L’ordine di pagamento diretto è posto a garanzia del corretto adempimento

L’art 156, comma 6, c.c., nell’attribuire al giudice, in caso di inadempimento dell’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento, il potere di ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro al coniuge obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto, postula una valutazione di opportunità che prescinde da qualsiasi comparazione tra le ragioni poste a fondamento della richiesta avanzata da questi ultimi e quelle addotte a giustificazione del ritardo nell’adempimento, implicando esclusivamente un apprezzamento in ordine all’idoneità del comportamento dell’obbligato a suscitare dubbi circa l’esattezza e la regolarità del futuro adempimento, e quindi, a frustrare le finalità proprie dell’assegno di mantenimento.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione nell'ordinanza numero 24051, depositata il 6 settembre 2021. Il Tribunale territorialmente competente decidendo sulla domanda della moglie, revocava l'obbligo posto a carico del marito di versare all'attrice l' assegno perequativo per il mantenimento del figlio che aveva raggiunto l'indipendenza economica, riduceva il contributo paterno per il mantenimento dell'altro figlio e disponeva che, a norma dell' articolo 156, comma 6, c.c. , fosse ordinato alla società datrice di lavoro dell'obbligato, la corresponsione alla moglie di un importo mensile a titolo di mantenimento di quest'ultima e del figlio ancora non del tutto economicamente autonomo. Veniva proposto reclamo che la Corte di Appello adita rigettava. Il marito proponeva ricorso per Cassazione avverso la decisione della Corte territoriale. I Giudici di legittimità hanno ritenuto inammissibili i primi due motivi di ricorso proposti dall'attore, con i quali quest'ultimo denunciava violazione di legge e difetto di motivazione , per non essere stata riconosciuta l'illegittimità del cumulo tra la trattenuta del quinto dello stipendio mensile a seguito di pignoramento presso terzi e l'ordine di pagamento diretto al datore di lavoro ex articolo 156, comma 6, c.c., in ragione del superamento del limite massimo stabilito dall' articolo 545, comma 5, c.c. . In particolare, il ricorrente lamentava che la Corte territoriale si fosse limitata ad escludere il predetto cumulo senza considerare che questo non avrebbe potuto operare stante il limite suindicato. I Giudici di legittimità, invece, con riguardo all'asserita illegittimità del cumulo tra la trattenuta del quinto dello stipendio , determinata dall'esistenza di un pignoramento presso terzi incidente per l'appunto, sulla retribuzione dell'obbligato e l' ordine di pagamento al datore di lavoro ex articolo 156, comma 6 cit. hanno osservato come, nei confronti del coniuge inadempiente soggetto all'esecuzione forzata diretta al soddisfacimento di crediti pregressi, ben possa operare il rimedio consistente nell'ordine al datore di lavoro del pagamento diretto che è disposto per assicurare le prestazioni future aventi ad oggetto il mantenimento della moglie e dei figli, in caso di inadempimento dell'obbligato inadempimento che, nel caso di specie, il giudice distrettuale aveva correttamente ritenuto provato, atteso la condotta inadempiente del ricorrente, nonostante disponesse di un reddito annuo alquanto elevato. Secondo il Collegio di legittimità, infatti, la censura relativa alla non cumulabilità oltre il limite posto dall' articolo 545, comma 5, c.p.c. , tra il pignoramento dello stipendio e la distrazione di esso a norma dell'articolo 156, comma 6 cit. è inammissibile perché la somma della quota mensile della retribuzione oggetto di pignoramento e quella di quella oggetto dell'ordine impartito a norma dell'articolo 156 cit., nella specie, non raggiunge la metà dello stipendio calcolato sulla base dell'ammontare annuo del reddito netto, ed è pertanto, inferiore al limite di cui all'articolo 545, comma 5, cit La Corte di legittimità prosegue affermando che il cit. articolo 156, comma 6 c.c. va letto nel senso che il giudice può legittimamente disporre il pagamento diretto dell' intera somma dovuta dal terzo quando questa non ecceda, ma anzi realizzi pienamente l'assetto economico determinato in sede di separazione con la statuizione che, in concreto, ha quantificato il diritto del coniuge beneficiario. Viene precisato inoltre, che l'ordine di pagamento al