Maltrattamenti e percosse: quando non vi è violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza?

«Non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nell’ipotesi in cui il giudice di merito assolva l’imputato dall’iniziale contestazione di maltrattamenti, nella quale erano chiaramente ricomprese alcune condotte di percosse e lo condanni per queste ultime, in continuazione, ritenendone sussistenti i presupposti di configurabilità tenuto conto, altresì, del fatto che le percosse ove realizzatesi, costituiscono elementi essenziali della violenza fisica o morale propria della fattispecie prevista dall’articolo 572 c.p.».

La Corte d'Appello di Lecce confermava la sentenza del Tribunale locale, con la quale A.M. è stato condannato per maltrattamenti ai danni della moglie, percossa violentemente. L'imputato ricorre in Cassazione deducendo, tra i vari motivi, la violazione degli articolo 521 e 522 c.p.p., per difetto di correlazione tra accusa e sentenza. Egli sottolinea, riferendosi al cit. articolo 521 c.p.p., la mancanza della descrizione materiale delle condotte, dell'indicazione del luogo e della collocazione temporale degli episodi avvenuti, creandosi così un rapporto di eterogeneità tra imputazione e reato previsto dalla sentenza. La doglianza è infondata, in quanto le Sezioni Unite Penali hanno già avuto modo di chiarire che «in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto, occorra una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa» e che «la violazione» del principio suddetto «è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione» Cass. penumero , sez. Unite, numero 36551/2010 . E proprio per questi motivi la Corte di Cassazione arriva ad affermare che «non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nell'ipotesi in cui il giudice di merito assolva l'imputato dall'iniziale contestazione di maltrattamenti, nella quale erano chiaramente ricomprese alcune condotte di percosse e lo condanni per queste ultime, in continuazione, ritenendone sussistenti i presupposti di configurabilità tenuto conto, altresì, del fatto che le percosse ove realizzatesi, costituiscono elementi essenziali della violenza fisica o morale propria della fattispecie prevista dall'articolo 572 c.p.». Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Presidente Sabeone – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Con la decisione in epigrafe, la Corte d'Appello di Lecce ha confermato la sentenza del Tribunale di Lecce del 1.12.2016, con cui M.A. è stato condannato, in relazione a due episodi di percosse nei confronti della moglie R.F.M. , alla pena di quattro mesi di reclusione, pena sospesa condizionalmente, subordinandola al risarcimento dei danni in favore della parte civile nel termine di 60 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza risarcimento danni cui pure l'imputato è stato condannato, nella misura di 3000 Euro oltre accessori di legge. L'imputazione di percosse continuate è stata ritenuta, sin dalla sentenza di primo grado, contestata in fatto , all'interno del capo riferito al reato di maltrattamenti in famiglia, delitto dal quale, invece, l'imputato è stato assolto, così come si è dichiarato con detta pronuncia il non doversi procedere nei confronti dell'imputato quanto al reato di lesioni perché, esclusa l'aggravante di cui all'articolo 585 c.p., l'azione penale non poteva essere iniziata per tardività della querela. Il ricorrente avrebbe percosso la moglie, sbattendole contro, volontariamente e di proposito, l'uscio della porta della stanza di casa la mansarda dove egli si trovava, al momento dell'apertura. 2. Ha proposto ricorso l'imputato, tramite il difensore avv. R., deducendo due motivi di censura. 