La Suprema Corte torna su un tema complesso, che interseca questioni sostanziali, sulla struttura del delitto associativo, e regole di rito, tese ad individuare il punto di equilibrio tra l’esigenza di poter riaprire investigazioni concluse e la necessità di assicurare la certezza del risultato conseguito nell’unico giudizio possibile per ogni fatto. Lo fa offrendo un’efficace chiave di lettura di coordinate interpretative già elaborate dalla giurisprudenza di legittimità, coniugandole in un ambito – quello dell’imposizione di misure restrittive sulla base di plurime fonti indiziarie concordanti – affatto raro per contestazioni di tale gravità.
Il caso. Il procedimento a quo riguarda gli appelli cautelari proposti avverso le ordinanze con le quali erano state rigettate le istanze di revoca o sostituzione della custodia in carcere disposta nei confronti di numerosi indagati, tra i quali un imprenditore campano, al quale si ascriveva d'aver favorito il c.d. Clan dei Casalesi, consentendo loro, per quindici anni, il reimpiego di proventi illeciti al Nord tale contributo si sarebbe realizzato con l'operato di alcuni rami d'azienda della società di cui era legale rappresentante e, inoltre, risultando aggiudicatario di appalti per lavori di somma urgenza nell'ambito del ciclo integrato delle acque della Regione Campania al solo di fine di permetterne il monopolio da parte della consorteria criminale. Ricorrevano per Cassazione i difensori di fiducia del prevenuto, con due distinti atti, articolati in plurime doglianze, alcune delle quali sovrapponibili. Più in dettaglio, deducevano violazione di legge e vizi motivazionali in primis , perché i Giudici cautelari avrebbero disatteso orientamenti consolidati, che hanno enucleato le caratteristiche dell' identico fatto tra successive condotte di stampo mafioso in relazione a quanto argomentato con il primo motivo, per aver erroneamente ritenuto di poter procedere, pur non essendo state riaperte le indagini relative allo stesso fatto, per il quale era stata disposta l'archiviazione posto che peraltro, successivamente, il ricorrente era stato colpito da interdittiva antimafia divenendo così impossibile il suo apporto al clan inoltre, per travisamento degli elementi di prova ricavati dalle dichiarazioni dei tre collaboratori di giustizia, che avrebbero fornito indicazioni aspecifiche e non individualizzanti infine, per carenza di gravità indiziaria e di esigenze di prevenzione arginabili unicamente con la restrizione intramuraria, essendo cessata ogni responsabilità del reo nelle società utilizzate per agevolare gli interessi mafiosi e, dall'altro, non essendoci prova, neppure nelle conversazioni intercettate, dell'interposizione dei suoi familiari in tali ruoli gestori. La sentenza. La V Sezione – su parere conforme del Procuratore generale – annulla senza rinvio la decisione con riguardo alle condotte coperte dal decreto di archiviazione, trasmettendo gli atti al Tribunale del Riesame di Napoli, quale Giudice della cautela, per un nuovo esame delle residue condotte imputate, conforme ai parametri ermeneutici enunciati. Il Consigliere Estensore riesce a compendiare in poche pagine un'efficace sintesi dei passaggi logici svolti, giovandosi della tecnica dell'assorbimento delle restanti doglianze nella trattazione della prima, fondata e comune ad entrambe le impugnazioni. L' iter s'avvia da una riflessione sull'ipotesi delittuosa oggetto di accertamento, indispensabile per poter cogliere i rapporti tra le diverse porzioni di condotta. A quali condizioni può parlarsi di medesimo fatto di associazione mafiosa ? È questo l'interrogativo essenziale dal quale muove il ragionamento del Collegio. Si tratta di una questione che trae origine dall'obbligo di rendere operativo il principio di ne bis in idem – in dettaglio, sin dalla fase delle indagini preliminari – declinandolo nel complesso contesto di una fattispecie plurisoggettiva basata sulla commissione di svariate azioni nel tempo, tutte agevolate dalla forza intimidatrice del vincolo. Ed allora, potendosi diversamente atteggiare i connotati del sodalizio ed il ruolo dell'associato al suo interno, è indispensabile legare la nozione in esame alla presenza o meno di discontinuità del gruppo criminale di appartenenza, seppur attivo in condizioni similari. Si statuisce, pertanto, il principio di diritto per il quale “non rilevano né, dal punto di vista del soggetto partecipe, eventuali mutamenti nelle modalità di partecipazione […] né, dal punto di vista dell'organizzazione criminale, eventuali mutamenti in ordine ai suoi equilibri [ ] ma è necessario accertare o che le condotte sono successive all'archiviazione o che il soggetto sia passato ad una diversa organizzazione criminale ovvero che si sia verificata una successione nelle attività criminali tra organismi diversi , sia pure con lo stesso nome ed operanti