Discopatie dopo anni di lavoro nell’edilizia: la qualifica di muratore non basta per parlare di malattia professionale

Respinta la richiesta avanzata da un uomo nei confronti dell’INAIL. Smentita in Appello e in Cassazione la valutazione compiuta dai giudici del Tribunale. Insufficiente la mera qualifica formale per collegare il problema di salute con l’attività lavorativa.

La mera qualifica di manovale, prima, e di muratore, poi, non è sufficiente per ottenere dall'INAIL un indennizzo per le multiple discopatie lombari che lo hanno colpito dopo anni e anni di lavoro nel settore edilizio Cass. civ., sez. VI, 26 agosto 2021, numero 23505 . Vittoria effimera in primo grado per il lavoratore. In Appello, difatti, i giudici, dando ragione all'INAIL, ne respingono «la domanda volta al riconoscimento della malattia professionale» – molteplici discopatie lombari – «contratta nell'attività di muratore e di manovale». Decisiva, per i giudici di secondo grado, è la constatazione che, a fronte della patologia denunciata, l'uomo non ha dato prova di «essere stato addetto alla lavorazione nociva» ossia «a lavorazioni di movimentazione manuale di carichi, svolte in modo non occasionale e in assenza di ausili efficaci». Insufficiente l'allegazione del lavoratore, il quale ha sostenuto di «aver svolto attività nel settore edilizio, dapprima con la mansione di manovale e successivamente come muratore, mansione che prevedeva prevalentemente la posizione eretta e l'uso necessario di entrambi gli arti per sostenere e manovrare attrezzi da lavoro con movimenti continui che avevano richiesto un intenso stress e sforzo muscolare». A questa ricostruzione non è stato fornito alcuno riscontro probatorio, pur di fronte alla «documentazione in atti, di mera ricognizione formale della qualifica». Col ricorso in Cassazione, però, l'uomo sostiene che «in caso di malattia tabellata, come quella a lui diagnosticata, il lavoratore è onerato solo della prova di sussistenza della malattia e dello svolgimento di mansioni rientranti nell'ambito delle lavorazioni nocive tabellate», e, aggiunge, «in presenza di tali presupposti, vige la presunzione legale sull'origine professionale della malattia». Per il lavoratore, quindi, è sufficiente «l'allegazione dell'attività svolta nel settore edilizio come manovale e, poi, come muratore». Questa visione viene respinta dai Giudici della Cassazione, i quali ribattono, condividendo la linea della decisione d'Appello, che «è sfornita di prova, di cui era pacificamente onerato il lavoratore, l'allegazione sullo svolgimento dell'attività nociva» ossia «lavorazioni di movimentazione manuale dei carichi, svolte in modo non occasionale e in assenza di ausili efficaci». Correttamente, precisano i magistrati, sono stati ritenuti «inidonei i documenti recanti la qualifica formale rivestita dal lavoratore» ed è stata valutata come non sufficiente «l'anamnesi lavorativa raccolta dal consulente tecnico d'ufficio». Tali lacune probatorie, «non colmabili attraverso il ricorso al fatto notorio», precisano i Giudici, sono sufficienti per escludere che i problemi di salute dell'uomo siano connessi al suo operato come manovale e come muratore.

