Diamanti da investimento: a quale titolo è responsabile la banca?

La sentenza del Tribunale di Milano del 4 luglio 2021 affronta, con ampia e puntuale motivazione, il tema della responsabilità della banca in riferimento al c.d. investimento in pietre preziose.

Viene configurata, nel caso di specie, una responsabilità da «contatto sociale qualificato» derivante dalla violazione degli obblighi informativi e protettivi dell'istituto di credito nei confronti della clientela. La controversia. Una società acquistava due diamanti c.d. da investimento a seguito dell'intermediazione di un istituto di credito di cui era cliente. Accortasi che il valore dei preziosi era notevolmente contenuto rispetto al prezzo pagato e constatata la difficoltà di rivendita degli stessi, venivano citate in giudizio la società venditrice dei diamanti e la banca che, a seguito di un accordo con la prima e dietro il riconoscimento di una provvigione, aveva a messo a disposizione della cliente, all'interno dei propri locali, il materiale divulgativo trasmettendo gli ordini di acquisto. Ad avviso di parte attrice il richiamato materiale divulgativo aveva portata ingannevole in quanto le informazioni sul valore dei diamanti apparivano come frutto di quotazioni emergenti dalla contrattazione in mercati organizzati, mentre trattavasi di prezzi fissati autonomamente dalla venditrice. Non essendo possibile beneficiare di alcun utile da investimento, veniva formulata domanda di risarcimento del pregiudizio sofferto mediante la restituzione dell'importo versato aumentato dal rendimento atteso ragionevolmente da operazioni finanziarie alternative. La banca, nel costituirsi in giudizio, negava di aver svolto un ruolo attivo nelle trattative e di aver posto una condotta decettiva nei confronti della propria clientela la quale non era stata sollecitata all'acquisto dei diamanti. Fallita la società venditrice dei preziosi il processo veniva riassunto da parte attrice nei confronti della banca. Il Tribunale riteneva fondata la domanda risarcitoria della cliente attrice. Le modalità di vendita dei diamanti. Viene anzitutto ricordata la pronuncia del Consiglio di Stato numero 2081/2021 concernente la sanzione irrogata dalla AGCM nei confronti di alcune banche mediante la quale è stato accertato che la società venditrice di diamanti rappresentava in modo ingannevole ed omissivo I il prezzo di vendita dei diamanti fissato in maniera autonoma dal professionista e tale da comprendere costi e margini di importo complessivamente superiore al valore della pietra presentato, tuttavia, come quotazione di mercato II l'aspettativa di apprezzamento del valore futuro dei diamanti in forza di grafici costruiti sull'andamento dei propri prezzi di vendita presentati come “quotazioni” e messe a confronto con indici ufficiali e quotazioni stabilite in mercati regolamentati III la facile liquidabilità e rivendibilità del diamante, quando invece l'unico canale di rivendita attraverso il quale avrebbero potuto essere realizzati i guadagni prospettati era rappresentato dagli stessi professionisti IV la qualifica di leader del mercato di riferimento, impiegata senza ulteriori precisazioni al fine di conferire maggiore affidamento alla propria offerta. La responsabilità della banca per «contatto sociale». Osserva poi il Giudice che, sebbene la banca convenuta non fosse il soggetto offerente dei diamanti, la stessa riconosceva espressamente a di aver messo a disposizione della propria clientela, all'interno delle filiali della banca, materiale divulgativo e informativo curato dalla venditrice b che la società attrice apprendeva da parte del personale dell'istituto di credito della possibilità di acquistare i diamanti c di aver inoltrato l'ordine d'acquisto della cliente attrice mettendola in contatto con la venditrice d di aver ospitato le suddette parti presso i propri locali per il perfezionamento del contratto e la consegna dei diamanti e di percepire dalla venditrice un corrispettivo rapportato al volume degli ordini di acquisto inoltrati e condotti a buon fine. Elementi questi sufficienti, ad avviso del Tribunale, a fondare la responsabilità della banca perla violazione degli obblighi informativi e protettivi nei confronti della propria cliente nascenti da un contatto sociale qualificato. Ricorda, al riguardo, il Tribunale che, secondo l'elaborazione giurisprudenziale prevalente, si