Il datore di lavoro è tenuto al pagamento delle retribuzioni non percepite dal lavoratore nel caso in cui l’assunzione sia avvenuta durante il periodo di sospensione dell’attività lavorativa disposta in conseguenza della pandemia da COVID-19.
Una s.r.l. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale le era stato intimato il pagamento in favore dell'ex dipendente delle retribuzioni maturate e non percepite dal 24 marzo 2020 a gennaio 2021 nello specifico, la società deduceva la non debenza del credito retributivo ingiunto in conseguenza dell'impossibilità della prestazione lavorativa a causa delle misure di contrasto alla pandemia da COVID-19. Il ricorso è infondato. La sospensione unilaterale del rapporto da parte del datore di lavoro, infatti, è giustificata, ed esonera il medesimo datore di lavoro dall'obbligazione retributiva, «soltanto quando non sia imputabile a fatto dello stesso, non sia prevedibile ed evitabile e non sia riferibile a carenze di programmazione o di organizzazione aziendale ovvero a contingenti difficoltà di mercato. La legittimità della sospensione va verificata in riferimento all'allegata situazione di temporanea impossibilità della prestazione lavorativa solo ricorrendo il duplice profilo dell'impossibilità della prestazione lavorativa svolta dal lavoratore e dell'impossibilità di ogni altra prestazione lavorativa in mansioni equivalenti, è giustificato il rifiuto del datore di lavoro di riceverla» Cass. civ., 27 maggio 2019, numero 14419 . Nel caso di specie, l'assunzione del dipendente era avvenuta a far data dal 24 marzo 2021, ovvero a blocco delle attività di ristorazione già esistente sin dall'11 marzo 2021, con la conseguenza che, pur essendo innegabile l'impossibilità assoluta della prestazione, la stessa difettava del requisito della sopravvenienza, avendo preceduto il blocco dell'attività il momento dell'instaurazione del rapporto e dell'insorgere dell'obbligazione retributiva. Inoltre, a seguito del venir meno del divieto normativo di esercizio dell'attività commerciale, decorrente dal mese di giugno, la società opponente non aveva fornito alcuna prova in ordine all'oggettiva impossibilità della prestazione lavorativa del dipendente, dovendo dunque considerarsi ingiustificato il rifiuto tacitamente opposto alla ripresa della prestazione lavorativa che le era stata offerta. Per questi motivi, il Tribunale di Roma rigetta l'opposizione e dichiara l'esecutività del decreto ingiuntivo opposto.
Giudice Casari Svolgimento del processo Con ricorso tempestivamente depositato in data 29.3.2021, omissis ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo di questo Ufficio numero 764/2021 del 9.2.2021, ritualmente notificato il19.2.2021, con il quale le era stato intimato il pagamento in favore dell'ex dipendente omissis, della complessiva somma di € 12.329,00, oltre accessori e spese, a titolo di retribuzioni maturate e non percepire dal 24 marzo 2020 a gennaio 2021, nonché ratei di tredicesima. Con la spiegata opposizione, nel merito, parte opponente ha dedotto la non debenza del credito retributivo ingiunto in quanto, in conseguenza dell'impossibilità della prestazione lavorativa di omissis a causa delle misure di contrasto alla pandemia da Covid-19, sarebbe venuta meno la sua controprestazione retributiva ai sensi dell'articolo 1463 c.c. l'esclusione della responsabilità della società a causa di un fatto di forza maggiore rappresentato dal divieto legale di svolgere la propria attività imprenditoriale per via delle misure di contrasto alla pandemia da Covid-19 la non debenza della retribuzione in quanto omissis avrebbe svolto, in costanza del rapporto di lavoro, altra attività lavorativa e, comunque, si sarebbe rifiutato di prendere servizio a seguito di convocazione da parte della opponente. Ha quindi concluso chiedendo “a la revoca e/o dichiari nullo e/o privo di efficacia l'opposto decreto ingiuntivo numero 764/2021 emesso dal Tribunale di Roma, sezione seconda lavoro, dott.ssa Bracci, in data 9/02/2021 b in subordine rispetto al punto che precede, previa revoca del decreto ingiuntivo numero 764/2021 emesso dal Tribunale di Roma, sezione seconda lavoro, dott.ssa Bracci, in data 9/02/2021, condannare omissis srl al pagamento delle retribuzioni che vengano accertate come effettivamente dovute”, vinte le spese. Si è costituito in giudizio omissis contestando quanto ex adverso dedotto ed eccepito, sia in fatto sia in diritto e concludendo per l'integrale conferma del decreto. Disposta trattazione scritta del procedimento, rinunciato dalle parti