Presidente Doronzo – Relatore Ponterio Rilevato che 1. la Corte d'Appello di Palermo ha accolto l'appello dell'INAIL e, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda di D.F. volta al riconoscimento della malattia professionale contratta nell'attività di muratore e manovale 2. la Corte territoriale ha dato atto della inclusione della patologia denunciata discopatie lombari multiple nel D.P.R. numero 1124 del 1965, tabelle allegate, ha ritenuto, tuttavia, che il lavoratore non avesse assolto all'onere di dimostrare di essere stato addetto alla lavorazione nociva, anch'essa tabellata e, specificamente a lavorazioni di movimentazione manuale dei carichi svolte in modo non occasionale in assenza di ausili efficaci 3. l'allegazione del D. di aver svolto attività lavorativa nel settore edilizio, dapprima con la mansione di manovale e successivamente come muratore che prevedeva prevalentemente la posizione eretta e l'uso necessario di entrambi gli arti per sostenere e manovrare attrezzi da lavoro con movimenti continui che avevano richiesto un intenso stress e sforzo muscolare non aveva trovato, secondo i giudici di appello, il necessario riscontro processuale non era stata articolata alcuna prova testimoniale e la conferma probatoria di quelle allegazioni non poteva desumersi dalla documentazione in atti di mera ricognizione formale della qualifica e neppure dal fatto notorio utilizzato invece dal tribunale 4. avverso tale sentenza D.F. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi l'INAIL ha resistito con controricorso 5. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza camerale, ai sensi dell'articolo 380-bis c.p.c Considerato che 6. con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, violazione degli articolo 342,414 e 434 c.p.c., per avere la Corte di merito erroneamente negato l'inammissibilità dell'appello proposto dall'INAIL 7. col secondo motivo si addebita alla sentenza la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, nnumero 3 e 5 8. si sostiene che i giudici di appello abbiano errato nel non considerare che, in caso di malattia tabellata, come quella diagnosticata al lavoratore, questi è onerato solo della prova di sussistenza della malattia e dello svolgimento di mansioni rientranti nell'ambito delle lavorazioni nocive tabellate in presenza di tali presupposti, vige la presunzione legale sull'origine professionale della malattia, spettando all'INAIL di fornire l'eventuale prova contraria 9. si rileva che l'allegazione del lavoro svolto nel settore edilizio, come manovale e poi muratore, dal 1979, non era stata contestata dall'Istituto 10. i motivi di ricorso risultano inammissibili 11. il primo motivo è inammissibile perché formulato senza il rispetto degli oneri previsti dall'articolo 366 c.p.c., comma 1, numero 6, a pena di inammissibilità e dall'articolo 369 c.p.c., comma 2, numero 4 a pena di improcedibilità del ricorso , e volti a porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti Cass. SU, numero 8077/2012 SU 11/4/2012, numero 5698 Cass. SU 3/11/2011, numero 22726 le censure mosse dal ricorrente investono atti processuali del giudizio di merito in particolare, il ricorso in appello di cui si assume l'inammissibilità e che sono meramente richiamati ma non riprodotti, almeno per la parte strettamente d'interesse in questa sede, nè depositati unitamente al ricorso per cassazione 12. neppure il secondo motivo può trovare accoglimento 13. sulla distribuzione degli oneri di prova, i giudici di appello si sono conformati ai principi enunciati in sede di legittimità secondo cui, in tema di assicurazione contro le malattie professionali, la riconducibilità della patologia sofferta dal prestatore di lavoro alle previsioni di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, numero 1124, allegata tabella numero 4, esclude la necessità di provare l'esistenza del nesso di causalità tra la malattia contratta e l'attività professionale svolta, mentre nel caso in cui la malattia non rientri nella previsione tabellare, oppure non vi rientri l'attività lavorativa svolta o non sussistano tutti i presupposti richiesti dalla tabella per far rientrare l'attività stessa all'interno della sua previsione, l'esistenza del nesso di causalità deve essere provata dal prestatore assicurato secondo i criteri ordinari. In caso di contestazione, l'accertamento della riconducibilità della malattia alla previsione tabellare costituisce un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito Cass. numero 27752 del 2009 Cass. numero 13024 del 2017 14. nel caso di specie, la Corte d'appello non ha addebitato al lavoratore oneri di prova che non gravano sul medesimo, violando la presunzione legale posta dalla inclusione delle malattie e delle lavorazioni nocive nelle citate tabelle bensì, ha ritenuto sfornita di prova, di cui era pacificamente onerato il lavoratore, l'allegazione sullo svolgimento della lavorazione nociva lavorazioni di movimentazione manuale dei carichi svolte in modo non occasionale in assenza di ausili efficaci ciò in quanto, nell'esercizio del prudente apprezzamento degli elementi probatori, ha giudicato inidonei al fine suddetto i documenti recanti la qualifica formale rivestita dall'appellato ed anche l'anamnesi lavorativa raccolta dal c.t.u., ed ha valutato le lacune probatorie non colmabili attraverso il ricorso al notorio 15. non è quindi configurabile la dedotta violazione dell'articolo 2697 c.c., e le censure si dirigono inevitabilmente verso l'apprezzamento in fatto non censurabile in sede di legittimità, se non nei ristretti limiti di cui all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5, nella specie neanche rispettati 16. per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto 17. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo 18. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, articolo 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, numero 228, articolo 1, comma 17. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, numero 228, articolo 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.