terzo non ha bisogno di alcuna attività valutativa della misura dell'obbligo che impone al terzo, ma solo che si individui l'opportunità di darlo. I Giudici concludono affermando che il giudice , alla stregua della formulazione della norma – secondo cui “può disporre” – amministra una discrezionalità rivolta alla considerazione della utilità del mezzo «al di fuori di ciò egli non deve accertare altro, ed in particolare non deve valutare alcun elemento che in qualche modo rimetta in discussione l'entità dell'assegno, ovvero le circostanze ed i redditi che il secondo comma menziona», pena l'effetto di «introdurre un potere di valutazione sfornito di funzione processuale, ed altresì, irragionevole, giacchè nella legge non si precisa, come è conseguente a quanto si è detto, quale possa essere il riferimento della eventuale determinazione di un pagamento parziale» e il giudice, «ove si accedesse a tale tesi, dovrebbe egli trovare un criterio di ripartizione ».

Presidente Genovese – Relatore Falabella Fatti di causa 1. - Il Tribunale di Roma, decidendo sulla domanda di C.F. , revocava l'obbligo, posto a carico del marito di questa, B.F. , di versare all'attrice l'assegno perequativo per il mantenimento del figlio D. , che aveva raggiunto l'indipendenza economica, riduceva il contributo paterno per il mantenimento del figlio M. e disponeva che, a norma dell' articolo 156 c.c. , comma 6, fosse ordinato ad Abbott s.r.l., datrice di lavoro di B. , la corresponsione alla stessa C. dell'importo mensile di Euro 2.600,00 tale era l'importo determinato dal Tribunale ai fini del mantenimento della moglie e del figlio M. . 2. - Era proposto reclamo che la Corte di appello di Roma, con decreto del 30 marzo 2017, rigettava. 3. - Ha proposto ricorso per cassazione, con tre motivi, B.F. . Resiste con controricorso C.F. , che ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1. - Col primo motivo sono denunciate violazione di legge e difetto di motivazione per non essere stata riconosciuta l'illegittimità del cumulo tra la trattenuta del quinto dello stipendio mensile, a seguito di pignoramento presso terzi, e l'ordine di pagamento diretto al datore di lavoro ex articolo 156 c.c. , comma 6, in ragione del superamento del limite stabilito dall' articolo 545 c.c. , comma 5. È lamentato che la Corte di appello si sia limitata ad escludere il cumulo tra il pignoramento dello stipendio e il pagamento diretto, senza considerare che il detto cumulo non avrebbe potuto operare stante il limite suindicato. Viene altresì dedotto che la Corte di merito sarebbe incorsa in una ulteriore violazione trascurando di considerare che, in forza della L. numero 219 del 2012, articolo 5 e dell' articolo 38 disp. att. c.c. , il cumulo tra quanto oggetto di esecuzione forzata presso terzi e quanto costituisce materia dell'ordine di pagamento diretto impartito al datore di lavoro del coniuge separato non può eccedere il 50% della retribuzione mensile del detto coniuge. Col secondo mezzo il decreto impugnato è censurato per violazione di legge in relazione al principio di disponibilità e valutazione delle prove articolo 115 e 116 c.p.c. e per travisamento dei fatti, attesa l'errata ricostruzione della posizione reddituale dell'istante rispetto alla documentazione prodotta dallo stesso documentazione che forniva prova di un reddito ben più contenuto rispetto a quello indicato nel provvedimento Euro 79.800,00 netti annui, a fronte dell'importo menzionato dalla Corte territoriale, pari a Euro 170.000,00 - 180.000,00 netti l'anno . Deduce il ricorrente che il giudice del reclamo avrebbe a lui attribuito una florida posizione economica , risultante dalle dichiarazioni fiscali, le quali avrebbero dato conto di una capacità reddituale attuale doppia rispetto a quella effettiva. L'istante sottolinea che la Corte di merito sarebbe quindi incorsa in un grave travisamento ed evidenzia come sul proprio stipendio mensile, pari ad Euro 5.700,00, gravassero, oltre all'ordine di pagamento diretto disposto in favore della moglie e dei figli e al pignoramento per Euro 1.420,00, ulteriori impegni di spesa correlati all'ammortamento di finanziamenti, nonché al pagamento di tasse e libri universitari. Viene evidenziato che il decreto impugnato avrebbe quindi mancato di prendere atto dell'impossibilità, da parte del ricorrente, di far fronte al mantenimento in ragione della somma di Euro 2.600,00 importo - questo - che, a parere dello stesso istante, non teneva comunque conto dell'indipendenza economica raggiunta dai figli. 