La S.C. respinge il ricorso di una donna che richiedeva la fissazione di un termine, al fine di riconoscere il figlio, in seguito al parto avvenuto in anonimato. L’interesse superiore del minore è il criterio essenziale e il genitore biologico, con il quale il minore non ha avuto alcun rapporto, deve fare un passo indietro, a maggior ragione se si è instaurato un legame affettivo con la famiglia affidataria.
Depressione post-partum e richiesta, da parte di una madre biologica, di poter riconoscere il proprio figlio. In seguito al parto avvenuto in anonimato, E.P., madre biologica del minore, ricorreva presso il Tribunale per i minorenni di Foligno chiedendo la sospensione del procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità e di adozione e la fissazione di un termine per poter provvedere al riconoscimento del figlio. Ma il Tribunale rigettava la richiesta sostenendo che il minore «non risultava assistito dai genitori biologici o da parenti entro il quarto grado». La Corte d'Appello di Perugia rilevava, successivamente, la conclusione del procedimento. E.P. ricorre in Cassazione denunciando, tra i vari motivi, la violazione e falsa applicazione dell'articolo 11, comma 2 e 5, l. numero 184/1983, non sussistendo i presupposti della dichiarazione dello stato di adottabilità. Ella sostiene, invocando l'articolo 5, comma 4, Convenzione europea in materia di adozione di minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967 e resa esecutiva nel nostro ordinamento con l. numero 357/1974 che «il consenso della madre all'adozione del figlio non potrà essere accettato che dopo la nascita di questi, allo spirare del termine prescritto dalla legge e che non dev'essere inferiore a sei settimane o, ove non sia specificato un termine, nel momento in cui, a giudizio dell'autorità competente, la madre si sarà sufficientemente ristabilita dalle conseguenze del parto». Sottolinea quindi che il suddetto termine è rimasto inosservato, non tenendo conto del suo stato di depressione post-partum. L'interesse superiore del minore è l'interesse in gioco. Il ricorso risulta infondato in quanto, richiamando le principali fonti internazionali e sovranazionali relative ai diritti del fanciullo, «l'interesse superiore del minore dev'essere considerato preminente in tutti gli atti a lui relativi, e, pur riconoscendo il suo diritto ad intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, fa salva l'ipotesi in cui ciò risulti contrario al suo interesse» articolo 24, Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE . L'articolo 8 CEDU tutela «il diritto delle persone al rispetto della loro vita privata e familiare, nozione questa in cui debbano essere comprese non solo le relazioni che si stabiliscono all'interno della famiglia stricto sensu, ovverosia tra le coppie coniugate ed i loro figli, ma anche quelle tra partner non congiunti in matrimonio e tra gli stessi ed i figli nati da queste relazioni, indipendentemente dall'esistenza di un rapporto di filiazione legalmente stabilito». Inoltre, nell'interpretare l'articolo 5 cit., in un caso analogo, la Corte EDU ha affermato che «in casi come quello in esame, in cui occorre conciliare gl'interessi della madre biologica con quelli del minore e degli affidatari, la complessità del caso e l'equilibrio sottile da individuare tra l'interesse del minore e quello della madre impongono di conferire un particolare rilievo alle garanzie di ordine procedurale, ed in particolare alla concessione alla madre della possibilità di esprimersi dinanzi ad un'autorità giudiziaria e di rimettere in discussione la scelta di abbandonare il figlio», ritenendo, quindi, che «la dichiarazione di adottabilità costituisse una misura eccessivamente radicale, avendo impedito alla madre biologica di presentare le proprie argomentazioni in modo adeguato ed effettivo, in modo da proteggere il proprio diritto alla vita privata e familiare» cfr. sent. 13/01/2009, Todorova c. Italia . Nel caso di specie, invece, è stato concesso alla ricorrente la possibilità di presentare il ricorso al giudice minorile, potendo dimostrare le circostanze che l'avevano indotta ad abbandonare il minore e potendo spiegare le ragioni del successivo ripensamento. Per tutti questi motivi, la S.C. rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese processuali.