termine per note nel merito, in data 7.7.2021, sulle conclusioni trascritte in epigrafe, la causa è stata decisa. Motivi della decisione 1. Chiede in primis l'opponente chiede di accertare e dichiarare la non debenza del credito vantato da omissis in quanto 1 l'obbligazione retributiva si sarebbe estinta ai sensi del combinato disposto degli articolo 1256 e 1463 c.c., ovvero, ancora, 2 la società sarebbe comunque irresponsabile del proprio inadempimento per causa di forza maggiore, rappresentata dalla sospensione della sua attività imprenditoriale determinata in via normativa. Appare opportuna trattazione congiunta delle due argomentazioni difensive in quanto entrambe fondate sull'incidenza che la sospensione dell'attività d'impresa determinata in via normativa ha avuto sull'obbligazione retributiva in capo al datore di lavoro. L'eccezione di estinzione dell'obbligazione per impossibilità non imputabile della medesima è infondata. Come noto, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'11 marzo 2020, per contenere la diffusione del contagio da COVID-19 è stata disposta la sospensione delle attività di ristorazione fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie articolo 1, numero 2 , D.P.C.M. 11 marzo 2021 nell'ambito delle quali incontestatamente opera omissis attiva nel settore della somministrazione di alimenti senza cucina e di bevande. Ciò, dunque, ha comportato l'impossibilità giuridica totale e temporanea, da parte dell'odierna opponente, di svolgere la propria attività di impresa durante il periodo di vigenza della disposizione sopra richiamata. Conseguentemente, le prestazioni lavorative dei propri dipendenti erano, nel menzionato periodo, oggettivamente impossibili, in quanto l'opponente non avrebbe potuto riceverle, poiché interdetta normativamente nella propria attività di impresa. Ebbene, ai sensi dell'articolo 1463 c.c., nei contratti a prestazioni corrispettive nei quali rientra, appunto, il contratto di lavoro subordinato la parte liberata dalla propria obbligazione per sopravvenuta impossibilità – nel caso di specie il lavoratore non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuto, secondo le norme relative alla ripetizione dell'indebito. Se è quindi corretto affermare che in genere le imprese di ristorazione durante il periodo di sospensione ex lege dell'attività d'impresa non erano obbligate alla controprestazione retributiva a loro carico, diverso è il caso di specie ove l'impossibilità della prestazione non è sopravvenuta a rapporto di lavoro in essere ma, al contrario, l'assunzione del dipendente è avvenuta, in ragione di accordo transattivo sottoscritto tra le parti il 24.3.2020, a blocco di attività già esistente sin dal precedente 11.3.2020 che prevedeva l'instaurazione di rapporto di lavoro subordinato a far data dal medesimo 24.3.2020. Ed infatti pur essendo innegabile che l'impossibilità alla prestazione fosse in data 24.3.2020 assoluta, la stessa difettava dell'ulteriore requisito della sopravvenienza, avendo preceduto il blocco dell'attività il momento dell'instaurazione del rapporto e con essa dell'insorgere dell'obbligazione retributiva. Né in sede di verbale di conciliazione giudiziale è stato in alcun modo previsto, per ragioni in questa sede insondabili che attengono ai motivi posti dalle parti a fondamento dalla reciproca convenienza all'accordo transattivo, che l'instaurazione del rapporto o l'obbligazione retributiva ad esso conseguente, in sé oggetto di possibile adempimento, fossero differiti al momento del venir meno del blocco dell'attività. In altre parole, il datore di lavoro sapeva al momento dell'assunzione di non poter ricevere la controprestazione lavorativa ma ha comunque ritenuto conveniente, per motivi attinenti il venir meno del contenzioso in essere, di firmare accordo giudiziale in ragione del quale il ricorrente, pur momentaneamente impossibilitato alla prestazione per blocco attività, veniva comunque assunto, in tal modo coscientemente accollandosi la conseguente obbligazione retributiva. Né può ritenersi che la disciplina pattizia voluta dalle parti sia in violazione della corrispettività tipica del negozio atteso che nella fattispecie la stipulazione del contratto di lavoro ha risposto altresì ad esigenza conciliativa di controversia giudiziale in essere, ragione normalmente estranea alla fattispecie classica. 