configura un contatto sociale qualificato idoneo ex articolo 1173 c.c. a produrre obbligazioni laddove sia ravvisabile una relazione, volontariamente instauratasi tra due soggetti determinati che, in ragione della speciale qualità di uno di essi, sia idonea ad ingenerare nell'altro un affidamento circa l'adempimento di obblighi di protezione ed informazione in ossequio al dovere di solidarietà sociale di cui all'articolo 2 Cost. Da tale relazione derivano, a carico del soggetto qualificato, non già obblighi di prestazione ai sensi articolo 1174 c.c. bensì obblighi di buona fede, di protezione e di informazione Cass. numero 24071 del 13 ottobre 2017 . Trattandosi di soggetto qualificato, la banca era tenuta a conformare la propria condotta in modo tale da non ledere l'affidamento legittimamente risposto dal proprio cliente nella serietà e trasparenza della stessa. Puntualizza il Giudice che la circostanza per cui l'investimento veniva effettuato “in banca” era decisiva nell'ingenerare nella clientela della stessa la fiducia nella serietà e fruttuosità dell'investimento, facendo sì che “il cliente al momento dell'acquisto fosse persuaso del fatto che l'operazione nel suo complesso e le informazioni rese sull'investimento fossero verificate, e quindi “garantite”, dalla banca” in questi termini il Consiglio di Stato nella richiamata pronuncia . Alla responsabilità da contatto qualificato va applicata, a detta del Tribunale, la disciplina propria della responsabilità di natura contrattuale. La determinazione del danno. Il Tribunale muove il ragionamento dal presupposto che il valore delle gemme sia inferiore rispetto al corrispettivo versato ciò in virtù del provvedimento dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 30 ottobre 2017 confermato sul punto dal giudice amministrativo. Il danno viene conseguentemente ritenuto provato nei limiti della differenza tra il prezzo corrisposto e il valore effettivo stimato dei due diamanti. Viene invece respinta la domanda di ripetizione che avrebbe potuto essere svolta solo nei confronti della venditrice, previa caducazione del contratto. Qualche recente precedente in materia. Cfr., Trib. Genova, 29 marzo 2021 numero 711, in Dejure, ove stabilito che «in tema di operazioni di investimento realizzate tramite acquisto di diamanti per il tramite di istituto bancario, nella posizione di mediazione, particolarmente qualificata, la banca deve rispettare il portato dell'articolo 1759 del c.c. in base al quale il mediatore deve comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, che possono influire sulla conclusione di esso. Dunque, nonostante il mediatore non sia tenuto ad una attiva ricerca di informazioni sul bene che tratta, il suo dovere di verità è esteso alle circostanze da lui facilmente conoscibili a domanda o mediante la consultazione di fonti di informazione notorie , ovvero in relazione alla quali siano state richieste espresse informazioni dal cliente» App. Milano, 16 febbraio 2021, in Dejure, che ha ritenuto che «nei contratti di intermediazione aventi ad oggetto la compravendita di diamanti, la qualifica di parte contrattuale venditrice può desumersi solo dal dato letterale dell'accordo negoziale, nonché dalla titolarità dei beni oggetto del rapporto contrattuale e dalla spettanza del corrispettivo della cessione. Infatti è piuttosto frequente nella partica commerciale che un terzo metta in contatto due o più soggetti segnalando ad una parte l'intenzione dell'altra di concludere un determinato affare. Ciò comporta che non è sempre la banca ad essere qualificabile come effettiva parte venditrice» ha escluso l'applicazione delle regole del TUFTrib. Genova, 31 dicembre 2020, numero 2273 in Dejure, in considerazione del fatto che «non si tratta di valori mobiliari, posto che quelli abbinati ai diamanti consistono in meri certificati di garanzia, attestanti l'autenticità e le caratteristiche delle pietre preziose e non sono certificati rappresentativi dei diritti dei titolari, destinati eventualmente a circolare nell'ambito di un mercato secondario appositamente organizzato» Trib. Lucca, 9 settembre 2020, in Ilcaso.it, secondo cui «in tema di vendita di diamanti, la banca che consiglia l'acquisto ha l'obbligo di informare il cliente nel caso in cui il valore delle pietre acquistate sia di gran lunga inferiore al prezzo effettivamente pagato. La banca ha, infatti, l'obbligo