Presidente Scaldaferri – Relatore Mercolino Fatti di causa 1. P.E. , avendo partorito in anonimato un figlio di sesso maschile in omissis , propose ricorso al Tribunale per i minorenni di Perugia, chiedendo, ai sensi della L. 4 maggio 1983, numero 184, articolo 11, comma 2, la sospensione del procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità e di adozione e la fissazione di un termine per provvedere al riconoscimento. 1.1. Con sentenza del 3 gennaio 2017, il Tribunale per i minorenni rigettò la richiesta di sospensione e dichiarò inammissibile quella di fissazione del termine, rilevando che il minore non risultava assistito dai genitori biologici o da parenti entro il quarto grado. 2. L'impugnazione proposta dalla P. fu dichiarata inammissibile con sentenza del 17 marzo 2017, con cui la Corte d'appello di Perugia rilevò che nel frattempo il procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità si era concluso con sentenza del 30 gennaio 2017. 3. Avverso la predetta sentenza la P. propose ricorso per cassazione, accolto con sentenza del 3 dicembre 2018, numero 31196, con cui questa Corte enunciò il principio di diritto così massimato In conseguenza di un parto anonimo, il diritto della madre biologica di effettuare il riconoscimento del figlio, avente carattere indisponibile, non è precluso, ai sensi della L. numero 184 del 1983, articolo 11, u.c., dalla sopravvenuta declaratoria di adottabilità del minore, a meno che alla stessa non abbia fatto seguito l'affidamento preadottivo del minore pertanto, in conseguenza della dichiarazione di adottabilità non viene meno il diritto della madre biologica a richiedere la concessione di un termine per procedere al riconoscimento del minore . 4. Il giudizio è stato pertanto riassunto dinanzi alla Corte d'appello, che con sentenza del 24 maggio 2019 ha dichiarato inammissibile la domanda di fissazione del termine per il riconoscimento. Premesso che la precedente sentenza era stata cassata sul presupposto dell'esistenza di un interesse della madre biologica al riconoscimento del figlio, che sarebbe stato non già nullo, ma inefficace soltanto se all'epoca fosse stato già disposto l'affidamento preadottivo, e rilevato che nel frattempo era intervenuto non solo quest'ultimo, ma anche la sentenza di adozione, passata in giudicato, la Corte ha evidenziato la diversità del quadro di riferimento nell'ambito del quale era chiamata a pronunciare, osservando che la concessione del termine ed il successivo riconoscimento non avrebbero potuto legittimare la P. a chiedere la revoca della dichiarazione dello stato di adottabilità, precluso dall'affidamento preadottivo, ed aggiungendo che il riconoscimento era comunque precluso dallo stato di figlio legittimo degli adottanti, attribuito all'adottato dalla L. numero 184 del 1983, articolo 27. Ha concluso pertanto che l'assegnazione del termine per il riconoscimento avrebbe costituito un provvedimento inutiliter datum, rilevando che alle medesime conclusioni era pervenuta la precedente sentenza dell'11 luglio 2017, numero 546/17, che aveva rigettato l'appello avverso la sentenza del 23 marzo 2017, numero 11/17, con cui il Tribunale per i minorenni aveva rigettato un altro ricorso presentato dalla P. . Ha precisato inoltre che il difetto di interesse di quest'ultima all'assegnazione del termine ed alla revoca della dichiarazione dello stato di adottabilità precludeva la pronuncia in ordine sia alla revoca che alla sussistenza dello stato di abbandono. Rilevato infine che il principio cardine di ogni valutazione del merito era costituito dalla preminenza dell'interesse del minore, ha osservato che la rescissione del legame e delle condizioni di vita del bambino all'interno della famiglia adottiva avrebbe sicuramente determinato un effetto traumatico per il minore, dal momento che tra quest'ultimo ed i genitori adottivi si era costituito uno status di filiazione piena, caratterizzata da effettività di vita familiare della durata di due anni e mezzo, mentre con la madre biologica non vi era alcun legame nè frequentazione. 5. Avverso la predetta sentenza la P. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi. Ha resistito con controricorso l'Avv. C.S. , in qualità di curatrice speciale del minore. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo d'impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 384 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver proceduto ad un riesame dell'intera vicenda, invece di limitarsi ad applicare il principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione. Premesso infatti che il giudice di rinvio è vincolato non solo dal predetto principio, ma anche dall'accertamento dei fatti che ne costituisce il presupposto, potendo prendere in considerazione fatti ulteriori soltanto se verificatisi successivamente al momento in cui avrebbero potuto essere allegati o rilevati nelle precedenti fasi processuali, osserva che nella specie l'affidamento preadottivo e la sentenza di adozione non avrebbero potuto essere fatti valere, essendo stati pronunciati in data anteriore rispettivamente alla pronuncia della sentenza cassata e alla proposizione del ricorso per cassazione. Afferma comunque che, in quanto dipendente dal rigetto della richiesta di sospensione e di fissazione del termine per il riconoscimento, la sentenza dichiarativa dello stato di adottabilità doveva ritenersi travolta dall'effetto espansivo esterno della pronuncia di cassazione, con la conseguente configurabilità dell'interesse all'impugnazione, indipendentemente dalla sopravvenienza di altri provvedimenti. 