2. - I due motivi possono esaminarsi congiuntamente, anche per ragioni di continuità discorsiva, e sono entrambi inammissibili. 2.1. - Per quanto qui rileva, la Corte di appello ha ritenuta corretta la quantificazione dell'assegno di mantenimento operata dal Tribunale con riguardo al figlio della coppia di nome M. , osservando come lo stesso, pur essendo avviato al lavoro - giacché aveva abbandonato gli studi universitari e aveva acquisito titoli professionali abilitativi, utili per una sua occupazione - aveva conseguito un reddito tra gli Euro 200,00 e gli Euro 300,00 mensili che non consentiva di ritenere lo stesso pienamente autosufficiente, avendo anche riguardo alle esigenze rapportate all'alto tenore di vita goduto prima dell'insorgenza della crisi coniugale. Ha ritenuto, pertanto, che non trovasse giustificazione la revoca del contributo paterno al mantenimento del detto figlio ha osservato come la nuova situazione potesse semmai incidere, come aveva ritenuto il Tribunale, sulla misura dell'assegno, giustificandone una riduzione. Con riguardo alla asserita illegittimità del cumulo tra la trattenuta del quinto dello stipendio, determinata dall'esistenza di un pignoramento presso terzi, incidente, per l'appunto, sulla retribuzione di B. , e l'ordine di pagamento al datore di lavoro ex articolo 156 c.c. , comma 6, la Corte distrettuale ha osservato come, nei confronti del coniuge inadempiente soggetto all'esecuzione forzata diretta al soddisfacimento di crediti pregressi, ben possa operare il rimedio consistente nell'ordine, al datore di lavoro, del pagamento diretto, che è disposto per assicurare le prestazioni future aventi ad oggetto il mantenimento della moglie e dei figli, in caso di inadempimento dell'obbligato inadempimento che il giudice distrettuale ha ritenuto ampiamente provato avendo riguardo alla condotta dell'odierno ricorrente, che risultava disporre di un reddito ricompreso tra Euro 170.000,00 e Euro 180.000,00 annui e che aveva domandato una modifica delle iniziali condizioni di separazione con cui aveva assunto oneri economici per il complessivo ammontare di Euro 5.500,00 mensili modifica consistente nella riduzione dell'assegno di mantenimento in ragione della somma di soli Euro 250,00 mensili. 2.2. - Il ricorrente ha anzitutto contestato, col secondo motivo, l'ammontare del reddito accertato dalla Corte di appello ma la deduzione risulta essere diretta a un inammissibile riesame di un profilo della controversia che sfugge al sindacato di legittimità. Si osserva, in proposito, che per dedurre la violazione dell' articolo 115 c.p.c. , occorre denunciare, diversamente da come è acceduto nel caso in esame, che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio , mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall' articolo 116 c.p.c. Cass. Sez. LI. 30 settembre 2020, numero 20867 . La doglianza circa la violazione dell' articolo 116 c.p.c. è poi ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato, in assenza di diversa indicazione normativa, secondo il suo prudente apprezzamento , pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria come, ad esempio, valore di prova legale , oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione Cass. Sez. U. 30 settembre 2020, numero 20867 cit. ma una censura avente ad oggetto l'omesso esame di fatto decisivo esigeva l'adempimento di oneri che nella specie non sono stati assolti la precisa indicazione del fatto storico , il cui esame sia stato omesso, il dato , testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività , fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, numero 8053 Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, numero 8054 nè può farsi questione di una anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante , la quale - mette conto di rimarcare - deve riguardare l'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nnumero 8053 e 8054 citt. laddove nel caso in esame si fa proprio questione di un errato apprezzamento delle risultanze istruttorie. Tanto meno può prospettarsi una violazione dell' articolo 156 c.c. , comma 2, dal momento che la censura è diretta a contrastare l'accertamento di fatto del giudice del merito va ricordato, in proposito, che il