di ben gestire il capitale dei propri clienti, dovendo assumersi in tale obbligo anche la corretta informazione sulle pratiche di investimento dalla stessa consigliate o anche soltanto meramente segnalate . La banca deve, in particolare, segnalare al proprio cliente l'effettivo utilizzo delle somme da questi versate, specificando quali importi, e in quale misura, sono destinati a servizi e/o oneri aggiuntivi rispetto al mero prezzo delle pietre e giustificare in tal modo al proprio cliente il prezzo da questi pagato alla società venditrice delle stesse detta segnalazione appare ancor più doverosa laddove proprio l'attività di segnalazione sia remunerata dalla venditrice» Trib. Verona, 23 maggio 2019 in Foro It., 2019, 3337, che, sempre nell'escludere l'applicazione delle regole del TUF al pari di Trib. Milano, 29 ottobre 2019, numero 2850 ha ritenuto che «posto che la commercializzazione di diamanti, promossa da un istituto di credito operante quale intermediario del venditore, pur non integrando un investimento di natura finanziaria, può considerarsi un'attività connessa a quella bancaria, incorre in responsabilità contrattuale, per violazione degli obblighi di informazione e di protezione, la banca che abbia promosso e favorito l'acquisto degli anzidetti preziosi, senza segnalare al proprio cliente gli elementi utili a consentirgli di cogliere la non convenienza dell'operazione». Per la dottrina, si veda U. Morera – E. Marchisio, Sulle attività connesse ex articolo 10, comma 3°, TUB, in Banca, borsa, tit. cred., 2018, 717.

Motivi in fatto ed in diritto della decisione Il presente giudizio veniva introdotto dalla società omissis S.r.l., che citava I.D.B. S.p.a. e S.p.a per sentire dichiarare la nullità del contratto con cui, in data 28 luglio 2011, il proprio legale rappresentante pro tempore aveva acquistato dalla prima due diamanti c.d. da investimento con l'intermediazione della Banca Popolare di Lodi oggi Banca , e per sentir condannare le convenute, in ragione delle rispettive responsabilità, a restituire le somme versate dall'acquirente. In particolare, l'attrice lamentava di essere stata tratta in inganno circa il valore dei preziosi, dimostratosi in seguito notevolmente più contenuto rispetto al prezzo pagato, nonché circa la possibilità di una loro agevole rivendita, con conseguente realizzo di un utile. A tale proposito, peraltro, omissis S.r.l. rappresentava come la vicenda in esame rientrasse nel novero di una più ampia attività di vendita, a prezzi rivelatosi non corrispondenti al valore reale, di diamanti da investimento da parte di I.D.B. S.p.a. d'ora innanzi IDB S.p.a. per mezzo della collaborazione di S.p.a. Quest'ultima infatti, in virtù di un accordo con la IDB S.p.a., si impegnava a mettere a disposizione dei propri clienti, all'interno dei locali della banca, il materiale divulgativo predisposto dalla venditrice nonché a trasmettere alla stessa gli ordini di acquisto dei soggetti interessati. Il suddetto materiale divulgativo, peraltro, aveva portata ingannevole, in quanto le informazioni sul valore dei diamanti in esso contenute apparivano frutto di quotazioni emergenti dalla contrattazione in mercati organizzati, mentre si trattava di prezzi fissati autonomamente da IDB S.p.a. Per l'attività svolta, infine, S.p.a. conseguiva una provvigione pari ad una percentuale dell'operazione conclusa. Con riferimento al valore delle due pietre acquistate dall'attrice, quest'ultima si doleva di aver pagato un corrispettivo di 30.244,00 euro, a fronte di un valore presumibile di soli 12.818,00 euro, stima ottenuta a mezzo di un raffronto con il valore per carato di diamanti dello stesso colore e della stessa purezza indicato nel noto listino Rapaport. Parte attrice lamentava poi di non aver potuto beneficiare, a causa della condotta ingannevole delle convenute, di alcun utile da investimento. Per tali motivi, chiedeva di essere risarcita del pregiudizio patito, mediante la restituzione di quanto versato, aumentato del rendimento atteso ragionevolmente da investimenti alternativi ed al netto di quanto eventualmente percepito dalla vendita dei diamanti. Si costituivano in giudizio le società convenute, contestando integralmente la pretesa avversaria. In particolare, S.p.a.