2.1. Il primo argomento eccepito si duole della violazione degli articolo 521 e 522 c.p.p., per difetto di correlazione tra accusa e sentenza, nonché del vizio di motivazione manifestamente illogica, riproponendo le ragioni già formulate nell'analogo motivo d'appello e lamentando come il giudice di secondo grado abbia omesso di rilevare la nullità della sentenza e di disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero. Il ricorrente, in sintesi, ritiene del tutto fuori fuoco ipotizzare - come invece hanno fatto i giudici di merito - che nella contestazione del reato di cui all'articolo 572 c.p., in relazione alla quale vi è stata assoluzione in primo grado, si possano ritrovare gli elementi di fatto per potersi sostenere la sostanziale imputazione nei suoi confronti per i reati di percosse continuate mancano la descrizione materiale delle condotte, nonché l'indicazione del luogo e la collocazione temporale degli episodi in relazione ai quali vi è stata condanna nè si può sostenere che sia sufficiente a garantire il diritto di difendersi compiutamente in relazione ad un'imputazione di reato ai sensi dell'articolo 581 c.p. il generico inciso contenuto nel capo A alle diverse occasioni in cui il ricorrente avrebbe picchiato la moglie. Vi sarebbe, dunque, rapporto di eterogeneità tra imputazione e reato ritenuto in sentenza si cita Sez. 6, numero 54457 del 2016 e l'imputato non ha avuto modo di difendersi adeguatamente in seguito alla riqualificazione del fatto, nè gli è stato consentito di chiedere, eventualmente, di essere ammesso all'istituto della messa alla prova previsto dall'articolo 168-bis c.p 2.2. Il secondo motivo di censura eccepisce violazione di legge in relazione agli articolo 192,530 e 533 c.p.p., nonché all'articolo 581 c.p., ed inoltre vizio di manifesta illogicità della motivazione quanto all'affermazione di responsabilità del ricorrente, fondata su una valutazione di attendibilità della persona offesa che si contesta in radice e sulla presenza di riscontri alle dichiarazioni di costei, riscontri che invece sarebbero inesistenti. Il ricorso analizza la prova dichiarativa nel dettaglio, riportandone brani parziali, e deduce travisamento di essa, quanto meno nella mancata considerazione di alcune testimonianze favorevoli, volte a sostenere l'instabilità psichica della persona offesa quella dell'assistente sociale P. ovvero a negare che il ricorrente abbia mai usato violenza contro la moglie si fa riferimento alle dichiarazioni del figlio della coppia M. -R. . Infine, si contesta anche la configurabilità del reato di percosse dal punto di vista della condotta oggettiva e soggettiva, avuto riguardo ai due episodi enucleati dai giudici di merito e riferiti all'aggressione del ricorrente, consistita nell'apertura violenta della porta della mansarda di casa ove egli si trovava, facendola sbattere appositamente contro la persona offesa che attendeva dietro di essa. Mancherebbe la volontarietà dell'azione del percuotere e tutto sarebbe sorto da mera accidentalità. 2.3. Il terzo motivo di ricorso eccepisce vizio di motivazione quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, fondato sulla gravità del reato commesso, elemento valutativo già impiegato ai fini della commisurazione della sanzione e, quindi, utilizzato due volte illegittimamente in violazione, si sostiene, del ne bis in idem . 3. Il Sostituto Procuratore Generale Dr. G.L. ha chiesto, con requisitoria scritta, l'inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è complessivamente infondato e deve essere, pertanto, rigettato. 2. Il primo motivo propone una questione in astratto meritevole di attenzione ma priva di pregio nella fattispecie in esame. In generale, occorre analizzare l'eccezione difensiva sulle basi logico-giuridiche tracciate dalle Sezioni Unite nella sentenza Sez. U, numero 36551 del 15/7/2010, Carelli, Rv. 248051, con la quale è stato chiarito come, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto, occorra una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. Le Sezioni Unite hanno, altresì, indicato parametri sostanzialistici per l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto, che non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l' iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione. Non rileva, pertanto, il mutamento che riguardi profili marginali, non essenziali per l'integrazione del reato e sui quali l'imputato abbia avuto modo di difendersi nel corso del processo Sez. 2, numero 17565 del 15/3/2017, Beretti, Rv. 269569 . Da