2. Quanto precede, fa sì che acquisti diversa rilevanza l'ulteriore eccezione sollevata dall'opponente secondo cui la sospensione della sua attività imprenditoriale sarebbe stata normativamente prevista dalla data di assunzione del omissis sino all'attualità. Appare al riguardo utile osservare come la sospensione dell'attività commerciale disposta con il D.P.C.M. sopra menzionato dell'11 marzo 2020, fosse venuta meno già a partire dal D.P.C.M. del 16 maggio 2020 quantomeno per tutto il periodo estivo -, dal momento che lo stesso decreto aveva previsto, all'articolo 1, lettera ee , che le attività dei servizi di ristorazione fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie erano consentite nel rispetto delle linee guida da adottarsi dalle autonomie locali competenti. Ed infatti, nel mese di giugno 2020, i legali di omissis, tramite raccomandata, facevano presente alla società opponente che il loro assistito offriva espressamente la propria attività lavorativa, con ciò, da tale momento, ponendo la opponente in una situazione di mora credendi. Peraltro, la circostanza che l'attività commerciale della opponente fosse ripresa con conseguente possibilità della prestazione lavorativa di Y emerge anche dal ricorso in opposizione, in cui da un lato la opponente afferma di aver riaperto al pubblico dal mese di luglio e, dall'altro, si rappresenta la circostanza di aver invitato omissis, nel mese di settembre, mediante raccomandata – la quale, tuttavia, come si vedrà non giunse mai a conoscenza dello stesso -, a prestare la propria attività lavorativa. Alla luce di quanto sopra esposto, dunque, l'impossibilità a ricevere la prestazione lavorativa del omissis sarebbe comunque stata riferibile esclusivamente al periodo di sospensione normativa dell'attività di impresa, sospensione venuta meno con il D.P.C.M. del 16 maggio 2020. Invero, come la giurisprudenza di legittimità ha più volte avuto modo di affermare “La sospensione unilaterale del rapporto da parte del datore di lavoro è giustificata, ed esonera il medesimo datore dall'obbligazione retributiva, soltanto quando non sia imputabile a fatto dello stesso, non sia prevedibile ed evitabile e non sia riferibile a carenze di programmazione o di organizzazione aziendale ovvero a contingenti difficoltà di mercato. La legittimità della sospensione va verificata in riferimento all'allegata situazione di temporanea impossibilità della prestazione lavorativa solo ricorrendo il duplice profilo dell'impossibilità della prestazione lavorativa svolta dal lavoratore e dell'impossibilità di ogni altra prestazione lavorativa in mansioni equivalenti, è giustificato il rifiuto del datore di lavoro di riceverla.” Cass. [ord], 27-05-2019 numero 14419 ex plurimis Cass. 15372 del 2004 . Ebbene, nel caso di specie, per il periodo decorrente dal mese di giugno, venuta meno l'impossibilità normativa di svolgere l'attività commerciale esercitata, la società opponente non ha fornito alcuna prova né in ordine alla oggettiva impossibilità della prestazione lavorativa di omissis, né per quanto riguarda l'impossibilità di ogni altra prestazione lavorativa in mansioni equivalenti, dovendo dunque considerarsi ingiustificato il rifiuto tacitamente opposto alla ripresa in fatto della prestazione lavorativa. In tal senso appare invero irrilevante e, dunque, da rigettarsi, l'istanza istruttoria avanzata dalla opponente volta a verificare che la stessa, nei mesi di luglio, agosto e settembre sia rimasta aperta esclusivamente nei giorni di venerdì e sabato, senza intrattenimento musicale. Infatti, la verifica di tale circostanza non sarebbe idonea a dimostrare l'impossibilità oggettiva della prestazione di omissis, né la non imputabilità della stessa impossibilità a difetto di programmazione della opponente. Alquanto generica è poi la deduzione secondo la quale i divieti sarebbero stati reintrodotti dopo il periodo estivo, ed “anche successivamente all'introduzione della suddivisione in zone con divieti e limitazioni graduati”. Come noto, infatti, con la cosiddetta seconda ondata da COVID-19, le misure governative hanno cercato di contemperare le esigenze di contenimento pandemico con le istanze economiche degli operatori del mercato, consentendo agli stessi di adottare misure che gli permettessero, per quanto possibile, la ripresa delle attività. Ebbene, a tal riguardo la società non ha minimamente circostanziato, né provato, le proprie allegazioni in ordine alla effettiva impossibilità di svolgere, dopo il periodo estivo, la propria attività, né, a fortiori, ha provato che la stessa impossibilità non fosse dipesa da una propria negligenza nella programmazione della esercitata attività aziendale. Ne consegue che, a seguito del venir meno del divieto normativo di esercizio dell'attività commerciale dell'opponente, all'inadempimento riferito all'obbligazione retributiva si aggiunse illegittimo rifiuto da parte della medesima XXX srl di ricevere la prestazione lavorativa che le era stata offerta. 