– negava di aver svolto un ruolo attivo nella vicenda nonché di aver posto in essere una condotta decettiva nei confronti della propria clientela, rappresentando di essersi limitata, mantenendo una posizione di assoluta terzietà, a mettere a disposizione della stessa il materiale divulgativo di IDB S.p.a, alla quale segnalava richieste di acquisto. A sostegno di tali argomentazioni la convenuta richiamava il tenore degli accordi intercorsi con la suddetta società, i quali escludevano che l'Istituto di credito assumesse un ruolo attivo nelle trattative. Affermava dunque la convenuta di non aver mai sollecitato i clienti all'acquisto dei diamanti, né di aver mai prospettato loro la convenienza dell'investimento. Quanto poi alla fase di conclusione del contratto tra omissis S.r.l. e IDB S.p.a., negava di avervi preso parte, affermando di essersi limitata a mettere a disposizione delle parti i locali della propria filiale per la conclusione dell'affare. In virtù della sua natura di soggetto terzo, la convenuta eccepiva altresì la mancanza di legittimazione passiva rispetto alle domande ex adverso formulate, concernenti l'invalidità del contratto concluso tra l'attrice e IDB S.p.a. e comunque sollevava eccezione di prescrizione delle pretese attoree fondate sull'asserita responsabilità precontrattuale o extracontrattuale della Banca, essendo ampiamente spirato il termine di cinque anni in assenza di atti interruttivi. Per l'ipotesi in cui fosse invece accertata una sua responsabilità, l'Istituto di credito proponeva, in via riconvenzionale, domanda di manleva o, in subordine, di regresso nei confronti della convenuta IDB S.p.a. All'udienza del 20.02.2019 il Tribunale, su richiesta congiunta delle parti, dichiarava l'interruzione del processo ex articolo 43 L.F. per effetto dell'intervenuto fallimento della I.D.B. S.p.a., dichiarato dal Tribunale di Milano con sentenza numero 43/2019. Con ricorso del 19 marzo 2019 parte attrice riassumeva il presente processo nei confronti della sola S.p.A. chiedendo, in via principale, di “accertare e dichiarare la responsabilità precontrattuale, contrattale o extracontrattuale di Banco Popolare e per essa , per il contributo essenziale e determinante nel fatto doloso o colposo, anche in ordine alla violazione delle norme dell'articolo 20-21-22 del Codice del Consumo ovvero per la responsabilità direttamente imputabile per la condotta contraria ai doveri di diligente esecuzione della prestazione nell'ambito del contatto sociale qualificato” e, conseguentemente, di “condannare la convenuta al risarcimento in forma specifica e pertanto, previo trasferimento ad essa della proprietà dei diamanti, alla restituzione dell'importo di euro 30.244,00” o, in alternativa, di “condannare la convenuta al risarcimento per equivalente per euro 20.244,00 pari al differenziale fra il prezzo pagato 30.244,00 e la stima di quanto potrà realisticamente ricavarsi dalla vendita ad operatori del settore 10.000,00 ”, con vittoria di spese e compensi del presente giudizio. Con propria comparsa di costituzione, la convenuta ribadiva nel giudizio riassunto tutte le eccezioni e le difese già svolte in precedenza, S.p.a. lamentava inoltre che la riassunzione del giudizio nei confronti del solo Istituto di credito fosse lesiva del litisconsorzio processuale necessario venutosi a creare con la IDB S.p.a., e ciò sulla base della ritenuta inscindibilità delle domande svolte dall'attrice. Chiedeva dunque al Tribunale di dichiarare l'estinzione del giudizio ovvero, in via subordinata, di fissare un termine per rinnovare correttamente la riassunzione del processo o comunque per ripristinare correttamente il contraddittorio. Deduceva inoltre l'inammissibilità, in quanto nuove, delle domande risarcitorie proposte dall'attrice in sede di riassunzione. Il Tribunale, fatte precisare le conclusioni come sopra richiamate, tratteneva la causa in decisione assegnando i termini di legge per comparse e repliche. Tanto premesso, la domanda avanzata dall'attrice merita accoglimento nei limiti di seguito esposti. Deve preliminarmente essere disattesa la doglianza relativa alla violazione, a seguito della riassunzione del presente giudizio nei confronti della sola S.p.a., del litisconsorzio necessario che si sarebbe instaurato con la IDB S.p.a., società fallita e non convenuta in sede di riassunzione. A differenza di quanto affermato da S.p.a., infatti, le domande originariamente promosse dall'attrice nei confronti delle due società non sono tra loro inscindibili, in quanto fondate su