un punto di vista della verifica di compatibilità convenzionale del principio di correlazione tra accusa e sentenza, la giurisprudenza di legittimità ha poi segnalato che la diversa qualificazione del fatto effettuata dal giudice di appello non determina alcuna compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, anche alla luce dei criteri stabiliti dalla Corte EDU con la sentenza Drassich c. Italia del 11 dicembre 2007, essendo consentito all'imputato di contestarla nel merito con il ricorso per cassazione e tenuto conto della prevedibilità del mutamento e dell'attuazione del contraddittorio cfr., tra le molte, Sez. 6, numero 422 del 19/11/2019, dep. 2020, Petittoni, Rv. 278093 . Orbene, al di là dell'evidente omogeneità tra la contestazione concreta di atti persecutori e il delitto di percosse ritenuto in sentenza, che della prima è stato ritenuto una componente essenziale, deve essere evidenziato, in generale, come le percosse siano ritenute da sempre una delle possibili modalità di manifestazione dei maltrattamenti, normalmente realizzate dall'autore delle vessazioni familiari abituali insieme ad altre condotte, anch'esse configurabili come reati autonomi, fatta salva l'unificazione logico-giuridica nell'epifenomenologia delittuosa sanzionata complessivamente dall'articolo 572 c.p. cfr. Sez. 6, numero 6126 del 9/10/2018, dep. 2019, C., Rv. 275033, in cui la Corte scompone il reato unico di maltrattamenti in singoli episodi sporadici di percosse, minacce e ingiurie, qualora questi ultimi non siano idonei a costituire una persistente azione vessatoria Sez. 1, numero 8618 del 12/2/1996, Adamo, Rv. 205754 cfr. altresì Sez. 6, numero 44700 del 8/10/2013, P., Rv. 256962 . Più esplicitamente si è affermato, per quel che rileva in questa sede, che il reato di maltrattamenti in famiglia assorbe i delitti di percosse e minacce, anche gravi ma non quello di lesioni, attesa la diversa obiettività giuridica dei reati Sez. 6, numero 13898 del 28/3/2012, S., Rv. 252585 Sez. 2, numero 15571 del 13/12/2012, dep. 2013, Di Blasi, Rv. 255780 Sez. 1, numero 7043 del 9/11/2005, dep. 2006, Taheri, Rv. 234047 . L'assorbimento dei delitti di percosse e minacce è condizionato, peraltro, al fatto che tali comportamenti siano stati contestati come finalizzati al maltrattamento, poiché essi, a queste condizioni, costituiscono elementi essenziali della violenza fisica o morale propria della fattispecie prevista dall'articolo 572 c.p. Sez. 6, numero 33091 del 19/6/2003, Jardas, Rv. 226443 . Deve, pertanto, ritenersi che correttamente, nel caso di specie, le percosse non erano state inizialmente contestate in via autonoma, in quanto ricomprese nello schema legale del reato necessariamente abituale di maltrattamenti che le assorbiva successivamente, risolta con un'assoluzione la questione della sussistenza o meno del delitto previsto dall'articolo 572 c.p., si sono riespanse le possibilità di configurare la fattispecie di percosse, ritenendone i presupposti. L'eccezione difensiva, alla luce di quanto sin qui esposto, non può trovare accoglimento. Già il giudice d'appello - cui l'imputato ha formulato analoga censura, essendo stata operata la riqualificazione giuridica con la sentenza di primo grado - ha correttamente ritenuto che la contestazione per il reato di maltrattamenti inglobasse in sé quella, in fatto, degli episodi singoli di percosse commessi dal ricorrente ai danni della moglie, sicché, una volta esclusa la fattispecie di reato prevista dall'articolo 572 c.p., si è nuovamente svelata l'autonomia di singole componenti di condotta prima assorbite dalla figura di reato complesso. Più precisamente, la sentenza impugnata dà atto di come, nell'originario capo d'imputazione, la descrizione della condotta di maltrattamenti faccia specifico riferimento alle percosse poste in essere dall'imputato nei confronti della moglie in diverse circostanze, delineando il periodo temporale in cui dette percosse sono state ricomprese fra il 10.4.2014, data in cui alla persona offesa venivano diagnosticate anche lesioni, egualmente inserite nella contestazione delittuosa, ed il mese di giugno 