2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione della L. numero 184 del 1983, articolo 11, commi 2 e 5, sostenendo che la dichiarazione dello stato di adottabilità avrebbe dovuto essere revocata, dal momento che alla data della pronuncia non sussistevano, o comunque erano venuti meno i relativi presupposti. Premesso infatti che il deposito della domanda di cui all'articolo 11 cit. comporta il venir meno della presunzione di abbandono, mentre il tempestivo riconoscimento determina la chiusura della procedura abbreviata prevista dal comma 2, osserva che, in presenza della richiesta di sospensione, il giudice di merito non può dichiarare lo stato di adottabilità, ma è tenuto a concedere il termine, essendo la sua discrezionalità limitata alla determinazione della durata della sospensione. Precisato inoltre che la ratio della disciplina in esame consiste nel tutelare l'interesse primario del minore a vivere all'interno della propria famiglia di origine, configurandosi l'adozione come extrema ratio cui ricorrere in caso d'impossibilità di assicurare uno sviluppo armonico della sua personalità, afferma che il diniego del diritto al riconoscimento l'ha privata della facoltà di agire a tutela del proprio diritto alla genitorialità, avente carattere indisponibile ed irrinunciabile. 3. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni strettamente connesse, sono infondati. È pur vero, infatti, che, in caso di accoglimento del ricorso per violazione di legge, l'efficacia vincolante della sentenza di cassazione nei confronti del giudice di rinvio non è limitata al principio di diritto enunciato da questa Corte, ma si estende ai presupposti di fatto che ne costituiscono la premessa necessaria, anche implicita, e che la predetta sentenza abbia ritenuto pacifici o comunque già accertati nel giudizio di merito, i quali non possono essere rimessi in discussione, poiché il loro riesame verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio della loro intangibilità in sede di rinvio, non possono quindi essere sollevate tutte quelle questioni, anche di fatto, che avrebbero potuto essere prospettate dalle parti o rilevate d'ufficio, e che costituiscano il presupposto necessario ed inderogabile della pronuncia di annullamento, dovendo le stesse ritenersi precluse, quale premessa logico-giuridica del principio affermato, in quanto risolte in via definitiva, e coperte dal giudicato interno cfr. ex plurimis, Cass., Sez. III, 10/12/2019, numero 32132 Cass., Sez. VI, 4/04/2011, numero 7656 13/07/ 2006, numero 15952 22/05/2006, numero 11939 . Non può tuttavia condividersi la tesi sostenuta dalla difesa della ricorrente, secondo cui il principio di diritto enunciato da questa Corte in riferimento alla vicenda in esame, traducendosi nell'affermazione della facoltà di procedere al riconoscimento fino al momento in cui venga disposto l'affidamento preadottivo, implicava logicamente l'accertamento che nella specie tale provvedimento non era stato ancora adottato, con la conseguenza che la Corte d'appello non avrebbe potuto rilevarne la sopravvenienza nelle more della precedente fase di legittimità, trattandosi di una questione definitivamente preclusa dal giudicato interno formatosi per effetto della sentenza di cassazione. In quanto consistente nella negazione della portata preclusiva della mera dichiarazione di adottabilità, ai fini del riconoscimento del minore da parte della genitrice biologica che aveva scelto di partorirlo in anonimato, e nell'individuazione dell'affidamento preadottivo quale termine ultimo per l'effettuazione del riconoscimento, il predetto principio presupponeva infatti, sotto il profilo logico-giuridico, soltanto l'avvenuta pronuncia della predetta dichiarazione, addotta dalla sentenza di appello a sostegno dell'inefficacia del riconoscimento, e non anche l'emissione del provvedimento di affidamento, che non avrebbe potuto costituire oggetto di accertamento da parte del giudice di merito nè essere dedotta in sede di legittimità, in quanto successiva alla sentenza di appello. Nessun rilievo, può assumere, in proposito, la circostanza che, nell'affermare l'inefficacia anziché la nullità del riconoscimento materno soltanto nel caso in cui la dichiarazione di adottabilità fosse stata seguita dall'affidamento preadottivo, questa Corte abbia ritenuto di dover aggiungere che quest'ultimo invece nella specie non pare che all'epoca fosse in atto , trattandosi di una mera congettura, fondata su argomentazioni di parte, e comunque estranea all'ambito della questione di diritto sollevata con il ricorso, che aveva ad oggetto esclusivamente l'individuazione del fatto idoneo ad impedire il riconoscimento. L'identificazione di tale