autonome responsabilità, contrattuale quella di IDB s.p.a., per violazione di obblighi di tutela e protezione, come di seguito esposto, quella della Banca. Risulta dunque applicabile nella presente vicenda processuale il generale principio in virtù del quale l'obbligazione risarcitoria derivante da un fatto unico dannoso, imputabile a più persone, non dà di per sé luogo a litisconsorzio necessario passivo tra gli obbligati in solido e non impone, di conseguenza, il simultaneus processus. Conclusione questa che, come più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, non muta neppure nell'ipotesi in cui i convenuti si difendano addossandosi reciprocamente la responsabilità esclusiva del danno lamentato dall'attore, avendo il creditore titolo per valersi per l'intero nei confronti di ogni debitore, con conseguente possibilità di scissione del rapporto processuale che può utilmente svolgersi anche nei riguardi di uno solo dei coobbligati Cos, ex multis, Cass. Sez. 3, Sentenza numero 4602 del 11/04/2000 . Parimenti destituita di fondamento è l'eccepita inammissibilità, in quanto nuove, delle domande proposte dall'attrice in sede di riassunzione. A tale proposito la convenuta si duole del fatto che, a fronte di un'iniziale unica richiesta di condanna alla restituzione delle somme indebitamente percepite in forza del contratto, solo in sede di riassunzione omissis S.r.l. avrebbe proposto nei confronti dell'Istituto di credito una vera e propria domanda di risarcimento del danno, adducendo la violazione di obblighi da contatto sociale qualificato. Ritiene invero questo Giudice che una lettura complessiva dell'atto introduttivo consenta di ritenere già validamente proposta, con esso, nei confronti di S.p.a. una domanda risarcitoria. A tale conclusione, infatti, si può agevolmente pervenire tanto con riferimento al petitum quanto con riguardo alla causa petendi. Sotto al primo profilo, la richiesta attorea di “condannare le convenute, per quanto di rispettiva competenza e gradazione di responsabilità, a restituire a parte attrice tutte le somme indebitamente percepite in forza di detto contratto, al netto della quota eventualmente già restituita, e quindi per un importo pari ad euro 30.244,00, nonché le diverse somme maggiori e/o minori che emergeranno in corso di causa e che saranno ritenute di giustizia” deve essere letta congiuntamente all'ultimo periodo riportato nel corpo della citazione, ove parte attrice afferma che “il pregiudizio direttamente derivato dal comportamento della Banca intermediaria è quantificato in misura corrispondente alla prestazione pecuniaria eseguita, aumentata del rendimento atteso ragionevolmente da investimenti alternativi, e al netto di quanto sarà eventualmente ed effettivamente percepito dalla vendita dei diamanti ovvero restituito da IDB”. E' dunque evidente che, oltre all'accertamento dell'invalidità del contratto, la omissis S.r.l., nonostante l'indistinto utilizzo del termine “restituire”, chiedeva ad entrambe le convenute, quali obbligate in solido, di essere integralmente risarcita del danno patito, che quantificava in misura pari alla somma versata per l'acquisto dei diamanti, al netto del loro effettivo valore, aumentata dei non conseguiti guadagni derivanti dall'investimento. Trova dunque applicazione nel caso di specie l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità a mente del quale “l'interpretazione della domanda giudiziale va compiuta non solo nella sua letterale formulazione, ma anche nel sostanziale contenuto delle sue pretese, con riguardo alle finalità perseguite nel giudizio”, con la conseguenza che il petitum ben può essere individuato “ attraverso un esame complessivo dell'atto, tenendo presente che, per esprimerlo, non occorre l'uso di formule sacramentali o solenni, poiché è sufficiente che esso risulti dal complesso delle espressioni usate dall'attore in qualunque parte dell'atto introduttivo. Così, ex multis, Cass. sez. 3, Sentenza numero 18783 del 28/08/2009 Rv. 609210 - 01 . Con riguardo poi alla causa petendi, parte attrice richiamava, a sostegno della propria pretesa, tutti i possibili titoli di responsabilità, chiedendo a questo Tribunale di “accertare e dichiarare la responsabilità precontrattuale, contrattale o extracontrattuale di Banca Popolare di Lodi, e per essa Banca , per avere concorso a suggerire sollecitare e agevolare la stipula di un