2015, giorno sino al quale si sarebbero protratti i maltrattamenti . Anche l'istruttoria dibattimentale, per quanto espressamente chiarito dal provvedimento di secondo grado, ha fatto richiamo, in maniera esplicita, agli episodi di percosse, oggetto della prova dichiarativa costituita dall'esame di alcuni testimoni, nonché di quella documentale, con rilievi fotografici acquisiti in atti. Dunque, appare evidente la coerenza della contestazione di reato in relazione alla quale è intervenuta condanna nel merito con il principio di correlazione dettato dall'articolo 521 c.p.p. le percosse hanno costituito parte integrante dell'imputazione formale e sono state al centro dell'istruttoria dibattimentale, in tal modo consentendo all'imputato una piena conoscenza delle accuse per le quali è intervenuta condanna e il dispiegarsi completo del suo diritto di difesa. Deve affermarsi, pertanto, che non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nell'ipotesi in cui il giudice di merito assolva l'imputato dall'iniziale contestazione di maltrattamenti, nella quale erano chiaramente ricomprese alcune condotte di percosse, e lo condanni per queste ultime, in continuazione, ritenendone sussistenti i presupposti di configurabilità tenuto conto, altresì, del fatto che le percosse, ove realizzatesi, costituiscono elementi essenziali della violenza fisica o morale propria della fattispecie prevista dall'articolo 572 c.p 2.1. Quanto all'eccezione relativa alla mancata accessibilità del ricorrente all'istituto di diversion della messa alla prova, deve essere rilevata la sua genericità e, dunque, la sua inammissibilità. Il ricorrente non spiega di averla formulata con l'atto di appello, nè deduce tantomeno di aver proposto una riqualificazione, in primo grado, che consentisse di superare l'ostatività del reato inizialmente contestato, contemporaneamente facendo istanza di ammissione all'istituto di definizione alternativa del processo previsto dall'articolo 168-bis c.p. sicché, per quanto consta, l'eccezione viene formulata per la prima volta dinanzi alla Corte di cassazione. Orbene, a prescindere dalla constatazione della arielasticità della previsione dell'articolo 464 bis c.p.p., che non consente la richiesta della messa alla prova in un momento successivo all'apertura del dibattimento, coerentemente all'impostazione codicistica per cui tutti i riti alternativi devono prevedere termini Ultimi per richiederli con la possibilità, eventualmente, di ottenere il beneficio offerto all'imputato in determinati casi in cui la mancata ammissione al rito risulti ingiustificata, giusta previsione espressa di legge , nel caso di specie, il Collegio ribadisce il condivisibile principio, recentemente affermato, secondo cui il riconoscimento della diversa qualificazione giuridica del fatto in dibattimento non legittima l'imputato a proporre tardivamente la richiesta di messa alla prova, in quanto l'inesatta contestazione del reato non preclude l'accesso al rito speciale, giacché la messa alla prova ben può essere avanzata deducendosi l'erronea qualificazione giuridica del fatto Sez. 6, numero 19673 del 8/4/2021, Amico, Rv. 281161 . Ed invero, il giudice, riqualificando l'originaria contestazione ai sensi dell'articolo 521 c.p.p. in una fattispecie rientrante nei limiti edittali di cui all'articolo 168-bis c.p., può sospendere il giudizio, con messa alla prova dell'imputato, solo se questi abbia sollecitato la riqualificazione del fatto e contestualmente richiesto il beneficio che, pertanto, non può essere concesso d'ufficio Sez. 3, numero 8982 del 15/12/2019, dep. 2020, Bahir, Rv. 278402 . Qualora l'imputato sia stato diligente, dunque, e si sia prefigurato un diverso, più favorevole esito della contestazione delittuosa mossagli, investendo il giudice della questione sulla corretta qualificazione giuridica della sua condotta, può essere ammesso al beneficio, alla luce delle modifiche dell'imputazione che successivamente intervengano nel corso del processo cfr. la sentenza numero 131 del 2019 in tema di giudizio abbreviato . L'impostazione adottata, come osservato anche dalla sentenza