vizio di violazione di legge consiste in un'erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito Cass. 5 febbraio 2019, numero 3340 Cass. 13 ottobre 2017, numero 24155 Cass. 11 gennaio 2016, numero 195 Cass. 30 dicembre 2015, numero 26110 Cass. 4 aprile 2013, numero 8315 . È da aggiungere che la doglianza risulta pure carente di autosufficienza, in quanto l'istante fonda la medesima su di un documento che non trascrive e di cui non indica la localizzazione come è noto, sono inammissibili, per violazione dell' articolo 366 c.p.c. , numero 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l'esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità Cass. Sez. U. 27 dicembre 2019, numero 34469 . Parimenti inammissibili sono le deduzioni, contenute a pag. 13 del ricorso, circa gli impegni finanziari gravanti sullo stesso istante profilo, questo, di cui la Corte di appello non si occupa espressamente e che l'istante nemmeno deduce sia stato specificamente sottoposto all'esame di quel giudice spettava al ricorrente, infatti, non solo di allegare l'avvenuta introduzione di tale tema di indagine innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione Cass. 9 agosto 2018, numero 20694 Cass. 13 giugno 2018, numero 15430 Cass. 18 ottobre 2013, numero 2 3675 . Non può nemmeno avere ingresso, in questa sede, la generica doglianza che è adombrata a pag. 14 del ricorso, la quale verte sul giudizio circa l'indipendenza economica del figlio della coppia. Il tema investe un accertamento di fatto e il ricorrente nemmeno spiega quali siano i vizi, deducibili in questa sede di legittimità, da cui sarebbe affetta, sul punto, la decisione impugnata. 2.3. - Quanto, infine, alla statuizione avente ad oggetto l'ordine di pagamento impartito al datore di lavoro del ricorrente a norma dell' articolo 156 c.c. , comma 6, la relativa censura si rivela inammissibile. Il ricorrente assume infatti la non cumulabilità, oltre il limite posto dall' articolo 545 c.p.c. , comma 5, del pignoramento dello stipendio e della distrazione di esso a norma dell' articolo 156 c.c. , comma 6 ma la somma degli importi di Euro 1.420,00 quota mensile della retribuzione oggetto del pignoramento pag. 10 del ricorso e di Euro 2.600,00 pari all'ammontare, per mese, di quanto oggetto dell'ordine impartito a norma del cit. articolo 156 c.c. , comma 6 non raggiunge la metà dello stipendio calcolato sulla base dell'ammontare annuo, netto, di Euro 170.000,00 ed è pertanto inferiore al limite di cui all' articolo 545 c.p.c. , comma 5. La doglianza denota quindi una parente assenza di concludenza ove si muova dalla stessa tesi giuridica sostenuta dall'istante. È da aggiungere, per completezza, che il provvedimento con cui il giudice ha disposto la corresponsione di somme dovute a B. a titolo di retribuzione non implicava alcuna valutazione nel senso indicato in ricorso. A norma dell' articolo 156 c.c. , comma 6, il tribunale può ordinare a terzi, obbligati nei confronti del coniuge debitore, di pagare direttamente al coniuge avente diritto all'assegno , quanto a questi è dovuto. L'ordine al terzo può estendersi anche all'assegno in favore dei figli minori, in quanto l'assegno a favore del coniuge affidatario è di regola comprensivo sia delle somme dovute a titolo di mantenimento del coniuge privo di adeguati redditi propri, sia di quelle dovute a titolo di contributo nel mantenimento della prole, e, quand'anche consista solo in quest'ultimo contributo, rappresenta pur sempre un credito dell'altro coniuge e la sua corresponsione da parte dell'obbligato si inserisce, necessariamente, nella disciplina dei rapporti patrimoniali tra coniugi, salva restando la destinazione delle relative somme Cass. 4 dicembre 1996, numero 10813 del resto la Corte costituzionale, nel dichiarare, con la sentenza numero 144 del 1983, l'illegittimità costituzionale dell' articolo 156 c.c. , comma 6, nella parte in cui non prevede che le disposizioni ivi contenute si applichino a favore dei figli di coniugi consensualmente separati, ha evidentemente supposto che la norma concernesse anche il contributo al mantenimento della prole . Questa Corte regolatrice ha avuto modo di evidenziare che il cit. articolo 156 c.c. , comma 6, va letto nel senso che il giudice possa legittimamente disporre il pagamento diretto dell'intera somma dovuta dal terzo, quando questa non ecceda, ma anzi realizzi