nello stesso territorio”. L'improcedibilità dell'inchiesta. Da tali premesse sostanziali scaturisce una condizione processuale della quale si è molto parlato, in tempi recenti, per il suo utilizzo come epilogo dei processi che non rispetteranno i termini massimi di ragionevole durata. Ed infatti il decreto di archiviazione , pur non avendo forza di giudicato, costituisce una preclusione sufficiente, quando manchi un suppletivo intervento giurisdizionale, che, ex articolo 414 c.p.p., consenta di sviluppare le investigazioni nel medesimo procedimento in difetto, quando si miri ad accertare identico fatto, l'esito non potrà che essere il non doversi procedere sul punto, si citano Cass. penumero , sez. unite, 24 giugno 2010, numero 33885 conforme a Cass. penumero , sez. unite, 22 marzo 2000, numero 9 . A tal proposito, si precisa che l'improcedibilità non genererà alcun riflesso sull'utilizzabilità delle fonti di prova acquisite in epoca successiva dall'archiviazione, che dovranno pertanto essere rivalutate dal Tribunale con riguardo alla sola quota di condotta effettivamente giudicabile. Conclusioni. La sentenza in commento descrive in modo efficace gli istituti coinvolti, proponendo un'esegesi convincente, capace di salvaguardare la stabilità dell'ordinamento ed imporre il filtro del Giudice per le Indagini Preliminari sulla riapertura di casi precedentemente archiviati, impedendo la loro surrettizia riconduzione a nuovi secondi procedimenti. Potrà dunque divenire un utile strumento per il giurista pratico che si trovi a doverli applicare o a pronosticare le evoluzioni di indagini astrattamente collegate ma non riunite in un unico fascicolo.
Presidente Miccoli – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Con la decisione in epigrafe, il Tribunale del Riesame di Napoli ha rigettato gli appelli cautelari proposti contro le ordinanze del GIP dello stesso ufficio datate 17.11.2020 e 28.12.2020 riuniti i procedimenti relativi in sede di giudizio , con le quali erano state respinte le istanze di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, disposta nei confronti di C.R. dal provvedimento genetico del 10.9.2020, per il reato di partecipazione ad associazione camorristica, avuto riguardo al cd. clan dei […], promosso e diretto da Z.M., operante nell'area della provincia di Caserta ed in altri luoghi. L'indagato, quale imprenditore aggiudicatario, insieme ad altre ditte di Casapesenna, per conto del sodalizio camorristico, di appalti per lavori di somma urgenza nell'ambito del ciclo integrato delle acque della Regione Campania, volti a riparare la rete di acquedotti di proprietà regionale denominati acquedotto omissis , ha partecipato al sistema criminale-affaristico creato dal clan Z. per la gestione monopolistica degli appalti in tale settore amministrativo grazie all'attività criminale, tra gli altri, di Z.F. , con l'apporto di funzionari pubblici corrotti o collusi e di tecnici asserviti tra questi, un ruolo particolare è stato quello di B.T. , che viene indicato come responsabile del settore acquedottistico regionale investito della gestione di detti appalti, tutti assegnati con procedura di affidamento diretto. Il reato associativo è contestato come commesso dal […] fino al […]. 2. Propone ricorso C., tramite due distinte impugnazioni. 3. Il ricorso a firma dell'avv. Stellato deduce tre diversi motivi. 3.1. La prima censura eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione manifestamente illogica avuto riguardo alla preclusione che sarebbe derivata dalla mancata richiesta di riapertura delle indagini nel procedimento a carico del ricorrente, nonostante fosse stata decisa l'archiviazione di un procedimento relativo ai medesimi fatti in data 9.3.2007 dal GIP del Tribunale di Napoli, iscritto analogamente per il reato di cui all'articolo 416-bis c.p., anche all'epoca ipotizzato a carico del ricorrente nell'ambito di tale procedimento, l'ordinanza genetica era stata annullata dal Riesame. Il provvedimento impugnato ha ritenuto che le due condotte avessero ad oggetto fatti materiali differenti, ma non ha tenuto conto che il reato ipotizzato fosse identico sia nel procedimento oggi al centro del ricorso, sia in quello archiviato nel 2007, mentre ciò che si modifica sono soltanto gli elementi di prova sulla base dei quali si ritiene sussistente a carico dell'indagato la stessa partecipazione camorristica nel 2007, la contestazione faceva perno concreto sulla collaborazione prestata dall'indagato al trasferimento di una somma di danaro da Caserta a Milano per consentire un'operazione immobiliare di matrice mafiosa nell'attuale contestazione, invece, viene in rilievo l'attività di presunta partecipazione ad un sistema criminale-affaristico per l'aggiudicazione e l'esecuzione di appalti nell'ambito del ciclo integrato delle acque di competenza regionale. Si evidenzia, poi, che, al di là del dato formale relativo al tempo di permanenza del reato associativo, le condotte di C. non possono che riferirsi, al più, all'anno 2003, quando l'indagato ha ceduto il proprio ramo d'azienda in favore della omissis . Inoltre, dal 2006 egli non ha più potuto svolgere attività imprenditoriale per conto della pubblica amministrazione, essendo stato colpito da interdittiva antimafia. Dunque, la partecipazione mafiosa del ricorrente coincide con la contestazione associativa archiviata ad inizio dell'anno 2007. 