numero 8982 del 2020 cit., è coerente con le direttrici ermeneutiche tracciate dalle Sezioni Unite in una pronuncia afferente all'istituto dell'oblazione, che si rivela per molti aspetti affine a quello della messa alla prova, in ragione dell'effetto estintivo del reato che ne può derivare. Ed infatti, Sez. U, numero 32351 del 26/6/2014, Tamborrino, Rv. 259925 ha stabilito che, nel caso in cui è contestato un reato per il quale non è consentita l'oblazione ordinaria di cui all'articolo 162 c.p. nè quella speciale prevista dall'articolo 162-bis c.p., l'imputato, qualora ritenga che il fatto possa essere diversamente qualificato in un reato che ammetta l'oblazione, ha l'onere di sollecitare il giudice alla riqualificazione del fatto e, contestualmente, a formulare istanza di oblazione con la conseguenza che, in mancanza di tale espressa richiesta, il diritto a fruire dell'oblazione stessa resta precluso ove il giudice provveda di ufficio ex articolo 521 c.p.p., con la sentenza che definisce il giudizio, ad assegnare al fatto la diversa qualificazione che consentirebbe l'applicazione del beneficio. In motivazione, le Sezioni Unite hanno rimarcato la sostanziale differenza che corre tra il caso in cui il pubblico ministero proceda a modificare la contestazione ex articolo 516 e ss. c.p.p., che pertanto l'imputato subisce e dalla quale sorge il diritto ad essere restituito nel termine per l'esercizio del diritto di chiedere l'oblazione in rapporto alla imputazione modificata, e quello in cui il mutamento non coinvolga il fatto oggetto del giudizio, ma semplicemente la sua qualificazione giuridica come nel caso in esame tale ultimo profilo, infatti, non è patrimonio del pubblico ministero, ma tema di diritto, sul quale le parti - e il giudice - sono chiamati a misurarsi, nell'ambito e nel quadro di una prospettiva eminentemente dialettica. La sentenza del supremo collegio ha sottolineato come non venga richiesto all'imputato di antevedere le possibili scelte del giudice in ordine ad una eventuale riqualificazione del fatto, ma di esercitare il proprio diritto ad una qualificazione giuridica corretta, con le conseguenze che da ciò possono derivare proprio sul terreno della oblabilità del reato. Le medesime considerazioni possono essere utilizzate per fondare la regola di principio enunciata dal Collegio in materia di messa alla prova . 3. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato e svolto, nella gran parte, in fatto, secondo linee di censura non consentite nel giudizio di legittimità. I giudici di merito hanno ricostruito i fatti con compiutezza, dedicando la giusta attenzione alla verifica di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa e confrontando queste ultime con la prova dichiaratva ulteriore, molteplice e qualificata. Il tentativo del ricorrente di ridiscuterne gli esiti in sede di legittimità, peraltro proponendo una sua parziale lettura dei risultati probatori dibattimentali, parcellizzandoli e prospettandoli solo nella porzione di interesse, non può che essere ritenuto estraneo al sindacato della Corte di cassazione. Inoltre, il ricorso propone censure aspecifiche che non tengono conto delle motivazioni delle due sentenze di merito, le quali si saldano tra loro secondo lo schema giustificativo della doppia pronuncia conforme , che pone limiti alla ricorribilità in cassazione deducendo il vizio di travisamento della prova, come pure propone il ricorrente. Come noto, infatti, in tema di ricorso per cassazione, ai fini della deducibilità del vizio di travisamento della prova - che si risolve nell'utilizzazione di un'informazione inesistente o nella omessa valutazione della prova esistente agli atti - è necessario che il ricorrente prospetti la decisività del travisamento o dell'omissione nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica cfr., per tutte, Sez. 6, numero 36512 del 16/10/2020, Villari, Rv. 280117 cosa che non è avvenuta nel caso di specie. 