pienamente, l'assetto economico determinato in sede di separazione con la statuizione che, in concreto, ha quantificato il diritto del coniuge beneficiario Cass. 2 dicembre 1998, numero 12204 . È stato precisato, al riguardo, che l'ordine di pagamento al terzo non ha bisogno di alcuna attività valutativa della misura dell'obbligo che impone al terzo, ma solo che si individui l'opportunità di darlo. In particolare, il giudice, alla stregua della formulazione della norma - secondo cui può disporre - amministra una discrezionalità rivolta alla considerazione della utilità del mezzo Al di fuori di ciò egli non deve accertare altro, ed in particolare non deve valutare alcun elemento che in qualche modo rimetta in discussione l'entità dell'assegno, ovvero le circostanze ed i redditi che il comma 2 dell'articolo menzionato , pena l'effetto di introdurre un potere di valutazione sfornito di funzione processuale, ed altresì irragionevole, giacché nella legge non si precisa, come è conseguente a quanto si è detto, quale possa essere il riferimento della eventuale determinazione di un pagamento parziale e il giudice, ove si accedesse a tale tesi, dovrebbe egli trovare un criterio di ripartizione sent. cit., in motivazione . In linea di continuità con tale insegnamento si è poi rilevato che l' articolo 156 c.c. , comma 6, nell'attribuire al giudice, in caso d'inadempimento dell'obbligo di corrispondere l'assegno di mantenimento, il potere di ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro al coniuge obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto, postula una valutazione di opportunità che prescinde da qualsiasi comparazione tra le ragioni poste a fondamento della richiesta avanzata da questi ultimi e quelle addotte a giustificazione del ritardo nell'adempimento, implicando esclusivamente un apprezzamento in ordine all'idoneità del comportamento dell'obbligato a suscitare dubbi circa l'esattezza e la regolarità del futuro adempimento, e quindi a frustrare le finalità proprie dell'assegno di mantenimento Cass. 6 novembre 2006, numero 23668 Cass. 19 maggio 2011, numero 11062 . Mette conto di osservare che, in linea generale, la scelta del criterio di limitazione della pignorabilità dello stipendio e l'entità di detta limitazione rientrano nel potere insindacabile del legislatore per tutte Corte Cost., ordinanza numero 225 del 2002 Corte Cost., sentenza numero 437 del 1997 . La questione si pone in termini leggermente diversi ove venga in questione il credito pensionistico pure soggetto alla misura di cui all' articolo 156 c.c. , comma 6 cfr. Cass. 23 dicembre 1992, numero 13630 . In tema di pensione assume infatti rilievo la sentenza numero 506 del 2002 della Corte costituzionale , sulla incostituzionalità della previsione legislativa della impignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare di pensioni, assegni ed indennità erogati dall'INPS nell'occasione il giudice delle leggi ha affermato che il presidio costituzionale del diritto dei pensionati posto dall' articolo 38 Cost. determina l'impignorabilità assoluta della pensione per quella sola parte di essa che è diretta ad assicurare ai pensionati i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita, potendo il legislatore nella sua discrezionalità selezionare, attraverso un razionale bilanciamento di valori garantiti dalla Costituzione, in ragione della loro causa, i crediti rispetto ai quali la pensione, anche nella parte in cui è volta ad assicurare al pensionato il minimum vitale, è pro quota dell'intero pignorabile la qualità del credito, in altre parole, giustifica, quando è espressione di altri valori costituzionali, il discrezionale bilanciamento con il valore espresso dall' articolo 38 Cost. , comma 2, ma tale valore, quando l'ammontare della pensione eccede quanto necessario per le esigenze di vita del pensionato, certamente non può rendere impignorabile la parte eccedente . È, questo, un approdo che riguarda, come detto, i crediti pensionistici. La Corte costituzionale ha infatti precisato, in tema di crediti retributivi, che la tutela della certezza dei rapporti giuridici, in quanto collegata agli strumenti di protezione del credito personale, non consente di negare in radice la pignorabilità degli emolumenti ma di attenuarla per particolari situazioni la cui individuazione è riservata alla discrezionalità del legislatore, negando, espressamente, che