3.2. Il secondo motivo di ricorso eccepisce violazione di legge e difetto di motivazione, anche con travisamento, avuto riguardo alla mancata considerazione della documentazione difensiva depositata per il giudizio di appello cautelare dalla difesa, e cioè il decreto di archiviazione, di cui si è detto, e i documenti relativi ai lavori svolti dal ricorrente per conto della pubblica amministrazione. Peraltro, a fronte di un passaggio in cui neppure il Riesame inserisce il ricorrente tra gli imprenditori protagonisti del sistema , il provvedimento impugnato recupera la sua posizione quale assegnatario di consistenti attività svolte in regime di somma urgenza, attività che, in realtà non sono state mai eseguite, così come documentato dalla difesa. Del resto, la ricostruzione specifica dei lavori che sarebbero stati effettivamente realizzati dal ricorrente e appaltatigli è stata proposta in modo inadeguato ed incerto nell'ordinanza impugnata facendo riferimento a dati incoerenti contenuti nei diversi passaggi delle informative di indagini . La tesi del ricorrente, come già anticipato, è che i lavori eseguiti fossero derivati da gare d'appalto vinte negli anni 1991, 1992 e 1999 e non da provvedimenti per interventi di somma urgenza riferiti alla gestione collusa con il clan Z. ascrivibile a B. nè tale conclusione è smentita dal dato che i pagamenti per i lavori in precedenza eseguiti fossero poi stati percepiti da C. anche tra il 2001 ed il 2003. Neppure si è tenuto conto del fatto che le società omissis e omissis , i rami d'azienda delle quali sono stati ceduti dal ricorrente ai figli, non siano state aggiudicatarie di lavori nè di utilità negli anni dal 2007 al 2010, che la stessa ordinanza genetica indica come quelli di maggior attività del sistema criminale mafioso creato dal gruppo capeggiato da Z.M. Il travisamento per omessa valutazione degli elementi di prova addotti ha determinato un difetto di motivazione essenziale dell'ordinanza impugnata. Infine, si censura anche l'illogicità motivazionale derivante dal mancato rilievo attribuito al fatto che le dichiarazioni dei tre collaboratori di giustizia dichiaranti Ca.Ma., P.A. e Ba.Mi. non forniscono alcuna indicazione specifica su eventuali lavori ottenuti dal ricorrente grazie all'intervento del sodalizio camorristico, di talché i loro narrati risultano assertivi ed indimostrati. Il Riesame, pertanto, a giudizio della difesa, abdica al proprio dovere motivazionale, trincerandosi dietro una valutazione dei riscontri alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia del tutto sommaria e insufficiente. 3.3. Il terzo motivo di ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione avuto riguardo anche alla valutazione di sussistenza di esigenze cautelari che possano tutelarsi unicamente con la misura della custodia in carcere. Si evidenzia, in proposito, l'illogicità dell'abbinamento del carattere di attualità necessario alla sussistenza del pericolo di reiterazione del reato con la constatazione che le società omissis ed omissis fossero operative nell'anno 2020 e negli anni 2018-2019, così come con l'inserimento di fatto del ricorrente nelle dinamiche gestionali di tali compagini societarie, ancora nel periodo settembre-ottobre 2020 in cui sono state disposte intercettazioni poi utilizzate in tale ottica il Riesame non tiene conto che le intercettazioni danno atto soltanto di un ordinario rapporto di confronto parentale tra i figli del ricorrente e quest'ultimo in ordine alle aziende di famiglia . Sarebbe elemento rilevante, tra gli altri, al fine di escludere o ritenere fortemente scemate le esigenze cautelari, anche la morte dell'uomo che era stata la mente operativa delle attività affaristiche, Z.F., deceduto nel […]. 4. Il ricorso a firma dell'avv. omissis attinge il provvedimento impugnato sotto quattro differenti profili. 