contratto di cui conosceva i caratteri di invalidità, nullità o comunque di pregiudizio per l'odierna attrice”. Un espresso riferimento alla teoria del contatto sociale, peraltro, era già contenuto nel corpo della citazione cfr. pag. 18 nonché, più diffusamente, nella prima memoria ex articolo 183 comma 6 c.p.comma La domanda di condanna al risarcimento del danno formulata nelle conclusioni da ultimo rassegnate dall'attrice non può dunque ritenersi nuova, né, in relazione ad essa, può ravvisarsi in capo all'odierna convenuta un difetto di legittimazione passiva. Nel merito la domanda risarcitoria avanzata da omissis S.r.l. nei confronti dell'Istituto di credito è fondata. In primo luogo occorrere rilevare come parte convenuta non contestava l'illiceità della condotta posta in essere da IDB S.p.a. ma esclusivamente deduceva la propria estraneità rispetto all'attività di vendita dei diamanti. Del resto, come oramai noto, anche il Consiglio di Stato, pronunciatosi con la sentenza 2081/2021 in merito alla sanzione irrogata dalla AGCM a diverse banche tra le quali s.p.a., ha avuto modo di accertare che IDB S.p.a. rappresentava in modo ingannevole ed omissivo a il prezzo di vendita dei diamanti, fissato in maniera autonoma dal professionista e tale da comprendere costi e margini di importo complessivamente superiore al valore della pietra, ma presentato come quotazione di mercato, l'andamento dei quali veniva pubblicato, a pagamento, su giornali economici b l'aspettativa di apprezzamento del valore futuro dei diamanti, attraverso grafici costruiti sull'andamento dei propri prezzi di vendita presentati come “quotazioni” e messe a confronto con indici ufficiali e quotazioni di titoli stabilite in mercati regolamentati c la facile liquidabilità e rivendibilità del diamante, quando invece l'unico canale di rivendita attraverso il quale avrebbero potuto essere realizzati i guadagni prospettati è rappresentato dagli stessi professionisti d la qualifica di leader di mercato, impiegata senza ulteriori precisazioni al fine di conferire un maggiore affidamento alla propria offerta. Ciò posto, sebbene la Banca convenuta non fosse il soggetto offerente dei diamanti, la stessa riconosceva espressamente 1 di aver messo a disposizione della propria clientela, all'interno delle filiali della banca, materiale divulgativo ed informativo di IDB S.p.a. cfr. pag. 10 2 che la omissis S.r.l., già cliente del Banco Popolare di Lodi, apprendeva da parte del personale dell'Istituto di credito della possibilità di acquistare i diamanti, prendendo visione del suddetto materiale informativo cfr. pag. 12 3 di aver inoltrato l'ordine d'acquisto dell'odierna attrice, mettendola così in contatto con IDB S.p.a. cfr. pag. 14 4 di aver ospitato le suddette parti presso i propri locali, in data 9 agosto 2011, per il perfezionamento del contratto e la consegna dei diamanti cfr. pag. 14 . Risulta inoltre comprovato, sulla base della stessa documentazione prodotta dalla convenuta, che quest'ultima percepiva per tale attività un corrispettivo rapportato “al volume degli ordini di acquisto inoltrati dalla Banca stessa e condotti a buon fine” cfr. docomma 4 – contratto tra Banca Popolare di Lodi e IDB . Ebbene, ritiene questo Tribunale che tali elementi siano sufficienti a fondare la responsabilità di S.p.a. per la violazione degli obblighi informativi e protettivi nei confronti della propria cliente, odierna attrice, nascenti da un contatto sociale qualificato. A tale proposito giova rammentare che, secondo l'elaborazione giurisprudenziale oggi prevalente, si ha un contatto sociale qualificato, idoneo ex articolo 1173 c.comma a produrre obbligazioni, laddove sia ravvisabile una relazione, volontariamente istauratasi, tra due soggetti determinati che, in ragione della speciale qualità di uno di essi, sia idonea ad ingenerare nell'altro un affidamento circa l'adempimento di obblighi di protezione ed informazione, in ossequio al dovere di solidarietà sociale di cui all'articolo 2 Cost. Da tale relazione, come più volte chiarito dalla Corte di Cassazione, derivano, a carico del soggetto qualificato, non già obblighi di prestazione ai sensi articolo 1174 c.c., bensì obblighi di buona fede, di protezione e di informazione ex multis, Cass. Sez. 3, Sentenza numero 24071 del 13/10/2017 . Venendo al caso di specie, non v'è dubbio che la Banca sia un soggetto qualificato e