possa essere esteso ai crediti retributivi quanto affermato, con riguardo alla pignorabilità delle pensioni, nella sentenza numero 506 del 2002, la quale, ben vero, ha evidenziato la diversa configurazione della tutela prevista dall'articolo 38 rispetto a quella dell' articolo 36 Cost. cfr. Corte Cost., sentenza numero 248 del 2015 . Con riguardo ai limiti di disponibilità dei crediti retributivi e previdenziali ci si si trova dunque difronte ad ambiti di discrezionalità, seppur diversamente modulati, che sono affidati al legislatore. Quel che preme rilevare, in questa sede, è che il legislatore ordinario, nell'amministrare questa discrezionalità, può direttamente quantificare l'ammontare della retribuzione o della pensione detraibile, ma anche rimettere tale determinazione al giudice. È espressione di una discrezionalità spesa nella seconda direzione la disciplina integrata dall' articolo 156 c.c. , commi 2, 6 e 7. Questa Corte ha avuto modo di osservare, al riguardo, che l' articolo 156 c.c. , comma 2, nello stabilire che l'entità dell'assegno di mantenimento è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato , attribuisce al giudice il potere-dovere di procedere ad una valutazione complessiva delle situazioni economico-patrimoniali delle parti, che gli permette di accertare quale sia la misura in grado di garantire il ragionevole bilanciamento di tutti gli interessi in conflitto Cass. 27 gennaio 2004, numero 1398 , in motivazione, la quale aggiunge come la facoltà della parte di ottenere la modifica del provvedimento che determina l'assegno, qualora sopravvengano giusti motivi, eviti l'irragionevole cristallizzazione del suo importo, garantendone, nel tempo, la sua commisurazione alle effettive condizioni delle parti, così da assicurare piena tutela alle fondamentali esigenze dell'obbligato . Può ben dirsi, dunque, che l'apprezzamento circa la residua disponibilità, in capo al coniuge tenuto all'obbligo di mantenimento, di risorse economiche e patrimoniali adeguate alle proprie esigenze di vita trova il proprio referente nell' articolo 156 c.c. , comma 2 - il quale, secondo quanto precisato dalla giurisprudenza di legittimità cfr., in termini generali Cass. 12 gennaio 2017, numero 605 Cass. 11 luglio 2013, numero 17199 impone la giudice di valutare i redditi delle parti e gli altri elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito ed idonei ad incidere sulle condizioni economiche delle parti - oltre che nel comma 7 cit. articolo, che consente la revoca e la modifica dei provvedimenti adottati con riguardo all'assegno. Il comma 6 rimette invece al giudice la valutazione circa l'opportunità di disporre l'ordine di pagamento diretto avendo riguardo al comportamento tenuto dall'obbligato alla possibilità o meno di pronosticarne, cioè, le condotte inadempienti è solo da aggiungere che le sopravvenienze del quadro definito da tale comportamento rileveranno, a loro volta, a norma dell' articolo 156 c.c. , comma 7, il quale ha riguardo alla modifica di uno qualsiasi dei provvedimenti di cui ai commi precedenti . Quella di cui all'articolo 156 è, in definitiva, una disciplina speciale, orientata dall'esigenza di assicurare un bilanciamento di interessi il più possibile aderente alla specificità del caso e governata da una propria autosufficienza. Non interferiscono con tale regolamentazione nè i principi che sono dettati, in via generale, dall' articolo 545 c.p.c. , nè, tanto meno, la regola posta, in tema di assegno di divorzio, dalla L. numero 898 del 1970, articolo 8, comma 6. A quest'ultimo riguardo è da richiamare il rilievo, presente nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l'opzione legislativa che ha fatto prevalere il prudente intervento del giudice su meccanismi caratterizzati da rigidi automatismi risulta coerente con la realtà di un matrimonio non sciolto e con la connessa finalità di evitare di compromettere la possibilità di una riconciliazione Cass. 2 dicembre 1998, numero 12204 , cit., in motivazione Cass. 27 gennaio 2004, numero 1398 , cit., in motivazione . Ma è da osservare, altresì, che l'applicazione analogica del cit. articolo 8, comma 6, trova un insuperabile ostacolo nel fatto che il legislatore ha riservato un'autonoma regolamentazione alla disciplina dell'ordine al terzo per il caso di separazione, astenendosi dall'individuare la quota cui deve