fatto nell'adozione del provvedimento di affidamento, non accertata nella precedente fase, comportava anzi la rimessione alla Corte d'appello del compito di accertarne l'avvenuta verificazione, conformemente al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in caso di accoglimento del ricorso per violazione di legge, l'efficacia preclusiva della sentenza di cassazione non esclude il potere del giudice di rinvio non solo di riesaminare i fatti che hanno costituito oggetto di discussione nelle precedenti fasi, nei limiti in cui la relativa necessità emerga dalla diversa impostazione giuridica data alla controversia da questa Corte cfr. Cass., Sez. I, 23/04/2019, numero 11178 Cass., Sez. V, 31/10/2018, numero 27823 Cass., Sez. VI, 18/04/2017, numero 9768 , ma anche di accertare fatti modificativi, estintivi o impeditivi verificatisi in un momento successivo a quello della loro possibile allegazione nelle pregresse fasi processuali cfr. Cass., Sez. II, 26/09/2018, numero 22989 Cass., Sez. lav., 22/03/ 2013, numero 7301 . Tale potere, costantemente riconosciuto in riferimento al processo ordinario di cognizione, dev'essere ritenuto a maggior ragione sussistente nella materia in esame, la cui disciplina, in quanto improntata alla preminente tutela dell'interesse del minore, da valutarsi in una prospettiva non meramente statica, bensì dinamica, in quanto collegata all'evoluzione della sua situazione esistenziale ed al mutare delle esigenze che caratterizzano le varie fasi del suo sviluppo, ha indotto questa Corte ad affermare, in riferimento al procedimento di adozione, che la medesima ratio che consente alle parti di provare, nel giudizio di rinvio, la sopravvenienza di fatti impeditivi, modificativi od estintivi del diritto azionato, consente altresì, avuto riguardo all'identità dello scopo perseguito, al giudice di rinvio di accertare, anche mediante l'esercizio dei poteri istruttori ufficiosi riconosciutigli dalla L. numero 184 del 1983, la sopravvenienza dei menzionati fatti cfr. Cass., Sez. I, 17/04/1991, numero 4101 . In quanto sopravvenuta alla sentenza di appello, la pronuncia dell'affidamento preadottivo doveva pertanto ritenersi deducibile dalle parti e rilevabile anche d'ufficio nel giudizio di rinvio, non ostandovi l'intervenuta cassazione della sentenza di rigetto dell'istanza di fissazione del termine per il riconoscimento, la quale, contrariamente quanto sostenuto dalla difesa della ricorrente, non poteva ritersi idonea a determinare la caducazione di quella dichiarativa dello stato di adottabilità e del conseguente affidamento, ai sensi dell'articolo 336 c.p.c., comma 2. È pur vero, infatti, che, ai fini dell'effetto espansivo esterno della pronuncia di riforma o di cassazione, non si richiede necessariamente la configurabilità di un rapporto di pregiudizialità in senso tecnico-giuridico tra la causa decisa dalla sentenza riformata o cassata e quella definita dalla sentenza dipendente, risultando sufficiente anche un rapporto di dipendenza meramente logica cfr. Cass., Sez. Unumero , 26/07/ 2004, numero 14060 Cass., Sez. I, 15/05/2019, numero 12999 Cass., Sez. lav., 3/05/ 2007, numero 10185 , come quello sussistente tra il procedimento per la dichiarazione di adottabilità e quello avente ad oggetto la concessione del termine per il riconoscimento, fondati su presupposti diversi ma interconnessi tra loro. Nel caso in esame, tuttavia, l'operatività del predetto effetto incontra un limite proprio nel disposto della L. numero 184 del 1983, articolo 11, u.c, il quale, prevedendo l'inefficacia del riconoscimento effettuato successivamente alla dichiarazione di adottabilità ed all'affidamento preadottivo, costituisce espressione di una chiara scelta normativa volta a privilegiare l'interesse del minore all'inserimento in una famiglia che presumibilmente offre adeguate garanzie di stabilità rispetto a quello del genitore biologico all'instaurazione del rapporto giuridico di filiazione, impedendo la rescissione del legame affettivo e del rapporto educativo instauratosi con gli affidatari, indipendentemente dalla circostanza che il riconoscimento abbia luogo prima che intervenga la formale pronuncia di adozione. In tal senso depone d'altronde l'intera disciplina dettata dall'articolo 11 cit. per l'ipotesi in cui, promosso il procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore non riconosciuto, chi affermi di esserne il genitore biologico richieda la fissazione del termine per provvedere al riconoscimento in tal caso, infatti, la sospensione del procedimento non è prevista in via automatica, ma, ai sensi dell'articolo 11, comma 2 è rimessa alla discrezionalità del tribunale per i minorenni, il quale non solo può disporla per un periodo di tempo assai limitato, ma è tenuto preventivamente ad accertare che, nonostante il mancato riconoscimento, permanga un rapporto tra il minore