4.1. Il primo argomento difensivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione manifestamente illogica e carente quanto alla mancata applicazione dell' articolo 414 c.p.p. in senso analogo al primo motivo di ricorso dell'avv. Stellato, la tesi difensiva è che l'azione penale sarebbe improcedibile, per non essere stata richiesta la riapertura delle indagini relative alla contestazione di partecipazione all'associazione camorristica casalese del clan Z. a carico del ricorrente,, nonostante la precedente archiviazione per analoga imputazione, risalente al 2007. Avrebbero dovuto essere ritenute inutilizzabili tutte le indagini compiute dopo la richiesta di archiviazione, ivi comprese le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, riferite ai fatti antecedenti all'archiviazione, pur se raccolte successivamente. Si eccepisce la violazione del principio di ne bis in idem che la disposizione dell'articolo 414 del codice di rito vuole tutelare a fronte di un fatto materiale identico - la partecipazione del ricorrente all'associazione camorristica guidata da Z.M. attraverso l'ausilio alle sue attività imprenditoriali in un dato momento storico - si è esclusa l'applicabilità della disciplina normativa in esame spostando l'attenzione sul tema di prova da cui desumere detta condotta criminale. La difesa, citando giurisprudenza costituzionale e di legittimità, invoca la funzione di condizione di procedibilità del decreto di riapertura delle indagini, in mancanza del quale sono impediti l'esercizio dell'azione penale e l'utilizzazione degli esiti delle indagini compiute dopo l'archiviazione non rimossa. Nel merito, si rappresenta ancora che le condotte del ricorrente sono risalenti al più all'anno 2003, in cui è avvenuta la cessione di ramo d'azienda della omissis società nella quale egli rimane con un profilo tecnico, giacché i soci non avevano i requisiti per l'esercizio delle opere relative ad appalti pubblici, come precisa il ricorso , tenuto conto anche del fatto che dal 2006 è intervenuta nei suoi confronti una misura interdittiva antimafia che gli ha impedito di svolgere attività imprenditoriale in ambito pubblico. 4.2. Il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione manifestamente illogica ed apparente avuto riguardo alla gravità indiziaria ritenuta sussistente nei suoi confronti per il delitto associativo ed al suo ruolo, individuato come quello di un imprenditore mafioso , desunto in modo apodittico dalla mera constatazione del sistema monopolistico negli appalti pubblici imposto a Casapesenna dal clan Z., che implicherebbe automaticamente la mafiosità di ogni imprenditore. Dimenticando, in particolare, sia l'oggettiva impossibilità dal 2006, per C., di partecipare ad appalti con la pubblica amministrazione, stante l'emissione dell'interdittiva antimafia, sia l'annullamento di tale misura, successivamente, da parte del Consiglio di Stato, con conseguente riabilitazione imprenditoriale. La motivazione del provvedimento impugnato si perde a descrivere la nascita ed i caratteri operativi del gruppo Z. - elementi privi di ricadute sulla specifica posizione di indagato del ricorrente, che rimane, invece, non esplorata adeguatamente ed afferma assertivamente che, dopo un periodo di stasi di cinque anni circa, coincidente con le indagini a carico di C., le imprese della sua famiglia avrebbero ripreso ad ottenere appalti dal 2012 al 2014. Si sottolinea ancora la riferibilità degli appalti delle ditte del ricorrente nel settore del ciclo delle acque a periodi temporali ben precedenti la nascita del sistema Z. , a partire dal 1991 e senza l'intervento dell'artefice colluso B. - da cui l'indagato non ha mai ricevuto appalti con le sue aziende - ma riconducibili alla gestione di un altro funzionario. Il ricorso prosegue nell'analizzare le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ritenute viziate di fondo da una fideistica valutazione di credibilità soggettiva e prive di specifici riferimenti a vicende concrete che avvalorino il dato assertivo del dichiarato inserimento di C. tra gli imprenditori legati a Z.M. da uno stretto rapporto di fiducia anzi, un episodio estorsivo subito dal ricorrente ad opera di clan napoletani , che aveva richiesto l'intervento del collaboratore Ca. in sua difesa, come da questi raccontato, sarebbe elemento utile a rivelare la non intraneità dell'indagato al gruppo di Z., ché altrimenti non avrebbe consentito neppure una simile richiesta . Le dichiarazioni dei collaboratori, infine, non sono coese tra loro, nè si riscontrano specificamente ed in maniera individualizzante , sicché i risultati di prova desunti confliggono con il canone valutativo imposto dall' articolo 192 c.p.p. , comma 3 e predicato dalla giurisprudenza di legittimità. Neppure può essere applicata la regola cosiddetta della convergenza del molteplice alla valutazione di dette propalazioni. 