3. Con due ulteriori eccezioni, l'opponente chiede dichiararsi la non debenza, a favore del omissis della retribuzione per le seguenti ragioni 1 dal mese di giugno 2020 a quello di settembre dello stesso anno, in quanto in quel periodo l'opposto, secondo le argomentazioni difensive della omissis srl, avrebbe svolto attività retribuita stagionale in Grecia ovvero, ancora, 2 dal mese di settembre 2020 in poi, in considerazione del fatto che il lavoratore si sarebbe rifiutato di prendere servizio pur dopo essere stato convocato dalla società con raccomandata dell'11 settembre del 2020. 3.1. Per quanto riguarda l'eccezione sub 1 , la società ha prodotto dei post estratti dal profilo Facebook del omissis, afferenti al periodo estivo, in alcuni dei quali lo stesso sembrerebbe affermare di trovarsi in Grecia per ragioni lavorative. In particolare, in un post il lavoratore affermerebbe “Back in Athens for work” 24 giugno 2020 , e in un altro “Beate loro, io lavoravo” 2 luglio 2020 . Ebbene, è evidente come da tali unici elementi non possano assolutamente ricavarsi che omissis, nel predetto periodo, abbia effettivamente svolto attività lavorativa retribuita. Infatti, si tratta di soli due post, in cui, tra l'altro, non viene fatto minimamente riferimento al luogo presso il quale si sarebbe svolta la presunta attività lavorativa, da ciò potendosi quindi desumere la non veridicità delle affermazioni in essi riportate. Inoltre, i social network sono spesso utilizzati, soprattutto nel mondo lavorativo di cui fa parte l'odierno opposto, per pubblicizzare la propria attività professionale, fornendo un'immagine della propria persona e del proprio successo lavorativo spesso non corrispondenti al vero, proprio al fine di procurarsi delle occasioni di lavoro. Pertanto, dai suddetti elementi non può ricavarsi lo svolgimento di attività lavorativa retribuita per il periodo decorrente dal mese di giugno 2020 a quello di settembre dello stesso anno e ciò anche in considerazione del fatto che i documenti in questione si riferiscono ad un brevissimo arco temporale dal 24 giugno 2020 al 2 luglio 2020 , idoneo a far presumere, semmai, che omissis si trovasse in Grecia per vacanza. Per tali ragioni va dunque rigettata la domanda volta a far accertare da questo Tribunale la non debenza della retribuzione per il periodo intercorrente dal mese di giugno 2020 a quello di settembre dello stesso anno. 3.2. Parimenti infondata è poi l'ulteriore richiesta sub 2 avente invece ad oggetto l'accertamento della non debenza della retribuzione a partire dal mese di settembre 2020, in quanto, secondo l'opponente, il omissis si sarebbe rifiutato di prestare servizio pur dopo essere stato convocato al lavoro con raccomandata dell'11 settembre 2020. Osserva il giudicante come il lavoratore opposto non possa assolutamente dirsi inadempiente rispetto alla convocazione allegata dall'omissis srl, dal momento che, in base ai documenti prodotti dalla stessa società, non risulta affatto provato che il destinatario ebbe legale conoscenza dell'atto con il quale gli si intimava di prendere servizio. Invero in disparte il fatto che la ricevuta di spedizione prodotta non risulta leggibile in riferimento all'indirizzo del destinatario -, nella documentazione prodotta non vi è traccia della ricevuta di ritorno attestante l'avvenuto recapito della corrispondenza. Tale recapito, inoltre, non può neppure ricavarsi dal documento allegato che reca in intestazione “esito della spedizione”, dal momento che in nessuna parte ditale documento è desumibile che la raccomandata sia stata consegnata presso l'indirizzo di residenza ovvero di domicilio del lavoratore. Peraltro, sempre nel documento denominato “esito della spedizione”, lo stato della stessa risulta classificato con la dicitura “segnalati problemi nella lavorazione”. Per le ragioni esposte l'opposizione va integralmente rigettata. 4. I compensi di lite, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale di Roma, definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra domanda ed eccezione 1 rigetta l'opposizione e per l'effetto dichiara l'esecutività del decreto ingiuntivo numero 764/2021 2 condanna parte opposta alla refusione dei compensi di lite liquidati in complessivi € 2.500,00, oltre al rimborso forfettario delle spese generali, IVA e CPA.