che, pertanto, fosse tenuta a conformare la propria condotta in modo tale da non ledere l'affidamento legittimamente risposto dal proprio cliente nella serietà e trasparenza della stessa. Al contrario, come detto, svolgeva un ruolo attivo nella commercializzazione dei diamanti, agevolando la conclusione delle operazioni di vendita, rilevatesi pregiudizievoli per i clienti. Si ricorda, a tale proposito, come il legale rappresentante della omissis S.r.l. apprendeva dai funzionari della banca la possibilità di investire nei preziosi della IDB S.p.a. e riceveva proprio dall'Istituto di credito il relativo materiale informativo, benché predisposto dalla venditrice. L'attrice inoltrava poi il proprio ordine di acquisto attraverso l'intermediazione della banca e stipulava presso la filiale il relativo contratto. E' dunque da disattendere la prospettazione della convenuta, la quale, nonostante il ruolo determinante appena riassunto, vorrebbe veder esclusa ogni forma di responsabilità per il fatto di non essere stata parte negoziale dell'operazione. La circostanza per cui l'investimento veniva effettuato “in banca”, era al contrario decisiva nell'ingenerare nella clientela della stessa la fiducia nella serietà e fruttuosità dell'investimento, facendo sì che “il cliente al momento dell'acquisto fosse persuaso del fatto che l'operazione nel suo complesso e le informazioni rese sull'investimento fossero verificate, e quindi “garantite”, dalla banca” così il Consiglio di Stato nella sentenza sopra citata . Posto che alla responsabilità da contatto qualificato va applicata la disciplina propria della responsabilità di natura contrattuale, e pertanto il termine decennale di prescrizione ex articolo 2946 c.c., deve essere rigettata l'eccezione di prescrizione sollevata dalla Banca. Venendo ad esaminare la sussistenza del danno patito dall'attrice, deve rilevarsi come quest'ultima abbia documentato, mediante il raffronto con il valore per carato di diamanti della stessa purezza e dello stesso colore di quelli acquistati indicato nel noto listino Rapaport, che il valore presumibile degli stessi si aggira al massimo ad euro 12.818,00, a fronte di un corrispettivo versato pari ad euro 30.244,00. Il pregiudizio derivante dal notevole minor valore dei diamanti può pertanto ritenersi provato, tanto più che sul punto controparte si è limitata a contestazioni di natura generica, rappresentando che il utilizzato listino non è vincolante per l'acquisto o la vendita delle gemme e che si riferisce alle quotazioni praticate all'ingrosso. Del resto, la circostanza per cui i diamanti venduti dalla IDB S.p.a. avessero un valore notevolmente inferiore al prezzo pagato dalla clientela di S.p.a. è stata accertata con provvedimento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato del 30 ottobre 2017, confermato in parte qua dal Giudice amministrativo. Il danno lamentato dall'attrice può dunque ritenersi provato nei limiti di euro 17.426,00, pari alla differenza tra il prezzo corrisposto per i due diamanti ed il valore effettivo stimato. Deve invece essere respinta, per carenza di legittimazione passiva di S.p.a., la domanda, avanzata in via principale, di condannare la convenuta, previo trasferimento ad essa della proprietà dei diamanti, alla restituzione dell'importo pagato da omissis S.r.l. Tale domanda di ripetizione, infatti, avrebbe potuto essere svolta solo nei confronti della venditrice IDB S.p.a., previa caducazione del contratto. Infine, è da ritenersi rinunciata, in quanto non riproposta in sede di riassunzione, la componente della domanda risarcitoria relativa al mancato rendimento atteso dal supposto investimento. Ai sensi dell'articolo 91 c.p.c., alla soccombenza della convenuta consegue la sua condanna alla rifusione delle spese di lite, che si liquidano come da dispositivo in base ai parametri del D.M. numero 55/2014, applicati ai valori medi con riferimento all'importo effettivamente liquidato. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza disattesa, così provvede In accoglimento della relativa domanda attorea condanna S.p.A. al risarcimento del danno in favore di omissis S.r.l., che liquida in euro 17.426,00, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo condanna S.p.A. alla rifusione delle spese di lite in favore di parte attrice, che liquida in euro 4.835, per compenso euro 545,00 per spese oltre spese generali, IVA e C.P.A.