4.3. Il terzo argomento difensivo fa leva sulla violazione della disposizione di cui all' articolo 274 c.p.p. , quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari ed alla necessità di tutelarle soltanto con la misura maggiormente afflittiva. La tesi del ricorrente è che il Riesame abbia collegato i caratteri necessari di concretezza e attualità che devono sovrintendere all'applicazione della misura cautelare ad elementi di fatto non determinanti il radicamento del clan Z. sul territorio il ruolo di imprenditore da tempo svolto dal ricorrente i vincoli parentali con la famiglia del leader camorristico la perdurante attività delle sue aziende edili , dimenticando del tutto di collegare il fattore tempo trascorso tra la data del commesso reato fermata al 2015 dalla contestazione e l'applicazione della cautela nel 2020 , che avrebbe imposto, data la sua estensione, una specifica verifica sulla sussistenza delle esigenze stesse. Le aziende, peraltro, non sono più riferibili in alcun modo alla gestione da parte dell'indagato, mentre Z.M. è stato arrestato nel 2011 e Z.F., il collettore secondo l'accusa tra camorra ed imprenditoria, è deceduto, sicché anche il persistente dominio sul territorio di riferimento del clan omonimo è solo congetturale. 4.4. Il quarto motivo di ricorso censura violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle ragioni di adeguatezza e proporzionalità della sola misura cautelare della custodia in carcere, non contestualizzate su concreti elementi di necessità della stessa piuttosto che di altre. 5. Il Sostituto Procuratore Generale EPIDENDIO Tomaso ha chiesto l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata limitatamente al reato di cui all'articolo 416-bis c.p., contestato a C.R. sino al 9 marzo 2007 e l'annullamento con rinvio per nuovo esame sui gravi indizi in ordine al reato di cui all'articolo 416-bis c.p., contestato a C.R. successivamente a tale data. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono fondati quanto al primo motivo di entrambi, assorbente rispetto alle ulteriori deduzioni. 2. Secondo la ricostruzione dell'ordinanza impugnata, l'indagato è stato sottoposto a custodia cautelare in carcere in virtù di un'ordinanza emessa in data 8.6.2006 dal GIP del Tribunale di Napoli nell'ambito di un diverso procedimento penale avente numero 37919/2002 RGNR in relazione al delitto ex articolo 416-bis c.p., per aver partecipato ad un'associazione di tipo camorristico denominata clan dei […] , in particolare all'articolazione territoriale operativa in Casapesenna e gestita e diretta dai fratelli M. e Z.P. . All'indagato era stata contestata, più specificamente, una condotta di ausilio - funzionale alle mire espansionistiche del clan, dirette a permeare l'economia del Nord Italia consistita nel partecipare, nel luglio del 2003, al trasferimento di una considerevole somma di danaro in contanti, da Casapesenna a Parma, necessaria per l'acquisto di un immobile sito in via omissis , azione organizzata da C.F. , uomo di fiducia di Z.P. , e da D.M.G. . L'episodio, unico nel contesto investigativo a carico del ricorrente, è stato ritenuto dal Riesame di Napoli inidoneo a costituire elemento di gravità indiziaria per l'accusa di partecipazione al clan Z. con la pronuncia del 6 luglio 2006, infatti, l'ordinanza cautelare nei confronti dell'indagato è stata annullata di conseguenza, dopo lo stralcio della sua posizione, si è richiesta archiviazione nel nuovo procedimento così sorto, numero 4565/2007 RGNR, in data 6.3.2007, accolta dal GIP con Decreto del 9.3.2007, per l'assenza di elementi ulteriori a carico del ricorrente rispetto a quelli considerati inidonei dal Riesame. In considerazione del tema investigativo oggetto del precedente procedimento archiviato e del contenuto della condotta, invece, oggi in contestazione - privo di attinenza con quello pregresso, riferito soltanto al reimpiego di capitali del gruppo camorristico facente capo alla famiglia Z. - il provvedimento impugnato sottolinea la diversità fattuale della partecipazione associativa al centro dell'odierna imputazione provvisoria rispetto all'agire per cui era intervenuta archiviazione il 9.3.2007 di talché, conclude per la piena utilizzabilità delle risultanze investigative poste a fondamento dell'ordinanza cautelare genetica emessa nel presente procedimento il 10.9.2020, pur in assenza di un decreto di riapertura delle indagini ex articolo 414 c.p.p. . 3. La prospettiva ermeneutica seguita dal Tribunale del Riesame di Napoli non è esatta, anzitutto su di un piano sostanziale e, inevitabilmente, anche dal punto di vista della corretta interpretazione delle norme procedurali poste a salvaguardia del principio di ne bis in idem sin dalla fase delle indagini il riferimento è all' articolo 414 c.p.p. . 