essere limitato il detto ordine e inserendo all'interno della disposizione un elemento di elasticità il riferimento a una parte delle somme di denaro dovute e tanto è sufficiente per escludere l'applicabilità per analogia della disposizione, non esistendo alcuna lacuna normativa che legittimerebbe il ricorso a tale forma di interpretazione in tema cfr. Cass. 27 gennaio 2004, numero 1398 , cit., sempre in motivazione . In conclusione, dunque, il sistema della legge, con riguardo all'assegno in caso di separazione dei coniugi, concentra nelle decisioni da rendersi a norma dell' articolo 156 c.c. , commi 2 e 7, la ponderazione dei fattori, quali pignoramenti sulle somme erogate al coniuge obbligato, che limitano la disponibilità di quest'ultimo. Si delineano, in altri termini, due ambiti di valutazione ben distinti, entrambi rimessi al giudice il primo, suscettibile di essere posto in discussione in caso di sopravvenienza di giustificati motivi articolo 156 c.c. , comma 7 , è preordinato alla individuazione dell' entità della somministrazione di cui all' articolo 156 c.c. , comma 2, ed esige l'apprezzamento dei redditi delle parti e degli altri elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito ed idonei ad incidere sulle condizioni economiche delle parti il secondo, parimenti soggetto a revisione in base al comma 7 cit., trova fondamento nell' articolo 156 c.c. , comma 6, norma cui è estranea alcuna predeterminazione del limite entro cui va operata la distrazione, e che implica, in via esclusiva, un apprezzamento in ordine all'idoneità del comportamento dell'obbligato a suscitare dubbi circa l'esattezza e la regolarità del futuro adempimento, e quindi a frustrare le finalità proprie dell'assegno di mantenimento che è stato concesso. 3. - Col terzo mezzo il ricorrente deduce la violazione di legge in relazione al principio di disponibilità e valutazione delle prove per aver disposto lo stralcio della documentazione prodotta dallo stesso B. in allegato alle note conclusionali depositate nel giudizio di reclamo documentazione che avrebbe permesso alla Corte di merito di accertare l'indipendenza economica di uno dei figli della coppia, M. , e di accogliere le richieste di revoca o riduzione del relativo assegno di mantenimento si oppone la conseguente violazione di legge in relazione all' articolo 156 c.c. , comma 2, per non essere stata determinata l'entità dell'assegno di mantenimento in relazione alle circostanze e ai redditi dello stesso ricorrente circostanze vertenti, nella specie, nell'indipendenza del suddetto figlio M. . La censura ha ad oggetto il giudizio circa l'inammissibilità della produzione documentale attuatasi con gli scritti conclusionali. È sottolineato, al riguardo, che nel procedimento camerale i termini non assumono valenza perentoria e che la controparte, con la propria memoria di replica, avrebbe potuto prendere posizione sulle nuove produzioni di esso istante. Il motivo è inammissibile. Esso risulta radicalmente privo di autosufficienza, mancando non solo della trascrizione dei documenti che furono prodotti in occasione del deposito delle note conclusionali, ma anche di una indicazione atta a svelarne, con qualche precisione, il contenuto così da consentire alla Corte di apprezzare la decisività della censura . Anche a voler prescindere da tale profilo, comunque assorbente, il motivo non coglie, comunque, nel segno. Infatti, nel rito camerale in appello l'acquisizione dei mezzi di prova, e segnatamente dei documenti, è ammissibile sino all'udienza di discussione in camera di consiglio, sempre che sulla produzione si possa considerare instaurato un pieno e completo contraddittorio, che costituisce esigenza irrinunziabile anche nei procedimenti in discorso Cass. 28 maggio 2003, numero 8547 . 3 . - Il ricorso è in conclusione inammissibile. 4. - Le spese di giudizio seguono la soccombenza. P.Q.M. LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese per il giudizio di legittimità che liquida in Euro 6000,00 per compensi oltre alle spese forfetarie nella misura delle 15% agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13 , comma 1 quater inserito dalla L. numero 228 del 2012, articolo 1 , comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quelli stabilito per il ricorso ove dovuto. Oscuramento dei dati personali delle parti in caso di utilizzazione del presente provvedimento.