onere del contribuente fornire una prova contraria, dimostrando di non avere percepito alcun reddito producendo ad esempio, diffida ad adempiere o richieste di decreto ingiuntivo o comunque l'infruttuosità dell'esecuzione intrapresa.

Presidente Biagio – Relatore D'Auria Fatti di causa La vicenda giudiziaria trae origine dall'avviso di accertamento numero omissis per l'anno di imposta 2005 emesso nei confronti dello Studio legale P. associazione professionale, con cui erano individuati maggiori redditi da lavoro autonomo ed un maggiore volume d'affari, da cui scaturiva una maggiore pretesa fiscale ai fini irap ed iva, nonché l'applicazione delle relative sanzioni. La commissione provinciale di Frosinone, a seguito del ricorso del contribuente Studio Professionale P. , annullava l'accertamento. A seguito di appello dell'Agenzia delle entrate, la Ctr del Lazio sentenza numero 530/39/13 confermava la decisione di primo grado. Propone ricorso per cassazione l'Agenzia delle entrate, che si affida ad un solo motivo così rubricato Violazione e falsa applicazione del D.P.R. numero 600 del 1973, articolo 32, e articolo 39, comma 1, lett. D, e del D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 54, in combinato disposto con gli articolo 2697 e 2729 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 Si costituisce con controricorso l'associazione professionale, che in primis rileva la mancanza di doglianze della Agenzia circa la deducibilità delle spese postali e per i carburanti, ed in ordine al motivo inerente ai soli ricavi ne chiede il rigetto. Tale associazione professionale presenta anche memoria ex articolo 380 bis-1 c.p.c In relazione all'accertamento effettuato nei confronti dello Studio professionale P. , l'Agenzia delle entrate provvedeva a recuperare la maggiore pretesa irpef nei confronti dei due associati P.D. accertamento numero omissis e P.F. RC omissis in proporzione alla loro partecipazione alla associazione. A seguito del ricorso di P.F. , la Commissione provinciale di Frosinone annullava l'accertamento. A seguito di appello proposto dalla Agenzia delle entrate, la CTR del Lazio confermava la decisione di primo grado sentenza numero 531/39/13 . L'Agenzia delle entrate impugna tale decisione con un motivo perfettamente sovrapponibile a quello proposto avverso quella inerente l'associazione professionale. Si costituisce il contribuente chiedendo il rigetto del gravame con controricorso illustrato con memoria. Anche P.D. proponeva ricorso contro l'accertamento e in sede di appello la Ctr del Lazio dichiarava deducibili le spese carburante e manutenzione solo nella misura del 50%, confermando nel resto la decisione impugnata che aveva annullato l'accertamento. Propone ricorso per Cassazione l'Agenzia delle entrate con rifermento al maggior reddito accertato, con motivo analogo a quello già proposto nei confronti della associazione e dell'altro socio. Si costituiscono con controricorso, illustrato con memoria, gli eredi di P.D. nonché di D.V.A. , e cioè P.F. , P.M. e P.S. , chiedendo il rigetto del ricorso principale e proponendo altresì ricorso incidentale in quanto le spese di manutenzione e per carburante erano state già dedotte al 50 % dalla associazione professionale. Ragioni della decisione Il collegio in via preliminare, essendovi evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva, dispone la riunione dei procedimenti, in quanto l'accertamento fiscale nei confronti della associazione, priva di personalità giuridica, riverbera i suoi effetti sui redditi dei singoli associati. In tal modo la Corte intende aderire al principio giurisprudenziale, formatosi in sede di litisconsorzio relativo al caso di accertamento emesso nei confronti di società di persone, che poi per trasparenza coinvolge anche i singoli soci. In particolare nel processo di cassazione, come affermato, tra altre, da Cass. numero 29843 del 2017, in presenza di cause decise separatamente nel merito e relative, rispettivamente, alla rettifica del reddito di una società di persone ed alla conseguente automatica imputazione dei redditi stessi a ciascun socio, non va dichiarata la nullità per essere stati i giudizi celebrati senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari società e soci in violazione del principio del contraddittorio, ma va disposta la riunione quando la complessiva fattispecie, oltre che dalla piena consapevolezza di ciascuna parte processuale dell'esistenza e del contenuto dell'atto impositivo notificato alle altre parti e delle difese processuali svolte dalle stesse, sia caratterizzata da 1 identità oggettiva quanto a causa petendi dei ricorsi 2 simultanea proposizione degli stessi avverso il sostanzialmente unitario avviso di accertamento costituente il fondamento della rettifica delle dichiarazioni sia della società che di tutti i suoi soci e, quindi, identità di difese 3 simultanea trattazione degli afferenti processi innanzi ad entrambi i giudici del merito 4 identità sostanziale delle decisioni adottate da tali giudici. In tal caso, la ricomposizione dell'unicità della causa attua il diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo derivante dall'articolo 111 Cost., comma 2, e dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, articolo 6 e 13 , evitando che con la altrimenti necessaria declaratoria di nullità ed il conseguente rinvio al giudice di merito, si determini un inutile dispendio di energie processuali per conseguire l'osservanza di formalità superflue, perché non giustificate dalla necessità di salvaguardare il rispetto effettivo del