3.1. Il Collegio ritiene anzitutto di dover ribadire che, nel caso di procedimento per il delitto di cui all'articolo 416-bis c.p., al fine di escludere la medesimezza del fatto, non rilevano nè, dal punto di vista del soggetto partecipe, eventuali mutamenti nelle modalità di partecipazione attività e ruoli , nè, dal punto di vista dell'organizzazione criminale, eventuali mutamenti in ordine ai suoi equilibri interni in relazione al numero dei componenti, ma è necessario accertare che il soggetto sia passato ad una diversa organizzazione criminale ovvero che si sia verificata una successione nelle attività criminali tra organismi diversi, sia pure con lo stesso nome ed operanti nello stesso territorio in tal senso, si esprimono, in una condivisibile prospettiva, resa in tema di applicazione del principio del ne bis in idem e di divieti di un secondo giudizio, Sez. 1, numero 2260 del 8/11/2013, dep. 2014, Imperio, Rv. 258750, nonché Sez. 2, numero 8697 del 18/1/2005, Romito, Rv. 230791. Agli stessi approdi giunge, nel caso di procedimento per il delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, Sez. 6, numero 28116 del 26/3/2015, Nucera, Rv. 263928 . Nella stessa linea interpretativa si pone anche Sez. 6, numero 9956 del 17/6/2016, Accurso, Rv. 269716, che ha deciso un'ipotesi peculiare, sempre in tema di fenomeno camorristico, in cui è stata esclusa la medesimezza del fatto contestato e la violazione del principio di ne bis in idem nel caso in cui l'originario gruppo camorristico vari una nuova strategia criminale, concretizzatasi nell'acquisizione, in tempi brevi, di un territorio molto più vasto rispetto a quello controllato dalla precedente organizzazione, nella instaurazione di nuove alleanze con diversi sodalizi criminosi e nell'arruolamento di nuovi affiliati, in modo da conseguire il rovesciamento delle passate alleanze, il monopolio delle attività criminali e la successione ai gruppi in precedenza egemoni nel controllo dei predetti territori. Fondamentale, poi, al fine di distinguere i reati associativi ascritti ad uno stesso soggetto partecipe e di verificare l'esistenza di un medesimo fatto ipotizzato a suo carico, è la prospettiva temporale in cui si inscrivono le diverse condotte di partecipazione mafiosa contestate in generale, cfr. Sez. 2, numero 7870 del 28/1/2020, Caridi, Rv. 277962 . E difatti, l'esistenza di un precedente giudicato per il reato di cui all'articolo 416-bis c.p., non impedisce la configurabilità di un nuovo reato del medesimo tipo, in relazione ad un periodo immediatamente successivo, quand'anche le condotte poste in essere siano identiche, per tipologia e modalità, a quelle già giudicate, trattandosi in ogni caso di fatti diversi sotto il profilo storico-naturalistico e frutto di un rinnovato prendere parte al fenomeno associativo Sez. 6, numero 40899 del 14/6/2018, C., Rv. 274149 . Nel caso del ricorrente, il procedimento sorto a suo carico ed archiviato nel 2007, in seguito all'annullamento, da parte del Riesame, dell'ordinanza cautelare disposta nei suoi confronti, aveva ad oggetto, rispetto alla contestazione provvisoria oggi in esame, la condotta di partecipazione soggettiva camorristica al medesimo gruppo criminale, guidato dalla famiglia Z. , in un contesto territoriale omogeneo, cristallizzata - sotto il profilo temporale - dalla data del 9 marzo 2007, giorno in cui è stato emesso il decreto di archiviazione da parte del GIP procedente. L'unica differenza tra la condotta di reato già archiviata e quella attualmente, provvisoriamente, imputata - per la parte che copre il medesimo periodo temporale, dal 2001 al 9 marzo 2007, ed è, quindi, anche temporalmente coincidente - è costituita da quello che il provvedimento impugnato definisce tema investigativo , dichiaratamente indipendente, e che altro non rappresenta che l'agire materiale specifico contestato all'indagato quale manifestazione e fenomenologia della sua partecipazione dunque, in ultima analisi un elemento di prova rectius di gravità indiziaria, data la fase cautelare in corso nei confronti del ricorrente. E difatti, la prima contestazione a carico di C. - il cui esito è stato l'archiviazione aveva ad oggetto la partecipazione al clan Z. , fino al marzo 2007, con la particolare finalità illecita individuata nel reimpiego delle attività illecite del sodalizio al Nord Italia e la specifica condotta di aver trasportato danaro del clan camorristico destinato ad un acquisto immobiliare a Milano, insieme ad altri due soggetti. L'attuale imputazione provvisoria, invece, attiene alla condotta di partecipazione del ricorrente - dal 2001 al 2015, e quindi con un periodo di condotta criminale coincidente, che arriva sino al 9 marzo 2007, data del decreto di archiviazione - al gruppo Z. , che aveva creato un vero e proprio sistema criminale-affaristico per la gestione monopolistica degli appalti nell'ambito dei lavori di somma urgenza nel ciclo integrato delle acque della Regione Campania, volti a riparare la rete di acquedotti di proprietà regionale denominati acquedotto OMISSIS , con l'apporto di funzionari pubblici corrotti o collusi e di tecnici asserviti il ruolo dell'indagato è quello di imprenditore-sodale, aggiudicatario di appalti. Orbene, la diversità del fatto associativo va apprezzata dal punto di vista della fattispecie criminale e in un prisma giuridico, tenuto conto della descrizione contenuta nella norma incriminatrice. In linea con la giurisprudenza