e l'istante, o in via diretta o comunque attraverso la prestazione di assistenza da parte dei parenti di quest'ultimo. Qualora pertanto, a seguito della richiesta di fissazione del termine per il riconoscimento, non venga disposta la sospensione del procedimento e lo stesso prosegua fino alla pronuncia dell'affidamento preadottivo, il riconoscimento effettuato successivamente deve ritenersi inefficace, e comunque inidoneo a determinare la revoca della dichiarazione di adottabilità, come espressamente previsto dalla L. numero 184, articolo 21, comma 4. Peraltro, anche nel caso in cui intervenga prima dell'affidamento preadottivo, il riconoscimento non è di per sé sufficiente a giustificare la predetta revoca, la quale può essere disposta, ai sensi dell'articolo 21, comma 1 soltanto nel caso in cui venga meno lo stato di abbandono la cessazione di quest'ultimo non rappresenta infatti una conseguenza automatica del riconoscimento, ma, ai sensi dell'articolo 11, comma 5 deve costituire oggetto di uno specifico accertamento da parte del tribunale per i minorenni, rispetto al quale il riconoscimento si configura come un elemento da cui può desumersi soltanto la disponibilità del genitore biologico ad adempiere gli obblighi che gli articolo 315 c.c. e ss. ricollegano all'instaurazione del rapporto giuridico di filiazione, e non anche l'effettiva sussistenza della capacità genitoriale e di condizioni oggettive idonee a consentire al genitore biologico di far fronte adeguatamente ai propri compiti. L'incertezza dell'esito di tale valutazione, rispetto alle garanzie offerte dal positivo inserimento del minore nel nucleo familiare degli affidatari, contribuisce a spiegare la prevalenza accordata dal legislatore allo affidamento preadottivo, il quale, d'altronde, non preclude soltanto il riconoscimento da parte del genitore biologico, ma anche la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità l'articolo 11, u.c., secondo periodo prevede infatti che l'affidamento determina la sospensione di diritto del relativo giudizio, destinato ad estinguersi ove all'emissione di tale provvedimento faccia seguito la pronuncia di una sentenza definitiva di adozione. 3.1. Tale disciplina, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente, non si pone affatto in contrasto con il diritto del genitore biologico al riconoscimento del minore, costituendo piuttosto il frutto di un ragionevole bilanciamento, operato dal legislatore, tra l'interesse del genitore all'instaurazione del rapporto giuridico di filiazione e quello superiore del minore, cui è improntata l'intera disciplina dei provvedimenti che lo riguardano. La necessità di un contemperamento tra i predetti interessi è stata da tempo riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità, la quale, nell'esaminare la disciplina dettata dall'articolo 250 c.c. nel testo anteriore alle modifiche introdotte dalla L. 10 dicembre 2012, numero 219, articolo 1 per il riconoscimento del figlio naturale minore di sedici anni che fosse già stato riconosciuto dall'altro genitore, affermò che il riconoscimento della genitorialità costituisce un diritto soggettivo primario della personalità espressamente riconosciuto dalla Costituzione articolo 30 e dalle leggi ad essa successive vedi L. 4 maggio 1983, numero 184, articolo 1 , ma ammise che lo stesso potesse essere sacrificato a vantaggio dell'interesse del minore a non vedersi in qualche modo turbata la sua vita attuale che si riconosce serena , precisando comunque che il sacrificio di un siffatto diritto non può avvenire altro che in presenza di un fatto impeditivo di importanza proporzionata al suo valore , identificato nella specie con il trauma che il minore avrebbe presumibilmente riportato nel vedersi attribuito un secondo genitore, ove lo stesso fosse risultato così grave da pregiudicare in modo serio il suo sviluppo psicofisico cfr. ex plurimis Cass., Sez. I, 11/02/2005, numero 2878 8/08/2003, numero 11949 Cass., Sez. I, 16/06/1990, numero 6093 . Nella medesima ottica, era stato affermato, in riferimento alla valutazione dell'interesse del minore prescritta ai fini dell'ammissibilità dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale dall'articolo 274 c.p.c. come emendato dalla sentenza della Corte costituzionale numero 341 del 1990 e prima che ne fosse dichiarata definitivamente l'illegittimità costituzionale con sentenza numero 50 del 2006 , che nella difficile opera di individuazione dell'ambito di rilevanza dell'interesse del minore a non essere riconosciuto e di identificazione della misura in cui tale interesse deve prevalere sul diritto alla genitorialità, la compressione di tale diritto possa legittimarsi soltanto ove sussistano motivi tanto gravi ed irreversibili, da far ritenere che per effetto del riconoscimento lo sviluppo psicofisico del minore sarebbe fortemente compromesso