3.1. Quanto alla questione della configurabilità, dal punto di vista oggettivo, del reato di percosse, in una fattispecie come quella in esame,, da un lato, non può essere ammesso il piano di confronto che, ancora una volta, si propone di rivalutare nel merito il tessuto di prova, per condurre il Collegio a ritenere l'accidentalità della condotta con cui il ricorrente ha colpito la moglie, scagliandole contro l'anta della porta al momento della repentina, ed invece volontaria, apertura violenta. Dall'altro, non vi è dubbio che anche la manomissione violenta della vittima attuata con la mediazione di un oggetto può integrare il reato di percosse e con ciò si intende rispondere alle osservazioni difensive formulate in udienza nel corso della discussione . Tale fattispecie, invero, si configura, secondo il senso anche del lessico comune, quando l'agente percuota , e cioè batta, picchi, colpisca o violentemente comunque manometta l'altrui persona fisica con un pugno, uno schiaffo, un urto o una spinta, pur quando l'azione venga compiuta con un oggetto contundente cfr. Sez. 1, numero 9286 del 1/4/1980, Casani, Rv. 145924, che ha fatto l'esempio della bastonata , idonea ad integrare il reato di cui all'articolo 581 c.p. . Quando questa Corte regolatrice ha escluso la configurabilità del reato ha avuto riguardo alla circostanza che una manomissione qualsiasi dell'altrui persona, nel senso ampio sopradetto, non si fosse verificata come nella fattispecie decisa da Sez. 5, numero 48322 del 2018, in cui l'assenza di energia fisica diretta dell'agente sulla vittima è stata ritenuta nell'ipotesi di colui il quale, scuotendo una scala, abbia provocato la caduta della vittima che era collocata su di essa , sul presupposto che la disposizione normativa richiede un contatto fisico diretto, ancorché mediato da un oggetto contundente dal punto di vista fisico, tra il soggetto agente e la persona colpita cfr. Sez. 3, numero 43316 del 30/09/2014, R., Rv. 260988 Sez. 5, numero 38392 del 17/05/2017, Moraldi, Rv. 271122 Sez. 5, numero 4272 del 14/09/2015, dep. 2016, De Angelis, Rv. 265629 Sez. 5, numero 51085 del 13/06/2014, Battistessa, Rv. 261451 . Ed infatti, si configura il reato di percosse nel caso in cui un'energia fisica sia esercitata, in qualsiasi modo, con violenza e direttamente sulla persona, purché essa non sia produttiva di malattia ricadendosi in tal caso nel reato di lesioni ovvero purché essa non si esprima in una manifestazione di violenza di entità inavvertibile e simbolica, indice dell'esclusivo proposito di arrecare sofferenza morale o disprezzo in tale ipotesi configurandosi una condotta di ingiuria, oramai depenalizzata cfr., prima della depenalizzazione, Sez. 3, numero 43316 del 30/9/2014, R., Rv. 260988 .8 Diversamente, sussiste il reato di percosse nell'ipotesi in cui - come accaduto nel caso di specie - l'autore della condotta colpisca la vittima con l'anta di una porta, volontariamente aprendola con violenza, nella consapevolezza della presenza di costei dietro di essa. 4. Anche l'ultimo motivo di censura è privo di pregio. Ai fini della determinazione della pena, il giudice può tenere conto più volte del medesimo dato di fatto sotto differenti profili e per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio del ne bis in idem Sez. 3, numero 17054 del 13/12/2018, dep. 2019, M., Rv. 279504 Sez. 2, numero 24995 del 14/5/2015, Rechichi, Rv. 264378 Sez. 2, numero 933 del 11/10/2013, dep. 2014, Debbiche, Rv. 258011 . 5. Al rigetto del ricorso segue la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali, nonché la condanna dell'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte d'Appello di Lecce con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato, secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite con la pronuncia Sez. U, ord. numero 5464 del 26/9/2019, dep. 2020, De Falco, Rv. 277760. Il Collegio, infatti, rileva che già in sede di pronuncia d'appello la parte civile era ammessa al gratuito patrocinio e che, dinanzi al Collegio, sono state depositate conclusioni e nota spese. 5.1. Deve essere disposto, altresì, che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte d'Appello di Lecce con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato. In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.