richiamata al par. 3, dunque, deve essere presa in considerazione la partecipazione di un determinato soggetto ad un determinato sodalizio mafioso in un dato contesto temporale e non può valutarsi, invece, detta diversità con riguardo alle condotte che costituiscono indizio o prova e manifestazione di tale partecipazione, che rimane la medesima a prescindere da esse. In altre parole, la diversità va apprezzata, in presenza di una partecipazione ad un identico gruppo mafioso, facendo leva sul dato temporale saranno diverse le condotte di estrinsecazione della partecipazione ad uno stesso gruppo mafioso successive al decreto di archiviazione o al giudicato intervenuto per una condotta precedente di partecipazione alla medesima associazione criminale. 3.2. Su di un piano speculare, più strettamente procedurale, è opportuno ricordare che in caso di reato permanente, ed in tema di associazione di tipo mafioso, il decreto di archiviazione, non seguito dal provvedimento di riapertura delle indagini ai sensi dell' articolo 414 c.p.p. , preclude la contestazione all'indagato, in un nuovo procedimento, di condotte poste in essere nel periodo coperto dall'archiviazione cfr. Sez. 2, numero 5276 del 15/1/2019, Davì, Rv. 274890, che, in applicazione del principio, ha annullato la misura cautelare personale disposta nei confronti del ricorrente per una condotta di partecipazione associativa integralmente coperta dal provvedimento di archiviazione . Viceversa, nelle medesime ipotesi di reato permanente e di associazione di stampo mafioso , l'archiviazione non seguita dalla autorizzazione alla riapertura delle indagini non preclude lo svolgimento di nuove investigazioni in merito al medesimo illecito con riferimento ai comportamenti successivi a quelli oggetto del provvedimento di archiviazione, con eventuale applicazione di una misura cautelare per tali fatti ulteriori, ovvero con esercizio dell'azione penale Sez. 2, numero 14777 del 19/1/2017, Caponera, Rv. 270221 Sez. 5, numero 43663 del 14/5/2015, Caponera, Rv. 264923 Sez. 2, numero 26762 del 17/3/2015, Sciascia, Rv. 264222 Sez. 6, numero 6547 del 10/10/2011, Panzeca, Rv. 252113. Lo stesso principio, in materia di reato abituale e con riferimento al delitto di atti persecutori, è stato affermato da Sez. 5, numero 23682 del 30/4/2021, F., Rv. 281408 . Tanto che la sanzione di inutilizzabilità derivante dalla violazione dell' articolo 414 c.p.p. , colpisce solo gli atti che riguardano lo stesso fatto oggetto dell'indagine conclusa con il provvedimento di archiviazione, e non anche fatti diversi o successivi, benché collegati con i fatti oggetto della precedente indagine. Le linee ermeneutiche richiamate si nutrono delle affermazioni contenute nelle due più importanti pronunce delle Sezioni Unite sul tema della riapertura delle indagini. Una sentenza più recente, con cui si è stabilito, in via generale, che il difetto di autorizzazione alla riapertura delle indagini determina l'inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente compiuti dopo il provvedimento di archiviazione e preclude l'esercizio dell'azione penale per lo stesso fatto di reato, oggettivamente e soggettivamente considerato, da parte del medesimo ufficio del pubblico ministero Sez. U, numero 33885 del 24/6/2010, Giuliani, Rv. 247834 . L'altra pronuncia - Sez. U, numero 9 del 22/3/2000, Finocchiaro, Rv. 216004 - che, seguendo le affermazioni della Corte costituzionale contenute nell'arresto numero 27 del 1995, ha sancito una serie di principi oramai consolidati - una volta disposta l'archiviazione di una notizia di reato al di fuori dei casi indicati nell' articolo 345 c.p.p. , senza il preventivo provvedimento di autorizzazione alla riapertura delle indagini previsto dall'articolo 414 del codice di rito, non è consentito al pubblico ministero chiedere e al GIP valutare l'applicazione di misura cautelare o l'emissione di altro provvedimento che implichi l'attualità di un procedimento investigativo nei confronti della stessa persona e per lo stesso fatto sia che si fondi la relativa richiesta su una semplice rilettura di elementi già presenti negli atti archiviati o su elementi acquisiti, anche occasionalmente, dopo l'archiviazione - il decreto di archiviazione, pur non essendo munito dell'autorità della res judicata , è connotato da un'efficacia preclusiva, secondo un meccanismo riferibile all'istituto del ne bis in idem ed all' articolo 649 c.p.p. , che, sebbene limitata, opera sia con riferimento al momento dichiarativo della carenza di elementi idonei a giustificare il proseguimento delle indagini, sia riguardo al momento della loro riapertura, condizionata dal presupposto dell'esigenza di nuove investigazioni, che rappresenta per il giudice parametro di valutazione da osservare nella motivazione della decisione di cui all' articolo 414 c.p.p. . 3.3. Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto, valido anche in ipotesi di mancata riapertura delle indagini preliminari, ai sensi dell' articolo 414 c.p.p. nel caso di procedimento per il delitto di cui all'articolo 416-bis c.p., al fine di escludere la medesimezza del fatto, non rilevano nè, dal punto di vista del soggetto partecipe, eventuali mutamenti nelle modalità di partecipazione attività e ruoli , nè, dal punto di vista dell'organizzazione criminale, eventuali mutamenti in ordine ai suoi equilibri interni in relazione al numero dei componenti, ma è necessario accertare o che le condotte sono successive all'archiviazione o che il soggetto sia passato ad una diversa organizzazione criminale ovvero che si sia verificata una successione nelle attività criminali tra organismi diversi, sia pure con lo stesso nome ed operanti nello stesso territorio. 4. In conclusione, alla luce degli orientamenti di legittimità richiamati, deve essere rilevata, nei confronti del ricorrente, in assenza della richiesta di riapertura di indagini e del relativo decreto di riapertura delle indagini, l'improcedibilità del reato di partecipazione al clan camorristico denominato clan Z. , facente parte del sodalizio dei […], per la porzione di condotta che va dal 2031 fino al 9 marzo 2007, data in cui il precedente procedimento per la medesima fattispecie associativa era stato archiviato dal GIP presso il Tribunale di Napoli, con conseguente annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata nella parte relativa. Il Collegio rileva, altresì, che, nell'ordinanza impugnata, sono state evidenziate e tenute in considerazione dai giudici cautelari condotte partecipative del ricorrente successive a quelle in relazione alle quali sussiste la rilevata improcedibilità, poiché manifestatesi nel periodo temporale almeno fino al 2015 , con dies a quo a partire dal 9 marzo 2007 data dell'archiviazione , oggetto di espressa contestazione nell'imputazione provvisoria si tratta, in particolare, dell'acquisizione di alcuni appalti sotto l'egida del clan Z. , negli anni 2012, 2013 e 2014 . Inoltre, si sono valutate anche fonti indiziarie di natura dichiarativa - i collaboratori Ca.Ma. P.A. e Ba.Mi. egualmente acquisite in epoca successiva al decreto di archiviazione. In relazione a tali condotte ed a tali fonti indiziarle, secondo la prospettiva della giurisprudenza di legittimità cui il Collegio ha aderito nella ricostruzione già proposta, non opera la preclusione di improcedibilità per mancata attivazione della procedura prevista dall' articolo 414 c.p.p. , nè si può ritenere alcuna inutilizzabilità conseguente alla mancata riapertura delle indagini dopo l'archiviazione. Il Tribunale del Riesame, pertanto, giudice del merito cautelare, dovrà rivalutare la posizione del ricorrente in ordine alla contestazione di partecipazione ad associazione mafiosa, nel periodo 9 marzo 2007-2015 - così come rideterminato il tempus commissi delicti, alla luce delle indicazioni già stabilite dal Collegio - decidendo se il tessuto residuo sia sufficiente a fondare un quadro di gravità indiziaria in ordine alla partecipazione ad associazione mafiosa successiva al 9 marzo 2007. In tale valutazione, si terrà presente che, secondo un condiviso orientamento di legittimità, in caso di successione di condotte contestate a titolo di partecipazione o di direzione dell'organizzazione criminale, la rivalutazione delle prove acquisite e valutate nel corso di un precedente procedimento per il delitto di cui all'articolo 416-bis c.p., conclusosi con sentenza assolutoria ovvero anche con decreto di archiviazione, in relazione ad un differente arco temporale, è subordinata alla circostanza che quegli elementi riguardino comunque il nuovo periodo temporale oggetto di contestazione e non attengano, invece, al periodo coperto dal giudicato assolutorio Sez. 2, numero 7870 del 28/1/2020, Caridi, Rv. 277962, cit., in tema di chiamata in correità e necessità che essa si riferisca ad un'accusa relativa al periodo oggetto di successiva contestazione, rispetto al quale vanno, altresì, ricercati i riscontri . Si impone, pertanto, per tale quota di condotta di reato contestata al ricorrente, l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata, per nuovo esame da parte del Tribunale di Napoli. 4.1. L'accoglimento del primo motivo determina l'assorbimento delle ulteriori ragioni di ricorso, che andranno riconsiderate solo all'esito del nuovo giudizio sulla tenuta del quadro di gravità indiziaria a carico del ricorrente. P.Q.M. Annulla il provvedimento impugnato senza rinvio limitatamente alle condotte di cui all'articolo 416-bis c.p., ascritte al ricorrente sino al 9 marzo 2007 e con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Napoli in relazione alle condotte successive. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all 'articolo 94 disp. att. c.p.p ., comma 1-ter.