cfr. Cass., Sez. I, 11/12/1995, numero 12642 28/06/1994, numero 6216 . Proprio in riferimento alla disciplina dettata dalla L. numero 184 del 1983, articolo 11 infine, questa Corte, nell'affermare che la richiesta di sospensione prevista dal comma 2 non è suscettibile di preventiva e definitiva rinuncia stragiudiziale, nè soggetta a termini processuali di decadenza, potendo intervenire durante tutta la pendenza del procedimento abbreviato di primo grado, purché prima della sua definizione da parte del tribunale per i minorenni, ha osservato che il diritto soggettivo, dotato di rilevanza costituzionale, ad essere genitori giuridici oltre che biologici si correla non al solo fatto della nascita del figlio, ma a regole legali, e segnatamente ad una manifestazione di volontà di riconoscere il nato o il nascituro, ai sensi dell'articolo 254 c.c. come proprio figlio pur rilevando, quindi, che tale diritto e quello al riconoscimento del figlio, che ne costituisce la fonte, sono indisponibili, in quanto coinvolgenti lo stato delle persone, e non si estinguono, al pari delle facoltà processuali propedeutiche al loro esercizio, per effetto di una manifestazione di volontà abdicativa, ha precisato che il diritto sostanziale alla genitorialità giuridica può rimanere definitivamente ed irreversibilmente pregiudicato, con effetti inevitabilmente stabilizzati pro futuro, dal non esercizio del diritto al riconoscimento del figlio biologico nelle forme ed entro i limiti anche temporali imposti dall'ordinamento positivo cfr. Cass., Sez. I, 7/02/2014, numero 2802 . Tra questi limiti è compreso anche quello derivante dall'intervenuta pronuncia dell'affidamento preadottivo, individuata dall'articolo 11, u.c. come termine finale per l'esercizio del diritto al riconoscimento, che in caso d'inosservanza risulta inefficace, e quindi inidoneo ad impedire la pronuncia della sentenza di adozione, ferma restando la possibilità di tornare ad operare nel caso in cui il procedimento non pervenga alla sua naturale conclusione, ed il provvedimento di affidamento venga revocato. La preminenza in tal modo accordata all'interesse del minore, rispetto a quello del genitore biologico all'instaurazione del rapporto giuridico di filiazione, trova riscontro, come si è detto, anche nella giurisprudenza costituzionale, e segnatamente nella citata sentenza numero 341 del 1990, che nel dichiarare costituzionalmente illegittimo l'articolo 274 c.c., comma 1, nella parte in cui non prevedeva che, nel caso di minore infrasedicenne, l'azione promossa dal genitore esercente la potestà per ottenere la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale fosse ammessa solo se ritenuta dal giudice rispondente all'interesse del figlio, ritenne tale esclusione non giustificabile, sotto il profilo non solo della disparità di trattamento rispetto alla ipotesi inversa prevista dall'articolo 250 c.c. ma anche del contrasto con il principio di razionalità, in quanto incoerente col rilievo sistematico centrale che nell'ordinamento dei rapporti di filiazione, fondato sull'articolo 30 Cost., assume l'esigenza di protezione dell'interesse dei minori , osservando che la veridicità del preteso rapporto di filiazione col convenuto, del quale il giudice deve in questa prima fase del giudizio controllare l'esistenza di seri indizi, è pure un elemento dell'interesse del minore , e concludendo che non vi era alcun ostacolo di ordine logico, e tanto meno tecnico, ad allargare il giudizio al controllo dell'altro aspetto di tale interesse, cioè la convenienza al minore dell'accertamento formale del rapporto di filiazione . L'esigenza di tale valutazione, ribadita dalla sentenza numero 216 del 1998, che dichiarò nuovamente infondata la questione di legittimità costituzionale, trovò ulteriore conferma anche nella sentenza numero 50 del 2006, che, pur dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'intero articolo 274, per contrasto con l'articolo 3 Cost., comma 2, articolo 24 e articolo 111 Cost., in quanto il giudizio di ammissibilità da esso previsto costituiva un grave ostacolo all'esercizio del diritto di azione, ritenne ininfluente la circostanza che la norma avesse anche lo scopo di accertare l'interesse del minore, precisando che la necessità di tale rispondenza non sarebbe certamente venuta meno con la soppressione del giudizio di ammissibilità, potendo essere eventualmente delibata prima dell'accertamento della fondatezza della azione di merito. Tale precisazione ha impedito che, unitamente al giudizio di ammissibilità, venisse meno anche l'esigenza della predetta valutazione, in riferimento alla quale questa Corte ha avuto recentemente modo di ribadire che la contrarietà della dichiarazione di paternità all'interesse del minore sussiste solo in caso di concreto accertamento di una condotta del preteso padre che sarebbe tale da giustificare una dichiarazione