principio del contraddittorio. Va aggiunto, quanto al ricorso numero 24291/16, che la statuizione della CTR di rigetto dell'eccezione di violazione del litisconsorzio necessario non è stata oggetto di impugnazione in questa sede e pertanto su di essa si è formato il giudicato interno. Ciò detto va anche rilevato che, con le sentenze emesse in appello con riguardo all'associazione e al socio P.F. , era stato affermato che correttamente la associazione professionale aveva portato in detrazione sia le spese postali che quelle inerenti al carburante e alla manutenzione. Tale capo delle sentenze non è stato in alcun modo impugnato dalla Agenzia delle entrate ed è quindi ormai irrevocabile e non può non produrre effetti favorevoli anche nei confronti dell'altro socio P.D. , e per esso degli eredi, i quali pertanto non hanno interesse all'esame del ricorso incidentale concernente la detraibilità delle suddette spese, che è quindi inammissibile. Pertanto occorre solo esaminare l'unico motivo del ricorso in cassazione proposto dalla Agenzia delle entrate circa i maggiori ricavi accertati, quali compensi professionali non dichiarati, proposto, in modo perfettamente sovrapponibile, in tutti e tre i ricorsi avverso le distinte decisioni pronunciate dalla Ctr in sede di appello da parte dell'Agenzia delle entrate. In particolare l'Agenzia deduce che l'accertamento, nella parte relativa ai maggiori ricavi, si basava su acquisizioni di sentenze presso vari uffici giudiziari, da cui emergeva che lo studio professionale aveva patrocinato varie difese, il che alla luce del D.P.R. numero 600 del 1973, articolo 39, comma 1, lett. d, consentiva la rettifica analitica induttiva. Aggiunge che i risultati dell'accertamento erano stati oggetto di contraddittorio preventivo senza che gli associati fossero stati in grado di giustificare la mancata corresponsione dei compensi. Il motivo, oltre che ammissibile in quanto, contrariamente a quanto eccepito nei controricorsi, è sufficientemente specifico ed autosufficiente, è anche fondato. Invero, il fatto che non risultasse dalla contabilità il versamento di alcun compenso è irrilevante nel presente giudizio visto che tale tipo di accertamento in rettifica della dichiarazione prescinde dalla contabilità, anche se formalmente regolare, basandosi invece su presunzioni assistite dai requisiti previsti dall'articolo 2729 c.c A tal proposito, va osservato che secondo l'orientamento di questa Suprema Corte Cass. civ., Sez. V, 11 agosto 2016, numero 16969 In tema d'imposte sui redditi, il corrispettivo della prestazione del professionista legale e la relativa spesa si considerano rispettivamente conseguiti e sostenuti quando la prestazione è condotta a termine per effetto dell'esaurimento o della cessazione dell'incarico professionale . Ne consegue, pertanto, che il corrispettivo della prestazione del professionista legale si debba presumere conseguito quando la prestazione è condotta a termine per effetto dell'esaurimento o della cessazione dell'incarico professionale. Nel caso la prestazione professionale risulta proprio dalle sentenze acquisite. La pronuncia censurata, pertanto, è viziata per violazione di legge per avere ritenuto che i compensi non risultavano effettuati. Il fatto che l'Ufficio abbia utilizzato una presunzione per individuare il momento della effettiva percezione del reddito è legittimo, in quanto conforme al criterio generale posto dall'articolo 2727 c.c In altri termini, in virtù della prova indiziaria suddetta era onere del contribuente dare la prova dell'insussistenza di tali ricavi, senza che ciò comportasse l'onere di fornire una prova negativa, giacché può parlarsi di prova negativa solo quando taluno per far valere un diritto fosse tenuto a dimostrare non solo i fatti costitutivi ma altresì la inesistenza di fatti estintivi. Non è certo questa la situazione del caso di specie. Qui l'Amministrazione ha fondato la pretesa fiscale su di una prova per presunzione ed il contribuente, per resistere, avrebbe dovuto contrastare tale prova e quindi, a questo fine, aveva l'onere di dimostrare di non aver percepito alcun reddito, per esempio producendo diffida ad adempiere o richieste di decreto ingiuntivo, o provare l'infruttuosità della esecuzione. In particolare era onere del contribuente dimostrare la esistenza di fattori che avevano impedito o che comunque erano stati idonei ad impedire l'incasso dei compensi. Nè vale obiettare che non risulta emessa la fattura, in quanto nel caso l'ufficio assume che il compenso vi sia stato e quindi appare ragionevole ritenere che tale fattura non sia stata emessa al fine proprio di sottrarsi al pagamento delle imposte. Pertanto, la doglianza della Agenzia è fondata non avendo la Ctr precisato perché non dovesse considerarsi idonea presunzione il fatto del pagamento del compenso per attività professionale portata a termine, ed avendo ritenuto necessari ulteriori riscontri probatori mediante accertamenti bancari. In conclusione, in accoglimento dei ricorsi riuniti, le sentenze impugnate vanno cassate con rinvio alla Ctr del Lazio, in diversa composizione, che svolgerà un nuovo esame attenendosi alla motivazione suddetta. P.Q.M. La Corte riunisce al ricorso numero 27783/2014 i ricorsi numero 27959/2014 e numero 24291/16 e li accoglie cassa le sentenze impugnate con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese processuali di questo grado. Dichiara inammissibile per carenza di interesse il ricorso incidentale degli eredi di P.D. . Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso incidentale, se dovuto.