di decadenza dalla responsabilità genitoriale, ovvero della prova dell'esistenza di gravi rischi per l'equilibrio affettivo e psicologico del minore e per la sua collocazione sociale, risultanti da fatti obbiettivi, emergenti dalla pregressa condotta di vita del preteso padre cfr. Cass., Sez. I, 21/06/2018, numero 16356 . In ordine alla problematica in esame, vanno infine richiamate le principali fonti internazionali e sovranazionali riguardanti i diritti del fanciullo, le quali individuano l'interesse superiore di quest'ultimo come il criterio guida cui devono essere improntate tutte le decisioni che lo riguardano, ivi comprese quelle giurisdizionali. In proposito, va menzionata innanzitutto la Convenzione di New York del 20 novembre 1989, resa esecutiva nel nostro ordinamento dalla L. 27 maggio 1991, numero 176, la quale, dopo aver affermato il predetto principio articolo 3 , pone a carico degli Stati aderenti l'obbligo di vigilare affinché il minore non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà, ma fa salvo il potere delle autorità competenti di decidere, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione sia necessaria nell'interesse preminente del minore articolo 9 . L'articolo 24 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE ribadisce a sua volta che l'interesse superiore del minore dev'essere considerato preminente in tutti gli atti a lui relativi, e, pur riconoscendo il suo diritto ad intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, fa salva l'ipotesi in cui ciò risulti contrario al suo interesse. L'articolo 8 della CEDU tutela infine il diritto delle persone al rispetto della loro vita privata e familiare, nozione questa in cui la Corte EDU ha ritenuto che debbano essere comprese non solo le relazioni che si stabiliscono all'interno della famiglia stricto sensu, ovverosia tra le coppie coniugate ed i loro figli, ma anche quelle tra partner non congiunti in matrimonio e tra gli stessi ed i figli nati da queste relazioni, indipendentemente dall'esistenza di un rapporto di filiazione legalmente stabilito cfr. sent. 26/05/1994, Keegan c. Irlanda sent. 1/09/2004, L. c. Paesi Bassi sent. 21/12/2010, Chavdarov c. Bulgaria pur affermando che, laddove si sia instaurato un legame familiare con un minore, lo Stato deve agire in modo da permettere a questo legame di svilupparsi ed accordargli una tutela giuridica tale da rendere possibile l'integrazione del minore nella famiglia cfr. sent. 27/10/1994, Kroon e altri c. Paesi Bassi , la Corte ha precisato in primo luogo che tale principio non opera nel caso in cui il genitore non abbia mai incontrato il minore o non abbia instaurato con lui legami affettivi cfr. sent. 29/06/1999, Nyland c. Finlandia sent. 13/01/2009, Todorova c. Italia , ed in secondo luogo che quando un minore sia affidato ad altri può, nel corso del tempo, stabilire con questi ultimi nuovi legami che potrebbe non risultare conforme al suo interesse turbare o interrompere attraverso la modifica di una precedente decisione cfr. sent. 8/07/1987, W. c. Regno Unito sent. 26/05/1994, Keegan c. Irlanda premesso infine che gli Stati godono di un certo margine di apprezzamento nella disciplina del riconoscimento o del disconoscimento del rapporto giuridico di filiazione, ha affermato comunque che la previsione di limiti temporali per l'utilizzazione degli strumenti giuridici a tal fine predisposti può ritenersi giustificata dall'esigenza di garantire la certezza delle situazioni giuridiche e di tutelare l'interesse del minore cfr. sent. 28/11/1984, Rasmussen c. Danimarca . A tali principi, che il Collegio condivide ed ai quali intende conformarsi in questa sede, si è puntualmente attenuta la sentenza impugnata, la quale non si è limitata a dare atto della preclusione del riconoscimento del minore da parte della ricorrente, in conseguenza dell'intervenuta pronuncia dell'affidamento preadottivo, ma ha esteso la propria valutazione all'opportunità del riconoscimento, ritenendolo contrastante con l'interesse superiore del minore, in considerazione da un lato dell'assenza di qualsiasi legame, frequentazione o esperienza di vita comune tra quest'ultimo e la genitrice biologica, e dall'altro della durata e dell'effettività del rapporto familiare instauratosi con il minore e gli affidatari, formalizzato da ultimo attraverso la pronuncia della sentenza di adozione tale accertamento, in virtù del quale la Corte territoriale ha concluso che la rescissione del rapporto con gli affidatari avrebbe sicuramente determinato un effetto traumatico per il minore, si pone perfettamente in linea non solo con la ritenuta impossibilità di ricondurre il legame con la ricorrente alla nozione di vita familiare, nel senso inteso dall'articolo 8 della CEDU, ma anche con la segnalata esigenza di evitare uno sconvolgimento della sfera affettiva e delle abitudini di vita del minore, che la predetta disposizione e lo stesso L. numero 184 del 1983, articolo 11, u.c. mirano a preservare. 3.2. In contrario, la difesa della ricorrente invoca l'articolo 5, comma 4 Convenzione Europea in materia di adozione di minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967 e resa esecutiva nel nostro ordinamento con L. 22 maggio 1974, numero 357, ai sensi del quale il consenso della madre all'adozione del figlio non potrà essere accettato che dopo la nascita di questi, allo spirare del termine prescritto dalla legge e che non dev'essere inferiore a sei settimane o, ove non sia specificato un termine, nel momento in cui, a giudizio dell'autorità competente, la madre si sarà sufficientemente ristabilita dalle conseguenze del parto sostiene infatti che nella specie il predetto termine è rimasto inosservato, non essendosi tenuto conto dello stato di depressione in cui ella era caduta a seguito del parto ed essendosi rapidamente provveduto alla dichiarazione dello stato di adottabilità, senza riconoscerle la facoltà d'interloquire nel relativo procedimento. La tesi dell'inosservanza del termine si pone peraltro in contrasto con la constatazione, contenuta nella sentenza impugnata, che l'affidamento preadottivo, alla cui pronuncia il principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione ricollega la preclusione del riconoscimento, è stato disposto con provvedimento del 6 aprile 2017, e quindi a circa sei mesi di distanza dal parto, mentre la sentenza di adozione è stata pronunciata il 1 dicembre 2017, vale a dire circa otto mesi dopo l'affidamento. Pur dovendosi convenire, inoltre, che la ricorrente non era legittimata a partecipare al procedimento di adozione e ad impugnare la relativa sentenza, non rivestendo la qualità giuridica di genitore del minore, deve escludersi che non le sia stata offerta la possibilità di far valere le proprie ragioni, avendo ella presentato il ricorso per la fissazione del termine per il riconoscimento e l'istanza di sospensione del procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità, presi in esame prima dal Tribunale per i minorenni e successivamente dalla Corte d'appello. Tali circostanze, poste anche in relazione con la negazione dell'avvenuta instaurazione di un qualsiasi legame con il minore, anch'essa risultante dalla sentenza impugnata, e con la ritenuta necessità di salvaguardare i legami affettivi instauratisi con gli affidatari e le consuetudini di vita acquisite dal minore, consentono di escludere che il rigetto dell'istanza di fissazione del termine per il riconoscimento si sia tradotto, nella specie, in una lesione del diritto alla vita privata e familiare della ricorrente. Nell'interpretare l'articolo 5 della Convenzione di Strasburgo, in riferimento ad una fattispecie pressocché analoga, la Corte EDU ha infatti affermato che, in casi come quello in esame, in cui occorre conciliare gl'interessi della madre biologica con quelli del minore e degli affidatari, la complessità del caso e l'equilibrio sottile da individuare tra l'interesse del minore e quello della madre impongono di conferire un particolare rilievo alle garanzie di ordine procedurale, ed in particolare alla concessione alla madre della possibilità di esprimersi dinanzi ad un'autorità giudiziaria e di rimettere in discussione la scelta di abbandonare il figlio pur riconoscendo l'opportunità di decidere al più presto sul futuro del minore, la Corte ha ritenuto che in quel caso l'estrema rapidità con cui era intervenuta la dichiarazione di adottabilità costituisse una misura eccessivamente radicale, avendo impedito alla madre biologica di presentare le proprie argomentazioni in modo adeguato ed effettivo, in modo da proteggere il proprio diritto alla vita privata e familiare cfr. sent. 13/01/2009, Todorova c. Italia . Tale facoltà nella specie risulta invece adeguatamente riconosciuta alla ricorrente, alla quale è stata concessa, nel non breve periodo di tempo intercorso tra la nascita del figlio e la pronuncia dell'affidamento preadottivo, la possibilità di presentare e coltivare il ricorso dinanzi al Giudice minorile, attraverso il quale ha potuto ampiamente illustrare le circostanze che l'avevano indotta ad abbandonare il minore, nonché spiegare le ragioni del successivo ripensamento, con la conseguenza che deve escludersi la configurabilità di una violazione dell'articolo 8 della CEDU. 3. Il ricorso va pertanto rigettato. La complessità e la novità della questione trattata, attinente a delicati profili della disciplina della famiglia e dell'adozione, giustificano peraltro l'integrale compensazione delle spese processuali. Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione il D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17. P.Q.M. rigetta il ricorso. Compensa integralmente le spese processuali. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.